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Autore: IamShe    15/06/2013    10 recensioni
Shinichi è rimasto adulto, ma non sa né come né perché né quanto durerà l'antidoto. Sebbene cerchi di godersi questi attimi preziosi nel suo corpo originale, un vortice arriva a sconvolgergli la vita: una giornalista ha scritto un articolo su di lui e sul suo ultimo caso risolto, e Ran comincia a nutrire dei seri sospetti sulla sua doppia identità. E chissà che tutto ciò, non giunga alle orecchie sbagliate....
•••
“Rimani?” chiese lei di rimando, velocemente. Non voleva una vera risposta, voleva solo ascoltare la sua voce. Voleva solo sentirlo parlare. Perché sapeva che ogni cosa, ne avrebbe nascosta un’altra. Ogni verità, avrebbe nascosto una bugia. Una scia di luce, forse quella di prima, forse quella che si era persa nell’oscurità, forse quella che aveva cercato costantemente, passò negli occhi di Shinichi.
Ran non seppe interpretarla, ma non le importò.
“Sì.”
La bastò solo quello: credere alle sue bugie.
Genere: Generale, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ran Mori, Shinichi Kudo/Conan Edogawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Your Lies
32.
Equivoci e decisioni

 
 
 
C’era qualcosa di terribilmente sbagliato in lei, e lo sapeva. Perché far finta che va tutto bene anche nella peggiore delle catastrofi è stupido quanto insensato. Peggio ancora è quando ci si convince che quella catastrofe non esiste per nulla, che lì fuori il cielo è azzurro e le nuvole sono bianche. Ignorare un problema è ingrandirlo a dismisura, e non esiste sfida o pensiero che possa reggere.
Come non esisteva ragione per cui le labbra di Saigo non le dessero la stessa emozione delle sue, eppure doveva accettarlo. Aveva provato a dimenticarlo attraverso un altro canale, un altro corpo e un’altra storia da scrivere, ma non c’era riuscita. Aveva provato a sostituirlo con un’altra immagine da amare, altri ricordi a cui pensare, e un’altra lingua da leccare, ma non c’era riuscita.
E se lei odiava ammetterne la ragione, detestava altrettanto spiegarla a colui che avrebbe dovuto fargliela dimenticare.
Saigo la guardava in attesa di una parola, di un sussurro, di una semplice frase che avesse potuto rincuorarlo.
Qualcosa che gli facesse dimenticare che lei s’era sottratta a quel bacio, appena le loro lingue s’erano sfiorate. Neanche ad avere il veleno in bocca.
«Scusa» la sentì sussurrare, con voce rotta dai nascenti singhiozzi. Stava per piangere. «Scusa...»
Saigo riuscì a sorridere. Si abbassò alla sua altezza e fece leva sulle gambe per sorreggersi. Ran aveva le mani sulla faccia nella vana speranza di coprire il suo volto.
«Ran, guardami...»
La karateka alzò un po’ gli occhi a lui e lo fissò.
«Non chiedermi scusa, ok? Non è colpa tua. Non mi hai mai fatto credere più di tanto, e quelle volte che abbiamo parlato per ore era solo per Kudo. Ho sbagliato io» le disse con un lieve sorriso. «Invece di trovare un modo per aiutarti ho fatto di tutto per assecondare la tua rabbia. Non sono stato un buon amico, e a te sarebbe servito qualcuno che vedesse le cose con oggettività e non con sconsiderato interesse.»
Lei scosse il capo con debolezza. «No, no... sono stata io a non essere pienamente sincera con te. Dopotutto non ti ho detto perché ci siamo lasciati e perché non l’ho più visto.»
«Ran, come puoi esser sincera con me se non riesci ad esserlo nemmeno con te stessa?»
La giovane si asciugò le lacrime col polso e tirò su col naso.
«È che... non voglio ammettere che lui possa aver ragione. È una vita che gli giro intorno e che lo appoggio in ogni cosa che fa. Ho sempre sopportato tutti i suoi difetti e le sue prese di posizione perché l’ho sempre adorato» ammise lei, mentre Saigo si sedette a fianco per ascoltarla. «Da bambini si mise in testa che voleva chiamarmi col cognome, perché eravamo troppo grandi per fare diversamente... almeno mi sono presa una piccola rivincita nel sentire quella stessa richiesta ma fatta da me.»
L’amico sorrise. «Ran, stai parlando di un capriccio di un moccioso.»
«Lo so! Ma lui è sempre stato così! È dispettoso! Hai visto come si è comportato ieri a casa mia? Lo capisci, tu? È enigmatico! Non ti fa capire mai cosa prova davvero e cosa pensa, ed è odioso sapere che lui invece è a piena conoscenza di ciò che io penso e provo per lui! Capisci? Non voglio che lui lo sappia, mi fa sentire... debole, stupida.»
«Ma perché mai lui dovrebbe sapere queste cose? Non... ti seguo.»
«Perché le ho confessate a lui senza sapere che fosse lui» disse lei, mentre Saigo la guardava stranito.
«Eh?» fece, inarcando un sopracciglio.
Ran sbuffò. «È una storia lunga, Saigo... Ti basti sapere che, non volendo, gli ho detto ciò che provavo per lui in tempi non sospetti, e mi fa sentire idiota. Capisci?»
«E cosa gli avresti detto di tanto imbarazzante?» si incuriosì il giovane.
Ran arrossì lievemente. «Se te lo dico non ti metti a ridere, vero?»
«No», fece lui, ma stava già ridendo.
Ran gli lanciò un’occhiata truce per farlo smettere. Poi sbuffò. «Tutta sognante dissi una cosa tipo: “Io ce l’ho un ragazzo che mi piace tanto. È Shinichi... un po’ dispettoso, presuntuoso, però è bellissimo... mi piace da impazzire”» ricordò lei quella conversazione, passandosi una mano sugli occhi. «Ho detto questo a lui. Capisci? È come se gli stessi dicendo: “sei tu, ti adoro da quando sei nato anche se sei uno stupido sbruffone. Però sei meraviglioso, ti amo ti amo ti amo”.» Emise una smorfia di disgusto, mentre Saigo rideva.
«Ecco, grazie eh» fece, un po’ indispettita.
«Non capisco perché ti da fastidio avergli detto queste cose se è la verità» disse poi, osservandola.
«Perché a parlare così sono le sue fan! Ed io non voglio essere una di quelle ochette!» sbottò, rossa in viso.
«E lui cosa ha fatto nel sentire queste parole?»
«Che io ricordi fece una risata ironica, ma poi non so se è andato a dirlo a qualcun altro...» mise il broncio Ran, paonazza al pensiero di quella sera.
Saigo si sforzò di essere neutrale. «Hai mai incontrato qualcuno che t’abbia dato l’impressione di conoscere questo dettaglio?»
Ci pensò un attimo su. «No.»
«E lui... te l’ha mai rinfacciato questo dettaglio? Magari mettendoti in particolare imbarazzo?»
Lei scosse il capo. «No, non l’ha mai fatto.»
«Ti ha mai umiliato pubblicamente per una cosa del genere?»
Ran deglutì. «No.»
«Ok» fece Saigo, guardandosi le mani. «Hai detto che non vuoi essere considerata una “sua fan”. Ti ha mai trattato come una di loro?»
Ran si voltò a guardarlo. «Che vuoi dire?»
«Come si comportava con le sue fan così si comportava con te?»
«Be’, di certo loro non hanno mai avuto il rapporto che avevo io. Siamo amici d’infanzia, lo conosco da una vita.»
«Ma lui ha mai avuto gli stessi atteggiamenti che aveva con qualche sua fan?»
«No» ammise. «Al massimo lo faceva per prendermi in giro, ma una volta mi disse anche “che peccato che la mia fidanzata non sia una mia fan”...» ricordò quel momento, inebriandosi della sua voce che risuonava nella sua mente.
«Ha fatto qualcosa di particolarmente sbagliato?» chiese allora lui.
«Sì, mi ha mentito» rispose lei, velocemente.
«Su qualcosa di molto importante?»
«Be’ sì!» sbottò lei, senza pensarci. «Avevo fiducia in lui, e adesso non riesco più ad averne.»
«Ma sai perché lo ha fatto?» domandò Saigo. «Magari c’è un motivo particolare.»
Ran scosse il capo con debolezza, socchiudendo gli occhi. Ripensò a Shinichi, nel corpo di Conan che gli chiedeva di ascoltarlo, e ad Heiji, che la accusava di essere una delusione.
«Non ho voluto saperlo.»
«E perché?»
Lei alzò leggermente le spalle. «Non lo so. La rabbia mi ha fatto pensare che tutto quello che avrebbe detto sarebbe stata una scusa,...una bugia insomma. Ed io, le sue bugie, non volevo e voglio più ascoltarle.»
«E non sei curiosa?», Saigo la osservò sospirare e trattenere le lacrime.
«S-sì. Lo s-sono» ammise balbettando. «È che adesso noi siamo in pessimi rapporti, anzi... direi che non abbiamo più un rapporto.»
«Gli devi soltanto chiedere perché, Ran.»
L’amica alzò gli occhi a lui e si morse il labbro. «E se mentisse ancora? Come farei a saperlo? Come potrei riuscire a capire dove e quando è sincero? Mi sembra di non conoscerlo più.»
Il karateka alzò le spalle e scosse il capo. «Non lo so. Il tempo, forse.»
Ran strinse i pugni e li congiunse, fissando lo sguardo sul pavimento.
«Continui a parlare di una situazione che non conosci... non mi hai lasciato il tempo di...»
Gliel’aveva detto anche il giorno precedente, a casa sua.
«Ran, ripeto, ha le sue ragioni. Non l’ha fatto per mancanza di rispetto...»
L’aveva ripetuto Hattori con fastidiosa insistenza.
«Cazzo, Ran! Ti amo! Ascoltami!»
Chissà se diceva sul serio...
«Ok», s’alzò dalle gradinate all’improvviso, facendo sobbalzare l’altro. «Ho deciso».
«Andrai da lui?» domandò lui con una leggera vena amara.
«Sì. Devo» disse,  rilasciando un altro sospiro. «Grazie, Saigo. Sei... un vero amico.»
Il giovane Yami fece un mezzo sorriso di risposta, regalandole anche un occhiolino.
«Di niente» mosse un po’ la bocca, ma lei era già lontana. «Figurati...»
 
 
Imporsi di smettere di pensare a qualcosa è mandare il comando opposto al proprio cervello. È come se questo volesse farci uno scherzo e ridere della nostra stupidità e debolezza. Uomini capaci di creare, distruggere, ammazzare, pensare e trasformare; eppure tutti condizionabili da ciò che ci circonda.
L’organizzazione da un lato a volerlo morto, e Ran da un altro a tormentarlo. Era impossibile sopportare tutt’e due.
«Io... credo siano una bella coppia», fu la voce di Hana a risvegliarlo dal coma. Sdraiato sul salotto di casa sua, Shinichi aveva chiuso le palpebre e cercato – invano – di dimenticare ciò che i suoi occhi parevano aver visto. Ran e Saigo insieme, uno nell’altro. Era convinto di non aver mai sentito dolore più grande.
«Già, lo sembravano».
La ramata si avvicinò e si sedette sul salotto, a pochi centimetri dal suo petto. Si fece spazio nel vuoto dei cuscini lasciati da Shinichi, e poggiò la mani ai suoi fianchi.
«Sono perfetti insieme. Loro non hanno niente a che fare con l’organizzazione e tutti questi guai. Potranno vivere serenamente, senza particolari pensieri e paure. Sai anche tu che è la cosa migliore.»
Il moro non rispose subito.
...Sai anche tu che è la cosa migliore...
Lo sapeva da una vita, ma era difficile da accettare. Non sempre ciò che è giusto è ciò che si vuole.
«È per loro, Shinichi» aggiunse Hana, molto più decisa. «E poi, questo, non è il momento adatto per avere partner, no?»
Il detective sospirò. «Pare proprio di no.»
«Metteremmo solo altre persone in pericolo» disse ancora lei. Poi, osservandolo maliziosa, si avvicinò di qualche centimetro a lui: «certo, questo se coinvolgiamo partner esterni ai fatti...»
«Cioè?» fece lui, ignorando involontariamente l’ironia.
«Be’, se due persone sono già in pericolo, non vedo perché non possano avere una relazione...»
Shinichi si sentiva terribilmente stupido, perché proprio non riusciva a percepire il senso del discorso. L’aveva sempre detto che le donne parlavano in un linguaggio sconosciuto. Comunque rimase zitto: fare la figura dell’idiota non gli piaceva.
Hana però sembrò capire il suo stato d’animo. Lo guardò con interesse e per un attimo si perse a fissare i suoi occhi azzurri e le sue palpebre che si richiudevano ad ogni battito, stranite dalla conversazione.
Ridacchiò, portandosi una mano sulla bocca. «Perché quella faccia sconcertata?»
Kudo voltò lo sguardo altrove, imbarazzato. Non gli piaceva non capire.
«Incomincio a pensare che stare troppo tempo appresso alla karateka ti abbia fatto perdere un po’ il senso delle cose».
«Ma quale senso? Non ho perso un bel niente» replicò acido.
«Sicuro?» lo sfotté.
«Certo che sono sicuro!»
Hana sbuffò e si alzò. Saltò sul salotto e si mise a cavalcioni su di lui, lasciando che le gambe cadessero ai suoi fianchi. Shinichi strabuzzò gli occhi, preso alla sprovvista e la fissò con intensità, cercando di capire se fosse seria o meno.
«Hana, ma che...?»
«Ti salto addosso» disse lei, con estrema sincerità.
«Questo lo noto!»
Hana fece un sorriso malizioso. S’afferrò i lembi del top verde petrolio che indossava e lo fece scivolare sopra la testa, portando allo scoperto il reggiseno.
Shinichi arrossì, e repentinamente portò lo sguardo all’entrata.
«Ma che fai!? Potrebbe venire qualcuno!» l’avvisò, ma lei sembrava tutt’altro che preoccupata.
«Che c’è? Il detective ha paura?»
«Io? E di cosa dovrei avere paura?» Lui si destò, come colpito da una freccia. «È solo che la porta è aperta...»
«Non l’hai mai fatto? Sei ancora più inesperto di quanto credessi...» lo stuzzicò ancora, con fare ironico.
L’osservò e per un attimo lo sguardo gli cadde sul petto. Però, non pareva niente male...
«Lo dici tu che sono inesperto» replicò con un leggero sorriso.
«E allora dimostrami cosa sai fare...»
Hana si abbassò e avvicinò pericolosamente le loro labbra, tanto che i loro nasi si sfioravano.
«Hai paura di quello che potrebbe succedere?» sussurrò a labbra strette, con fare decisamente intrigante.
Shinichi deglutì, e il suo pensiero andò a Ran. Anche lei, in fondo, s’era rifatta una vita... e con Saigo... non con lui...
L’immagine del loro bacio si insediò nella mente e lo scosse di rabbia. Era furibondo, deluso...
Perché lei non l’aveva fatto parlare? Dannazione...
«Sei così diverso da Gin... sei coraggioso, leale, sei bello...» mormorò ancora Hana, poggiando i palmi delle mani ai lati del viso di lui. «Però, lui era molto esperto in questo campo...»
Shinichi sorrise. «Stai cercando di provocarmi?»
La ragazza gli sfiorò la bocca con la sua. «Tu che dici?»
Il tempo che il fiato si scontrò con le sue labbra, che Hana le aveva già unite in un bacio. Per alcuni istanti il detective rimase fermo, quasi impassibile. Quasi come se stesse decidendo cosa fare. L’immagine di Ran e Saigo era ancora viva in lui, e a contatto con Hana pareva far meno male. In fondo, se Ran aveva voltato pagina, lui non era di certo il tipo di rimanere a piangere in un angolino con una sua foto in mano.
Avvertì la lingua di Hana sciogliersi con la sua, e subito s’accorse di quanto tutto fosse diverso da ciò che aveva provato con la karateka.
Non c’era attenzione né emozione in lui, né dolcezza e amore in quel tocco.
Nemmeno sfiorarle i fianchi e percorrerli era innamorarsene, ma per qualche assurdo motivo non voleva smettere. Non provava nulla, eppure non si fermò; il suo corpo gli diceva di non farlo.
 
 
 
 
Ran aveva il cuore che le batteva all’impazzata. Non sapeva come e perché, ma non sentiva più quel terribile senso di odio nei suoi confronti. Era ancora un po’ arrabbiata, ma sapeva che presto le sarebbe passata. Il bacio con Saigo le aveva chiarito le idee: qualsiasi altro corpo non le avrebbe dato le stesse emozioni del suo.
Cosa gli dico? Come comincio? Forse dovrei scusarmi... no, aspetta, mi faccio prima spiegare perché l’ha fatto e poi casomai mi scuso...ragionò di fronte al cancello della maestosa villa Kudo. E se lui avesse avuto tutte le ragioni di mentirmi? Allora cosa faccio? Dannazione... non so più cosa pensare!
Fece qualche passo verso la casa. Notò che la porta d’entrata era socchiusa.
È lì dentro...constatò, mentre le gambe cominciarono a tremarle. Era più di un mese che non entrava in quella villa meravigliosa. Quanti ricordi aveva legati a quella casa? Il loro primo bacio in cucina, la loro prima volta in camera sua... il solo pensiero la drogava.
Era incredibile come avesse scordato i loro momenti più belli e significativi. Adesso le bugie non facevano nemmeno più male.
Rilasciò un sospiro, si portò una mano al cuore e socchiuse gli occhi. Era ora d’entrare.
Camminò a passi lenti ma decisi, e alla soglia della porta si fermò. L’aprì con delicatezza, scivolò dentro e diede uno sguardo all’entrata. Non c’era nessuno, probabilmente era in camera, o magari in salotto.
Evitò di chiamarlo perché non sapeva come farlo: cognome o nome? Non voleva dargliela vinta...
Vide il salone alla sua destra e vi entrò.
Non se ne accorse subito, a primo impatto pareva tutto perfettamente normale. Il suo occhio ci mise un po’ a focalizzare quello che stava succedendo e a rendersi conto di ciò che significava. Era come se il suo cervello avesse comandato ai suoi occhi di non guardare e a se stesso di non capire.
Ma bastò vedere Hana in reggiseno che sentì il suo cuore frantumarsi. E proprio come se fosse stato formato da dei cocci uniti da una colla di qualità davvero scadente. E quei cocci adesso cadevano sugli altri organi, disturbandoli. Non solo avvertì un profondo senso di nausea, ma anche di debolezza.
Non era più capace a muovere dito.
La ramata era sul punto di togliere la camicia della divisa a lui, quando si accorse di Ran. E con lei Shinichi, che strabuzzò gli occhi e si sentì sprofondare.
«RAN!?!» sbottò il giovane, imperterrito, alzandosi e staccando via da sé Hana, altrettanto sbalordita.
La karateka era immobilizzata. Non credeva a ciò che stava guardando. Poi, come al risveglio da un incubo, sentì un brivido percorrerla. Distolse lo sguardo da loro e indietreggiò, cercando di non pensare.
«Non ci credo...» disse, ma più a se stessa che a loro.
«RAN!» sentì che lui la chiamava, ma non si fermò. Appena si ritrovò in corridoio cominciò a correre. Veloce, più veloce che poteva. Abbassò il capo e neanche guardò la strada davanti a lei. Le lacrime cominciarono ad abbondare sulle palpebre, tant’è che alla fine caddero. Una dopo l’altra, come tutte le speranze che s’era costruita nell’ultima mezz’ora. Tutto si infranse, niente aveva più importanza.
Uscì dalla villa udendo ancora la voce di Shinichi. Corse via, svoltò l’angolo e accelerò il passo.
Non voleva sentirlo né ascoltarlo, perché non aveva mai sentito tanto dolore in vita sua.
Che stupida, che stupida, che stupida...
 
 
 
L’agenzia investigativa era il primo posto dove cercarla, seppur scontato. In realtà avrebbe potuto essere in altri cento posti: la scuola, da Sonoko, in palestra, o con Saigo...
Già, solo un’ora prima l’aveva vista abbracciata a lui! Perché era venuta a casa sua allora?
Il primo pensiero che ebbe andò a Kogoro. Probabilmente le aveva parlato e adesso aveva bisogno di delucidazioni, o magari avrebbe voluto continuare ad offenderlo come era solita fare da un mese a quel momento. Salì le scale e giunse in ufficio con irruenza.
«Ehi, moccioso, che ci fai qui?»
Il detective più grande era in ritorno dal bagno e si stava sistemando la camicia.
«Kogoro, hai detto a Ran dell’organizzazione? Le hai detto del programma protezione testimoni?!» sbottò, ormai sempre più convinto di quell’idea.
«No, non le ho ancora parlato...» disse l’uomo con una vena di amarezza.
«Non le hai detto nulla?» s’accertò ancora il più piccolo. «Ma allora...»
«Perché me lo chiedi? È successo qualcosa?» domandò con evidente preoccupazione.
Shinichi sbuffò, mettendosi a sedere sul divano. Ma era incredibile pensare ad una cosa: da quando il detective in trance aveva scoperto tutto, non lo odiava più. Anzi, era sempre più gentile e... paterno.
«È venuta a casa mia e non so perché...»
«E adesso dov’è?» chiese Kogoro, affiancandolo sul salotto.
«Ehm... è scappata via, e la sto cercando.»
«È SCAPPATA!?!?» urlò il padre, con gli occhi fuori dalle orbite. «E perché diavolo lo ha fatto!?»
Il liceale arrossì e ridusse gli occhi in puntini. «Boh!»
«E adesso dov’è!?»
Il più piccolo fece spallucce. «Non lo so.»
«Dio mio, ma ti rendi conto che è sempre colpa tua?», si portò le mani in viso l’uomo, esterrefatto. «Sei un disastro vivente, moccioso! Per la tua incolumità, ti obbligo a venire a cercarla con me, adesso!»
L’uomo fece per alzarsi, ma notò il liceale ancora seduto.
«Mi dispiace Kogoro» lo sentì dire, col capo basso. «È colpa mia se dovete sopportare certe cose, io non avrei mai voluto che foste implicati in un guaio del genere.»
«Senti, è inutile che ti spremi tanto. Io lo faccio solo per Conan, mica per te...»
Shinichi alzò lo sguardo e si scontrò col sorriso ironico del suo ex suocero.
«Che vuo...»
«Non guardarmi così» distolse gli occhi Kogoro, bloccandolo. «Sei più simpatico in versione rimpicciolita, e oltretutto non cerchi di sedurre mia figlia in tutte le maniere possibili e immaginabili».
Il detective più piccolo arrossì di nuovo ma non rispose, anche perché notò l’altro aprire di nuovo bocca.
«E se lo vuoi sapere... non accetto il programma, moccioso. Vengo con voi e vi aiuterò. Non sono un codardo, non mi tiro indietro. Ma farò in modo che Ran e Eri lo accetteranno e cambieranno vita, il tempo che noi ci sbarazziamo di questi delinquenti e rimettiamo le cose a posto.»
Shinichi sentì la saliva mancargli. «Non... accetti?»
«No.» Scosse il capo lui.
«Ma ti rendi conto che stiamo parlando di un’organizzazione criminale? Potrebbero ucc...»
«E allora?!», Kogoro lo zittì con sguardo truce. «Credi di poter fare tutto da solo? Sei solo un moccioso, ricordatelo! E ricorda anche che promisi a tua madre di badare a te mesi e mesi fa...»*
«Non dovresti» replicò il bruno. «Lo sai che non devi, che non sei obbligato.»
«Appunto, non sono obbligato, e per questo lo faccio.»
Shinichi non disse più nulla, anche perché non sapeva cosa rispondergli. Da una parte gli era grato, ma dall’altro si sentiva in colpa. Ran l’avrebbe odiato ancora di più se fosse successo qualcosa a suo padre per colpa sua.
Ma poi perché era venuta a casa sua, se non aveva parlato con Kogoro? Voleva forse informarlo del fidanzamento col suo nuovo amore? Avrebbe anche potuto risparmiarselo...
«Allora? Hai qualche idea di dove sia mia figlia?» domandò, facendo qualche passo verso la porta dell’agenzia. Shinichi s’alzò e lo seguì, scuotendo il capo.
«Potrebbe essere da Sonoko, o magari a scuola, o...» distolse lo sguardo, imbronciato, «o col suo ragazzo, Saigo.»
Kogoro quasi si strozzò con la sua stessa saliva. «Ragazzo!?! E chi diavolo è!? Stai scherzando, vero?!»
Il liceale si limitò a negare, scendendo le scale dell’agenzia con il padre di Ran.
«No, aspetta! Ora chi è questo moccioso che vuole la mia Ran!? Io sapevo che eri tu quello che ci provava!»
Shinichi mise il broncio, assottigliando gli occhi. «Tua figlia non ha voluto più sentir parlare di me dal momento esatto in cui ha scoperto che sono Conan, e da allora mi odia. Fine della storia.»
«E tu permetti che stia con un altro!? Dimmi chi è sto tipo, forza!!» sbraitò Kogoro, mentre il sangue pulsava irrequieto in una vena sulla sua fronte.
«Lo conosci... è Saigo, quel ragazzo che venne con lei al galà...» lo informò, camminando con lo sguardo basso e le mani nelle tasche. «E poi... ‘permetto’? Sai anche tu che è meglio per lei starmi lontano, quindi...»
«Ah sì, quell’idiota che la lasciò in mezzo alle fiamme mentre lui se la svignò fuori! Maledetto!!»
«Già» convenne Shinichi, infastidito.
«A te oramai mi ci ero abituato! Sai com’è, le disgrazie accadono, ma provi comunque a sopportarle!»
Il liceale sentì un sopracciglio pulsare, ironico.
Grazie eh...
«Quella ragazzina ha dei gusti troppo strani!! Le devo parlare un po’!!»
Gusti... strani?
«Sai dove abita ‘sto moccioso?» chiese poi Kogoro, furibondo.
Shinichi scosse il capo. «No, ma possiamo scoprirlo a scuola. Nei registri ci sono queste informazioni.»
«Bene.» Fece con determinazione, avanzando il passo e trascinando con sé il ragazzo. «Andiamo!»
 
 
 
 
 
«Ran?», Saigo sussultò nel ritrovarsela davanti casa sua con sguardo basso e corpo tremolante. «Che ci fai qui!?»
«S-scusa se p-piombo a c-casa tua c-così... è c-che non sapevo dove a-andare...» rispose tra balbettii e singhiozzi. Avanzò verso l’amico e alzò leggermente gli occhi. Erano rossi e pieni di lacrime, pronti a scoppiare.
«Ma che è successo??» domandò preoccupato, afferrandola per le spalle. Poi, dando uno sguardo all’interno, la portò verso l’ingresso.
«Entra, sono da solo a casa...»
Ran annuì e lo seguì, stringendosi a se stessa. Saigo la portò in camera sua, facendola entrare nella terza camera in fondo al corridoio. Diede un leggero sguardo all’ambiente e lo trovò molto carino: dei poster tappezzavano le pareti verde spento, mentre il letto era addossato alla finestra sul lato.
«Puoi sederti sul letto, se vuoi» la invitò lui, sorridente. Ran obbedì, mantenendo sempre lo sguardo basso.
«Vuoi qualcosa da bere, mangiare?»
Lei scosse il capo. «No, grazie.»
«Ok», Saigo si osservò le mani per un po’, leggermente in imbarazzo. «Su, dici. Cosa è successo?»
Lei trasse un lungo respiro, e dopo qualche secondo deglutì. Abbassò le palpebre, tentando di richiamare le lacrime all’interno, e le riaprì, rilasciando andare l’aria nei polmoni.
«Vado a casa sua con l’intenzione di stare ad ascoltarlo, magari di perdonarlo e di dirgli che mi dispiace di non avergli nemmeno dato l’opportunità di parlare e spiegarsi. Bene, arrivo di fronte alla villa e noto che la porta è aperta... ovviamente entro, no? All’ingresso non c’è, quindi penso sia o in salone o in cameretta. Ebbene, era in salone.» Disse, cercando di mantenere un tono dignitoso.
«E...?» la invitò a proseguire lui.
«E... non era solo! No! C’era quella stronza, quell’oca e quella grandissima tr... ehm, c’era Hana.» Si dette un contegno lei, non volendo apparire cafona. «Direi molto... impegnati a... come dire, divertirsi.»
Saigo strabuzzò gli occhi, facendo precipitare la mascella al pavimento. «Che!?»
«Sì, lo stavano per fare sul divano! Mi hanno visto e si sono fermati! Sono scappata e lui mi ha rincorso, ma per fortuna sono riuscita a seminarlo. Già, avrà perso tempo a rivestirsi!»
«Ah», Saigo non sapeva cosa dirle. «Be’...insomma, è un po’ idiota a lasciare la porta aperta se devi fare certe cose.»
«Ma ti rendi conto?! Ed io stupida, stupida e stupida! Mi preoccupavo e invece? Lui sta nel suo meglio! Non mi sono mai sentita più idiota e cretina, credimi!», sferrò un pugno sul materasso, lasciandone il suo segno. Cominciò a respirare rumorosamente e molto più velocemente, tant’è che Saigo le chiese di calmarsi.
«È inutile adesso arrabbiarsi, Ran.»
«INUTILE!??!» urlò indiavolata lei, terrificando l’amico. «Io gli farò pentire di essere nato, a lui e quell’oca della sua amica! Oh sì che lo farò! E adesso basta prendermi per i fondelli, e che cacchio!»
«Sarà per questo che erano insieme stamattina?»
La giovane lo guardò e tramutò i suoi occhi in rosso fuoco e brillante. «Aspetta, vuoi vedere che questi due si frequentano fin da quando stavamo insieme?»
“Oh, scusami! Aveva appuntamento con te?” s’intromise Hana, avvicinandosi al ragazzo e tentando di scusarlo. “E’ colpa mia. L’ho trascinato per gli appartamenti di Beika, ed abbiamo fatto tardi.”
Lui annuì, tentando di convincerla. Ma per qualche oscuro motivo, sapeva che non sarebbe stato facile.
Ran mandò occhiate ad entrambi, come se stesse decidendo chi per primo avrebbe assaggiato i suoi calci micidiali, ma, ancora una volta, dovette calmarsi.
“Ah, non c’è problema. Se morirà di fame però, spero che venga a mangiare da te.” Rispose, rendendosi conto lei stessa di quanto il tono fosse risultato acido.
Hana rise, un po’ stranita. “Beh... okay. La porta è sempre aperta per il mio detective preferito.”
Saigo cominciò ad avere paura. Ran era circondata da un alone di fuoco e scintille.
“Ma Hana è così simpatica...” la sfotté lui, sedendosi sul tavolo, ed osservandola da dietro.
Ran sentì i nervi attorcigliarsi, ma si impose la calma.
“Simpaticissima...” disse ironica, senza staccare lo sguardo dal mobile.
Quei due... quei due si divertono alle mie spalle da mesi! Ne sono sicura! Ma certo!!
“E cosa c’entra lui?”
Intanto Sonoko alternava gli sguardi per osservarle entrambe. Ran era avvolta da un fuoco intenso, pronto a scoppiare, ma Hana appariva incredibilmente calma.
“Lo volevo invitare?” fece, ovviandola.
“Questo me l’hai già detto.”
“Okay. Non so che problemi hai, ma potresti gentilmente dirmi dov’è?”
Aspetta, lei sapeva, lei l’ha sempre saputo... ecco perché al galà mi ha detto quella frase!
“Ma come? Sei la sua migliore amica e non lo sai?”
Quella domanda suonò un po’ troppo profonda.
«Lei l’ha sempre saputo! Lui gliel’ha detto ed insieme si sono presi gioco di me! Ma certo!!»
L’amico la osservò stranito e disorientato. «Cosa ha sempre saputo?»
Ma il discorso venne interrotto dal campanello. Ran e Saigo portarono gli sguardi al di fuori della camera e per un attimo si immobilizzarono.
«Mmh, chi sarà? I miei hanno le chiavi...» s’alzò il karateka sbuffando, e dirigendosi verso la porta d’entrata. L’amica si affacciò alla porta, guardandolo scattare la serratura, e sprofondando nel petto di suo padre. Ran strabuzzò gli occhi e corse in avanti, incredula.
«Papà! Che... che ci fai qui?»
«Siamo venuti a prenderti» rispose semplicemente, con freddezza.
«Siamo...?» chiese lei, sporgendosi un po’ per guardare meglio chi ci fosse dietro di lui. E nel capirlo, una fitta al cuore le fece mancare il respiro. «Tu!!» sbottò.
Shinichi la osservò con le palpebre leggermente abbassate. Come aveva pensato, era da lui...
«Senti, perché ti sei portato dietro lui? E poi perché mi sei venuto a cercare? Adesso non sono nemmeno più libera di andare dove voglio?»
«Smettila, Ran!» urlò Kogoro. «Adesso vieni con noi. Dobbiamo parlarti di una cosa importante, e volente o nolente dovrai ascoltare.»
La giovane mise il broncio e si tenne i fianchi. «Va bene, andiamo, che ti devo dire!»
Camminò verso loro e diede uno sguardo all’indietro, verso l’amico. «Scusa Saigo. Ti chiamo appena posso.»
Shinichi fece una smorfia di disgusto e dissenso, ma continuò a camminare, affiancato da Kogoro. Ran li raggiunse poco dopo, ed insieme presero la metropolitana.
«Posso sapere perché sei con lui?» indicò il detective con riluttanza, rivolgendosi al padre.
«Te lo spiegheremo tra un po’. Adesso calmati, ma perché sei così arrabbiata?» chiese l’altro, evidentemente sorpreso. La figlia non rispose, anche perché non poteva farlo; si limitò soltanto a lanciare uno sguardo assassino a Shinichi, che abbassò il capo.
Arrivarono a villa Kudo dieci minuti dopo. Ran esitò ad entrare, anche perché non aveva proprio voglia di rivivere le stesse immagini di qualche ora prima. Ed inoltre non aveva voglia di incontrare quell’oca. Ci sarebbe stata anche lei? Entrarono tutti insieme, in estremo silenzio, ed insieme arrivarono in cucina.
Ran non aveva mai visto tante persone concentrate in così piccolo spazio.
Tra quelli che conosceva vi erano Heiji, la professoressa Jodie, Sonoko, sua madre Eri, Hana – e provò un vero istinto omicida –, Agasa e l’uomo che incontrò a New York, Shuichi Akai. Poi c’erano una ragazza ramata dai capelli a caschetto, molto simile alla piccola Ai Haibara, una donna estremamente bella dai lunghi capelli biondi e alcuni uomini dall’aria strana e sospetta.
«Oh! Angel, accomodati! Mancavi solo tu!» le disse Vermouth con dolcezza, mentre Shiho guardava di sottecchi Shinichi che stava raggiungendo l’amico detective.
Ran si stranì. Come l’aveva chiamata?
«Sei qui, Hattori? Chi ti ha avvisato?» fece il moro, sorpreso.
«Certo, potevo mancare? Il dottor Agasa, se aspettiamo te... si fa notte!»
«Piuttosto...» Shinichi sbuffò. «Accetterai il programma, vero?»
Heiji fece un risolino, ma Sharon zittì tutti.
«Bene, visto che ci siamo, è ora di decidere».
«Vermouth, se permetti parlo io alla ragazza...» propose Jodie, per niente felice di averla lì. «Così chiariamo un po’ le idee a tutti.»
Ran si sentì improvvisamente fissata da tutti i presenti. Odiava essere così al centro dell’attenzione, ma detestava soprattutto il fatto di ignorare completamente di ciò che stavano parlando.
«Ran... siamo qui per decidere della nostra vita. Lì fuori c’è un organizzazione criminale sulle nostre tracce, e prima o poi arriverà a tutti noi, e credimi... non avrà scrupoli.»
La karateka strabuzzò gli occhi. Organizzazione criminale? Ma di che stavano parlando?
«Ho qui con me un programma protezione testimoni. Chi deciderà di accettarlo sarà al sicuro dall’organizzazione, ma dovrà affrontare alcuni cambiamenti. Vi verrà affidato un altro nome e un’altra identità, insomma... avrete tutta un’altra vita in un’altra città» cominciò a spiegare, e mentre Sonoko ed Eri lo ascoltarono per la seconda volta, Ran osservò tutti spaesata.
«Ehm... scusate... ma...» provò, ma Shinichi la fermò, parlando per lei.
«Lei non sa nulla dell’organizzazione» disse, e di nuovo gli sguardi si fiondarono su di lei.
«Allora è normale tu sia confusa» disse Vermouth con voce dolce. «Silver Bullet, vuoi chiarirle le idee?»
Ran si voltò verso Shinichi, ancora più disorientata. Ma che stava succedendo?
Il detective sbuffò. Aveva provato a farlo tantissime volte, e non aveva voluto ascoltarlo! Se l’era immaginato diverso questo momento, ma non poteva fare altrimenti...
«Sono stato rimpicciolito a causa di un farmaco che, invece di uccidermi, mi ha trasformato in un bambino. L’organizzazione che me l’ha somministrato credeva che io fossi morto; purtroppo ha scoperto che non è così, e dunque vogliono farmi fuori. Chiunque è entrato in contatto con me ha le ore contate. Accettando il programma sarai al sicuro e loro ignoreranno la tua esistenza. Fine.»
Forse il tono era risultato un po’ troppo irritato, perché tutti si voltarono a guardarlo, allibiti da come aveva posto la questione. La stessa Ran ne risultò scossa. Un po’ per la rivelazione, un po’ per quel modo.
Volevano ucciderlo?
«Tesoro, vedi...» sentì la voce del padre richiamarla. «Ho già garantito un posto per te, Sonoko e la mamma nel programma. Non preoccuparti, non devi avere paura, andrà tutto bene.»
Ran lo guardò e poté percepire tutta la preoccupazione nelle sue parole, però...
«Chi ha accettato il programma al momento?» chiese poi, rivolgendosi agli altri.
«Sonoko, Eri...» fece Kogoro.
«Agasa e Hattori» aggiunse Shinichi.
«No, Hattori no! Io non lo accetto!» fece lui repentinamente, facendosi notare.
Il moro lo squadrò allibito. «Ma che cavolo dici??!»
«Non ci penso minimamente a lasciarti solo a farti prendere tutti i meriti della sconfitta dell’organizzazione, mi dispiace! Io non lo accetto!» disse fiero e quasi orgoglioso.
«Hattori!» lo richiamò l’amico, preoccupato. «Ma sei impazzito? Ragiona per una volta!»
«Scusate?» si fece notare il dottore. «Nemmeno io lo accetto.»
Kudo impallidì. «Professore! Ma che cavolo...?»
«Mi dispiace, Shinichi. Non posso lasciarti da solo.» Fece l’uomo con un sorrisetto.
Jodie sbuffò. «Ran, tu che fai?»
«Ovviamente accetterà...» fece Kogoro, persuasivo.
La karateka aveva ascoltato e aveva pensato che, effettivamente, sarebbe stata la cosa più giusta e saggia accettare. Ma Heiji non l’aveva fatto, perché voleva aiutarlo, e neanche il professore. Da quanto aveva capito la stessa cosa avrebbe voluto fare suo padre. Per Hana era un mistero, dato che ne ignorava la funzione lì. Però, se non era stata nominata, vuol dire che non l’aveva accettato...
«Forse è brutto per lei cambiare vita così radicalmente. Magari potrai portare qualcuno con te, tipo Saigo Yami... ci sei molto amica, no? Aggiungeremo anche lui nel programma» fece Chandon con un sorriso fastidioso sulle labbra. Shinichi abbassò lo sguardo, consapevole che, probabilmente, era ciò che davvero voleva Ran...
«Se non lo accettassi, cosa succederebbe?» la ignorò volontariamente la karateka, rivolgendosi a Jodie.
«Oh, be’... o rimani qui, a tuo rischio, o dovrai seguirci. Noi partiremo domani mattina per l’America, in un posto al sicuro dall’organizzazione. Ma lì dovremmo organizzarci e lottare... dunque, ti consiglio di accettare» fece la donna, con sincerità.
«Non penso che tu possa essere di grosso aiuto, sai...» disse Hana, azzardando un sorrisetto. Ran sentì l’ira sfondarle gli organi. Ma come si permetteva quell’oca? Voleva stare da sola con lui?
«Vuoi qualche minuto per pensarci, magari?» chiese Jodie, comprensiva.
«Ma a che serve! Accetterà!» ripeté Kogoro, cercando di convincerla a farlo.
«Sì, lui. Sai, tu non lo conosci per niente. Ed è brutto averlo capito dopo diciassette anni.»
La imitò volontariamente, poi la sorpassò, col capo chino.
«Ti auguro una buona vita, Ran.»
Guardò Hattori e si scontrò con gli stessi occhi che quella sera le dissero che era stata una delusione. No, lei non era una delusione... lei non era vigliacca!
Rilasciò un sospiro, che bloccò il respiro un po’ a tutti.
«No. Non accetto.»
Ci fu un tumulto generale, ma fu la voce di Shinichi a schiarirsi tra le altre; nitida e preoccupata.
«Ma cosa dici?! Cosa credi di fare, eh? L’hai almeno percepita la gravità della situazione?!»
«Sì. Credi che io sia inutile?» chiese, mentre gli sguardi di tutti si spostavano da un volto ad un altro.
«Eh? Ma che stai dicendo?»
«Rispondi! Credi che io sia inutile?»
Shinichi si sentì un attimo disorientato. «No, ma ciò non signif...»
«Bene, se Kudo crede che possa servire a qualcosa vi aiuterò. Anche solo a cucinarvi per non farvi morire di fame.»
«Ran, per favore, eh!» sbottò Kogoro, indiavolato. «Non fare la sciocca!»
La figlia lo ignorò volontariamente, così come fece con le lamentele di Sonoko e Eri.
Lei non era una vigliacca, non lo era...
«Sei sicura Ran?» domandò poi Jodie, tra dissensi e assensi generali.
Annuì. «Sicurissima.»







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* Kogoro ricorda il caso in cui i genitori di Shinichi si travestirono e fecero uno scherzo al loro figlio.
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Eccomiiiiiiiiiii!!!!XD
Sono ancora da cellulare, purtroppo Infostrada non si decide a mandarmi il modem a casa! -.-
Per il momento dovrò arrangiarmi così, ma spero che presto la situazione si risolverà! Sempre a me succedono! :(
Alloooora XD Cosa abbiamo qui? Mi pare che Shinichi si sia preso una bella rivincita su Ran, anche se ha combinato un bel pasticcio dato che la nostra amica era sul punto di perdonarlo :) E così viene anche lei a scoperta della verità, raccontata da un detctive incazzato che crede che sia fidanzata con Saigo XD E lei crede invece che Hana e Shin siano sempre stati insieme!
Chi è più tonno fra i due? Mmmmh! Scegliere non saprei!
E Kogoro che ormai è anche lui passato dalla parte degli ShinRan? Saigo non gli piace, no no.. invece il "piccolo Conan" sì!XD
E poi, siamo alla svolta! Chi accetterà il programma e chi no? Secondo voi ha fatto bene Ran a non volerlo accettare? E credete che la sua decisione sia dettata solo dalla voglia di riscattarsi agli occhi di Shinichi ed Heiji? Mmmmmh! XD E adesso cosa faranno?
Bene, questo ed altro nel prossimo chap! ;D


Adesso vi saluto... che è tardissimo!!! come sempre un ringraziamento speciale ai recensori dello scorso chap!
I love you!<3


Tonia
   
 
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