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Autore: drawandwrite    20/06/2013    4 recensioni
Ryan Gray è un normalissimo studente Americano, da poco trasferito in Giappone per studi specifici.
La sua vita viene da subito turbata da un incontro particolare, che lo spaventerà e ecciterà al contempo.
Nel frattempo le vite Di Nozomi, Komachi, Karen, Urara, Rin, e Kurumi trascorrono tranquille.
E così sarà finché la loro strada non si incrocerà con quella di Ryan Gray.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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-Firma- fece Rin, secca e diretta, sbattendo un foglio spiegazzato sul petto del padre con fare infastidito.
Lui dapprima scattò indietro con il viso, colto alla sprovvista da quel gesto inatteso, poi lanciò uno sguardo severo alla figlia e posò il foglio sul tavolo.
-Scusa?- disse, in tono rigido e leggermente piccato per quella trasgressione verso la sua autorità.
Lei incrociò le braccia al petto con aria stizzita –Mi servono le firme di entrambi i genitori- sbottò con una passività gelida che le ghiacciava il viso –Firma- concluse ancora, riproponendo lo stesso tono irritato.
Il padre gli scoccò uno sguardo iracondo, l’irritazione dovuta alla mancanza di rispetto nei suoi confronti prese a sfociare sul suo viso, ammassandosi fra le rughe profonde della fronte e di contorno agli occhi, chiusi a fessura, puntati come armi fatali sulla figlia.
-Abbassa la cresta, signorina- esordì con fare minaccioso –Stai parlando con tuo padre-
Gli occhi di Rin lampeggiarono d’ira, percepì smuoversi il petto, poi un’ondata di rabbia accendersi come una scintilla non assopita nasce dalla cenere, minacciando un temibile falò.
-Padre?- sibilò a denti stretti, lo sguardo tagliente come la lama di un coltello –Davvero? Sai, non me ne ero resa conto- ringhiò, stringendo con forza i pugni, fino ad avvertire le stilettate di dolore giungere dalle unghie conficcate nella sua carne.
Lui prese fiato per cominciare una delle sue critiche infinite verso la sua personalità, la sua sbandata fuori dalla via giusta e argomenti vari che Rin non aveva assolutamente voglia di affrontare con l’uomo che si autodefiniva suo padre. Ma la ragazza, per una volta, non ci stava. Lui aveva deciso che non l’avrebbe ascoltata, qualsiasi cosa lei dicesse, nemmeno se avesse sfornato il miglior discorso strappalacrime degli ultimi due secoli, e allora lei gli avrebbe parlato solo con i fatti.
Aveva dichiarato guerra, e Rin avrebbe risposto.
-Leggilo!- ringhiò infatti, troncando di netto la futile iniziativa del padre.
Lui sgranò gli occhi, colmi di rimprovero e rabbia, quindi si tastò la tasca della camicia con insistenza, senza staccare lo sguardo sprezzante dal viso risentito di Rin. Sospirò per poi estrarre gli occhiali da vista, inforcarli e spingerli con irritazione sul setto nasale.
Alzò lievemente la testa per poter leggere più agevolmente, mentre Rin picchiettava nervosamente l’indice sul suo stesso braccio, persistendo con il suo atteggiamento indomabile.
-Insomma, si può sapere diamine sta …?- Sua madre fece irruzione nel salotto come un tornado, le vesti del lavoro ancora strette al corpo, il trucco leggermente sbavato e il viso stanco incorniciato disordinatamente dai capelli bruni, dominati solo da una  bandana si un rosa slavato, ristretta attorno alla nuca –Ah, Rin … - sospirò, passandosi una mano sul viso –cercate di non fare rumore, Yu ed Ai stanno cercando di leggere-
Oh, fantastico! Era forse il suo modo per salutarla molto affettuosamente e chiederle come stava, come ogni madre normale presente sulla faccia della terra?
Rin le lanciò un’occhiataccia irritata, quindi controllò di sottecchi la reazione del padre.
E, come si aspettava, il suo viso si illuminò.
-Vuoi davvero lavorare?- esclamò, gli occhi rilucenti di un balenio soddisfatto.
-Ti interesserebbe?- reagì lei, una smorfia rabbiosa sul volto.
-Cosa?- fece sua madre, accorrendo a leggere il permesso per essere assunta nel bar sulla strada principale, accanto a casa, di fronte alla pasticceria che Nozomi amava tanto.
Il padre le sorrise, bonario –Sapevo che avresti fatto la scelta giusta- commentò firmando al volo il permesso, senza pensarci due volte –Be’, avresti potuto trovare lavoro migliore di una semplice commessa. Ma confido perché presto prenderai il controllo dell’intero bar-
Ed ecco nuovamente quelle sue assurde manie megalomani. Non l’aveva mai voluta com’era adesso. Non aveva mai approvato la sua passione per lo sport, la sua vita era stata decisa e segnata dalla nascita, Rin era stata condannata ad una via fra le sbarre dal primo respiro che aveva tratto.
Sua madre la guardò con occhio indagatore per qualche secondo, perplessa e decisamente poco convinta da quell’improvvisa decisione della figlia. Infine, però, spronata con entusiasmo dal marito, acconsentì e firmò il permesso.
-Tesoro- fece in un sussurro, posandole una mano sulla spalla –Vuoi davvero lasciare lo sport?-
Rin respinse con violenza il gesto della madre –E chi ha parlato di abbandonare lo sport?- ringhiò, trattenendo a stento la rabbia che le divorava il petto come fiamme brucianti.
L’espressione del padre si spense all’istante –Puoi ripetere?-
Rin gli strappò il foglio dalle mani, lo piegò e se lo cacciò in tasca, tenendo alto lo sguardo grintoso di sfida –Esatto- lanciò un’occhiata all’orologio –E sarà meglio che mi sbrighi, arriverò in ritardo- Così dicendo afferrò frettolosamente la sacca da ginnastica, già preparata meticolosamente nei minimi dettagli, perché non le mancasse nulla durante l’allenamento, e si diresse all’uscio.
-Dove credi di andare?- tuonò il padre, furibondo, inchiodandola sul posto mentre un brivido freddo scalava la sua schiena.
Si voltò –In palestra- rispose con ovvietà, atteggiando spigliatezza e una glaciale inespressività piatta.
Il padre si strappò a forza una risatina di scherno, venata, però, di un certo nervosismo –Impossibile- stabilì –Io stesso ho interrotto il pagamento dei tuoi corsi sportivi-
La madre lo squadrò, esterrefatta –Che cos’hai fatto?- esclamò, gli occhi sgranati e il viso celato dietro una maschera di pura incredulità.
Oh, oh.
Un sottile sorriso crudo le si tagliò fra gli angoli della bocca.
E così non ne aveva parlato con Kazuya. E lei era troppo occupata con i gemelli perché potesse interferire nelle faccende di Rin, tantomeno si sarebbe mai interessata del rapporto fra la figlia e il padre, dei loro continui disaccordi, litigi, discussioni incessanti, e delle infide frecciatine scoccate da sempre sul suo corpo, mentre lei se ne rimaneva inerme, chinava il capo al’autorità del padre, e lasciava che l’astio le venisse rovesciato addosso. Perché era questo uno dei massimi valori in Giappone: La famiglia.
Ora, però, aveva scelto di reagire.
Non sarebbe più stata una chiocciola senza guscio.
Si sarebbe vestita della stessa ferocia di una tigre agguerrita.
Che questo potesse scrollare la madre dalla sua fissazione angosciante per i gemelli? Perché non le rivolgeva nemmeno una minima attenzione?
-So quello che hai fatto- Sibilò nuovamente Rin, con uno sguardo tanto tagliente da poterlo trafiggere di netto, da parte a parte –Ed è a questo che serve il mio nuovo lavoro- Così dicendo gli sventolò in viso il permesso, firmato in regola da entrambi i genitori, e uscì sbattendo con forza la porta.
 
Karen si scostò i capelli sul lato del collo, sistemandosi il colletto della camicia davanti alla vetrina di un negozio, tanto lucida da poter riflettere la sua immagine. Sorrise flebilmente, soddisfatta del suo portamento e si voltò, incamminandosi per la via principale che portava alla Natts House.
Voltò un angolo e, all’incrocio sul fondo della strada, scorse Rin, affiancata ad un semaforo, intenta a trucidare con lo sguardo ogni automobilista che non si fermava a lasciarle raggiungere l’altro lato della strada.
Sorrise e sollevò un braccio, agitandolo per farsi notare.
-Rin- urlò, notando che l’amica si era fatta prendere troppo dal suo passatempo sadico e non aveva occhi per altro. Lei sollevò lo sguardo, quindi le fece un lieve cenno del capo.
Quando finalmente riuscì a raggiungerla, notò che aveva dipinta in volto un’espressione beata, di pura soddisfazione, come se si stesse gustando appieno il retrogusto di una vittoria.
-Hai vinto una gara?- le chiese infatti, curiosa.
Lei inarcò le sopracciglia, perplessa –No- rispose, corrugando la fronte –Perché?-
Karen si strinse nelle spalle –Hai un’aria soddisfatta-
Rin sorrise, assorta nei propri pensieri, perdendosi con lo sguardo sulla punta delle sue scarpe da ginnastica –A dire la verità- Precisò in un mormorio –Una vittoria l’ho ottenuta- comunicò, un mezzo sorrisetto compiaciuto sulle labbra.
Karen inarcò le sopracciglia, osservandola con fare esitante e sconcertato.
Tra le due calò il silenzio, ma non un silenzio sgradevole, un silenzio che sapeva di complicità e che non voleva essere disturbato.
-Karen- disse infine Rin, indirizzandole un breve sguardo fuggevole –Dovrei occuparmi di una faccenda importante, ora- la informò, posandosi le mani sui fianchi e focalizzando la propria attenzione su un punto impreciso del margine della strada –Ti dispiace se … -
Lei si dipinse in viso l’ennesima espressione perplessa.
Alla fine si strinse nelle spalle decise di non fare domande: il comportamento di Rin in quel momento suggeriva che, nel caso avesse indagato, non avrebbe ottenuto nessuna risposta.
-Assolutamente- rispose, mostrando un sorriso composto e cordiale –A dopo-
 
Kurumi gemette, accasciandosi sul bancone della Natts House e portandosi il palmo alla tempia destra. Quel maledetto vortice si era rivelato decisamente difficile da sopprimere. Era tremendamente stanca, stanca nonostante le avessero riferito del sonno che l’aveva tenuta legata per un’intera giornata.
Sbuffò nuovamente, tartassata dal ritmo impietoso dettato dal pulsare regolare delle sue tempie. Il risveglio non era stato dei migliori, oltre ai dolori che le stringevano sterno e polmoni, si era aggiunta anche l’angoscia per Komachi, stesa sul fianco in un giaciglio improvvisato, di fronte a lei.
Fortunatamente anche lei aveva aperto gli occhi, quella stessa mattina, sebbene ora fosse ancora molto debole e in un grande stato confusionale. Be’, in fondo non doveva preoccuparsi, Ad “occuparsi di lei” c’era Natsu, e Kurumi non aveva nessuna intenzioni di interromperlo, sarebbe potuta piombare in un momento delicato ed inopportuno.
Sghignazzò per un po’, con aria beffarda, condividendo i propri pensieri con Urara, stranamente in orario, e Kokoda, al suo fianco, intendo a slogarsi la mascella per sbadigliare.
Dopo qualche istante giunse anche Ryan, scortato da Nozomi, la quale fece capolino nella sala portandosi un biscotto chiaro, tappezzato di granuli di cioccolato, alla bocca e confabulando qualcosa che sarebbe dovuto risultare come un saluto ma che, con le labbra ricolme di dolci, non si rivelò altro che un mugugno incomprensibile.
Subito dopo Nozomi rischiò di strozzarsi per l’ennesima volta, ma Ryan accorse in suo aiuto, tirando fuori il biscotto molesto con un energica pacca sulla schiena.
-Ah- fece Kokoda, lanciando loro uno sguardo critico –vedo che state diventando molto … intimi-
-Oh, oh- intervenne Kurumi con aria sorniona –cosa sentono le mie orecchie. Non saremo mica gelosi?-
Urara scoppiò a ridere fragorosamente, mentre Kokoda liquidava l’insinuazione piccante di Kurumi con un gesto noncurante.
Nozomi, una volta ripresa dalla morte per soffocamento, mostrò un gran sorrisone –Oh, ma non c’è nulla di cui preoccuparsi- esclamò, ammiccando scherzosamente a Kokoda che, suo malgrado, si ritrovò in una scomoda situazione di imbarazzo –Ryan è intoccabile-
Il biondo corrugò la fronte e le lanciò uno sguardo stranito, senza accorgersi che tutti i presenti, nella sala, avevano colto al volo l’allusione della ragazza.
-Infatti- li sorprese una voce –Lui è di proprietà di Rin- sorrise Karen, chiudendosi la porta alle spalle e indirizzando un sorriso scaltro a Ryan, il quale, rosso come un pomodoro, prese a confabulare delle proteste.
 
 
-Che assurdità!-esclamò Ryan, incrociando le braccia, mentre le guance gli andavano a fuoco.
-Quando glielo dirai?- chiese Urara con voce limpida e squillante.
Ryan alzò l’indice per ribattere e, magari, intimare loro di chiudere il becco, ma venne interrotto all’istante da Karen, la quale sembrava decisamente in vena di sarcasmo.
-Oh, suvvia- disse la ragazza, agitando una mano mentre si sedeva con grazia su una poltrona –Come potrebbe farlo, se ancora deve ammetterlo a se stesso?-
Gli altri scoppiarono a ridere, ma lei gli lanciò un’occhiata seria, che lo mise in seria difficoltà e l costrinse a distogliere lo sguardo.
-Ehi, Ryan!- esclamò Urara, facendo danzare i codini come molle –Guarda!- disse, lanciandogli un blocco per gli appunti completamente scribacchiato.
Lui lo afferrò al volo, quindi lanciò uno sguardo al primo figlio e, all’istante, reagì spalancando gli occhi e disegnandosi in viso una smorfia sfiorante il disgustato –Non si può vedere- esclamò, restituendole il blocco degli appunti che ritraeva lui nelle vesti di una Pretty Cure, con tanto di gonnellina sfavillante e ombelico al vento.
Quello di cui non si era accorto, era che Urara lo aveva ritratto nelle vesti d Cure Rouge.
 
NOTE: ehm, niente, volevo solo informare che fino a domenica ho degli impegni che non posso spostare, quindi per il prossimo capitolo vi toccherà aspettare qualche giorno di più! I’m sorry! 
  
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