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Autore: Nymeria90    23/06/2013    2 recensioni
Nel 2183 un nave non identificata attacca e distrugge la Normady SR1. Il comandante Shepard, eroe della Cittadella, muore nello scontro e il suo corpo si perde nello spazio. I superstiti della Normady, dopo aver sepolto una bara vuota, voltano pagina e cercano di ricostruirsi una vita, ma due anni dopo Alexander Shepard ritorna dal mondo dei morti. La sua missione: salvare la galassia, un'altra volta. Ma scoprirà ben presto che il prezzo da pagare è la sua anima, un prezzo che forse è troppo alto, persino per lui.
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Uomo, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Alexander Andrej Shepard'
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Horizon, 2185
 
I coloni sopravvissuti si aggiravano per le case deserte come fantasmi, incapaci di credere a quello che era successo. I Collettori avevano portato via le loro famiglie, gli amici, i colleghi … metà colonia era stata inghiottita dalla nave dei Collettori, condannata ad un destino incerto, inconoscibile, probabilmente terribile. Chi era rimasto non si dava pace: volevano lottare, combattere, inseguire i Collettori e riprendersi la loro gente ma … non potevano farlo. Le loro speranze viaggiavano sulle ali di una nave distrutta, il destino della loro gente era nelle mani di un uomo morto, dovevano la salvezza ad un’organizzazione terroristica.
Ashley Williams si prese la testa tra le mani, cercando di trovare un senso agli avvenimenti di quel giorno, sapeva di essere scampata ad un destino orribile per pura fortuna. Lui l’aveva salvata per l’ennesima volta, come su Eden Prime e Virmire.
Era stanca di sopravvivere sempre, aveva assistito a troppe morti, perso troppi amici …
Le era stato affidato il compito di proteggere Horizon e invece aveva fallito, di nuovo, come su Eden Prime. E oggi come allora lui era arrivato per rimediare ai suoi errori, per fare quello che lei, apparentemente, non era in grado di fare.
Digrignò i denti pensando a quanto le cose apparissero semplici e scontate quando era lui a farle. Ogni suo gesto trasudava superiorità: il modo in cui teneva il fucile, l‘arroganza nel gettarsi nella mischia, l’indifferenza verso i nemici che gli sparavano contro … sembrava che lo facesse apposta, per mostrarle quanto fosse migliore di lei.
Affondò le dita nei capelli scuri, piantando le unghie nella cute, con rabbia, odio, disperazione.
Due anni! L’aveva pianto per due anni! Ed era tornato come se niente fosse, con quel suo sorrisino beffardo e la baldanza del supereroe. Sembrava appena ritornato da una vacanza e lei si era sentita come una conoscente incontrata per caso.
Erano mesi che su extranet giravano voci del suo ritorno, non aveva voluto crederci, aveva preferito pensare che fosse morto piuttosto che vivo e … e con Cerberus. Pensava che se lui fosse davvero tornato allora l’avrebbe contattata, anche se era ai confini della galassia, in missione top secret. Non sarebbe stato semplice, certo, ma non era stato proprio lui a dirle che poteva fare qualunque cosa? I protocolli riservati dell’Alleanza non erano certo in grado di fermare un N7, uno Spettro che sfuggiva persino alla morte …
“Sono passati due anni Ash, tu eri andata avanti, non volevo riaprire vecchie ferite …”
Stronzate! Era meglio ignorarla forse? Lasciarla macerare nel dubbio che forse era vivo e che probabilmente si era dimenticato di lei?
Meritava di sapere che era vivo, che stava con Cerberus, meritava una spiegazione e invece era stata messa di fronte all’evidenza, con la pretesa che l’accettasse senza fiatare solo perché lui era Shepard e lei lo amava.
Se tu mi avessi contattata Shepard, se mi avessi mandato un messaggio, se mi avessi detto che eri vivo e che mi amavi … non mi sarebbe importato di Cerberus e dell’Alleanza, avrei mollato tutto e sarei venuta via con te … ma non lo hai fatto e adesso pretendi che io ti perdoni, che ti capisca?
No, non lei, non poteva farlo.
Shepard, il suo Shepard era morto, e l’uomo che era tornato era solo uno sconosciuto con indosso il suo volto.
Alex non avrebbe mai lavorato per Cerberus, non l’avrebbe ignorata come aveva fatto lui
Si lasciò scivolare lungo la parete della stanza e, per la prima volta da quando Shepard era morto, pianse.
Pianse per la 212, per Kaidan (cos’avresti fatto al mio posto, tenente?) e per Pressly. Pianse per Lilith, Richard e David, pianse per ogni colono di Horizon, anche quelli che l’avevano sempre osteggiata. Pianse Alexander e la sua morte, pianse Shepard e il suo ritorno. E pianse per l’artigliere capo Ashley Williams che forse aveva compiuto l’ennesimo, terribile sbaglio.
 
2185, Normandy SR2
 
Shepard si rigirò il bicchiere tra le dita, fissando con aria assente il liquido trasparente al suo interno, a stento ricordava l’ultima volta che si era preso una bella sbronza, non ne aveva mai avuto il tempo.
Ma questa volta intendeva recuperare il tempo perduto, una giovinezza sprecata nel compiere il proprio dovere.
“Dovere” era stato il mantra della sua infanzia, la guida della sua adolescenza … non si era mai tirato indietro, mai una volta aveva obiettato un ordine dicendo: “No signore, non posso farlo.”
Eppure nessuno sembrava ricordarsene, il suo ritorno aveva ormai fatto il giro della galassia, le reti informative galattiche sembravano non parlare d’altro, Umani, Asari, Salarian, Turian, Volus … tutti non facevano altro che discutere del ritorno del grande Comandante Shepard e del suo tradimento.
L’uomo che aveva salvato la Cittadella da Saren e dai Geth era diventato un traditore al servizio di Cerberus e non c’era nessuno che si ponesse il problema di capire perché. Era passato dalla parte dei cattivi e tutto il resto non aveva più importanza.
Poteva sopportare le critiche dell’opinione pubblica, di giornalisti e politici, non gli era mai importato granché. Riusciva a farsi scivolare addosso persino le accuse dell’Alleanza, aveva perso il rispetto per loro molti anni prima. Ma le parole di Ashley, la delusione nel suo sguardo, la freddezza con cui l’aveva accolto lo avevano ferito più profondamente di quanto gli piacesse ammettere. Era chiaro che lei avrebbe preferito saperlo ancora morto piuttosto che vivo e con Cerberus.
Vuotò il bicchiere in un sorso.
Sul momento non gli era importato molto, aveva cose più importanti a cui pensare: i coloni rapiti, la forza dei Collettori, il loro morboso interesse per lui.
Ma dopo aver pianificato la successiva missione, fatto sterili congetture con IDA e Mordin sulla natura dei Collettori e la stanchezza aveva preso il sopravvento sull’adrenalina si era ritrovato a pensare ad Ashley e alle sue parole.
Lo accusava di aver tradito l’Alleanza, di aver tradito lei … il toro che dà del cornuto al bue.
Durante il giorno poteva fingere di essere ancora il Comandante Shepard, l’uomo che non vacillava mai, che faceva sempre la cosa giusta, o almeno era convinto di farla, che non tornava mai indietro sui suoi passi. Ma quando la Normandy diventava silenziosa e le luci si spegnevano tornava ad essere Alexander, il ragazzino ingenuo e sognatore che la vita aveva trasformato in un uomo disilluso e cinico. Un uomo che dubitava continuamente delle scelte fatte dal Comandante Shepard.
Se avessi sacrificato il Consiglio, salvato Kaidan, ucciso la regina Racni ora le cose sarebbero diverse?
Si riempì nuovamente il bicchiere. Non si pentiva delle scelte compiute, tranne forse di aver scelto Udina come Consigliere al posto di Anderson, ma non era certo che fossero state giuste.
Svuotò il bicchiere: forse la risposta si trovava sul fondo della bottiglia.
- Ah eccoti …- Kasumi si sedette accanto a lui, non l’aveva sentita entrare, ma d’altronde era la ladra più abile della galassia.
- Mi stavi cercando?- domandò versandosi un altro drink.
Kasumi prese un bicchiere dal ripiano e lo posò accanto al suo, invitandolo a riempirlo – Kelly è preoccupata per te.- bevve un sorso e storse il naso – Che roba è?-
- Vodka.- svuotò il bicchiere e tornò a riempirlo – Kelly non ha motivo di essere preoccupata, sto bene.-
Kasumi soppesò la bottiglia mezza vuota – Hai una strana concezione dello “star bene.” Ma chi sono io per giudicare?- appoggiò la bottiglia e bevve un altro sorso – No, decisamente non mi piace. Non ti facevo tipo da vodka Shep.-
Shepard le rivolse un mezzo sorriso mentre si riempiva il bicchiere per la quarta volta; cominciava a vedere doppio e, finalmente, i cattivi pensieri si stavano offuscando come la sua mente – E sarei tipo da cosa?-
Kasumi si strinse nelle spalle spingendo il suo bicchiere verso di lui – Qualcosa di più raffinato: un whiskey costoso ad esempio. – lo squadrò con aria critica mentre svuotava in rapida successione i due bicchieri – Perché non ti attacchi direttamente alla bottiglia, visto che hai intenzione di finirla?-
Riempì entrambi i bicchieri, spargendo una buona dose di vodka sul bancone: che spreco – Forse perché mi fa sentire meno squallido.- biascicò con voce impastata – Fu mio padre a insegnarmi a bere vodka: liscia, da vero russo, non quei surrogati che bevono i ragazzini in discoteca.-
Kasumi appoggiò il mento sulle nocche riservandogli un’occhiata curiosa. Non si era mai chiesta le origini etniche di Shepard, in realtà non sapeva nemmeno il suo nome di battesimo. Per lei era solo il “Comandante”, l’uomo che l’aveva ingaggiata, anche se col tempo aveva imparato ad apprezzarne il carattere.
- “Shepard” non mi suona molto russo come nome. -
- Perché è il cognome di mia madre.- si asciugò la bocca – I miei genitori non si sono mai sposati; immagino che mi abbiano chiamato così perché Alexander Andrej Dolgorukov sarebbe risultato un po’ troppo lungo.- si rigirò il bicchiere tra le mani – O forse perché mia madre disprezzava le origini russe di mio padre.- si strinse nelle spalle e buttò giù la vodka.
Nel XXII secolo i tratti somatici degli umani si erano bene o male omogeneizzati, era difficile individuare le origini etniche di un singolo individuo e ben pochi si curavano di farlo. Dopo la creazione dell’Alleanza, la conquista dello spazio e la scoperta di altre specie gli umani erano diventati più uniti. Esistevano ancora le nazioni, ma difficilmente qualcuno si definiva cinese, piuttosto che francese o indiano; al massimo si era spaziali, coloni o terrestri. Kasumi era una delle poche persone a cui piaceva ricordare la propria appartenenza nazionale. Le piaceva definirsi “giapponese” non per motivi nazionalisti o razzisti, semplicemente perché amava il suo paese, la sua cultura, il suo popolo; nella vastità della galassia quella piccola isola era il suo porto sicuro, il solo luogo in cui non aveva paura di mostrare il viso. Era casa.
Osservando il volto di Shepard, imporporato dall’alcool, non ebbe difficoltà ad immaginarselo nella piazza Rossa di Mosca, con un colbacco in testa e un libro di Tolstoj in mano.
- Alexander Andrej … due nomi importanti.-
Shepard annuì e bevve – In onore di due grandi uomini: Alessandro Magno e Andrej Bolkonskij*. Uno reale e l’altro frutto della mente di uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi. –
Kasumi si versò un bicchiere di latte di soja, di certo non si poteva dire che il bar della Normandy fosse sfornito: malgrado tutti i suoi difetti Cerberus era davvero generoso con il suo equipaggio.
- Ti si addicono.- asserì, convinta.
Shepard le rivolse un’occhiata appannata, afferrò la bottiglia e grugnì indispettito trovandola vuota – Davvero? Non credo, loro erano uomini d’onore, io sono solo un mercenario che combatte perché non sa fare altro.- scosse il capo fissandosi le mani – No, non sono affatto come loro.-
Kasumi allungò una mano e strinse quelle del comandante – Tu ispiri le persone Shepard, le rendi migliori. Come loro. Prima di salire su questa nave ero solo una ladra, forse la migliore, ma niente di più. Una criminale, come ce ne sono tanti.- era sincera come non lo era da molto tempo, con lui certo, ma soprattutto con se stessa – Tu mi stai dando la possibilità di fare la differenza, di combattere per altri e non solo per me stessa e questo vale per tutti. Noi siamo i rifiuti della galassia, non abbiamo nessuno e nessuno ci ha mai dato niente. Siamo stati traditi, rifiutati, sfruttati, abbandonati, alla stregua di oggetti, di strumenti da utilizzare e poi gettare via. Ma tu sei diverso, Shep.- gli occhi azzurri del comandante erano lucidi, forse era l’alcool o forse qualcos’altro – Tu ci fai sentire importanti, speciali. Non ti limiti a dare ordini ma ci ascolti, accetti le nostre critiche, i consigli, trattandoci da pari a pari anche se avresti moltissimi motivi per considerarti superiore a noi. Siamo pronti a dare la vita per te e so che tu saresti disposto a farlo per ognuno di noi. La galassia avrebbe bisogno di più persone come te.- abbassò lo sguardo, imbarazzata, non era da lei fare un discorso così profondo.
– Sono morto vestendo i panni di un grande eroe, ammirato e osannato da mezza galassia … ricordo poco della mia morte …- la voce di Shepard era dura, amara - … ma so per certo di aver pensato: “Va bene così, ho scritto il mio nome nella storia, vivrò in eterno.” Al mio ritorno ho scoperto che non soltanto la galassia mi aveva dimenticato dopo soli due anni, ma l’avevano fatto anche la mia famiglia, gli amici, la donna che amavo. Tutto ciò per cui avevo combattuto, ciò per cui ero morto, non contava più niente.- picchiò il pugno sul tavolo facendola sobbalzare – Il Consiglio ha fatto di me un folle, l’Alleanza mi ha completamente ignorato e i miei amici, il mio equipaggio, si sono dispersi ai quattro venti lasciando che le mie battaglie, i miei ideali morissero con me e ora qualcuno ha pure il coraggio di chiamarmi traditore. –
Rimase in silenzio a lungo a rimuginare su quelle parole. L’alcool non aveva cancellato i pensieri cattivi anzi, li aveva resi insopportabili.
- Ma sai qual è la verità? Forse hanno ragione. Non m’interessa più niente di questa galassia. Non combatto né per lei, né per il Consiglio o l’Alleanza, né tantomeno per Cerberus. Io combatto per voi.- si sporse verso di lei, sollevandole il mento con le dita, obbligandola a guardarlo –  La galassia ci chiama reietti, traditori, criminali? Che lo faccia, noi andremo avanti lo stesso. La salveremo suo malgrado perché siamo migliori di lei, perché combattiamo quando tutti gli altri fuggono e se questa battaglia chiederà la mia vita la darò volentieri: per voi. Siete la mia squadra, avete il mio rispetto e la mia devozione. –
Kasumi sentì il cuore accelerare i battiti, quelle parole la facevano sentire … potente. Si alzò, prima di fare qualcosa di cui potersi pentire; Shepard non era il suo uomo ideale ma non poteva negare che fosse decisamente attraente. Poi il comandante vacillò mentre tutto l’alcool ingerito cominciava a fare effetto.
- Andiamo Shep. - mormorò aiutandolo ad alzarsi – Sei completamente ubriaco.-
Shepard protestò debolmente, inciampò un paio di volte e alla fine decise che forse la ladra aveva ragione. Si lasciò trascinare fino all’ascensore, ridacchiando con aria saputa di cose che solo lui poteva conoscere.
- Hai bisogno di una mano, Kasumi?-
- Grazie Garrus, aiutami a portarlo nella sua cabina.-
Insieme riuscirono a trascinare un bofonchiante e ridacchiante Shepard nell’ascensore (“cos’è quella faccia Garrus? Sembra che ti abbia colpito un razzo …”) e infine nella sua cabina dove cadde a peso morto sul letto.
- Per gli Spiriti, non l’avevo mai visto in questo stato.-
- Considerato quello che ha bevuto sta alla grande.-
Si avviarono verso l’ascensore – Garrus …- Shepard si era puntellato sui gomiti, in un ultimo sprazzo di lucidità – … mi dispiace …-
Garrus esitò, confuso – Per cosa?-
- Per essere morto.-

 


* Principe Andrej Bolkonskij, uno dei personaggio di “Guerra e Pace” scritto da Lev Tolstoj.
  
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