BUON
2008!!! Come avete passato la nottata più lunga
dell’anno???
Io sono uscita alle 5 del 31 e tornata a casa solo alle nove del
mattino, poi
ero distrutta!! Ok, fatemi sapere se vi piace! È sulla mia
adorata Bellatrix
Black!
<<
Questa teiera va qui! >>
La signora
Black armeggiava imperiosa smuovendo ogni
futile chincaglieria da un lato all’altro
dell’immensa tenuta di famiglia. Gli armadi
stipi di porcellane erano stati svuotati per permetterne la pulizia, le
tende
gettate sul divanetto in stile settecentesco, la cristalleria esposta
alla luce
del sole, pallido ma capace di far brillare ogni singola faccia
dell’antica
sfera da veggente della prozia Cassiopeia intensamente. Gli elfi
domestici si
affaccendavano con vigore attorno a quelle fragili opere
d’arte, cercavano di
non aizzarsi l’ira della padrona di casa addosso sperando di
passare per lo più
inosservati, strisciando nella solita maniera orripilante con cui si
barcamenano nelle avventure della vita. Stava andando tutto a
meraviglia, gli
elfi danzavano ritmicamente attorno alla mobilia smuovendone il
contenuto e
poggiandolo con cura dove le dita flaccide della matrona Druella
imponeva loro,
e per una volta, non avevano rotto niente.
Druella era
una donna austera, dal carattere ferreo, che
aveva adottato in pieno la filosofia tramandata nella sua famiglia, i
Rosier,
di madre in figlia << pugno di ferro in guanto di velluto
>>. Languida
ma austera per indole, stucchevole per convenienza, aveva messo in
piedi una
Babele di successi costruendo un impero economico favorevole al buon
nome della
sua famiglia e certamente un vanto per le sue figlie, superbamente,
indiscutibilmente, orgogliosamente Purosangue di stampo Black. Suo
marito
Cygnus probabilmente aveva all’inizio detestato
l’idea di riporre le sue
speranze in tre bambine dall’aria eterea, pallide e belle
come ninfette,
viziate più del dovuto e acclamate da tutti tra danze e
concerti di piano. Avrebbe
preferito un figlio maschio, ma sua moglie, la desiderata Druella
Rosier, non
aveva saputo accontentare quella sua debolezza. Gli aveva fatto
accrescere il
patrimonio, ottenendo con mezzucci e alleanze il rispetto del mondo
magico. La famiglia
Black era cresciuta di potenza, sovrastando casate che da anni si
sollazzavano
con fare spudorato sulla propria discendenza da illustri antenati. I
Black
erano schifosamente ricchi. I Black erano schifosamente belli. E
superbi. E ottenevano
ogni cosa, dal capriccio più futile all’impresa
più ardua solo schioccando un
dito. In questa casata i valori di Serpeverde erano una sorta di verbo.
Essere forti
sopra ogni altra cosa. Mai concedere il gusto dell’ultima
parola, bisognava
ottenere la lode e perseguire il primato a costo di scendere a patti
con il
nostro peggior nemico. Dar subito, dall’espressione
altezzosa, l’idea di
assoluto, di irraggiungibile. Bisognava assumere
l’espressione di una bambola
di porcellana per apparire misteriosamente imperscrutabili e al
contempo creare
la necessità di sfondare tal velo di nebulosa
superiorità.
Druella
giunse nelle vicinanze di un vecchio specchio al
quale si aggiudicavano proprietà oscure capaci di
centuplicarne il valore in
qualsiasi negozio di antiquariato magico. Sebbene avesse molto da fare,
la
donna non potè distrarre il proprio animo dal desiderio di
specchiarsi. Il riflesso
la inquietò alquanto: si aspettava, probabilmente, di
incontrare gli occhi
verde smeraldo che avevano incantato i rampolli dell’alta
società venticinque
anni prima, quando aveva appena concluso il corso di preparazione
magica ad
Hogwarts, di certo la donna dal viso colmo di rughe che le aveva
risposto senza
il cenno di un sorriso, autoritaria e quasi amareggiata come sempre il
contegno
le imponeva, doveva averle causato un moto di repulsione contro se
stessa che l’aveva
tormentata per qualche attimo, incrinando la sua sicurezza, facendole
smarrire
il controllo robotico instillatole con anni di lezioni di portamento e
applicazione
al protocollo di famiglia. Ma era stato solo un attimo. Era bastato
identificarsi, ricordare a se stessa di aver ormai raggiunto
un’età gloriosa
per una donna che aveva tre volte partorito per sentirsi fortunata, e
poi
incontrare sulla soglia del soggiorno sua figlia Bellatrix, la
primogenita, la
figlia indomabile che agli occhi di Cygnus aveva saputo togliere il
dispiacere
del maschio negato dal cielo per rincuorarla del tutto.
Bellatrix
Black aveva appena fatto il suo ingresso in
stanza, ed anche il cristallo più fulgido pareva fosse
impallidito. Doveva essere
il suo candore, quasi spettrale, a renderla simile ad un demone
notturno capace
di incuriosire anche la personificazione della rettitudine massima, o
forse
quel volto contornato da una cascata di capelli color pece, morbidi,
lunghi,
insondabili a farla sembrare lontana mille miglia dalla
realtà, o ancor di più
i suoi occhi, specchi dalla superficie di diamanti neri in grado di far
perdere
la ragione solo smuovendo languidamente le ciglia. Le sue labbra
avevano sempre
impressa una curvatura di scherno, e le narici, a volte dilatate come
se
stessero fiutando qualcosa, bene si accordavano al resto del viso.
Assomigliava
ad un quadro di un artista tormentato da incubi meravigliosi quanto
folgoranti,
il più grande pittore di ogni tempo, perché aveva
saputo evocare l’inquietudine
di quell’animo indomito da ogni singola, vibrante cellula di
quell’essere
perfetto.
Bellatrix
non aveva mai conosciuto la miseria, o l’amore,
o qualsiasi altro sentimento in grado di arricchirle l’animo,
ma non per ciò il
candore della sua pelle esprimeva all’esterno la
bontà del suo animo. Al contrario,
la ragazza era corrotta dalle ambizioni della madre e dai sogni di
gloria di
suo padre. Insomma, era lei la chimera che, volente o nolente, avrebbe
dovuto
rischiare onore, stabilità e reputazione nella caccia
sconsiderata al successo.
Lei sarebbe stata l’ultimo agnello sacrificale in vista
dell’egemonia di
famiglia. I suoi figli, come Druella le aveva detto in una delle
innumerevoli
sere in cui, con qualche scusa, si infilava nella sua camera e le
spazzolava i
capelli con l’intento di intavolare una conversazione, ebbene
i suoi figli
avrebbero potuto spendere senza alcun problema, avendo a monte un
consolidato
patrimonio da cui attingere.
<<
potete fidarvi di me madre >> soleva dire
Bellatrix << il mio massimo desiderio è
servire la mia casata, e rendere
orgogliosi di me i miei parenti >>.
E per questo
Druella amava sua figlia forse sopra ogni
altra, e nascondere la cosa appariva alquanto difficile.
Quel mattino
la giovane primogenita entrò con l’aria riposata
che la rendeva decisamente incantevole. << madre, vedo
che è tutto un
cantiere questo salone! Mi chiedo se riusciranno i vostri viscidi elfi
a
rimetter in ordine ogni oggetto prima di domani sera >>
Lanciò
un’occhiata di disprezzo alla schiera di servetti,
i quali abbassarono il capo arrossendo immediatamente <<
se rovinate la
mia serata, saprò farvi rimpiangere di essere nati!
>>. Ma nessuno dei
presenti in quel salotto, nemmeno Bellatrix, dubitava che quegli elfi
soffrissero per la sorte avversa da molti, molti anni prima.
<<
spero solo che gli ospiti apprezzeranno i nostri
sforzi >> sospirò Druella, portando una mano
al capo << che almeno
Rodolphus lo faccia >>
Il viso di
Bellatrix si corrucciò nuovamente, ma rivolse
il capo agli elfi, per celare il proprio scontento agli occhi della
cara madre.
Continua
… se vi va!