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Autore: drawandwrite    25/06/2013    6 recensioni
Ryan Gray è un normalissimo studente Americano, da poco trasferito in Giappone per studi specifici.
La sua vita viene da subito turbata da un incontro particolare, che lo spaventerà e ecciterà al contempo.
Nel frattempo le vite Di Nozomi, Komachi, Karen, Urara, Rin, e Kurumi trascorrono tranquille.
E così sarà finché la loro strada non si incrocerà con quella di Ryan Gray.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Komachi sospirò pesantemente, passandosi una mano sulle palpebre sottili e tremanti, quindi si sostenne con i gomiti puntati sul banco e si sforzò di non sviare la sua mente dalla lezione di letteratura.
Era da una settimana piena che era riuscita a riemergere dallo stato di incoscienza.
E ancora non era riuscia a riafferrare al meglio i propri sensi. Le capitava spesso di ritrovarsi a toccare una foglia, sottile e fragile, e non riuscire a percepirne la freschezza e la consistenza, come se i polpastrelli le si fossero addormentati in un’anestesia inquietante. L’udito le giocava brutti scherzi; di tanto in tanto non registrava la voce di qualcuno, persino quella alta e tonante del professore. E ancora la vista: tappezzata di continuo con macchie scure minuscole ma terribilmente fastidiose, come piccole schegge che attraversavano il suo campo visivo indisturbate e che la inducevano futilmente a torturarsi gli occhi nel tentativo di liberarsene. Persino l’olfatto la tradiva, portandole odori sgradevoli, come di bruciato, alle narici, a cavallo del vento.
L’unico senso che, apparentemente, sembrava ancora in piena funzione era il gusto.
Ciò che preoccupava più Komachi, però, erano le forti mancanze che minavano alle capacità, compresa quella di parlare, scrivere, o addirittura il terrificante sforzo che era costretta a compiere per avere chiare le idee e per colmare improvvisi vuoti nella memoria.
Qualche volta, si era ritrovata nella terrificante posizione di non riuscire più a scrivere: aveva semplicemente posato la punta della penna sul foglio candido, le sue dita avevano preso a tremare e il foglio era stato segnato di soli scarabocchi confusi. Fortunatamente Natsu l’aveva aiutata non poco a recuperare appieno la sua capacità, e Komachi non aveva ancora smesso di ringraziarlo.
La campanella suonò, e lo squillo giunse terribilmente perforante alle orecchie della ragazza, la quale si portò medio e indice alla tempia, mentre tentava di celare la propria confusione nelle grinze del viso, mossa che non passò inosservata agli occhi attenti e calcolatori di Karen.
Le sfiorò il dorso della mano con le dita fresche, quindi le sorrise e le fece cenno di uscire dalla classe.
Komachi sorrise di rimando,  si rialzò e afferrò la propria cartelletta, aspettando con impazienza che il brusio stordente della folla scemasse.  
 
Kurumi spinse la pesante porta di vetro, una piccola campanella emise uno squillo attutito e cristallino ad informare della presenza di un nuovo cliente all’ingresso. La ragazza si passò un braccio attorno al collo e si scostò una ciocca di capelli, lasciandola ricadere sulla schiena in ricci scomposti. Si diresse al bancone e ordinò un tè freddo, rivolgendo un mezzo sorrisetto cordiale al commesso nonostante la sua palese fatica nel riafferrare piena lucidità.
Si diresse ad un tavolo sull’angolo e si lasciò cadere su una sedia morbida, sostenendo il capo con il palmo della mano. Sbuffò, quindi lanciò uno sguardo al menù e buttò un occhio fra le pagine ricoperte di una scrittura vivace, spinta dalla curiosità.
Stava giusto leggendo gli ingredienti di una bevanda dal titolo decisamente improponibile, quando udì una sedia spostarsi al suo fianco. Alzò uno sguardo e sorrise a Komachi, quindi fece segno a Karen di sedersi dall’altro lato.
La ragazza ubbidì –scusa il ritardo- mormorò strizzandole l’occhio con aria complice.
-Intendi per i miseri trenta secondi?- sorrise lei, tenendo gli occhi incollati alla quinta pagina del menù .
Komachi rise –credo che ordinerò una cioccolata calda- osservò, mentre un leggero brivido le percorreva la schiena –fa freddo-
Karen le lanciò uno sguardo preoccupato di sottecchi.
Kurumi riuscì a trattenere eventuali segni manifestanti angoscia o nervosismo: non aveva intenzione di infierire su Komachi. La temperatura non era affatto fredda, specialmente in quel bar, in cui l’aria condizionata era volutamente calda per rendere mite il clima.
Ad un tratto un tonfo secco la fece trasalire; Kurumi alzò gli occhi dal menù e incontrò uno sguardo cremisi che conosceva bene.
Sgranò gli occhi e si riempì di sorpresa.
Rin, di fronte a lei, infilata in una semplice divisa blu, che accoglieva il nome del bar stampato in bianche lettere cubitali sul petto, l’aria stanca e il viso stropicciato, posò pesantemente il bicchiere ricolmo di tè sul loro tavolo, indirizzando loro un lieve cenno di saluto.
-Rin!- esclamò Komachi, piacevolmente sorpresa –Che ci fai qui?-
Kurumi alzò le sopracciglia e le lanciò uno sguardo ironico. La situazione era abbastanza evidente.
-Ci lavora, suppongo- disse infatti, ostentando un atteggiamento naturale nonostante la presenza di Rin avesse sconcertato anche lei.
L’amica annuì con fare leggermente seccato –già- confermò, sbuffando leggermente.
-non dovresti essere al corso di tennis?- interloquì Karen, sistemandosi compostamente un tovagliolo sulle ginocchia e sbirciando il menù con fare attento.
Rin fece un vago gesto con la mano –Ora frequento i corsi serali- disse, per poi essere richiamata a gran voce da un commesso dietro il bancone –be’, ciao- tagliò corto, affrettandosi a soddisfare le varie ordinazioni.
Komachi scosse lievemente il capo –Si sfinirà- commentò, mentre una venatura angosciata segnava il tono della sua voce.
Karen scrollò le spalle –ha fatto la sua scelta- la difese –è pronta a pagarne le conseguenze-
Kurumi arricciò le labbra –Non credevo che la sua famiglia avesse bisogno persino del lavoro della figlia-
L’amica soppresse un sorrisetto enigmatico –non è per la famiglia che lo fa- rispose con ovvietà –è per lei-
-oh- fece Komachi, scoccando uno sguardo timido a Rin, la quale tentava uno slalom fra tavoli e sedie che non compromettesse l’equilibrio del vassoio, carico di bibite, che portava.
Kurumi, invece, trovò più curioso il disinteresse di Karen alle faccende dell’amica. Molto probabilmente avevano avuto un discorso che le aveva svelato l’utilità di quel lavoro, o semplicemente il suo intuito brillante le aveva permesso di inquadrare appieno la situazione.
 
Rin maledisse mentalmente quel dannato ragazzino che l’aveva tartassata tutto il pomeriggio per uno stupido gelato alla fragola che avevano esaurito. Non aveva fatto altro che lamentarsi, frignare, ancora lamentarsi e, dulcis in fundo, scoppiare a piangere come una fontana, strillando manco fosse una dannata scimmia urlatrice al momento del parto.
Infine era riuscita a sedarlo con un semplice gelato alla ciliegia, che prontamente aveva sparso ovunque, rinverniciando pareti e mattonelle del bar.
E così era stata costretta a trattenersi al bar per pulire quel putiferio, sfondando il suo turno di un quarto d’ora e, quindi, rischiando di arrivare tremendamente in ritardo ai corsi di basket.
Mentre correva a perdifiato per la discesa che portava alla fermata dell’autobus, tentò disperatamente di sciogliere il nodo che le stringeva la divisa da lavoro al collo e alla vita, dal momento che ,nell’esatto istante in cui l’ultimo granello zuccheroso di gelato era stato scrostato dal pavimento, si era letteralmente gettata fuori dal bar, ringraziando frettolosamente il datore di lavoro per il compenso anticipato che aveva chiesto al fine pagare il corso di basket, che altrimenti l’avrebbe esclusa per assenza di pagamento.
Imprecò più volte, mentre la sacca da ginnastica urtava incessantemente contro lo zaino che si portava al lavoro e mentre le ginocchia avevano a che fare con la cartelletta di scuola che non riusciva a tenere ferma durante quella folle corsa.
Riuscì a frenare l’autobus, già in procinto di saltare la fermata, giusto in tempo.
Una volta scesa davanti alla palestra della scuola, la corsa riprese più frenetica di prima, strappandole il fiato a colpi violenti e massacrandole le ginocchia con le innumerevoli borse e zaini che non facevano altro che sbatacchiare a destra e sinistra senza ordine.
Si lanciò sulla porta della palestra facendo trasalire visibilmente Haruka, seduta dietro una cattedra, al posto di ricevitore. La ragazza si portò una mano al petto e riprese a respirare.
-Rin!- esclamò con voce squillante –Credevo avessi intenzione di chiudere con questo corso-
-Scherzi?- la aggredì lei con una smorfia, tentando di riprendersi dall’enorme sforzo di quella corsa, e di dare il tempo alla sua milza di recuperare uno stato accettabile.
Le posò sul bancone dei soldi –sono per il mese scorso- ansimò.
Haruka annuì, addolcendo lo sguardo e sorridendole con fare quasi materno –va bene- mormorò, incassando i soldi e aprendole la porta che dava sulla palestra –sbrigati, hanno già terminato il riscaldamento-
Rin sospirò di sollievo –Grazie- esclamò, per poi sfrecciare agli spogliatogli.
 
Ryan si lanciò uno sguardo angosciato nei dintorni. Nozomi l’aveva lasciato in palestra, dal momento che avrebbe potuto contare sulla valida protezione di Rin, eventualmente, ma, per qualche strana ragione, la ragazza non si era ancora presentata.
Che fosse ammalata?
Un’ondata di angoscia lo aggredì.
Se Rin non c’era, lui era solo. Terribilmente esposto e indifeso. Nonostante la folla sostanziosa che si agitava attorno a lui, i suoi sensi percepivano un vuoto e una solitudine fredda che gli ghiacciava il sangue nelle vene.
Strinse con forza il pallone di basket fra le mani.
I suoi occhi tersi presero a guizzare inquieti fra la folla, terrificati da ciò che avrebbero potuto scorgere nel muro vario di gente che correva e chiacchierava indisturbata.
Incrociò uno paio di occhi scuri come la notte, ciglia lunghe, una cascata di capelli corvini e lisci fino alla vita, un corpo sinuoso e slanciato, l’espressione pacata ma terribilmente catturata.
Ryan ingioiò e percepì un brivido freddo cingergli il corpo, mentre si sforzava inutilmente di distogliere lo sguardo da quella donna, che lo osservava, ritta e rigida sugli spalti, nel mezzo della folla: una macchia scura e fredda come un’ombra nel mezzo di un mare caldo di colori.
-Stangone - una voce ferma e tagliente lo riportò con i piedi a terra. Si voltò, ritrovandosi a osservare il cremisi intenso degli occhi di Rin, incastonati in un viso serio ma non aggressivo, venati, però, di una spossatezza poco rassicurante. Il ragazzo non ci fece subito caso: non era mai stato tanto felice di vedere una persona in vita sua, e il pensiero di non essere più solo occupava ogni minimo angolo della sua mente, colmava gli spazi e lo rinfrancava di un calore che scioglieva il ghiaccio di quella donna.
-Rin -cominciò, correndole incontro come un bambino corre incontro alla madre per cercare protezione –Temevo che …-
-Chi è?- lo interruppe lei, lanciando uno sguardo diffidente alla donna sugli spalti.
Un brivido percorse la schiena di Ryan, mentre le viscere si rimescolavano in preda ad un terrore infondato.
-Non lo so- rispose sinceramente, tenendo lo sguardo fisso a terra: non ci teneva, ad incrociare nuovamente quello sguardo freddo, uno sguardo che gli dava la sensazione di essere una preda braccata.
Sensazione che, purtroppo, non gli era affatto nuova.
Per una frazione di secondo, la donna distolse lo sguardo da Ryan, dedicando la sua attenzione a Rin al suo fianco, e scambiando con lei un’ occhiata omicida.
Ryan giurò di poter scorgere scintille minacciare un esplosione di fuoco negli occhi affilati di Rin, mentre la donna porgeva scaglie appuntite di puro ghiaccio nel nero del suo sguardo.
Lei alzò il mento, tornando a fissare Ryan e, prima di uscire dalla palestra, Ryan fu sicuro di scorgere un ghigno agghiacciante disegnarsi sul suo volto.
Si accorse di avere il cuore in gola, mentre brividi rigidi gli squassavano ogni minimo muscolo del corpo.
-andiamo- fece Rin, senza staccare lo sguardo, animato di un fuoco vivo ancora bruciante, dagli spalti.
 
Nozomi entrò in palestra, sedendosi nell’atrio in attesa che Ryan e Rin uscissero dagli spogliatoi, per tornare a casa tutti insieme. Sospirò e si agguantò lo stomaco, il quale si lamentava a gran voce e richiedeva con insistenza di essere riempito. Erano le cinque di sera, non era ancora ora di cena, tuttavia per Nozomi qualsiasi ora del giorno poteva essere dedicata ad uno spuntino.
Sospirò e pregò perché quei due facessero in fretta a cambiarsi: stava morendo di fame!
Finalmente udì una porta aprirsi, quindi Rin fece la sua apparsa nell’ingresso e salutò Nozomi con sorriso stanco, sedendosi di fianco a lei.
Si passò una mano sul viso e sbuffò gettando la testa indietro e appoggiandosi allo schienale della sedia con fare spossato.
-Quanto ci mette?- si lamentò Nozomi –sto morendo di fame!- esclamò, ribadendo il concetto e lanciando fuggevoli sguardi impazienti al suo orologio da polso.
Improvvisamente Rin saltò su come una molla, un’espressione allarmata in volto.
-che c’è?- fece Nozomi, sconcertata.
Senza rispondere, Rin si alzò in tutta fretta ed entrò come un tornado in palestra, divorando il terreno a grandi passi.
Nozomi inarcò le sopracciglia con aria gradualmente più perplessa, quindi si alzò a sua volta e seguì Rin.
Ryan era nel corridoio degli spogliatoi, alle prese con una donna alta e slanciata. Aveva un fisico asciutto, morbido e sottile, i lineamenti quasi serpeggianti, uno sguardo provocante e portava un vestito nero, aderente e stretto alla vita, che metteva in risalto le sue curve generose.
Le due piombarono al principio del discorso, dal momento che la donna si stava giusto presentando.
Tese la mano a Ryan, il quale trasalì, visibilmente teso e a disagio dalla presenza della sconosciuta.
Lei gli indirizzò un sorriso spudorato e uno sguardo sottile –…Sono responsabile di una famosa squadra di basket in occidente, nonché celebre allenatrice di alti livelli- si introdusse con voce bassa e vellutata, porgendo a Ryan quelle sue ciglia kilometriche –Ho notato l’abilità che mostri in campo e … -
-Non ha bisogno di un’allenatrice- ringhiò Rin, afferrando il polso di Ryan, il quale era in procinto di stringere timidamente la mano della donna, e perforandola con uno degli sguardi più taglienti che Nozomi avesse mai avuto l’occasione di scorgere sul viso dell’amica.
La donna ritirò la mano e la squadrò con altezzosità, sostituendo il suo comportamento affabile con una ferma durezza fredda –con chi ho il piacere di parlare?-
Rin mise una mano sul petto di Ryan e lo indusse ad indietreggiare, quindi si frappose fra i due, inchiodandosi a scudo per il ragazzo –potrei farti la stessa domanda- sibilò, acida.
Un balenio d’ira accese gli occhi della donna e, per una frazione di secondo, parve perdere il fascino e la bellezza inquietante che esponeva, rovinando il suo viso liscio e vellutato con grinze rabbiose.
In un battito di ciglia, il volto della donna tornò impassibile, il comportamento composto e un sottile sorriso irritante tirò le sue labbra carnose –Oh- si portò una mano al mento con eleganza –Devi essere l’allenatrice- Dedusse con sguardo sveglio.
-No- rispose lei piccata e ferita nell’orgoglio.
Nozomi sapeva quanto avesse desiderato avere una parte nel corpo preparatorio di basket, o di qualsiasi altro sport.
La donna si esibì in una perfetta espressione sorpresa –Bene- disse allora, inarcando le sopracciglia e cercando lo sguardo di Ryan, il quale, rifugiato dietro la schiena di Rin, aveva seguito la conversazione senza fiatare –Allora immagino che niente possa impedirmi di fare una proposta al ragazzo- continuò in tono tagliente, ammiccando al biondo, che in quel momento avrebbe preferito essere sospeso sulla città come la settimana prima piuttosto che essere spettatore di quella discussione imbarazzante.
-E’ già a livelli professionali- protestò Rin a denti stretti, mantenendo la calma a stento –non ha bisogno di te- sillabò, scandendo bene le parole, una per una.
La donna fece una smorfia piccata e lanciò uno sguardo omicida a Rin, quindi esibì un sorriso, ostentando pacatezza e serenità –Come vuoi- rispose facendo spallucce –in ogni caso io sono convinta che la decisione spetti a lui- lanciò l’ultimo sguardo d’intesa a Ryan, quindi voltò loro la schiena e uscì sul retro. 
  
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