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Autore: Hero98    16/06/2013    3 recensioni
"Il mondo è in rivolta: milioni di persone si sono riunite nelle piazze di ogni Paese, anche i più piccoli. Si spingono, urlano per farsi sentire. Sono stanche di subire, vogliono giustizia. Mostrano cartelloni candidi macchiati con scritte di un rosso scuro, colanti come lacrime, che chiedono vendetta.
Hanno visto morire vicini, compagni, parenti, in guerre che potevano essere evitate. Adesso basta.
Ventiquattro Nazioni scelte a caso tramite un sorteggio dovranno lottare in un’area selvaggia fino alla morte. Dovranno vedere il sangue dei loro compagni sporcare i loro vestiti, le loro mani. Uno solo uscirà “vivo” se dopo un’esperienza simile potrà ancora considerarsi tale.
Solo così il popolo di tutto il mondo si calmerà.
Che gli Hunger Games delle Nazioni abbiano inizio."
Genere: Angst, Introspettivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Osservavo le maniche troppo lunghe della giacca che mi avevano fatto indossare. Certo, non potevano avere una taglia da bambino, non si aspettavano che avrei partecipato anche io. Ma in fondo quanto potevo resistere? Non importava se la giacca fosse o no della mia taglia.
Tutti indossavamo la stessa divisa, di un colore che non riuscivo a capire se era una sfumatura di marrone o di verde, perché aveva qualcosa di entrambi i colori. Non avevo potuto vedere mio fratello e le altri Nazioni, sapevo che la indossavano perché me lo aveva detto la stilista che si era occupata di me il giorno prima. Era una ragazza molto giovane che sorrideva sempre, i capelli corti da maschio dello stesso colore del cacao. Mi veniva quasi voglia di assaggiarli per sapere se avevano anche lo stesso sapore, perfino il profumo era lo stesso.
Una sirena mi avvisò che era ora di entrare in campo.
Sospirai, non mi ero mai sentito così adulto, e dovevo ammettere che non era affatto bello come mi aspettavo. Avrei tanto voluto tornare a casa a giocare con i miei meca insieme a Lettonia.
Entrai in una specie di tubo di plastica trasparente che al termine di un conto alla rovescia aveva iniziato a spingermi verso l’alto, come un ascensore, il tempo sembrava scorrere così lento…
A un certo punto una luce accecante mi ferì gli occhi non abituati a tutto ciò. Mi protessi con un braccio finché non riuscii a vedere un enorme costruzione di un giallo acceso a circa 50 metri da me e tutt’intorno gli altri trentatré tributi. Subito il mio sguardo cercò Inghilterra. Era dall’altra parte della costruzione.
 
Era iniziato un altro conto alla rovescia per l’inizio degli Hunger Games, ma io sentivo solo il rumore assordante del mio cuore che batteva così forte che temevo mi sfondasse il torace per scappare via. Avevo gli occhi spalancati e fissavo, senza però guardare, la grande costruzione gialla al centro che quasi brillava di luce propria colpita dai raggi del sole. Me ne aveva parlato l’uomo che si era occupato di me il giorno prima, quella costruzione si chiamava Cornucopia e vicino ad essa c’erano scorte di cibo, armi e utensili utili per la sopravvivenza. Anche un po’ più distanti, però, erano presenti alcune armi e qualche sacchetto o borraccia. Il problema era come raggiungerli senza essere feriti o, peggio, uccisi.
Perso in questi pensieri non mi ero nemmeno accorto che il conto alla rovescia era terminato e che tutti avevano iniziato a correre in varie direzioni.
E che la strage di vite innocenti era iniziata.
Vedevo Bielorussia che con due coltelli in mano che iniziava a uccidere prima Seychelles, poi Liechtenstein…
Non riuscivo a muovermi, ero paralizzato da quell’orribile spettacolo.
Il sangue macchiava il terreno e i corpi esili delle due ragazze giacevano a terra immobili e privi di vita.
Poi vidi America che corse verso di me e mi sollevò di peso, come se fossi un sacco di fieno, leggero. Solo allora tornai in me. Ci stavamo allontanando dalla Cornucopia per non essere ammazzati subito. Ma quanto avremmo resistito?
 
Panico. E’ ciò che provavo appena finì il conto alla rovescia. Bielorussia aveva già preso dei coltelli pronta a guadagnare punti. Tutti scappavano, chi dopo aver preso qualche oggetto vicino, chi a mani vuote.
Io decisi che non dovevo perdere altro tempo. Dove andare? Da una parte era corso Sud Corea che era riuscito a recuperare quell’arma formata da una catena con all’estremità due bastoncini, mi sembrava di ricordare si chiamasse Kusari; da un’altra c’era Norvegia con una lancia; poi Giappone con una katana, Germania con una pistola e dall’altra parte della Cornucopia probabilmente era andato Turchia con due alabarde. Ogni zona era pericolosa e non potevo fidarmi di nessuno.
Ad un certo punto sentii una voce familiare alle mie spalle, aveva un tono basso, ma parlava in modo che potessi sentirla.
“Lettonia corri presto!”
Mi girai e notai Sealand, accovacciato tra i cespugli che mi faceva segno con la mano di raggiungerlo. Non me lo feci ripetere e iniziai a correre verso di lui. Mancava poco. Potevamo scappare via e nasconderci in un luogo più sicuro.
Fui costretto a fermarmi. Non sentivo più il mio corpo, solo una scossa allucinante tra le scapole che poi si diffuse ovunque togliendomi il respiro.
Caddi a terra. Sealand aveva assunto un’espressione terrorizzata e i suoi grandi occhi si erano riempiti di lacrime.
La vista iniziò ad offuscarsi, l’ultima cosa che riuscii a vedere fu il mio compagno di giochi che scappava via tra i cespugli.
Poi il buio mi avvolse.
 
Ormai la sua vita non aveva più alcun senso. Stava lì, immobile, seduto sulla poltrona del soggiorno a fissare lo schermo della televisione che gli mostrava la sua dolce sorellina morta in una chiazza enorme di sangue.
Era stato una persona inutile. Non l’aveva protetta. Non l’aveva neanche salutata, troppo in colpa con sé stesso.
“Tranquilla… non ti lascerò sola.” Sussurrò con la voce flebile e un po’ roca. Si rigirò la pistola tra le mani poi l’avvicinò alla tempia.
“Svizzera!”
Una voce familiare lo chiamava dal corridoio, urlando. Era una cosa strana da parte di Austria scomporsi così.
Ma in fondo non aveva più importanza.
Sparò.
Poi il silenzio assoluto.
 
Dopo l’inferno provocato da mia sorella Bielorussia mi avviai tranquillo alla Cornucopia. Potevo scegliere con calma le armi che più mi piacevano e prendere anche un po’ di cibo per i giorni seguenti.
C’erano armi di tutti i tipi: armi da fuoco, da tiro o da scontro diretto. La balestra mi attirava molto, ma alla fine optai per delle semplici pistole, affidabili e comode. Presi una Makarov e anche una Tokarev TT-33 per sicurezza, con naturalmente un bel po’ di proiettili. Misi tutto in un piccolo zainetto di pelle che conteneva anche una borraccia e qualche frutto, invece la Makarov la tenevo nella cinta del pantalone. Dovevo ammettere che quelle divise che ci avevano fatto indossare erano molto comode per muoversi con agilità.
Mi avviai in una direzione precisa: ovviamente quella verso la quale avevo visto correre America.
 
“Fratellone!”
Veneziano piagnucolava attaccato al mio braccio. Eravamo subito corsi via per non farci uccidere da quella pazza di Bielorussia e con le nostre gambe, abituate a scappare, eravamo arrivati lontani in poco tempo. Mi guardavo intorno alla ricerca di un riparo.
“Zitto, se no ci sentono!” Bisbigliai a mio fratello avvicinandolo a me. Ero spaventato quanto lui, però non potevo farmi sopraffare da quel sentimento. Ne dipendeva anche la vita di Veneziano.
Lui non mi aveva mai considerato una persona da cui prendere esempio, era sempre stato lui il più bravo: a dipingere, a relazionarsi con le persone…
E poi preferiva Germania perché quel maledetto crucco era molto più forte di me.
Forse questa era un’ottima occasione per dimostrare a Veneziano che anche io ero capace di proteggerlo.
Gli lanciai un’occhiata veloce, aveva gli occhi lucidi e spaventati e tremava come una foglia. Sospirai e gli premetti appena la mano sulla testa in un gesto che doveva essere affettuoso e rassicurante.
“Tranquillo, ci nasconderemo e nessuno ci farà del male.” Questo fu tutto ciò che riuscii a dirgli e anche se non era granché lui mi rivolse un piccolo sorriso di ringraziamento.
 
Camminavo abbastanza tranquillo tra gli alberi. Tutta la zona intorno alla base di partenza era coperta da un fitto bosco, forse per agevolare l’inizio dei giochi. Chissà che noia sarebbero stati se fossero morti tutti subito.
Mi fermai riconoscendo tra gli alberi una figura che potevo definire più che familiare. Un sorriso divertito mi si dipinse sul viso e mi avvicinai silenzioso, le alabarde in una sola mano. Quando fui abbastanza vicino lo strinsi puntandogli le armi al collo da dietro.
“Arrenditi Grecia” sibilai al suo orecchio.
Lui si irrigidì, non osava muoversi. Ogni muscolo del suo corpo era teso.
“Turchia… Mai occasione potrà esserti più propinqua per liberare la tua vita da un problema tanto grande...” La sua voce era bassa e lenta come sempre, ma riuscivo a sentire una leggera nota di agitazione.
Roteai gli occhi, parlava sempre come quei dannati dei suoi filosofi antichi.
“Non posso ucciderti finché non impari a parlare come una persona normale.” Sospirai e lo lasciai andare. Lui si girò e mi guardò confuso.
Gli rivolsi un piccolo sorriso trionfante e gli porsi un’alabarda.
“Questa volta ho vinto io, gattofilo.” Dopotutto in questi Hunger Games gli alleati sono preziosi.
“Però impara a non farti prendere di sorpresa.”
 
Eravamo saliti su un albero, sembrava avere i rami abbastanza robusti.
“Litu, quella tizia che mi ha fatto indossare quei vestiti favolosi ieri mi ha, tipo, riferito che ogni sera sparano in cielo i morti del giorno.”
Guardai confuso Polonia che era seduto vicino a me a cavallo del tronco facendo dondolare le gambe.
“Forse hai capito male.” Gli risposi e con una mano gli levai una foglia dai capelli lisci. Ero in pensiero per lui, era voluto venire con me in questi maledetti giochi della morte senza pensarci su. Magari si sarebbe potuto salvare, non l’avrebbero estratto. Magari adesso si pentiva della sua scelta impulsiva.
Lui inclinò leggermente la testa di lato non del tutto convinto da ciò che gli avevo detto. Io gli sorrisi.
“In ogni caso il sole è ormai tramontato, presto lo scopriremo.” Mormorai, cercavamo sempre di non parlare ad alta voce per paura di essere rintracciati.
Ci stendemmo sulla cima dell’albero e guardammo il cielo limpido, pieno di stelle. Sarebbe stato quasi piacevole se non fossero stati costretti ad assistere a quel bagno di sangue. Certo, erano scappati subito via, ma nel tempo in cui aveva aspettato che Polonia lo raggiungesse dalla sua postazione, di circa tre posti più a destra rispetto alla sua, Bielorussia aveva già ucciso Seychelles.
E dire che Bielorussia gli era sempre piaciuta.
“Litu guarda!” esclamò Polonia mettendomi una mano su un braccio e indicando il cielo con l’altra.
Quasi non cadevo dall’albero. Appena riacquistai l’equilibrio guardai il punto indicato dal mio compagno: una specie di proiezione aveva iniziato a mostrare i volti dei tributi morti.
Seychelles, Liechtenstein e Lettonia.
Mi si strinse il cuore nel vedere che anche il piccolo Lettonia era morto. Mi morsi appena il labbro inferiore, era solo un ragazzino innocente che non aveva fatto male a nessuno. All’improvviso mi pentii di non essere stato come un fratello per lui.
Sentii le braccia di Polonia intorno al mio corpo e il suo respiro sul collo. Non era proprio il momento di abbattermi, dovevo pensare a lui. Ricambiai il suo abbraccio stringendolo a me.
Finalmente il primo giorno era finito, quanti altri ce ne sarebbero stati?

Angolino di Hero~
Scusate l'attesa lunghissima ma adesso che finalmente è finita la scuola aggiornerò molto più spesso e spero anche di terminare questa fanfic entro settembre!
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, siamo entrati ormai nel vivo della storia. Spero in molte recensioni/commenti, alla prossima e grazie per aver letto! C:
   
 
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