Disclaimer: I personaggi e
l’ambientazione non mi appartengono
Ma sono di chi ne detiene i diritti ©
A Study In
Star-Spangled
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Certo Londra non era il posto più
salubre dove andare a vivere: l’aria sapeva di marcio e pioggia rancida, le
strade puzzavano per i gas nauseabondi, e il sole era costantemente soffocate
da nuvole enfi come escrescenze bubboniche. E se non erano nuvole erano
rigurgiti cariche di carbone nerastro, sempre pronti ad arroventare il cielo,
costringendolo in un gorgo di miasmi. Il lerciume cresceva sui marciapiedi, tra
le gonne, sotto i bastoni da passeggio, ovunque si respirava il fiato dei
liquami gettati dai balconi e rovesciati dallo stomaco contratto di qualche
ubriacone; l’umido Tamigi infiacchiva le ossa e spenzolava fangoso dai pastrani,
il suo fetore appiccicato ai capelli, appeso alla gola, incastrato nelle narici.
Londra era come un ritratto antico
che cercasse di modernizzarsi, ma invece di togliersi il vecchiume di dosso lo
ammonticchiava giorno dopo giorno agli angoli della cornice, una grottesca
piramide di mucillaggine grigia e pastosa. E forse era proprio per questo che
Steven Rogers l’aveva scelta.
Accartocciò tra le dita il foglietto
su cui era scritto l’indirizzo della casa, un quadratino di carta straccia già
stropicciato e macchiato per averlo tratto di tasca troppe volte e per averlo
troppe volte ricacciato malamente tra i biglietti del treno e della nave. Alzò
gli occhi alla lampada a gas che sporgeva al di sopra della strada, il braccio
metallico ben piantato nel muro, la fiammella che baluginava contro i
tondeggianti numeri in ottone; quindi strinse tra le dita l’anello di ferro
della porta e lo batté tre volte contro il legno bianco.
Nell’aspettare, Steve torse il collo
a controllare che la valigetta consunta e tenuta insieme con lo spago non fosse
stata sbalzata via da qualche carrozza o che non fosse d’intralcio ai passanti:
nessuno, però, pareva fare caso a lui, ad un anonimo americano intabarrato dentro
le pieghe troppo strette di un pastrano giallo-polvere.
I cardini scricchiolarono, gemettero
e Rogers drizzò gli occhi ad incontrare l’espressione di calcolata
professionalità che la donna in piedi sull’uscio gli stava rivolgendo. Lo
sguardo da disegnatore notò subito la linea dritta del naso, i lineamenti
squadrati del volto e la curva decisa degli zigomi; i capelli, la cui tonalità
danzava dal rosso al biondo nella maniera in cui la luce colpiva le ciocche
tirate della crocchia, si allungavano lungo la nuca fino a scomparire nel
colletto inamidato, e le labbra, sottili e aggraziate, erano curvate a creare due
fossette ai lati della bocca: un sorriso paziente, ma rigido, dolce e ferreo. Gli occhi
azzurri erano colmi di una gentilezza tale da scaldare il cuore.
Steve rispose per alcuni istanti al
sorriso, accostandolo a quello di un’istitutrice alle prese con un fanciullo
particolarmente intrattabile –E, soprattutto, paragonandolo ad un’altra
istitutrice che ben conosceva e di cui si affrettò a nascondere il ricordo nel
cuore e nella memoria. Peggy era lontana e così il proprio, maldestro tentativo
di chiederle la mano, la giovane età e gli occhi stanchi, da vecchio, le spalle
curve per la guerra, per il dolore, per la morte. Erano distanti, dimenticati e
tali dovevano restare.
La donna si sporse in avanti, il
corpo affusolato inguainato in un corpetto scuro, una lunga collana che pendeva
oltre la camiciola chiusa alla gola da un ovale barbagliante di riflessi
porpora.
«Il signor Rogers, presumo.»
Steve si riscosse con un sussulto e
chinò il capo –Avesse avuto un cappello con sé, avrebbe preso la tesa tra le
due dita e l’avrebbe alzata per rivolgerle un cipiglio cortese e, oh, così
tipicamente baldanzoso e americano, ma il capello l’aveva perduto in una
scommessa durante il tragitto in mare e la baldanza tipicamente americana era
un muffito ricordo di vecchie praterie e vecchi cavalli e vecchi indiani dalle
bocche spalancate e urlanti «Onorato di fare la vostra conoscenza. La signora
Potts..?»
«Signorina.»
lo corresse lei, con garbo, prima di farsi da parte e permettergli di entrare «Prego,
mi segua.»
La coda dell’ampia gonna nera lo
condusse dall’atrio rettangolare, i quadri appesi alle pareti, la tappezzeria
senape a stampe floreali, fino al piano superiore. Rogers s’impietrì sulla
soglia: era una stanza tanto ingombra di cianfrusaglie da sembrare minuscola e
soffocante, le librarie, alte fino al soffitto, erano stipate di volumi dai
titoli più disparati e da una varietà non quantificabile di lingue diverse.
Oggetti tubolari e dall’aspetto vagamente metallico riposavano accanto ad
alcuni attrezzi che Steve aveva avuto la possibilità di vedere solo in un
cantiere navale; in ciotole piene fino a metà di latte o thé erano abbandonati
alcuni bulloni e viti ormai arrugginite; affissi alle pareti con spilli e
nastri scarlatti e persino un coltello da cucina, scarabocchi e fogliacci macchiati
di inchiostro.
La signorina Potts lo precedette
all’interno, le labbra due cordoncini stretti, taglienti sul viso contratto,
gli occhi che lampeggiavano: portò le mani ad afferrare la stoffa attorno fianchi,
scivolò lesta oltre un traballante mucchio di volumi e un tavolaccio occupato
da bocce, ampolline e scartoffie dalla dubbia comprensione, si bloccò in un
punto preciso tra le finestra offuscata di polvere e una poltrona rosicchiata
dalle tarme, quindi esalò un sospiro frustrato.
«Cos’ha fatto di nuovo a Jarvis?» sbottò rivolta a qualcuno che
Steven, intento a togliersi gli scomodi guanti rossi, non riuscì a vedere;
allungò allora il collo quel tanto che bastava a non apparire invadente, ma
prima che potesse capire chi o cosa fosse “Jarvis”, una voce proveniente dal
tendone che divideva i due ambienti lo fece sobbalzare.
«Si è offerto volontario per un
esperimento, signorina Potts, nonostante io lo avessi precedentemente informato
dello stato catatonico in cui sarebbe crollato dopo l’assunzione
dell’anestetic…Oh, salve.»
Nessuno, in seguito, ebbe l’ardire di
chiedere a Rogers quale fosse stata la sua prima impressione riguardo a Tony
Stark e Steve ringraziò sempre il Signore per avergli evitato l’onere di
rispondere con epiteti ben poco cortesi.
L’aspetto era trasandato come
l’ambiente in cui viveva, i capelli scuri tenuti senza il benché minimo ritegno
civile, gli occhi lividi, la bocca a volte cadente a volte serrata per
esprimere alternativamente noia e indubbia superiorità rispetto alla selva
umana che abitava non solo Londra, ma il mondo intero. Gli si presentò
infagottato in una vestaglia bordeaux, le maniche bitorzolute che più cercava
di tenere sopra i gomiti, più gli cascavano sui polsi magri; le tempie erano
sudate, la guancia destra sporca di residui mollicci, oleosi, dall’olezzo poco
sopportabile, e la camicia cascava, abbottonata alla meno peggio, sul petto
asciutto. Non doveva dormire da giorni e molto probabilmente non se ne curava
nemmeno.
Arcuò con curiosa delizia le
sopracciglia e Rogers ebbe il presentimento di essere ai suoi occhi non troppo dissimile da una farfalla
conficcata dietro un vetro.
«E così lei è il Capitano Rogers…»
commentò, un sorrisetto sardonico a piegargli malevolo l’angolo sinistro della
bocca.
Steve corrugò la fronte, ma a bloccare
ogni tentativo di replica fu il tono di chiara intransigenza della signorina
Potts.
«Signor Stark, no» fu l’ordine perentorio e il signor Stark allargò innocente le
braccia, mosse un passo-mezza-piroetta nella loro direzione e fece schioccare
la lingua contro il palato.
«Via, non si alteri, signorina Potts!
E’ ovvio che ci troviamo di fronte ad
un Capitano: guardi l’aspetto marziale, l’assetto rigido delle spalle, la posa
di chi non aspetta che un ordine per marciare al ritmo di un piffero!» alzò la
mano a pretendere ordine e silenzio, poi roteò il polso, continuando
nell’arringa «Congedato con onore, è la mia diagnosi –Non vedo tracce di alcool
sul suo volto- e anche artista, che audace combinazione d’intenti! Mi
complimento per la scelta del carboncino, qualità ottima» Rogers contrasse le
dita e a lato del mignolo i residui grigio-neri che pensava di aver accuratamente
lavato via ebbero un guizzo «Devono averle dato un compenso appropriato,
eppure…Eppure!» un’esclamazione estatica gli eruppe dalle labbra e il Capitano
lanciò un’occhiata perplessa alla signorina Potts.
Questa aveva assunto un’espressione
dolorosa, le mani s’intrecciavano, si torcevano, un accenno di lacrima già
baluginava negli occhi.
«Eppure, nonostante questo, parte da
Brooklyn –A proposito, la fanno ancora quella deliziosa torta alla cannella?-
sulla peggiore delle navi, con la peggiore delle compagnie, con la peggior
valigia mai vista e si ritrova qui, a Londra, a cercare qualcuno con cui
dividere una spesa d’affitto! Questo cosa ci dice?»
«Che dovrebbe curarsi più dei suoi
affari e meno di quelli degli altri» suggerì Rogers, ma non c’era traccia di
scherno nella voce: il tono era guardingo, sospettoso, sottopelle avvertiva
distintamente che l’altro si stava avvicinando –Dio solo sapeva come- a
qualcosa che lui stesso preferiva mantenere sotto silenzio.
«No, no, mio caro! Così non va, uno
sforzo di immaginazione!» Tony batté le mani, quindi puntò l’indice sui guanti
rossi «Non è la prima volta, vero, che si trova a dover scendere a compromessi
per racimolare qualche soldo in più, dico bene? Il materiale grossolano, rozzo,
ed il colore inusuale dei suoi guanti mi inducono a pensare alla realtà teatrale
e il modo in cui, parla, sì, il tono è quello di chi è abituato a dare ordini,
ma il suo non necessario alzarsi indica che è stato per molto tempo costretto a
far sì che la sua voce arrivasse a colmare gli angoli vuoti di un luogo dalla pessima acustica. E l’inclinazione del
bacino, la posizione dei piedi, per quanto si è esibito su un palcoscenico? È
stato prima o dopo essersi arruolato nell’esercito?»
Non fosse stato inchiodato al
pavimento, Steve sarebbe arretrato, anche a costo di far cadere il teschio impilato su un malconcio libro di botanica,
ma non gli riusciva di muovere un muscolo. Aveva freddo, invece, un gelo
terribile a ridacchiargli lungo la schiena, a rosicchiare le ossa e i nervi.
Deglutì, i polmoni simili a spugne imbevute d’aceto tanto era pungente e aspro
il respiro.
«Un bisogno tanto smodato di compensi
è innaturale in un giovane della sua età, ma non è un buon giocatore,
altrimenti avrebbe ancora il suo capello. Ha contratto i muscoli attorno alla
bocca quando ho nominato l’alcool, l’argomento la mette a disagio…Suo padre era
forse dedito al bere?»
«Non era l’unico, a quanto pare»
rispose il Capitano, monocorde, e gli fece intendere con un cenno veloce del
mento che si stava riferendo alla bottiglia di liquido trasparente reclinata su
una custodia di pelle, rigata in più punti e da cui spuntava quelli che avevano
tutta l’aria di essere strumenti chirurgici.
Il signor Stark contorse la bocca in
una smorfia scocciata.
«Quello non è alcool, è formaldeide» specificò, con voce
lamentosa o di un adulto che si ritrovasse a dover spiegare come fare di conto
ad un bambino con seri problemi di apprendimento «E ha appena confermato la mia
ipotesi. Vi ha lasciati, non è vero? Lei e sua…Oh. Naturale.» lo sguardo s’illuminò
di comprensione, di gioia distaccata «Sua madre era malata, non è vero? Aveva
bisogno di cure costose, ben oltre le vostre possibilità e suo padre aveva già
sperperato tutto alla taverna…»
«Signor Stark, adesso basta!» gemette
la signorina Potts, ma Tony la ignorò alla stessa maniera in cui passò sopra
all’evidente rabbia che andava via via trasfigurando i tratti di Rogers.
«Le impongo di…»
«…Di continuare, Capitano? È quello
che stavo facendo prima di essere bruscamente interrotto. Dunque…» socchiuse
gli occhi scuri, umettandosi il labbro con un rapido guizzare della lingua
«Prima l’esperienza simil-teatrale, poi l’esercito. Non ha funzionato, però, altrimenti
avrebbe continuato a vivere in America o almeno si sarebbe trasferito a Londra
con lei. Ma non è stata l’unica perdita, l’unico ricordo da cui fuggire…»
«Io
non fuggo»
«Per l’amor di…Signore, questo è
insulto bello e buono, non le permetto di mancare di rispetto alla mia
intelligenza a questa maniera!» portò l’indice ed il pollice della mano destra
a tormentare la corta e ispida barba, all’altezza del mento «Mi dica, ha
portato molti suoi ritratti con sé?»
«Io non…» Steve riuscì a stento a
dire qualcosa, le parole impigliate in gola.
«Vede, Capitano, lei è un uomo così
terribilmente attaccato ai ricordi, fa quasi tenerezza. Al contrario mio –Io,
io che sono un futurista!» e indicò
con ampio gesto del braccio gli spallacci e i guanti e gli altri aggeggi in
ferro o bronzo od ottone o quel che era –Rogers non era riuscito ad
identificarli- tenuti in bella vista su uno scaffale, insieme a diagrammi e
fogli di calcolo «Lei non riesce a staccarsi dal suo passato: gli abiti di
scena che ancora indossa, quel pastrano liso in più punti e che pare aver visto
giorni migliori…Lo ha comprato quand’era ragazzo, vero? Si nota dal taglio, ma
le sue spalle si sono fatte più larghe da allora, si è alzato di statura e
adesso fa persino fatica ad abbottonarlo al torace.» Tony gli si avvicinò di
due passi, gli girò attorno, lo squadrò dall’alto in basso, sogghignò «Mi dica,
ha guardato la signorina Potts come ha guardato me? Non mi equivochi» lo
precedette, quando già Rogers avvertiva un fastidioso pizzicorio rosseggiargli
sulle guance e sulla punta delle orecchie «Non intendevo in senso romantico,
anche se immagino che il fatto di essere tanto giovane e tanto anziano all’insieme
le abbia causato parecchi inconvenienti in ambito matrimoniale: in effetti, se
io non fossi io, farei fatica a darle un’età precisa»
«Signor Stark» la signorina Potts lo
raggiunse a grandi falcate, la gonna che raccoglieva all’orlo tutta la polvere
accumulatasi dentro le trame del tappeto «Ora sta esagerando! Non vede che lo
sta mettendo a disagio?»
L’uomo si girò e si portò una mano al
petto, teatrale, gli occhi spalancati in un’espressione di finta sorpresa e
costruito rammarico –E Steve lo odiò. Lo odiò per qualcosa che andava al di là
dell’arroganza e della saccenza di cui faceva mostra senza pudore alcuno, lo
odiava per come stava riportando ogni cosa alla luce, per la sicurezza che
dimostrava, per la totale mancanza di rispetto delle ombre e dei non-detti.
«Metterlo a disagio, signorina Potts?
Non mi permetterei mai! Sto solo…mostrando al nostro cortese Capitano la sua
incresciosa tendenza all’autocommiserazione e al senso di colpa! È per questo,
vero, che è arrivato a Londra con nulla più di una valigia e qualche ritratto
del suo compagno caduto? –Sì, la mia era una domanda retorica, sono certo oltre
ogni dubbio che dentro alla valigia ci siano dei ritratti e soprattutto
ritratti di un suo compagno molto caro –Un amico molto stretto, se non
addirittura un fratello- morto in battaglia. E della cui dipartita si sente
responsabile, tanto da voler fuggire, ma col terrore di dimenticare i tratti
del suo viso –Ecco il perché dei disegni, la ricerca maniacale di un carboncino
che non scompaia nel tempo, la pratica ormai inconscia di osservare e costruire
sul volto delle persone un reticolato che la aiuti ad incastonarlo nella
memoria, prima, a rilasciarlo attraverso le dita, poi. Vuole cominciare una
nuova vita, ma non ha il coraggio di scordare quella vecchia. Desidera una
nuova compagnia –Altrimenti, perché cercare un locale da condividere con un
perfetto estraneo?-, ma al contempo ha paura di recare un torto alla memoria
del suo---»
Il soliloquio fu bruscamente
interrotto dal crocchiolante suono delle ossa che cozzavano contro un gancio
destro e dall’acuto strillo di sorpresa lanciato dalla signorina Potts.
Il rantolo proveniente dal setto nasale
deviato di Tony Stark fu per Steven Rogers il più inequivocabile dei benvenuti
al 221B di Baker Street.
Note Finali
Il Sherlock di riferimento è quello
dei film di Ritchie, dove è il nostro ben Robert Downey Jr. ad interpretare il
detective.
Non escludo altre storielle dedicate
a questo AU!, mi ispira in modo particolare, lo ammetto!
Riferimenti sia a Sherlock che agli
Avengers sparsi qua e là, la guerra cui Rogers avrebbe partecipato è quella
contro gli indiani d’America. E povero Jarvis, costretto ad essere il Gladstone
della situazione XD
Pre-slash, perché la JohnLock è come
la Spirk, un canon non riconosciuto (?)
Alla prossima!