Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |      
Autore: Miss H_    19/06/2013    3 recensioni
E se a volte una sorpresa si rivelasse un incubo?
Se un folle desiderio di amore si trasformasse nella paura più pura?
Se anche voi ve lo siete mai chiesto allora non esitate a leggere qua dentro.
_____________________________________
Questa OS è ambientata nell’ ultimo capitolo di Mockingjay, prima dell’epilogo. Non aggiungo nient’altro perché non voglio farvi SPOILER sulla storia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

La mia anima, come uno specchio.


Sola. E’ così che mi sento. Nonostante la presenza di Haymitch, di Sae e della sua nipotina la casa mi sembra troppo grande, mi sembra vuota.
Mi sento sola, abbandonata perché vorrei che qui ci fosse qualcuno in grado di farmi sorridere, di allontanare gli incubi da me, di consolarmi quando l’assenza di Prim mi opprime in modo insopportabile.
E quel qualcuno è Peeta.  
Egoista. Sei solo un’egoista.
Continua a ripetermi una vocina dentro la testa man mano che i giorni passano e che il mio desiderio si fa più intenso.
Vorrei vedere i suoi occhi, toccare i suoi capelli, aiutarlo a sciogliere i mille dubbi che attanagliano la sua mente.
Voglio le sue braccia, voglio la sua protezione, voglio il senso di tranquillità che mi pervadeva quando ero con lui, voglio le sue attenzioni così piene d’amore, voglio lui.  
Egoista. Sei solo un’egoista.
Questa voce continua impertinente a farsi strada nella mia mente e forse ha ragione, anzi ha sicuramente ragione perché io penso solo a me stessa, al mio non voler più vivere, al mio dolore ma non penso mai al male che ho fatto agli altri, non penso al fatto che probabilmente se fosse qui,  Peeta soffrirebbe ancora più di me e magari tenterebbe di strangolarmi per quello che gli ho fatto proprio come è già successo nell’ospedale del Distretto 13.
Se mai dovesse tornare e dovesse volermi soffocare sono convinta che non lo fermerò, anzi gli darò una mano a mettere fine a quest’esistenza inutile fatta solo di sbagli e di rimpianti. 
Me ne resto immobile ad aspettare che il fuoco si spenga, immobile sul divano perché in fondo non ho molto da fare ed è così perché non mi è rimasto niente, né per vivere né per avere il coraggio di lasciarmi andare. Niente a cui aggrapparmi, nessuna persona su cui fare affidamento, non ho più niente tra le mani se non un fiammella spenta di quella che ero, della persona forte e determinata di un tempo, della Katniss che aveva innescato una ribellione.
Sono seduta con un cuscino sulla pancia e una coperta sulle gambe, i capelli arruffati, i soliti vestiti sporchi, che si sono appiccicati alla mia pelle fatta a puzzle, quando ad un tratto la porta si apre. Alzo lo sguardo aspettando di trovarmi davanti Sae con un’ espressione di disappunto e di rassegnazione e con in mano un piatto di cibo fumante che però a me fa venire solo la nausea. Per una volta invece vedo qualcosa di diverso, qualcun altro, quel qualcuno che ho aspettato per così tanto.
Peeta.
Quando scorgo i suoi occhi azzurri puntati su di me, un sorriso raggiante mi illumina il volto, nei suoi lineamenti vedo la calma più assoluta mista ad un pizzico di felicità.
Sento una lacrima scendere silenziosa sulla mia guancia mentre con gli occhi osservo tutta la sua figura dall’alto verso il basso e poi quando rialzo lo sguardo il mio cuore perde un battito.
Lui è lì, immobile davanti alla porta, con un sorriso sulle labbra e gli occhi che percorrono tutta la stanza con sguardi a destra e a sinistra.
Per la prima volta un nuovo pensiero si infiltra della mia testa: Che cosa penserà della casa? Non è certo il massimo del pulito. E di me? Cosa starà pensando di me in questo momento? Non ho certo il miglior aspetto del mondo.
Sto per alzarmi e correre in bagno per darmi una sistemata quando capisco che mi comporterei solo da sciocca. In fondo non mi è mai importato molto dell’apparenza, anzi praticamente non me ne è mai importato nulla, forse è la sua presenza che mi fa questo effetto.  
Ci osserviamo a lungo, forse non ha intenzione di avvicinarsi a me, probabilmente è ancora convinto che io sia un ibrido, che sia io la cattiva.
Quando penso a ciò sento un peso sul mio petto come se un masso mi opprimesse la cassa toracica per non respirare.
Non voglio perdere il ragazzo del pane, non permetterò che accada di nuovo.
Sono ancora ferma, lontana da lui mentre rimugino su tutto quello che ci è accaduto e su quello che ora penso di lui, che quasi non mi accorgo che Peeta sta avanzando verso di me.
Quando alzo lo sguardo e lo vedo a pochi passi da me gli corro incontro a braccia aperte.
Mentre cammino la paura che anche stavolta non abbia intenzione di baciarmi ma solo di annientarmi si fa strada dentro di me. Dopo un suo sorriso però ogni mio dubbio e ogni mia titubanza vengono messi in crisi e il colpo finale arriva quando la distanza fra di noi è annullata dalle sue braccia che mi circondano la vita e che mi stringono forte al suo petto. Inspiro a pieni polmoni il suo profumo, sento l’odore della cannella e del gelsomino che lo avvolge come una protezione. Sa di casa, di buono, di genuino, nonostante sia stato per così tanto tempo in ospedale sotto le cure di tutti quegli psicologi.
Alzo lo sguardo e mi perdo nei suoi occhi, così profondi, così belli, che esprimono vita, gioia, speranza. Sì, soprattutto speranza.
Lui è la mia ancora di salvezza, in lui ripongo la mia speranza di un futuro migliore, di un futuro insieme, perché ora lo so, io sono innamorata di Peeta e senza di lui non credo che riuscirei a sopravvivere.
Ci guardiamo ancora un po’, poi lui posa il suo sguardo sulle mie labbra e inizia ad avvicinare il suo volto al mio.
Le nostre labbra inizialmente si sfiorano come se dovessero fare conoscenza, Peeta non sembra voler essere troppo indiscreto, così avvicino io la mia bocca alla sua ancora di più e finalmente le nostre labbra si fondono insieme creando qualcosa di magico.
D’istinto appoggio una mano sulla sua nuca per reggermi mentre con l’altra gli accarezzo la guancia, lui invece mi cinge la vita con le sue braccia.
Schiudo leggermente la bocca mentre sento la sua lingua toccare la mia, quando anche loro si intrecciano una moltitudine di farfalle appare nel mio stomaco e la stessa sensazione che provai nella grotta mi pervade.
Ad un tratto sento il sapore di sangue e credo di aver morso il labbro a Peeta altrimenti non avrei un’altra spiegazione.
Mi allontano dalle sue labbra per vedere cose sta succedendo, ma lo spettacolo che appare davanti ai miei occhi è raccapricciante.
Mille brividi mi corrono sulla pelle mentre osservo il sangue colare dal collo di Peeta, scioccata mi allontano da lui e lo osservo incapace di fare qualsiasi cosa.
I suoi occhi perdono quella vivacità che fino a quel momento li aveva dominati, diventano spenti come se fosse una cosa inanimata e non un ragazzo.
Il sangue cola dalla sua gola, dal suo petto, dalle orecchie, in poco tempo tutto il corpo del ragazzo del pane diventa un’incessante cascata di liquido rosso.
Rimango immobile, incapace di fare un passo, incapace di tentare anche solo per un secondo di fermare ciò che sta accadendo.
Immobile respiro a pieni polmoni e l’odore che sento mi fa arricciare il naso dallo sdegno.
Un odore acre riempie la stanza e mi provoca un nodo all’altezza dello stomaco.
Mi guardo intorno mentre sono incollata ad una parete, tutto assume un colore scarlatto, luccicante e da ogni oggetto colano gocce color cremisi.
L’odore è sempre più forte ed insopportabile tanto che i primi sensi di nausea si fanno sentire.
Continuo ad assistere alla scena mentre sempre più sangue sgorga dal suo collo e dal suo bellissimo volto. Vedo i suoi occhi chiudersi a causa della poca forza che rimane nel suo corpo, lo osservo mentre vacilla tra la vita e la morte. 
Presa da un momento di coraggio, o forse di pazzia, mi allontano dalla parete e vado verso di lui.
Con le mani cerco i suoi occhi tra tutto il rosso che è presente, voglio riuscire a vedere il loro luccichio azzurro, l’unico che probabilmente mi renderebbero almeno una piccola parte della sanità mentale che avevo prima.
Con le dita mi affanno sempre di più alla ricerca di quell’ancora di salvezza che non mi farebbe più barcollare nell’apatia e nell’incertezza.
Continuo imperterrita ma più mi affatico e più il liquido aumenta coprendo presto le mie mani e nascondendo alla mia vista quella pelle a patchwork marchiata da cicatrici che non l’abbandoneranno mai.
Quando ormai so che non c’è niente da fare per evitare che Peeta muoia dissanguato sento un rumore alla mie spalle.
Assomiglia al ringhio di disapprovazione che Ranuncolo mi faceva quando lo minacciavo di cucinarlo arrosto.
Mi volto pronta a ribattere qualcosa ma invece di trovarmi la palla di pelo giallastra vedo due occhi scuri incorniciati da un folto pelo dello stesso colore.
Un ibrido.
Questa parola inizia a rimbombare nella mia testa, facendomi impazzire ancora di più e rendendomi vittima vulnerabile della paura.
Lo guardo con gli occhi spalancati, è lo stesso che c'era durante l'ultima notte nell'arena e che indossava un collare con impresso il numero 11.
Rue.
No, non può essere lei, non può essere la mia piccola alleata, la piccola Rue. No.
Nella mia testa sento una voce urlare straziata, probabilmente sono io, forse è la parte sana di me che sta cedendo alla pazzia e allo sconforto.
Scruto il collo dell’animale davanti a me e non vedo nessun collare stavolta, forse mi sto sbagliando, è solo un animale qualsiasi, non può essere proprio lei, non può essere la piccola Rue.
Ma invecesto tentando solo di illudermi, non potrebbe essere una qualsiasi altra bestia, è sicuramente lei e infatti la conferma mi arriva quando l'ibrido mi fissa e mi immobilizza con il suo sguardo.
Rivedo nei suoi dolci occhi  i momenti in cui lei si è fidata di me, i momenti della sua vita prima dell'arena e poi scorgo tutto l'odio e tutto il rancore che ha nei miei confronti per non essere arrivata in tempo, per non esser riuscita ad evitare la sua morte, per non aver impedito a quella maledetta lancia di strappare la vita che era appena sbocciata in lei.
Sono ancora pietrificata quando entrano nel mio campo visivo un altro paio di occhi, questa volta non sono scuri ma chiari, azzurri come il cielo d'estate. Traspariscono sicurezza ma anche vivacità e voglia di vivere.
Il pelo che ricopre interamente quest'ibrido è biondo e liscio, morbido, soffice e vellutato.
Osservo attentamente la bestia davanti a me e quando anche lei rivolge lo sguardo verso di me, delle calde lacrime iniziano a rigare il mio volto. Prim.
Prim, la mia sorellina, quella che puntualmente in ogni mio incubo urla, mi chiama ed infine scompare in una moltitudine di cenere e polvere.
Prim, quella che avrei dovuto salvare, una delle mie tante vittime ingiuste, la persona che ero sicura di amare veramente in questo mondo crudele e spietato.
Le lacrime continuano a scendere imperterrite mentre faccio un passo verso di lei tendendole la mano.
Lei mi viene incontro pacifica, come se avesse voglia di farsi accarezzare, di condividere nuovamente un momento di affetto solo tra noi due come quando era ancora viva.
Inaspettatamente però lei si allontana da me, ritraendosi disgustata dalla mia presenza e dal mio patetico tentativo di farle capire quanto mi manca, arretra ancora e poi all’improvviso mi salta addosso e mi fa cadere a terra.
Successivamente mi scavalca con un balzo e si getta verso Peeta che continua a sanguinare senza fermarsi. Anche Rue, o meglio l'ibrido in cui vi è Rue, corre verso il ragazzo del pane e insieme iniziano a dilaniare il corpo di Peeta che tenta inutilmente di liberarsi.
Ad ogni colpo, in cui affondano i loro denti nella tenera carne, mi gettano un'occhiata di disprezzo e di odio.
Vedo i pezzi del suo corpo cadere in terra e il senso di nausea si impossessa definitivamente di me senza lasciarmi scampo. Scioccata inizio ad urlare – Basta! Smettetela! Basta! Lasciatelo stare! –
Corro verso di loro e mi intrometto tra il corpo ormai quasi del tutto mutilato e le bestie, una di loro mi da una spinta con i suoi artigli facendomi cadere in ginocchio.
Con occhi imploranti chiedo di mettere fine a questa vita inutile, le lacrime continuano a scorrere sulle mie guance e non riesco a farle fermare.
Chiudo gli occhi stanca di essere in questo posto orribile che non mi darà mai la pace tanto attesa e finalmente capisco che la mia intera esistenza è stata cancellata quando sento delle lame sottili come rasoi affondare nella mia gola.

Apro gli occhi, ho i capelli attaccati alla fronte a causa del sudore, il mio respiro è affannato e il mio petto si alza e si abbassa velocemente. Un unico pensiero attanaglia la mia mente: Peeta.
Peeta non è morto, non è accaduto veramente, lui sta...sta bene, però non è qui, questa consapevolezza mi crea un peso sul cuore.
Sento una stretta ferrea opprimermi e così cerco di divincolarmi da qualsiasi cosa sia. Inizio ad urlare perché la stretta non diminuisce, mi muovo sempre di più finchè non capisco che mi trovo intrappolata in un groviglio di coperte.
Rotolo su un fianco per riuscire a districarmi e così facendo cado dal letto.
Mi alzo, la luce della luna rischiara la mia stanza dandogli un aspetto non del tutto accogliente, a tentoni mi avvicino al cassettone per cercare la perla di Peeta.
Apro il primo cassetto e rovisto tra i vestiti finchè non tocco con le dita la superficie liscia di un piccolo sacchettino. Lo afferro con un sorriso sulle labbra e poi lo apro, dentro c’è la perla del ragazzo del pane.
Me la  passo tra le mani, osservandola e accarezzandola, infine l’avvicino alla mia bocca e la bacio, ricordandomi dei baci di Peeta, della fame che mi pervadeva quando le sue labbra si posavano sulle mie, tutti ricordi che so per certo non ritorneranno ad essere realtà.
Alzo lo sguardo dalla perla e vedo la superficie lucente dello specchio, rimango incantata ad osservare la figura riflessa.
Quello che vedo è una ragazza di 17 anni, con delle cicatrici numerose sparse per tutto il corpo, la pelle a patchwork, i capelli scuri legati in una treccia ormai quasi del tutto disfatta. E’ magrissima e sotto la maglietta sporca si possono contare le sue costole, è talmente magra che sembra possa scomparire da un momento all’altro come un fantasma.
Ecco cosa sono io.
Un fantasma.
Sono solo un fantasma, un clone sbiadito della Katniss di un tempo, un involucro fatto di pelle a puzzle che non ha niente al suo interno.
Sono come una foglia sospinta dal vento, che non cade a terra solo perché è sorretta.
Io non riesco a lasciarmi andare, non ho il coraggio di smettere di farmi sospingere dal vento e di crollare definitivamente giù eppure quello che voglio è solamente mettere fine a un’esistenza inutile, fatta solo di rimpianti e di dolori, di incubi e di torture.
Vorrei che ci fossero veramente degli ibridi nella mia stanza, che staccassero la mia testa a morsi, che si prendessero questa misera vita. Vorrei che quest’ incubo fosse stato vero, almeno la parte in cui Peeta era qui, con me mentre cercava di non farmi crollare giù, di darmi una vita ancora bella da vivere ma non è così e lui non tornerà da me perché è ancora là in quel maledetto Distretto 13 dove viene tenuto sotto osservazione.
Una vita, per essere degna di essere vissuta veramente, deve avere almeno una parte di rimpianti, me lo diceva sempre mio padre quando ero piccola ed è così: io ho molti rimpianti, ma nella mia vita sono presenti solo quelli, ci sono solo sofferenza e incubi, non c’è nessuna parte felice a compensare tutto il dolore perché non c’è la persona che amo al mio fianco.
La mia vita non ha alcun senso quindi tanto vale lasciarsi andare. 

~ Angolo della scrittrice: 
Ehm...bene eccomi qua! Dopo tanto tanto tempo dalla mia ultima pubblicazione. :) 
Questa storia non so di preciso da dove mi sia venuta fuori, so solo che l'ho trovata in una vecchia cartella nel computer e una volta letta e corretta ho deciso di pubblicarla per il mio anniversario su EFP, quindi...
BUON ANNIVERSARIO A ME! :D 
Ringrazio tutti coloro che hanno letto questa storia e spero che vi sia piaciuta nonostante sia un racconto tutt'altro che allegra. 
Ma soprattutto vorrei dire grazie alle mie due Puffole Pigmee, TheLadyintheWater e FioreDiMeruna, grazie perché senza i vostri controlli pre-pubblicazione e senza il vostro sostegno io ora non sarei qui. :3 
Un'ultima cosa prima che mi volatilizzi nel nulla: non ero sicura del rating della storia così l'ho messo Arancione però se secondo voi è più adatto il rating Giallo ditemelo pure (anche in un messaggio privato se non volete fare una recensione ). 
Ok, adesso ho detto tutto. 
Un bacione, 
Miss H. 


  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Miss H_