Storie originali > Romantico
Segui la storia  |      
Autore: LimoneMenta    17/06/2013    4 recensioni
Due ragazzi, due fratelli. Fratellstri. Kalea e Derek. Potrà mai l'affetto tra due fratelli trasformarsi in amore?
Recensite, if you want!
P.S. La storia potrebbe non essere aggiornata regolarmente
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ok, ammettiamolo subito.
Cambiare scuola non fa schifo. Peggio.
Specie se in una scuola di dimensioni cento volte più ridotte di quella precedente, situata in un paesino sperduto.
A Colville tutti si conoscono, o per lo meno conoscono il nome di chiunque frequenti l’istituto.
A Miami no.
A Miami la scuola è enorme, popolata da migliaia di persone che vagano per i corridoi, tutti con la stessa faccia terribilmente. E nessuno conosce tutti.
Non che a qualcuno freghi.
Se sei nuovo nella scuola, bé…amen. Ti danno la piantina dell’edificio, l’elenco dei tuoi professori e poi te ne vai per la tua strada. Arrivi in classe, il professore ti presenta svogliato ai tuoi nuovi compagni e tu sei sopravvissuto.
Facile, no?
Ma questo succede a Miami, in Florida, non a Colville. Colville è l’alter ego brutto e cattivo di Miami.
Colville è il mio peggiore incubo diventato realtà.
 

 
« Allora, com’è andato il primo giorno di scuola?»
« Domanda di riserva?››
Derek mi stringe a sé ed io affondo la testa nella sua spalla. Derek. La mia ancora di salvezza. Il mio migliore amico. Il mio fratellone…fratellastro.
Ah, giusto, non mi sono ancora presentata.
Allora, mi chiamo Kalea e ho sedici anni. Derek è il mio fratellastro, ha 22 anni.
Ci siamo trasferiti qui a Colville da quando…bé, da quando mamma e Bill sono morti. Incidente d’auto. Eravamo noi tre. Io, la mamma e Bill. Loro sono morti subito, io sono finita in coma per due giorni. Derek è corso in ospedale più in fretta che ha potuto e mi è rimasto accanto per tutto il tempo.
Gli avevano detto che sarebbe durato qualche giorno, ma non sapevano come sarei stata dopo essermi risvegliata.
È andato avanti due giorni buttando giù litri di caffè, finchè mi sono risvegliata.
Èstato uno strano risveglio. Mi sembrava di avere due macigni sulle palpebre che premevano con tutta la loro forza per impedirmi di aprirle, ma alla fine ce l’ho fatta.
Sembrava proprio un ospedale. Ci sono arrivata dopo che era esattamente lì che mi trovavo. Le pareti bianche, la luce fosforescente dei neon, i letti d’acciaio, quel continuo “ …bip…bip…” delle macchine a fianco ai letti…roba che ti fa venire voglia di scappare prima ancora di essere entrato.
Ero infilzata da una quantità indescrivibile di aghi, strani cerotti e tubi collegati ad un sacchetto pieno di un liquido giallastro. Pipì. La mia pipì. Mi facevo schifo da sola.
Sentivo della gente parlare fuori dalla stanza, passi che si avvicinavano e allontanavano, ignorando la mia porta aperta.
Derek entrò bevendo un sorso di caffè da un enorme bicchiere che teneva in mano. Aveva gli occhi rossi e gonfi, forse per la stanchezza o per le lacrime, i capelli spettinati e le labbra secche. Mi guardò un momento, poi fece ancora qualche passo ed infine si fermò.
Si girò lentamente, fissandomi con occhi e bocca spalancati.
Lasciò cadere a terra il bicchiere che diffuse tutto il suo contenuto sul pavimento creando un piccolo laghetto marrone.
Corse fuori dalla stanza, come impazzito, a chiamare i medici e poi tornò da me.
I suoi occhi si riempirono di lacrime mentre si precipitava verso il mio letto.
Piangemmo entrambi.
I medici ci lasciarono cinque minuti, poi allontanarono Derek per eseguire dei controlli.
Rimasi lì quasi un mese, per riprendermi.
Èstata dura per entrambi. In un attimo eravamo rimasti soli al mondo.
La madre di Derek morì quando lui era piccolo. Bill si ritrovò con un poppante tra capo e collo.
Poi, anni dopo, conobbe Helen, mia madre, e scoccò la scintilla.
Pochi mesi più tardi furono celebrate le nozze.
Adoravo guardare le foto del loro matrimonio; erano così…dolci.
Quando s’incontrarono io avevo un anno, Derek sette.
Non era molto contento di avere una nuova sorellina. Kalea Davis. Già, ha sempre suonato bene.
I nostri genitori sono morti in giugno. Durante la convalescenza Derek mi aveva proposto di cambiare aria per un po’, ma non avrei mai creduto che fosse per sempre.
Prima che uscissi dall’ospedale, aveva messo in vendita la casa e ad agosto eravamo già in quella nuova, qui a Colville.
E così inizia la nostra avventura.
A settembre è cominciata la scuola ed ho appena trascorso il giorno peggiore della mia tragica esistenza. Oddio, sembrano quasi le parole di una che medita il suicidio.
Tranquilli, non è il mio caso. Sono una ragazza allegra e vivace, con un sacco di passioni. Amo leggere, ballo su qualsiasi canzone e mi confeziono gli abiti da sola. Da qui si può dedurre che camera mia sia colma di libri, che io abbia frequentato corsi di danza fin da tenera età e che sia dotata di un particolare talento per il cucito.
Forse una di queste qualità un giorno potrà rappresentare il mio futuro, ma per quello non ho molti problemi.
Quando Bill e la mamma sono morti, non ci hanno lasciato proprio all’asciutto, anzi. Si potrebbe dire che navighiamo nell’oro.
La casa che abbiamo comprato qui non è più grande della precedente, ma con due persone in meno sembra gigantesca.
La casa è su tre piani contando il seminterrato. Al primo piano c’è la cucina, la camera di Derek, un bagno tutto blu ed il salotto, che da' su un meraviglioso giardino.
Sopra invece ci sono la mia camera, l’altro bagno e il “nascondiglio”: è una grande stanza con due usi. C’è una scrivania dove studio i miei modelli di cucito, un manichino ed una Singer. La Singer è la migliore macchina da cucito al mondo. È un modello vecchissimo; me l’ha regalata mia madre quando ha scoperto la mia passione per la creazione degli abiti. Era della nonna. È morta anche lei…come tutti, in fondo.
 Il resto della stanza è composto da una parete ricoperta di specchi, una sbarra ed un pavimento in parquet. Avrete capito che si tratta di una sala da ballo con un angolo per il cucito. Ballo di tutto, ma ho un debole per la classica.
È in quella stanza che vorrei essere adesso, ma anche le braccia del Grande Fratellone Derek vanno bene.
« È andata così male?» Mi guarda preoccupato.
Se solo glielo chiedessi, sarebbe capace di prendermi un insegnante privato per evitarmi la scuola pubblica.
Ma posso comunque sopravvivere, basta…prenderci la mano.
« Allora?»
« Allora sì, ha fatto schifo, anzi, peggio!» esclamo disperata.
Sbuffa e sento il suo fiato sul collo: « Sii seria».
Mi sciolgo dal suo abbraccio e guardo innervosita per terra.« No, ma…»
Respiro un paio di volte a fondo e un irresistibile odorino di carne mi riempie i polmoni. All’improvviso mi accorgo di star morendo di fame.
« Mmmh…Spezzatino?»
« Arrosto. Non cambiare discorso! Com’è andata?»
Ecco, qui mi incazzo.
« Male, è andata malissimo! Qui è completamente diverso da Phoenix. Là nessuno ti fissa come se venissi da un altro pianeta, ti ignorano tutti. Qui tutti ti guardano aspettando che tu faccia un passo falso per eleggerti “Re dei cretini” e tu mi chiedi com’è andata?! Perché non siamo rimasti a Miami? Perché tutti mi avrebbero guardato con pietà?! Avrei cambiato scuola! Ma non avresti dovuto trascinarmi qua in mezzo al nulla!»
Getto lo zaino a terra e corro su nel nascondiglio. Tradimento. Ecco quello che provo adesso.
Inizio a cercare un cd e trovo quello adatto. Me lo ha regalato l’anno scorso un ragazzo indiano, Jared. È una raccolta di brani per qualsiasi situazione: per una nascita, un matrimonio, per una guerra. L’ultimo mi pare il più adatto. Prima di premere “start”, indosso dei collant neri e degli scaldamuscoli rosa sopra le scarpette. Faccio a meno del body, lasciando il reggiseno. Provo un paio di piroette allo specchio osservando la rabbia che guida i miei passi.
Accendo lo stereo e prendo posizione: la musica si impossessa di me, penetrando nella pelle, fino alle ossa.
Volo tra le note impetuose di un canto di battaglia, animata dalla stessa forza di un guerriero.
Derek entra mentre eseguo delle pirouettesda ferma ( che fanno andare la gente in delirio, ma in realtà non sono così difficili da eseguire).
Continuo a ballare, decisa ad ignorarlo. Prendo una piccola rincorsa e spicco un salto, allargando la gambe in un grand jetè.
Quando sento due mani circondarmi la vita, capisco che non atterrerò come pensavo: guardo Derek, riflesso nello specchio, farmi volteggiare un paio di volte e depositarmi proprio di fronte a lui.
Mi allontana una ciocca di capelli dal viso, invitandomi con gli occhi a sfogarmi. Ed è proprio quello che faccio. Scoppio a piangere come una bambina, aggrappandomi al suo collo ed avvolgendogli la vita con le gambe. Lui mi accarezza la schiena e cammina per la sala.
« Ssstt…tranquilla piccola…ci sono qua io adesso…»
Che fratello, eh?! Sì, tutti ne vorrebbero uno così. Bè, mi dispiace per voi che avete piccole pesti che distruggono la casa urlando come aquile; o magari fratelli più grandi il cui unico scopo nella vita è farvi innervosire. Spiacente, ma questa volta la fortuna è toccata a me( almeno una volta nella vita! ).
Derek è l’unico che sa come calmarmi, neppure mia madre ci riusciva a volte.
Allora arrivava lui e dopo dieci minuti era tutto passato.
Si siede vicino allo stereo, tenendomi stretta, e lo spegne interrompendo il canto di guerra.
Smetto di piangere e resto ad ascoltare il battito del mio cuore, che poco a poco rallenta alla stessa velocità del suo.
Derek tenta di distrarmi facendo appello alla mia fame. « Ehi, che ne dici di assaggiare quello spezzatino che ho preparato, eh?»
Nascondo la testa sotto la sua spalla e sussurro: « Hai fatto l’arrosto».
Ridacchia. « Giusto. Ti va?».
Annuisco spinta dalla fame. Mi siedo di fianco a lui e cominci o a slacciare una scarpetta. Derek mi prende una gamba tra le sue e fa lo stesso.
Scendiamo in cucina e si mette subito al lavoro tra i fornelli, forse per paura che cambi idea.
Prende un piatto dalla credenza e gli fa fare un paio di acrobazie lanciandolo in aria, poi ci deposita un fetta di carne.
« Piove. Non sei contenta?»
« No».
« Ma a te piace la pioggia!»
« Esatto, la pioggia. Non gli acquazzoni»
Mi guarda confuso, cercando di capire se sono impazzita o se solo lo dico per nervosismo. Per lui la pioggia è tutta uguale. Per me no.
Ora vi spiego: mi piace la pioggia, ma quando è leggera e ricopre i fiori, rendendoli simili a Swarowski. Probabilmente qua vedrò solo diluvi. Peccato.
« Dopo devo andare al supermercato. Ti serve niente?»
« Qualche quaderno e dei gessetti»
« Gessetti?»
« Da sarta»
« Oh, va bene – dice infilando la giacca – allora ci vediamo tra poco»
« Ok»
Mi dà un bacio veloce sulla testa ed esce sotto la pioggia, lasciandomi sola in un mondo che ancora non mi appartiene.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ci siamo io, la mamma e Bill.
Ridiamo. Guardo la mamma e penso che la mia è la famiglia più bella al mondo.
Bill guida con una mano, l’altra intrecciata a quella di mia madre.
Vedo la mamma accarezzarsi la pancia e non capisco il motivo di quel gesto così amorevole. Che si sia affezionata alle lasagne del ristorante? Ridacchio a quel pensiero così stupido.
« Quando glielo diciamo?» la sento bisbigliare.
Si guarda con tenerezza la pancia e all’improvviso capisco.
Mi salgono le lacrime agli occhi pensando alla fragile, tenera ed indifesa vita nel grembo della mia bellissima mamma.                                                                              Ma non c’è tempo per dire niente. Due fanali sbucano minacciosi da un incrocio ad una velocità inaudita e come un toro inferocito, trascinano la macchina fuori strada, in un fossato.
Sento la mamma gridare e mentalmente, dico addio a quel piccolo che non vedrò mai.
L’urlo di mi madre rimbomba nella mia testa sempre più forte…
 
« Noo! Mamma!»
Mi dibatto tra il lago di sudore in cui si sono trasformate le lenzuola.
La canottiera e i pantaloncini, che s’improvvisano pigiama, sono incollati alla mia pelle, e non sembrano avere la minima intenzione di staccarsi.
Mi sento soffocare proprio da quelle coperte che dovrebbero tenermi al caldo e cullare i miei sogni, allontanando gli incubi, che convivono con me anche durante il giorno.
Urlo e mi contorco, picchiando i pugni contro i cuscini.
Sento la porta sbattere contro il muro, e la salvezza arrivare insieme alle braccia di Derek.
Mi aggrappo a lui ed urlo con tutta la voce che ho in petto; i polmoni che bruciano.
Ma è un dolore buono, perché riesce, in parte, a cancellare quell’immagine che solo io vedrò fino all’ultimo.
Il mio urlo si trasforma in calci, pugni ed infine pianto, che stavolta neppure Derek può vincere.
Posso riuscirci solo io, e non è per niente facile.
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: LimoneMenta