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Autore: vyvya    17/06/2013    4 recensioni
Una fanfiction scritta dal punto di vista di Bella, semplice ragazza di diciasette anni che si trova ad affrontare tutte quelle che sono le problematiche di un'adolescente comune della sua età: le serata tra amici, un compito di matematica andato male, una cotta per il suo migliore amico, Edward. Ma se quest'ultimo con gli anni sia cambiato? Se i due si fossero allontanati a tal punto dal diventare quasi degli estranei, riusciranno a riappacificarsi?
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan, Un po' tutti | Coppie: Bella/Edward
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Twilight
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reagire


7
Reagire


«Oddio!» Erano dieci minuti buoni che mi esaminavo allo specchio, toccandomi nervosamente i capelli appena tagliati. Mi dovevo ancora abituare. Ero nella fase: “Okay, ammettiamolo: ho fatto una cazzata!”.
«Oh mio Dio!» urlai ancora laconica.
«Cosa?! Cosa è succ... E tu chi sei?!» entrò mia madre allarmata.
«Mamma!» la guardai storta.
«M-ma...stai benissimo!» esplose in un sorriso.
«G-grazie» Non ero abituata ai complimenti.
«Certo che uscita dal parrucchiere potevi fermarti in qualche negozio a fare shopping» Mi squadrò dalla testa ai piedi.
«Questo è il mio pigiama!» indicai.
«Ah, ecco mi sembrava troppo anche per te, uscire con una maglia con sopra rappresentato un uccello buffo»
«È un pinguino, sono carini e coccolosi i pingiuni! E poi che vuol dire “troppo anche per te”!?»
«Niente!» Fece la faccia da “Beccata!” e si precipitò fuori dalla mia visuale.
Riuscii a gridarle: «Questa me la spieghi!». Scossi la testa: mia madre, una causa persa.
Dopo quell'episodio in mensa e il suono dell'ultima campanella che segnava la fine di quella orribile giornata mi fiondai nel mio Pick-up e tornai a casa senza salutare nessuno o fermarmi a parlare. Avevo un aspetto schifoso, sembrava che mi fosse passato sopra più e più volte un camion. Dissi ai miei di sentirmi poco bene e mi rintanai nella mia camera. Mi era presa così male che il giorno successivo decisi di non andare a scuola.
Rimasi reclusa in camera per tre giorni.
Avevo staccato il cellulare e a mia madre facevo filtrare le telefonate e periodicamente la sentivo sussurrare “No, mi dispiace sta dormendo” o “Sì, si sarà presa un brutto virus”. Quindi mi stupii quando invece disse: «No, Edward, non vuole parlare con nessuno.» Ero appena uscita dal bagno quando sentii mia madre pronunciare queste parole dal soggiorno.
Quando aveva squillato il telefono? Ma soprattutto da quanto parlavano?
Mi appiattii alla parete e mi sedetti sul pavimento, in ascolto.
«Credo sia successo qualcosa. Non è affatto malata, se vuoi saperla tutta. È come se abbia perso qualcuno. È perrennamente triste, disattenta alla conversazione che avvengono a tavola, gioca con il cibo...non mangia. Forse se tu venissi a trovarla... siete amici, no?»
La cosa sconcertante era che nonostante mi sforzassi di apparire normale, in realtà non ci riuscivo. Ero una pessima attrice e il risultato era stato far preoccupare le persone a cui volevo ben inutilmente.
«Sì, bè capisco. Salutami tua madre, mi ha fatto piacere sentirti.»
Tornai nel mio letto con un magone sul cuore e per un'altra sera evitai il mondo.

Quello che invece non potevo evitare in eterno erano le visite di Jake.
Un sabato mattina entrò di soppiatto nella mia camera e fu come esser investiti da un uragano. «Bells, ora basta! Ora tu ti alzi con le buone o con le cattive.»
«Jake, non posso!» Presi le coperte e me le portai sopra la testa.
«No, niente scuse ti ho lasciato poltrire per giorni e giori e ora, signorinella, è il momento di reagire!» Ordinò. «E poi cos'è questa puzza!?» E con un secco gesto aprì la finestra e con una mano mi strappò di dosso le coperte.
«JAKEEE!!!» Ero infreddolita, stanca e accecata. Da quando a Forks c'era il sole?
«Oh mio Dio! Bell, ma che hai fatto a questa camera? Sembra un accampamento di terremotati. Ci sono fazzolettini sparsi dappertutto, bottigliette vuote e... questi?! Non mi dire che hai visto di nuovo il “Diario di Bridget Jones”?» Mi guardò di sottecchi.
«Forse...» risposi con aria colpevole.
Prese in mano una pila di dvd, che erano sparpagliati sulla scrivania, e iniziò a scorrerli.
«“Nothing Hill”»
«...»
«E ”Shakespeare in Love”?» era sempre più sbalordito.
«Per tenermi al passo coi compiti, stiamo paragonando le tragedie classiche con i drammi contemporanei» inventai.
«Ah, sì certo. - mi prese in giro.- la scuola prima di tutto. E come spieghi allora: “Love Actually”, “Orgoglio e Pregiudizio”, “Ricomincio da capo” e “L'amore non va in vacanza”?»
«Sono una forte sostenitrice dell'amore a lieto fine?» Magari un po' masochista...
«Bella..»
«Non usare quel tono con me! Non sono un cucciolo in fin di vita abbandonato sul ciglio della strada. Non la voglio la pietà!» Mi accarezzò una guancia.
«Benissimo, allora mentre io cerco di dare un senso a tutto questo, tu vai a lavarti, ti vesti decentemente e usciamo!»
Non mi mossi.
«Che c'è?»
«Sono taaaaaante cose da fare...» sbuffai, gonfiando le guance.
«Su, pigrona!» Esclamò gettandomi un cuscino in pieno viso e facendomi il solletico.
«Okay... ahahahah.. hai vintoooooo»
Mi alzai e cercai di districarmi in quel caos. Cercavo qualcosa di carino da mettere, magari non i soliti jeans. Un vestito, dei pantaloncini.. Ma quando avevo spostato tutto il mio armadio su una sedia?
«Accidenti!» Gettai addosso al mio amico un paio-di-non-so-precisamente-cosa.
«Bella?»
«Si?»
«Il tuo pigiama ha la coda! ahahah» Avevo addosso il pigiama a forma di panda. Mentre la faccia dell'animale era solo disegnata sulla parte frontale della maglietta, il pantalone aveva una piccola coda.
Diventai rossa come un peperone. «Si, ehm... insomma... -chinai la testa- vado a farmi la doccia.» Corsi in bagno a nascondermi.


Dovevo ammettere che la terapia d'urto aveva funzionato. Tutta quella preparazione per uscire stava avendo un effetto catartico. Quasi mi ero dimenticata perchè mi ero barricata dentro casa. Sì, quasi. Perchè in realtà non volevo ammettere con me stessa che tutta quell'attenzione nel prepararmi, il passarmi più volte il mascara, lo stirarmi con le mani il vestito blu che avevo indossato, l'arricciare le punte dei capelli e fermare due ciocche ai lati, tutta quella minuzia nei particolari, fosse destinata in realtà ad una persona in particolare. Anche la più piccola possibilità di poter incontrare Edward mi spingeva ad uscire e a mostrarmi forte.
«Sono pronta!» Urlai, scendendo l'ultimo gradino.
«Era ora. Credo di esser invecchiato di dieci anni.»
«Sempre il solito esagerato!»
Presi le chiavi e dissi:«Guido io, lascia la tua macchina qui!»
«Quindi dove andiamo?» Chiesi, mettendomi la cintura.
«Ti va di stare all'aperto? Non piove.»
«Va bene, però decidi tu dove»
«Parco?»
«Okay»
Iniziavo ad avere una fitta allo stomaco. E se avessi incontrato Edward che giocava con Marley? Cosa gli avrei detto? Ora l'idea di poterlo incontrare non mi sembrava poi così allettante.
Mi mordevo il labbro inferiore agitata.
«Bell, tutto bene? Non credo di averti mai visto così silenziosa.»
«Eh? Sì – sorrisi appena- tutto bene»
Iniziavo a rallentare, eravamo arrivati.
Altra fitta, più forte.
Mi sembrò di vedere una macchina grigia metalizzata dallo specchietto retrovisore. Senza pensarci schiacciai l'acceleratore, non volli nemmeno accertarmi se fosse realmente la sua Volvo.
No, non ero affatto pronta!
«MA CHE CASPITA?!?» Esclamò Jake in seguito allo sbalzo di velocità.
«Sai una cosa?! Ho cambiato idea! Perchè accontentarci del parco di Forks?» Ero nervoso.
«Ma se è il tuo preferito!»
«Sì, ma ogni tanto bisogna cambiare, no? E poi quello di Seattle e mille volte più grande.»
Accesi la radio e iniziai a muovermi troppo energicamente per il ritmo della canzone che passavano. Jake mi assecondò non facendomi sentire una completa pazza cimentandosi in coreografia alquant imbarazzanti.
«Ahahah Jake, rientra dal finestrino il tuo sedere enorme! Ahahah Non facciamoci riconoscere anche qui!»
Un'ora e trentasei minuti dopo, a passo di lumaca, andamento permesso dal mio vecchio mezzo, arrivammo nel posto designato.
«Chi arriva ultimo paga il gelato!» si fiondò fuori dalla macchina.
«EHIIIII!!!! Sei sleale!» Per fortuna avevo indossato le ballerine.
Non avrei ma vinto con Jake, ma lo rincorsi lo stesso.
«Questo... è... stato... un colpo... basso!» lo accusai prendendo aria tra una parola e l'altra.
«Non è colpa mia se sei una lumaca!» Scherzò.
«E va bene, gelato o crepes?» mi arresi.
«Ehm... gelato!»
«Andiamo, lì vedo un chiosco.» Gli feci strada.
Con i gelati in mano passeggiammo per il viale alberato.
Presi la macchina fotografica e feci qualche foto a dei cigni che si erano avvicinati, per poi spostare l'obiettivo verso Jake, che era impegnato a guardarsi intorno.
Uno. Due. Tre scatti.
«Ehi! Non da solo» Mi rubò la fotocamera dalle mani e iniziammo una maratona di foto. Dalle più seriose e classiche alle più stupide.
Autoscatto e Jake che mi solleva di peso, mentre io urlo spaventata tenendomi il vestito.
Autoscatto e io che mi vendico spalmandogli il gelato sul naso.
Autoscatto e io che corro spaventata da una sua possibile vendetta. Rido felice, spensierata.
Autoscatto e noi che facciamo pace con i mignoli, come bambini.
Autoscatto e noi che sorridiamo.
Scatto: Jake che scappa da un'anatra piuttosto arrabbiata.
«Jake! Jake! Ma dove vai?! È solo un uccello! Ahahah» cercai di raggiungerlo ma per seguirlo con lo sguardo, avevo urtato qualcuno.
«Ahi.. Mi scusi. Ero distratta.» Mi massaggiai la spalla lesa.
«Bella?!» Alzai lo sguardo.
«Mark?!»
«E tu che cosa ci fai qui?» dicemmo in coro mettendoci a ridere per il sincronismo.
«Io ci abito, tu piuttosto?»
«Ehm... Sono qui con un amico.»
«Capisco» Indossava una tuta da ginnastica e sulla fronte aveva un leggero strato di sudore.
«Bè... Io.. dovrei cercare il mio amico» ero imbarazzata, dopotutto non si era più fatto sentire.
«Sì, certo! Hai ragione..» Ci allontanammo nelle due direzioni opposte.
«Non mi hai chiamato!» urlai.
«Cosa?» si avvicinò, togliendosi le cuffie.
«Non mi ha più chiamato.»
«Non ho potuto...» Che scusa del cavolo era?
«Ah...» Feci per andarmene ma mi bloccò.
«Lasciami finire. Non ho potuto perchè il fazzoletto con scritto il tuo numero si è bagnato completamente e l'inchiostro era illeggibile. Ecco – uscì un tavogliolo ormai rovinato- sono due settimane che tento di chiamarti.»
«E tu te lo porti dietro anche quando vai a correre?» chiesi scettica.
«Veramente, questa mattina avevo provato a capirci qualcosa nonostante fosse rovinato. Ho chiamato un numero, ma mi ha risposto una donna anziana e l'ho escluso.» Era un po' imbarazzato.
«Quindi...» cercai di trarre una conclusione.
«Bella, potresti ri-darmi il tuo numero?» sorrise a trentadue denti.
«Ehm, si.» presi una penna «Dove...» Mi porse il braccio.

32*******19
Bella Swan
Forks


«Allora ci si sente.» lo salutai.
«A presto» M baciò una guancia.
Inclinai la testa ammirando il suo fisico atletico.
Ad un culo così, si poteva dare una seconda possibilità.
«E quello chi era?» mi raggiunse Jake.
«Un ragazzo...»


Così avevo ripreso ad uscire, a studiare e a fare shopping. E in un momento di follia avevo deciso di tagliarmi i capelli. Okay, erano sempre lunghi fino a metà schiena e avevo sostituito il solito ciuffo con la frangia, ma questo era il mio massimo.
Ora eccomi qui, di lunedì mattina, nel parcheggio della scuola ad autoconvincermi ad uscire dalla macchina.
Tutta la positività degli ultimi due giorni era andata a farsi benedire.
Un'ultima occhiata allo specchietto e un grosso respiro.
«Ce la posso fare!» mi incoraggiai.
Presi la mia borsa, misi gli occhiali da sole e raggiunsi gli altri.
«Caspita, sembra che tutti parlino di me!» sbottai, passando dall'ennesimo gruppo di studenti che al mio passaggio ammutolirono.
«Ma cara, tutti parlano di te!» constatò Angela.
«Ah, grazie Angy, davvero. Tu sì, che sai tirar su il morale.» risposi sarcastica.
«Vedrai si stancheranno presto» mi consolò Alice.
«Lo spero»
Avevo saputo che si erano sparse strane storie in giro in cui vedevano me implicata in un triangolo amoroso o in una tresca con il capitano della squadra di basket. Alcuni giurarono di avermi visto implorare Edward di mantenere il “nostro” bambino e di lasciare Tanya. Quindi ero preparata a occhiate o gossip -inesistenti- che mi riguardavano.
Mi incamminai verso gli armadietti con Jake.
Un paio di ragazzini del primo anno mi indicarono, altri non si premuravano nemmeno di abbassare la voce mentre parlavano di me. Dove erano finite le buone maniere?
«Bells...» mi chiamò Jacob, indicando il mio armadietto.
Sul mio armadietto troneggiava una chiara scritta rossa: SLUT.
Mi tremavano le mani dalla rabbia e le lacrime premevano per uscire. Tuttavia tirai su col naso e con lentezza calcolata alzai gli occhiali da sole, posandoli sul capo, così da mostrare interamente il mio viso. No, non avrei pianto, non davanti a loro almeno. In questi giorni mi ero così disperata che a confronto ora mi avvolgeva una calma surreale. Mi stampai un sorriso sul volto, presi i libri e mi rivolsi a Jake:«Siamo in ritardo». Mi aprii un varco tra gli studenti per raggiungere la prima lezione. Sentii una stretta alla mano. Era il mio migliore amico, era il suo personale modo per darmi forza. Come ho già detto: Jacob c'era, semplicemente.


Finite le lezioni della mattina decisi che non era il caso di andare a mensa, ero arcistufa dei continui pettegolezzi. Anelavo la solitudine, la calma e la tranquillità. Così mi ritrovai a camminare per i corridoi deserti della scuola, senza avere una meta precisa.
Mi fermai davanti ad una finestra.
Pioveva.
Tic, tic, tic.
Guardare le gocce che si infrangevano sul vetro mi aiutavano a svuotare la mente e ad entrare in uno stato di confortevole annebbiamento.
Ancora un'altra ora e poi sarei stata libera.
Sospirai.
Solo un'ora.
Poggiai la fronte sul vetro freddo.
Ero stanca di tutta quella storia.
«Tutto bene, Bella?» Arretrai di un passo.
«Mi hai spaventato!» mi toccai il petto all'altezza del cuore.
«Scusa» disse serio.
«Ammettilo, Edward, stai cercando di farmi venire un infarto!» provai a scherzare.
«Mi hai scoperto» stette al gioco.
Restammo in silenzio, entrambi assorti nei propri pensieri.
Lo stomaco era in subbuglio: Scappare o prendere il toro per le corna?
«Tu...» Racimolai quel poco coraggio che mi era rimasto.
«Si?»
«Tu lo sapevi di aver fatto sesso... con me?»
«L'ho scoperto per caso. Alcuni ragazzi della squadra ne parlavano in spogliatoio»
Silenzio.
«Caspita, come abbiamo fatto a non accorgercene?! -chiesi fintamente sconvolta.- E mia madre che si ostina a dire che certe cose si fanno in due,»
«Comunque non ti preoccupare secondo quanto mi hanno riferito – ironizzò- sei stata brava!» E fece quel suo particolare sorriso, quello che mi faceva perdere sempre un battito.
«Ah bè, non avevo alcun dubbio» gli feci una linguaccia.
La campana trillò stridula: ora di biologia.
Sbuffai.
Iniziai ad incamminarmi verso l'aula.
«Swan!»
«Si?» mi voltai.
«Ogni tanto non andare a lezione fa bene.» Arcui un sopracciglio confusa.
«Mi sta forse proponendo di saltare biologia, Sign. Cullen?»
«Io non userei proprio questi termini. Sarebbe più un'alternativa interdisciplinare.»
Valutai l'offerta.
«Che diranno della nostra assenza?»
«Che ce la stiamo spassando.» Lo guardai storto.
«Intendevo divertirsi, come due persone normali. Isabella non pensavo fossi così maliziosa.»Arrossii visibilmente.
«Va bene, facciamolo!»
«Speravo dicessi sì. Seguimi.» Mi prese per mano.


«Edward, dove mi stai portando?» Era l'ennesimo corridoio che percorrevamo.
«Vedrai, manca poco.» Salimmo una scaletta vecchia e consumata. «Et voilà!» Eravamo al centro esatto del teatro. «Bisogna solo accendere la luce- il palcoscenico si illuminò, mostrando al centro un bellissimo pianoforte- e chiudere le tende per sguardi indiscreti.»
Ero completamente catturata da quello strumento. «Edward, è davvero bello» sfiorai alcuni tasti ammaliata.
Mi sedetti sullo sgabello.
Mi schioccai le dita e mi atteggiai a grande pianista.
«Ehm, ehm! - Mi schiarii la gola- Happy birthday to you..» unica melodia che avevo imparato in un anno di disastrose lezion. A sette anni avevo già capito che mi sarei dovuta limitare ad ascoltarla, la musica.
Edward rideva, applaudendo e urlando:«Bis! Bis! Bis!»
«Ahah no, meglio di no. Sarebbe meglio se lo suonassi solo tu.»
«Non era male!» Si sedette accanto a me.
Accarezzò per un attimo i tasti e poi iniziò una melodia dolce. Non aveva bisogno di guardare uno spartito, la musica lui ce l'aveva già nelle testa.
Passò ad un ritmo sempre più veloce ed intenso.
La faceva apparire una cosa così naturale e facile.
«Ti dispiace se ti faccio qualche foto?» sussurrai per non rovinare l'atmosfera.
Mi sorrise e fece segno di no con la testa.
Presi la mia adorata Canon e feci qualche scatto da diverse angolazioni.
Appoggiata al pianoforte rivedevo gli ultimi scatti.
«Un giorno ti nominerò mia fotografa personale» mi disse ad un orecchio.
Un brivido mi aveva percorso tutta la schiena.
Quando si era alzato? Era troppo, assolutamente troppo vicino.
«Ehm... Non sono nulla di che.» Cercai di allontanarmi, ma lui non me lo permise.
«Non sminuirti come tuo solito» mi soffiò le parole sul collo per poi accarezzarlo con la punta del naso.
«Edward..» lo rimproverai.
«Mi pare che dovessimo ricongiungere la nostra amicizia»
«Non mi sembra tu abbia un atteggiamento da amico» sottolineai. «E poi avrei una decina di motivi sul perchè tutto questo non dovrebbe succedere» Si allontanò quel poco da guardarmi negli occhi.
«Tipo?»
«Del tipo che hai una ragazza»
«Solo per questo?»
«Ti sembra poco?»
«Direi irrilevante»
«E sarebbe sbagliato» continuai.
«Dipende dai punti di vista.»
«E...» E non voglio essere un'altra delle tue conquiste.
«E?»
«E appena funzioniamo come amici, immagina come amanti!» Riuscii a staccarmi e porre una distanza di un paio di metri.
«Io credo che la realtà sia un'altra» Si appoggiò allo strumento.
«Ti ascolto...» lo incitai a continuare.
«Hai paura!»
«Cosa?! Stai vaneggiando»
«Ammettilo una buona volta!»
«Non c'è niente da ammettere!»
«Dillo: Edward mi piaci.»
«No!» dissi cocciuta.
«Non puoi negare che c'è attrazione.»
«Zitto, stai peggiorando le cose!» Mi tappai le orecchie.
«Bella..»
«No!»
«Bella, ti prego guardami!»
«No!»
Mi prese le mani tra le sue.
«Ti prego..» Alzai lo sguardo, sconfitta.
«Bella, mi piaci» Affermò serio, sistemandomi una ciocca ribelle dietro l'orecchio.
«No, tu stai con Tanya» dissi debole.
«Non importa...» Inziò a darmi piccoli baci sulla guancia.
«A me sì!» dissi con foga, spingendolo. Nonostante i torti subiti da Tanya: la scritta, il pranzo rovesciato sui vestiti e le continue frecciatine, non avrei mai intrapreso una tresca con il suo ragazzo. «Tu ne usciresti illeso da questa storia, mentre io...» Non ebbi il coraggio di concludere la frase.
«No...» Non lo lasciai finire.
«Se è vero che ti piaccio, dimostramelo. Chiedimi un appuntamento, usciamo come due ragazzi normali, lascia la cheerleader!»
«Sai bene che non posso.»
«O magari non vuoi!» Esplosi.
«Ho una reputazione da mantenere. Non posso...» Stare con una come me? Non lo disse ma glielo si leggeva in faccia.
Era riuscito a ferirmi, ancora.
«Non cercarmi più» dissi atona lasciandolo fermo in mezzo al palcoscenico.
Camminai rapida per i corridoi, mentre gli studenti uscivano dalle classi, segno che un'altra giornata scolastica era terminata.
«Bella!» Edward mi stava seguendo facendosi largo tra la folla di ragazzi.
Lo ignorai. Ero sfinita, non avrei sopportato altro.
Ancora dieci passi e tutto sarebbe finito.
«Bella Fermati!» Mi prese per un braccio, facendomi voltare.
«Cullen, mi stai forse parlando in pubblico?! Attento, questo scambio di battute potrebbe intaccare la tua popolarità irrimediabilmente!» Dissi fredda a tono sostenuto, incurante di tutti gli sguardi curiosi.
Che ascoltassero pure! Non sarei più stata buona a farmi mettere i piedi in testa!
Liberai il braccio dalla sua stretta e raggiunsi il mio Pick-Up.
«Bella!» Mi chiamò una voce maschile.
«Credevo di esser stata chiara poco prima!» dissi acida.
«Deduco che non sia un buon momento..»
«Cos...Mark?!» Ero incredula.
A una decina di metri da me, sopra una Ducati Monster nera, vi era un ragazzo alto, capelli castani e occhi azzurri. Nonostante le temperature basse dello stato di Washington indossava un semplice giubbino di pelle e se possibile risultava ancora più sexy.
«Cosa ci fai qui?»
«Sono venuto a trovare una ragazza» Mi sorrise.
«Ah...» giocherellai con le chiavi imbarazzata.
«Allora mi ha fatto piacere vederti..» pronunciai la frase di rito pronta a salire in macchina.
«Bella, quella ragazza sei tu» Avvampai.
«M-ma non mi hai più chiamato...di nuovo!»
«Aspetta» Prese il cellulare e compose un numero. Il mio telefono iniziò a vibrare: sconosciuto. Non ci volle molto a capire che era il ragazzo che avevo di fronte.
Aprii la chiamata:«Pronto?» stetti al gioco.
«Sono Mark»
«Scusa chi?» chiesi fintamente.
«Il ragazzo che non fa altro che pensarti da due settimane»
«Ah..»
«Mi chiedevo se usciresti con me...ehm, diciamo... ora!»
«Mi dispiace, ma adesso sono impegnata»
Chiusi la chiamata e mi avvicinai lentamente a lui.
Presi il secondo casco dalle sue mani e con agilità salii sulla moto.
«Portami via da qui».

  
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