7
Reagire
«Oddio!»
Erano dieci minuti buoni che mi esaminavo allo specchio, toccandomi
nervosamente i capelli appena tagliati. Mi dovevo ancora abituare.
Ero nella fase: “Okay, ammettiamolo: ho fatto una cazzata!”.
«Oh
mio Dio!» urlai ancora laconica.
«Cosa?!
Cosa è succ... E tu chi sei?!» entrò mia madre allarmata.
«Mamma!»
la guardai storta.
«M-ma...stai
benissimo!» esplose in un sorriso.
«G-grazie»
Non ero abituata ai complimenti.
«Certo
che uscita dal parrucchiere potevi fermarti in qualche negozio a fare
shopping» Mi squadrò dalla testa ai piedi.
«Questo
è il mio pigiama!» indicai.
«Ah,
ecco mi sembrava troppo anche per te, uscire con una maglia
con sopra rappresentato un uccello buffo»
«È
un pinguino, sono carini e coccolosi i pingiuni! E poi che vuol dire
“troppo anche per te”!?»
«Niente!»
Fece la faccia da “Beccata!” e si precipitò fuori dalla mia
visuale.
Riuscii
a gridarle: «Questa me la spieghi!». Scossi la testa: mia madre,
una causa persa.
Dopo
quell'episodio in mensa e il suono dell'ultima campanella che segnava
la fine di quella orribile giornata mi fiondai nel mio Pick-up e
tornai a casa senza salutare nessuno o fermarmi a parlare. Avevo un
aspetto schifoso, sembrava che mi fosse passato sopra più e più
volte un camion. Dissi ai miei di sentirmi poco bene e mi rintanai
nella mia camera. Mi era presa così male che il giorno successivo
decisi di non andare a scuola.
Rimasi
reclusa in camera per tre giorni.
Avevo
staccato il cellulare e a mia madre facevo filtrare le telefonate e
periodicamente la sentivo sussurrare “No, mi dispiace sta dormendo”
o “Sì, si sarà presa un brutto virus”. Quindi mi stupii quando
invece disse: «No, Edward, non vuole parlare con nessuno.» Ero
appena uscita dal bagno quando sentii mia madre pronunciare queste
parole dal soggiorno.
Quando
aveva squillato il telefono? Ma soprattutto da quanto parlavano?
Mi
appiattii alla parete e mi sedetti sul pavimento, in ascolto.
«Credo
sia successo qualcosa. Non è affatto malata, se vuoi saperla tutta.
È come se abbia perso qualcuno. È perrennamente triste, disattenta
alla conversazione che avvengono a tavola, gioca con il cibo...non
mangia. Forse se tu venissi a trovarla... siete amici, no?»
La cosa sconcertante era che nonostante mi sforzassi di apparire
normale, in realtà non ci riuscivo. Ero una pessima attrice e il
risultato era stato far preoccupare le persone a cui volevo ben
inutilmente.
«Sì,
bè capisco. Salutami tua madre, mi ha fatto piacere sentirti.»
Tornai
nel mio letto con un magone sul cuore e per un'altra sera evitai il
mondo.
Quello
che invece non potevo evitare in eterno erano le visite di Jake.
Un
sabato mattina entrò di soppiatto nella mia camera e fu come esser
investiti da un uragano. «Bells, ora basta! Ora tu ti alzi con le
buone o con le cattive.»
«Jake,
non posso!» Presi le coperte e me le portai sopra la testa.
«No,
niente scuse ti ho lasciato poltrire per giorni e giori e ora,
signorinella, è il momento di reagire!» Ordinò. «E poi cos'è
questa puzza!?» E con un secco gesto aprì la finestra e con una
mano mi strappò di dosso le coperte.
«JAKEEE!!!»
Ero infreddolita, stanca e accecata. Da quando a Forks c'era il sole?
«Oh
mio Dio! Bell, ma che hai fatto a questa camera? Sembra un
accampamento di terremotati. Ci sono fazzolettini sparsi dappertutto,
bottigliette vuote e... questi?! Non mi dire che hai visto di nuovo
il “Diario di Bridget Jones”?» Mi guardò di sottecchi.
«Forse...»
risposi con aria colpevole.
Prese
in mano una pila di dvd, che erano sparpagliati sulla scrivania, e
iniziò a scorrerli.
«“Nothing
Hill”»
«...»
«E
”Shakespeare in Love”?» era sempre più sbalordito.
«Per
tenermi al passo coi compiti, stiamo paragonando le tragedie
classiche con i drammi contemporanei» inventai.
«Ah,
sì certo. - mi prese in giro.- la scuola prima di tutto. E come
spieghi allora: “Love Actually”, “Orgoglio e Pregiudizio”,
“Ricomincio da capo” e “L'amore non va in vacanza”?»
«Sono
una forte sostenitrice dell'amore a lieto fine?» Magari un po'
masochista...
«Bella..»
«Non
usare quel tono con me! Non sono un cucciolo in fin di vita
abbandonato sul ciglio della strada. Non la voglio la pietà!» Mi
accarezzò una guancia.
«Benissimo,
allora mentre io cerco di dare un senso a tutto questo, tu vai a
lavarti, ti vesti decentemente e usciamo!»
Non
mi mossi.
«Che
c'è?»
«Sono
taaaaaante cose da fare...» sbuffai, gonfiando le guance.
«Su,
pigrona!» Esclamò gettandomi un cuscino in pieno viso e facendomi
il solletico.
«Okay...
ahahahah.. hai vintoooooo»
Mi
alzai e cercai di districarmi in quel caos. Cercavo qualcosa di
carino da mettere, magari non i soliti jeans. Un vestito, dei
pantaloncini.. Ma quando avevo spostato tutto il mio armadio su una sedia?
«Accidenti!»
Gettai addosso al mio amico un paio-di-non-so-precisamente-cosa.
«Bella?»
«Si?»
«Il
tuo pigiama ha la coda! ahahah» Avevo addosso il pigiama a forma di
panda. Mentre la faccia dell'animale era solo disegnata sulla parte
frontale della maglietta, il pantalone aveva una piccola coda.
Diventai
rossa come un peperone. «Si, ehm... insomma... -chinai la testa-
vado a farmi la doccia.» Corsi in bagno a nascondermi.
Dovevo
ammettere che la terapia d'urto aveva funzionato. Tutta quella
preparazione per uscire stava avendo un effetto catartico. Quasi mi
ero dimenticata perchè mi ero barricata dentro casa. Sì, quasi.
Perchè in realtà non volevo ammettere con me stessa che tutta
quell'attenzione nel prepararmi, il passarmi più volte il mascara,
lo stirarmi con le mani il vestito blu che avevo indossato,
l'arricciare le punte dei capelli e fermare due ciocche ai lati,
tutta quella minuzia nei particolari, fosse destinata in realtà ad
una persona in particolare. Anche la più piccola possibilità di
poter incontrare Edward mi spingeva ad uscire e a mostrarmi forte.
«Sono
pronta!» Urlai, scendendo l'ultimo gradino.
«Era
ora. Credo di esser invecchiato di dieci anni.»
«Sempre
il solito esagerato!»
Presi
le chiavi e dissi:«Guido io, lascia la tua macchina qui!»
«Quindi
dove andiamo?» Chiesi, mettendomi la cintura.
«Ti
va di stare all'aperto? Non piove.»
«Va
bene, però decidi tu dove»
«Parco?»
«Okay»
Iniziavo
ad avere una fitta allo stomaco. E se avessi incontrato Edward che
giocava con Marley? Cosa gli avrei detto? Ora l'idea di poterlo
incontrare non mi sembrava poi così allettante.
Mi
mordevo il labbro inferiore agitata.
«Bell,
tutto bene? Non credo di averti mai visto così silenziosa.»
«Eh?
Sì – sorrisi appena- tutto bene»
Iniziavo
a rallentare, eravamo arrivati.
Altra
fitta, più forte.
Mi
sembrò di vedere una macchina grigia metalizzata dallo specchietto
retrovisore. Senza pensarci schiacciai l'acceleratore, non volli
nemmeno accertarmi se fosse realmente la sua Volvo.
No,
non ero affatto pronta!
«MA
CHE CASPITA?!?» Esclamò Jake in seguito allo sbalzo di velocità.
«Sai
una cosa?! Ho cambiato idea! Perchè accontentarci del parco di
Forks?» Ero nervoso.
«Ma
se è il tuo preferito!»
«Sì,
ma ogni tanto bisogna cambiare, no? E poi quello di Seattle e mille
volte più grande.»
Accesi
la radio e iniziai a muovermi troppo energicamente per il ritmo della
canzone che passavano. Jake mi assecondò non facendomi sentire una
completa pazza cimentandosi in coreografia alquant imbarazzanti.
«Ahahah
Jake, rientra dal finestrino il tuo sedere enorme! Ahahah Non
facciamoci riconoscere anche qui!»
Un'ora
e trentasei minuti dopo, a passo di lumaca, andamento permesso dal
mio vecchio mezzo, arrivammo nel posto designato.
«Chi
arriva ultimo paga il gelato!» si fiondò fuori dalla macchina.
«EHIIIII!!!!
Sei sleale!» Per fortuna avevo indossato le ballerine.
Non
avrei ma vinto con Jake, ma lo rincorsi lo stesso.
«Questo...
è... stato... un colpo... basso!» lo accusai prendendo aria tra una
parola e l'altra.
«Non
è colpa mia se sei una lumaca!» Scherzò.
«E
va bene, gelato o crepes?» mi arresi.
«Ehm...
gelato!»
«Andiamo,
lì vedo un chiosco.» Gli feci strada.
Con
i gelati in mano passeggiammo per il viale alberato.
Presi
la macchina fotografica e feci qualche foto a dei cigni che si erano
avvicinati, per poi spostare l'obiettivo verso Jake, che era
impegnato a guardarsi intorno.
Uno.
Due. Tre scatti.
«Ehi!
Non da solo» Mi rubò la fotocamera dalle mani e iniziammo una
maratona di foto. Dalle più seriose e classiche alle più stupide.
Autoscatto
e Jake che mi solleva di peso, mentre io urlo spaventata tenendomi il
vestito.
Autoscatto
e io che mi vendico spalmandogli il gelato sul naso.
Autoscatto
e io che corro spaventata da una sua possibile vendetta. Rido felice,
spensierata.
Autoscatto
e noi che facciamo pace con i mignoli, come bambini.
Autoscatto
e noi che sorridiamo.
Scatto:
Jake che scappa da un'anatra piuttosto arrabbiata.
«Jake!
Jake! Ma dove vai?! È solo un uccello! Ahahah» cercai di
raggiungerlo ma per seguirlo con lo sguardo, avevo urtato qualcuno.
«Ahi..
Mi scusi. Ero distratta.» Mi massaggiai la spalla lesa.
«Bella?!»
Alzai lo sguardo.
«Mark?!»
«E
tu che cosa ci fai qui?» dicemmo in coro mettendoci a ridere per il
sincronismo.
«Io
ci abito, tu piuttosto?»
«Ehm...
Sono qui con un amico.»
«Capisco»
Indossava una tuta da ginnastica e sulla fronte aveva un leggero
strato di sudore.
«Bè...
Io.. dovrei cercare il mio amico» ero imbarazzata, dopotutto non si
era più fatto sentire.
«Sì,
certo! Hai ragione..» Ci allontanammo nelle due direzioni opposte.
«Non
mi hai chiamato!» urlai.
«Cosa?»
si avvicinò, togliendosi le cuffie.
«Non
mi ha più chiamato.»
«Non
ho potuto...» Che scusa del cavolo era?
«Ah...»
Feci per andarmene ma mi bloccò.
«Lasciami
finire. Non ho potuto perchè il fazzoletto con scritto il tuo numero
si è bagnato completamente e l'inchiostro era illeggibile. Ecco –
uscì un tavogliolo ormai rovinato- sono due settimane che tento di
chiamarti.»
«E
tu te lo porti dietro anche quando vai a correre?» chiesi scettica.
«Veramente,
questa mattina avevo provato a capirci qualcosa nonostante fosse
rovinato. Ho chiamato un numero, ma mi ha risposto una donna anziana
e l'ho escluso.» Era un po' imbarazzato.
«Quindi...»
cercai di trarre una conclusione.
«Bella,
potresti ri-darmi il tuo numero?» sorrise a trentadue denti.
«Ehm,
si.» presi una penna «Dove...» Mi porse il braccio.
32*******19
Bella
Swan
Forks
«Allora
ci si sente.» lo salutai.
«A
presto» M baciò una guancia.
Inclinai
la testa ammirando il suo fisico atletico.
Ad
un culo così, si poteva dare una seconda possibilità.
«E
quello chi era?» mi raggiunse Jake.
«Un
ragazzo...»
Così
avevo ripreso ad uscire, a studiare e a fare shopping. E in un
momento di follia avevo deciso di tagliarmi i capelli. Okay, erano
sempre lunghi fino a metà schiena e avevo sostituito il solito
ciuffo con la frangia, ma questo era il mio massimo.
Ora
eccomi qui, di lunedì mattina, nel parcheggio della scuola ad
autoconvincermi ad uscire dalla macchina.
Tutta
la positività degli ultimi due giorni era andata a farsi benedire.
Un'ultima
occhiata allo specchietto e un grosso respiro.
«Ce
la posso fare!» mi incoraggiai.
Presi
la mia borsa, misi gli occhiali da sole e raggiunsi gli altri.
«Caspita,
sembra che tutti parlino di me!» sbottai, passando dall'ennesimo
gruppo di studenti che al mio passaggio ammutolirono.
«Ma
cara, tutti parlano di te!» constatò Angela.
«Ah,
grazie Angy, davvero. Tu sì, che sai tirar su il morale.» risposi
sarcastica.
«Vedrai
si stancheranno presto» mi consolò Alice.
«Lo
spero»
Avevo
saputo che si erano sparse strane storie in giro in cui vedevano me
implicata in un triangolo amoroso o in una tresca con il capitano
della squadra di basket. Alcuni giurarono di avermi visto implorare
Edward di mantenere il “nostro” bambino e di lasciare Tanya.
Quindi ero preparata a occhiate o gossip -inesistenti- che mi
riguardavano.
Mi
incamminai verso gli armadietti con Jake.
Un
paio di ragazzini del primo anno mi indicarono, altri non si
premuravano nemmeno di abbassare la voce mentre parlavano di me. Dove
erano finite le buone maniere?
«Bells...»
mi chiamò Jacob, indicando il mio armadietto.
Sul
mio armadietto troneggiava una chiara scritta rossa: SLUT.
Mi
tremavano le mani dalla rabbia e le lacrime premevano per uscire.
Tuttavia tirai su col naso e con lentezza calcolata alzai gli
occhiali da sole, posandoli sul capo, così da mostrare interamente
il mio viso. No, non avrei pianto, non davanti a loro almeno. In
questi giorni mi ero così disperata che a confronto ora mi avvolgeva
una calma surreale. Mi stampai un sorriso sul volto, presi i libri e
mi rivolsi a Jake:«Siamo in ritardo». Mi aprii un varco tra gli
studenti per raggiungere la prima lezione. Sentii una stretta alla
mano. Era il mio migliore amico, era il suo personale modo per darmi
forza. Come ho già detto: Jacob c'era, semplicemente.
Finite
le lezioni della mattina decisi che non era il caso di andare a
mensa, ero arcistufa dei continui pettegolezzi. Anelavo la
solitudine, la calma e la tranquillità. Così mi ritrovai a
camminare per i corridoi deserti della scuola, senza avere una meta
precisa.
Mi
fermai davanti ad una finestra.
Pioveva.
Tic,
tic, tic.
Guardare
le gocce che si infrangevano sul vetro mi aiutavano a svuotare la
mente e ad entrare in uno stato di confortevole annebbiamento.
Ancora
un'altra ora e poi sarei stata libera.
Sospirai.
Solo
un'ora.
Poggiai
la fronte sul vetro freddo.
Ero
stanca di tutta quella storia.
«Tutto
bene, Bella?» Arretrai di un passo.
«Mi
hai spaventato!» mi toccai il petto all'altezza del cuore.
«Scusa»
disse serio.
«Ammettilo,
Edward, stai cercando di farmi venire un infarto!» provai a
scherzare.
«Mi
hai scoperto» stette al gioco.
Restammo
in silenzio, entrambi assorti nei propri pensieri.
Lo
stomaco era in subbuglio: Scappare o prendere il toro per le
corna?
«Tu...»
Racimolai quel poco coraggio che mi era rimasto.
«Si?»
«Tu
lo sapevi di aver fatto sesso... con me?»
«L'ho
scoperto per caso. Alcuni ragazzi della squadra ne parlavano in
spogliatoio»
Silenzio.
«Caspita,
come abbiamo fatto a non accorgercene?! -chiesi fintamente
sconvolta.- E mia madre che si ostina a dire che certe cose si fanno
in due,»
«Comunque
non ti preoccupare secondo quanto mi hanno riferito – ironizzò-
sei stata brava!» E fece quel suo particolare sorriso, quello che mi
faceva perdere sempre un battito.
«Ah
bè, non avevo alcun dubbio» gli feci una linguaccia.
La
campana trillò stridula: ora di biologia.
Sbuffai.
Iniziai
ad incamminarmi verso l'aula.
«Swan!»
«Si?»
mi voltai.
«Ogni
tanto non andare a lezione fa bene.» Arcui un sopracciglio confusa.
«Mi
sta forse proponendo di saltare biologia, Sign. Cullen?»
«Io
non userei proprio questi termini. Sarebbe più un'alternativa
interdisciplinare.»
Valutai
l'offerta.
«Che
diranno della nostra assenza?»
«Che
ce la stiamo spassando.» Lo guardai storto.
«Intendevo
divertirsi, come due persone normali. Isabella non pensavo fossi così
maliziosa.»Arrossii visibilmente.
«Va
bene, facciamolo!»
«Speravo
dicessi sì. Seguimi.» Mi prese per mano.
«Edward,
dove mi stai portando?» Era l'ennesimo corridoio che percorrevamo.
«Vedrai,
manca poco.» Salimmo una scaletta vecchia e consumata. «Et voilà!»
Eravamo al centro esatto del teatro. «Bisogna solo accendere la
luce- il palcoscenico si illuminò, mostrando al centro un bellissimo
pianoforte- e chiudere le tende per sguardi indiscreti.»
Ero
completamente catturata da quello strumento. «Edward, è davvero
bello» sfiorai alcuni tasti ammaliata.
Mi
sedetti sullo sgabello.
Mi
schioccai le dita e mi atteggiai a grande pianista.
«Ehm,
ehm! - Mi schiarii la gola- Happy birthday to you..» unica melodia
che avevo imparato in un anno di disastrose lezion. A sette anni
avevo già capito che mi sarei dovuta limitare ad ascoltarla, la
musica.
Edward
rideva, applaudendo e urlando:«Bis! Bis! Bis!»
«Ahah
no, meglio di no. Sarebbe meglio se lo suonassi solo tu.»
«Non
era male!» Si sedette accanto a me.
Accarezzò
per un attimo i tasti e poi iniziò una melodia dolce. Non aveva
bisogno di guardare uno spartito, la musica lui ce l'aveva già nelle
testa.
Passò
ad un ritmo sempre più veloce ed intenso.
La
faceva apparire una cosa così naturale e facile.
«Ti
dispiace se ti faccio qualche foto?» sussurrai per non rovinare
l'atmosfera.
Mi
sorrise e fece segno di no con la testa.
Presi
la mia adorata Canon e feci qualche scatto da diverse angolazioni.
Appoggiata
al pianoforte rivedevo gli ultimi scatti.
«Un
giorno ti nominerò mia fotografa personale» mi disse ad un
orecchio.
Un
brivido mi aveva percorso tutta la schiena.
Quando
si era alzato? Era troppo, assolutamente troppo vicino.
«Ehm...
Non sono nulla di che.» Cercai di allontanarmi, ma lui non me lo
permise.
«Non
sminuirti come tuo solito» mi soffiò le parole sul collo per poi
accarezzarlo con la punta del naso.
«Edward..»
lo rimproverai.
«Mi
pare che dovessimo ricongiungere la nostra amicizia»
«Non
mi sembra tu abbia un atteggiamento da amico» sottolineai. «E poi
avrei una decina di motivi sul perchè tutto questo non dovrebbe
succedere» Si allontanò quel poco da guardarmi negli occhi.
«Tipo?»
«Del
tipo che hai una ragazza»
«Solo
per questo?»
«Ti
sembra poco?»
«Direi
irrilevante»
«E
sarebbe sbagliato» continuai.
«Dipende
dai punti di vista.»
«E...»
E non voglio essere un'altra delle tue conquiste.
«E?»
«E
appena funzioniamo come amici, immagina come amanti!» Riuscii a
staccarmi e porre una distanza di un paio di metri.
«Io
credo che la realtà sia un'altra» Si appoggiò allo strumento.
«Ti
ascolto...» lo incitai a continuare.
«Hai
paura!»
«Cosa?!
Stai vaneggiando»
«Ammettilo
una buona volta!»
«Non
c'è niente da ammettere!»
«Dillo:
Edward mi piaci.»
«No!»
dissi cocciuta.
«Non
puoi negare che c'è attrazione.»
«Zitto,
stai peggiorando le cose!» Mi tappai le orecchie.
«Bella..»
«No!»
«Bella,
ti prego guardami!»
«No!»
Mi
prese le mani tra le sue.
«Ti
prego..» Alzai lo sguardo, sconfitta.
«Bella,
mi piaci» Affermò serio, sistemandomi una ciocca ribelle dietro
l'orecchio.
«No,
tu stai con Tanya» dissi debole.
«Non
importa...» Inziò a darmi piccoli baci sulla guancia.
«A
me sì!» dissi con foga, spingendolo. Nonostante i torti subiti da
Tanya: la scritta, il pranzo rovesciato sui vestiti e le continue
frecciatine, non avrei mai intrapreso una tresca con il suo ragazzo.
«Tu ne usciresti illeso da questa storia, mentre io...» Non ebbi il
coraggio di concludere la frase.
«No...»
Non lo lasciai finire.
«Se
è vero che ti piaccio, dimostramelo. Chiedimi un appuntamento,
usciamo come due ragazzi normali, lascia la cheerleader!»
«Sai
bene che non posso.»
«O
magari non vuoi!» Esplosi.
«Ho
una reputazione da mantenere. Non posso...» Stare con una come
me? Non lo disse ma glielo si leggeva in faccia.
Era
riuscito a ferirmi, ancora.
«Non
cercarmi più» dissi atona lasciandolo fermo in mezzo al
palcoscenico.
Camminai
rapida per i corridoi, mentre gli studenti uscivano dalle classi,
segno che un'altra giornata scolastica era terminata.
«Bella!»
Edward mi stava seguendo facendosi largo tra la folla di ragazzi.
Lo
ignorai. Ero sfinita, non avrei sopportato altro.
Ancora
dieci passi e tutto sarebbe finito.
«Bella
Fermati!» Mi prese per un braccio, facendomi voltare.
«Cullen,
mi stai forse parlando in pubblico?! Attento, questo scambio di
battute potrebbe intaccare la tua popolarità irrimediabilmente!»
Dissi fredda a tono sostenuto, incurante di tutti gli sguardi
curiosi.
Che
ascoltassero pure! Non sarei più stata buona a farmi mettere i piedi
in testa!
Liberai
il braccio dalla sua stretta e raggiunsi il mio Pick-Up.
«Bella!»
Mi chiamò una voce maschile.
«Credevo
di esser stata chiara poco prima!» dissi acida.
«Deduco
che non sia un buon momento..»
«Cos...Mark?!»
Ero incredula.
A
una decina di metri da me, sopra una Ducati Monster nera, vi era un
ragazzo alto, capelli castani e occhi azzurri. Nonostante le
temperature basse dello stato di Washington indossava un semplice
giubbino di pelle e se possibile risultava ancora più sexy.
«Cosa
ci fai qui?»
«Sono
venuto a trovare una ragazza» Mi sorrise.
«Ah...»
giocherellai con le chiavi imbarazzata.
«Allora
mi ha fatto piacere vederti..» pronunciai la frase di rito pronta a
salire in macchina.
«Bella,
quella ragazza sei tu» Avvampai.
«M-ma
non mi hai più chiamato...di nuovo!»
«Aspetta»
Prese il cellulare e compose un numero. Il
mio telefono iniziò a vibrare: sconosciuto. Non ci volle molto a
capire che era il ragazzo che avevo di fronte.
Aprii
la chiamata:«Pronto?» stetti al gioco.
«Sono
Mark»
«Scusa
chi?» chiesi fintamente.
«Il
ragazzo che non fa altro che pensarti da due settimane»
«Ah..»
«Mi
chiedevo se usciresti con me...ehm, diciamo... ora!»
«Mi
dispiace, ma adesso sono impegnata»
Chiusi
la chiamata e mi avvicinai lentamente a lui.
Presi
il secondo casco dalle sue mani e con agilità salii sulla moto.
«Portami
via da qui».