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Un arrivo inaspettato
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Sentiva
l’odore dell’erba arrivare fino alle sue narici e ovattati dai pensieri gli
giungevano alle orecchie gli schiamazzi e i richiami dei giocatori durante gli
allenamenti. Ogni tanto anche lui stesso urlava rivolto ai ragazzi per
richiamarli, correggere gli errori, approfondire un nuovo schema. Ma quel
giorno i suoi pensieri erano decisamente rivolti altrove.
Roberto
si riscosse non appena la voce allegra di un giocatore lo salutò.
“A domani
mister!”
Rispose
distrattamente poi osservò per qualche minuto la grande distesa verde davanti a
sé, e solo sospirando si girò verso la figura seduta sugli spalti.
La
ragazza completamente assorta nella lettura di un alto tomo non sembrava aver
notato la fine degli allenamenti della nazionale brasiliana.
“Cris!”
la chiamò attirando su di sé il suo sguardo limpido.
Con un
gesto secco chiuse il libro e lo mise nella sua borsa, un tascapane color
sabbia che doveva essere appartenuto a uno sfortunato soldato, e con passo
deciso iniziò a scendere la scalinata che la portava sul campo di allenamento.
“Pensavo
non finisse più!” disse alquanto scocciata non appena arrivò davanti all’uomo
“Ora mi puoi finalmente portare a casa?Ho ancora i bagagli da disfare.”
Roberto
si aggiustò gli occhiali scuri sugli occhi e le fece segno di seguirlo fino
alla macchina.
Sapeva
già che sarebbe stato del tutto inutile scusarsi: era identica a sua madre, se
voleva fare una cosa doveva farla. E se non riusciva nel proprio intento teneva
il muso per ore se non giorni. Ma tacere non risolveva certo la questione,
almeno non per Cris.
“Io
davvero non ti capisco!Sono perfettamente in grado di muovermi da sola anche in
una città nuova. Non sono più una bambina, Roberto!”
La
ragazza si voleva mordere la lingua subito dopo aver pronunciato il nome
dell’uomo, che la guardò storto.
“Cris…”
iniziò rassegnato.
“Ok, ok.
Recepito il messaggio- disse alzando le braccia in segno di resa e pronunciando
la successiva parola in modo impercettibile- …papà!”
“Papà?!”
chiese stupefatto Carlos Santana mentre si avvicinava ai due, con il borsone in
spalla e i capelli ancora bagnati dalla doccia.
Roberto
sussultò quando vide il suo migliore attaccante guardarlo perplesso.
“Carlos…Sì,
ecco lei è mia figlia Cristine.” Disse additando la ragazza bionda che aveva
dinnanzi.
Lei
allungò una mano in direzione del ragazzo che la strinse con energia “Puoi
chiamarmi Cris.”
“Non ci
avevi detto di avere una figlia.” Protestò il giocatore.
“Già. In
effetti non era previsto che arrivasse proprio ora in prossimità dei mondiali.”
Cris
sbuffò sgranando gli occhi con fare seccato. Sapeva di non essere proprio la
benvenuta, ma almeno fingere?
“Senti
Rob…papà. Ho sopportato questo campo di allenamento per tutto il pomeriggio,
non possiamo andarcene a casa?”brontolò.
Roberto
assunse un’aria arrendevole e si congedò dal ragazzo per salire in macchina.
Carlos
salutò con un cenno della mano la macchina che si allontanava, pensando a
quanto fosse stato strano per tutto il giorno il mister.
Che
c’entrasse qualcosa la misteriosa figlia?
In
effetti la causa della sua stranezza era proprio Cristine.
Diciamo
che, in teoria, avere la figlia per casa era una cosa che aveva sempre
desiderato ma arrivare ad applicare la cosa in pratica…
Il
momento in cui aveva bussato alla sua porta armata di bagagli e decisa a
restare con lui per un po’ non era decisamente il migliore.
Cavolo,
qui si stava parlando dei mondiali e lui era l’allenatore!
Ma non
era sempre stato lui che, quando andava a trovarla le chiedeva insistentemente
se voleva trasferirsi da lui?
Cristine
era nata diciannove anni prima, frutto di un fugace amore durante una sua
trasferta in Inghilterra. Sua madre, oh se se la ricordava! Una donna stupenda
con dei riccioli d’oro al posto dei capelli e degli smeraldi che le brillavano
nello sguardo.
E Cris,
ora che se la ritrovava davanti cresciuta, era identica a lei. L’unica cosa
evidente della sua paternità erano i suoi occhi di un grigio cupo, proprio come
i suoi.
Sembrava
tutto perfetto diciannove anni prima, quando Cris era in fasce e l’amore fra
lui e Mary sembrava infinito.
Purtroppo
quell’idilliaco ritratto di famiglia era destinato a spezzarsi. La sua passione
per il calcio lo spingeva ad abbandonarle spesso per incarichi ricevuti anche
dall’altra parte del mondo. E un giorno accadde che rimase abbandonato lui
stesso.
Non era
stato doloroso. Tra lui e la madre di Cristine non c’era amore e separarsi era
stato naturale. Ma per la bambina era stato uno strazio: andava a trovarla più
che poteva all’inizio, per poi ridursi a vederla solo durante le vacanze
natalizie e quelle estive. Decisamente non era tagliato per fare il padre.
Ma
l’estate prima Mary si era risposata e pareva proprio che questo John non
andasse a genio a Cris.
Così
l’aveva chiamato e gli aveva chiesto se poteva trasferirsi da lui fin quando
non riusciva a sistemarsi da sola. Oramai aveva diciannove anni e si sentiva in
grado di vivere da sola, ma economicamente non era ancora autosufficiente.
L’unica
cosa che aveva saputo risponderle era stato un flebile sì. Cos’altro avrebbe
potuto fare? Voleva dimostrare di esistere come padre, che anche lui l’avrebbe
aiutata come aveva fatto sempre e costantemente Mary in questi anni senza di
lui.
Ora
dunque nella stanza a fianco alla sua, percependo a stento la sua presenza da
quanto era silenziosa e riservata, avrebbe soggiornato Cris, sua figlia.
Ma era
davvero in grado di fare il padre?
Cris
sopirò lasciandosi andare sul suo letto, il suo nuovo letto.
Sorrise
pensando a come erano cambiate le cose. Sua madre si era sposata con un uomo
che lei odiava, ed ora loro due, insieme al di lui figlio ugualmente odioso, si
preparavano a formare una nuova famiglia. Quella che a lei era sempre mancata.
“Ironia
della vita!” si disse ad alta voce.
In fondo,
come poteva lamentarsi della propria situazione? Aveva abbandonato la grigia
Inghilterra per il luminoso e colorato Brasile, ed ora viveva con il suo
famosissimo padre.
Certo che
la regola che Roberto le aveva imposto era più dura di quanto pensasse.
Il giorno
precedente, alla soglia dell’immenso appartamento che possedeva all’utlimo
piano di uno dei grattacieli del centro di San Paolo, le aveva detto “Ti faccio
solo una richiesta, Cris. Dovrai chiamarmi papà. Sai quanto ci tengo.”
La faceva
facile, lui. Papà. Due misere sillabe che non riusciva per niente ad associare
a Roberto Hongo. L’uomo che aveva preferito seguire un pallone di cuoio
piuttosto che vedere i suoi primi passi.
Fece
spallucce. Ormai era lì e avrebbe dovuto assecondarlo nelle sue pretese
paterne. In fondo aveva numerosissimi arretrati.
Si rigirò sopra le lenzuola verdi. Davvero simpatico da
parte di Roberto farle mettere le lenzuola con la bandiera della sua nuova
nazione. Rise fra sé per un po’, per poi addormentarsi, determinata a vivere al
meglio la sua nuova vita.
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