Anime & Manga > Vampire Knight
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Autore: nozomi08    01/07/2013    1 recensioni
La storia parla della 16enne Yame Minashigo, giovane studentessa appena entrata nella prestigiosa Cross Accadeemy. Sebbene sia a conoscenza dei tempi bui che affliggono sia la società degli umani che dei vampiri, le uniche volontà della ragazza sono quella di scoprire il mistero che si cela dietro alla morte dei suoi genitori e la possibilità di vendicarsi per il dolore e la solitudine che l'hanno attanagliata per molti anni. Ben presto però il suo cuore verrà scosso dalla presenza di un giovane hunter che le farà riscoprire l'intensità di sentimenti perduti e che verrà a sapere un terribile segreto dietro la natura di Yame e il suo passato. E intanto, la guerra contro il vampiro Sanguepuro Rido Kuran imperversa...
Genere: Azione, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti, Zero Kiryu
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Era una comune serata d’autunno.
Un venticello fresco si faceva strada tra le fronde, delicato, e presagiva l’imminenza del rigido inverno.
Il solenne silenzio avvolgeva ogni rumore, rubando alle creature la musica del mondo.
Le stelle, sospese come miliardi di piccole lanterne lì, in quel vasto, scuro pezzo di cielo, indagavano quiete la vita della notte e il suo scorrere.
E la natura, dormiva serena, aspettando paziente il nuovo arrivo dell’alba.
Sì, era una comune, tranquilla serata d’autunno.
Ma lo sarebbe stata per poco.
Anch’io, come le altre creature fuori da quel piccolo mondo in cui mi trovavo, venivo cullata dolcemente dal torpore notturno, accolta dalla tiepida sensazione di riparo delle morbide coperte, assecondando la sinfonia che si creava tra il battito del mio cuore e il ritmo del mio respiro.
Ma come tanto facilmente le foglie vengono portate via dal vento, anche la mia quiete venne portata via in un soffio.
Un rumore. Un eco di passi e scricchiolii su un vecchio pavimento di legno.
Diffidente, mi alzai dal letto di malavoglia e in punta di piedi mi affacciai sull’uscio, scrutando attentamente nell’oscurità del corridoio, fuori dal campo di luce della luna, che osservava taciturna fuori dalla finestra, tra le tante luci. Strinsi le palpebre, come per vedere meglio. Una figura mi veniva incontro, con un’altra.
Si avvicinarono sempre più alla luce, i contorni si fecero più definiti.
Kaname. Con in braccio Yuki, inerme.
Li guardai con la bocca semiaperta, attonita, immobile.
Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso, non potevo credere a quel che vedevo:
Lei, coperta di sangue.
Anche lì, vicino al collo, il liquido scarlatto imbrattava la candida camicia del suo rivoltante colore e della sua viscosa consistenza.
L’odore acre di quel peccato rosso aveva contaminato l’intera stanza, arrivando con irruenza fino alle mie narici.
La mia faccia si deformò in una smorfia mista tra il disgusto e il terrore, e mi portai di un passo indietro.
-Che le è successo?- mormorai inorridita
Ma Kaname non mi degnò di uno sguardo, una parola. Aveva gli occhi vitrei, in preda alla sofferenza, che lottavano per soffocare il piccolo barlume di rabbia.
Rabbia provocata dall’atto ignobile di qualcuno, qualcuno che non avrebbe mai dovuto osare.
Sofferenza che si portava dietro un’eternità.
Questo, stava comunicando il suo sguardo, ed io ne fui totalmente stravolta.
Respirai a fondo, presi coraggio. Non dovevo temerlo.
-Kaname, chi è stato?- chiesi di nuovo, ma lui non rispose, continuando a camminare indifferente, come se non fossi lì, come se non esistessi
Entrò in infermeria, con quell’eleganza che ripone in ogni suo gesto, e posò Yuki con estrema gentilezza sul mio letto ormai quasi sfatto.
Ed io, intanto, stavo annaspando per il malore ripresentatosi, e mi appoggiai sullo stipite della porta. Strinsi in un pugno la stoffa della veste, appena sotto il seno.
Le fitte mi stavano rilevando il dimenarsi un qualcosa nel mio stomaco, che lo mordeva, lo graffiava.
-Vuoi dirmi cosa le è successo o vuoi continuare ad ignorarmi?- chiesi con affanno, in preda ad una leggera punta d’irritazione.
Niente. Silenzio.
Che ragazzo irrispettoso.
Stavo incominciando a perdere la pazienza
“Perché mi sta ignorando? Perché si ostina a starsene zitto? Perché non me lo vuole dire? Perché non posso sapere che le è capitato? Non può comportarsi così!” urlai nella mia mente, soggiogata dal dolore fisico, offuscata dal mal di testa. Mi mancava l’aria.
Stavo impazzendo. Di nuovo.
Sentii dei fremiti di rabbia scuotere il mio corpo già scosso.
Un po’ ne avevo paura.
-Allora?- chiesi impaziente
Ancora nessuna risposta, nemmeno un fiato
Strinsi le mani in due pugni, mentre le labbra si facevano due fili sottili
Kaname si girò per guardarmi, avvertendo, però, che stava succedendo qualcosa di strano. Scorse qualcosa corrergli incontro, e, un attimo dopo, cadde a terra, incredulo. Una figura femminile gli era sopra, con delle bianche, snelle gambe a bloccargli i fianchi robusti, mentre dei lunghi capelli color cioccolato scendevano a solleticargli il volto sorpreso, e delle belle mani posate rudi sul suo petto virile. Ma quando alzò lo sguardo, oltre le linee del corpo procace, mal coperto dalla leggera veste, oltre i lineamenti del viso, oltre le labbra piene, rosse, rimase impressionato da due occhi grigi, tanto chiari da apparire quasi bianchi, che lo scrutavano irosi.
In quel momento realizzò chi gli era saltato addosso: ero stata io, presa da una rabbia istintiva, animale, della quale io stessa mi preoccupai. Mi sentivo strana. Percepivo quel “qualcosa” nello stomaco che lottava furiosamente per uscire, incurante della mia carne. Era una pessima sensazione, quasi vomitevole, che per poco riuscivo a tenere a bada. Temetti di non farcela, di finire ferocemente fatta a pezzi da quella cosa che mi stava divorando il petto a suon di morsi
Guardai intensamente Kaname, i suoi occhi, il volto, l’espressione tornata nella sua solita calma languida. Sembrava che aspettasse giocondo la mia prossima mossa. Sentii la “cosa” dimenarsi ancora di più alla sua vista.
-Perché, tu…- dissi con voce roca, aggrappandomi con forza alla sua giacchetta.
Perché quando c’era lui mi si accaniva contro tutto questo male? Che cosa voleva da me? Era lui che mi stava facendo qualche sorta di “incantesimo” per spassarsela, per dilettarsi nel vedermi soffrire? Chi si credeva di essere cavolo, un ipnotico?
Avrei voluto tanto liberarmi di questa frustrazione, di queste domande che mi premevano in gola, ma qualcosa di raccapricciante, di oscuro si stava facendo largo tra le mie membra, strisciando come un serpente attraverso il mio corpo, fino a raggiungere i meandri della mia mente, impadronendosene, approfittando del suo momento di debolezza. Mi stava come contaminando. Non sapevo più che fare. Mi stavo lasciando andare… il mio corpo… non era più… “mio”…
Ero una bambola in mano al mio burattinaio
Mantenendo il contatto visivo, portai una mano sul pugnale, per estrarlo dalla fodera. Potevo percepire il metallo affilato della lama strusciare delicatamente a contatto con il cuoio.
Che stavo facendo?
Forse fu proprio l’ultimo, misero sprazzo di lucidità a salvarmi da quell’astruso contagio, e da quell’atroce pensiero che non mi apparteneva,
“Stai lontana da Kaname, se non vuoi vedere sparso altro sangue… perché, sai, è facile perdere il controllo…”
Al richiamo di quella frase, pronunziata da quella bocca che non volevo ricordare, trasalii, scansandomi spaventata da Kaname, e incollai la schiena al letto. Sentivo il corpo rigido, il petto che si alzava e abbassava velocemente, mentre il cuore batteva talmente forte da farmi male.
Tremavo, nel mio animo.
Osservai sconcertata Kaname che, rimessosi seduto, mi stava scrutando con notevole intensità.
Che avesse capito cosa stavo per fare?
Distolsi volontariamente lo sguardo, percependo con chiarezza il peso di un’ulteriore colpa, di un altro peccato, del quale non mi riuscivo a capacitare, mentre i dubbi, le incertezze lo ancoravano a me come un groviglio di pesanti catene.
Lo sentii alzarsi, e camminare a passo lento verso la porta. Si fermò.
-Se ci tieni così tanto a sapere cosa è successo a Yuki, ti converrebbe chiederlo a Kiryu, lui ne sa molto di più- disse con una punta di astio –E un consiglio: dovresti avere molto più riguardo nei confronti di te stessa. È una vergogna, lasciarsi soggiogare così, perfino per una bestia- aggiunse, svanendo poi nell’oscurità
Incapace in quel momento di trovare un senso logico alle sue ultime parole, continuai a tenere lo sguardo basso, colpevole. Rannicchiai le gambe al petto, stringendole tra le braccia, annegando la vista nella tenue tonalità del pavimento, e soffocando ogni pensiero. Nell’immensità del silenzio, la consapevolezza di quello che stava per accadere poco prima assunse un tono ancora più grave, austero, senza pietà. Divenne ancora più vivida, e terribile. Un groppo mi si formò in gola.
Stavo per ucciderlo. Stavo per uccidere Kaname Kuran.
Premetti a me le gambe con più forza. Mi sentivo smarrita. Sola, in un bosco innevato, in preda a una tempesta, senza la più pallida idea di dove andare, di cosa fare, mentre le ombre, impercettibili, minacciavano i miei passi. Sentii le lacrime pungermi gli occhi; me ne scappò una, scendendo sinuosa sulla guancia imperlata di un leggero color porpora, calda, umida.
“Che mi sta succedendo? Prima Rido, poi Kaname, il malore, ed ora questo… Cosa vogliono da me?”
Mi girai per guardare Yuki, distesa sul letto: nonostante fosse imbrattata di sangue, nonostante l’ orribile notte che doveva aver passato, stava dormendo serena, la pace dipinta sul suo volto ingenuo. Nel vederla, riuscì a trasmettermi un po’ di quella pace, che conservai gelosamente nel mio animo, ben conscia però che di lì a poco, mi sarebbe scappata anche quella.
Sì, perché, oltre alla serenità, se ne erano andate molte altre cose dal mio io, tutte sfumate in quella serata degli orrori, nella durata di un secondo.
Il puzzle non era più tale, il disegno non era più completo ora. Avevo perso molte delle mie tessere, e dovevo ritrovarle.
Udii Yuki mugugnare, e dalle labbra sospirò qualcosa che catturò la mia attenzione:
-Zero…-
Mi venne da ripensare a quello che mi disse Kaname, azionando di nuovo i meccanismi nel mio cervello stordito.
Già, cosa c’entrava Zero?
E mentre l’odore dolciastro e metallico del sangue di Yuki impregnava intenso e violento la stanza, sovrastando su tutti gli altri, il pallido astro appena lì fuori continuava ad osservare silenzioso noi povere creature dannate, conscio di essere stato l’unico testimone dell’ imperdonabile in quella notte traboccante di un peccaminoso color cremisi.
 
Inesorabile, il tempo continuava a consumare ingordo la placida notte, incapace di saziare la sua fame.
Ogni rumore era stato inghiottito dal silenzio, glaciale, crudo; nell’istituto serpeggiava il nulla.
Gli studenti, nelle loro stanze, continuavano a vivere i loro sogni, rilassati dalla calma del loro stesso respiro.
Nel frattempo, due strane conversazioni si stavano plasmando tra le mura di un certo ufficio e quelle di una fredda stanza…
-Kaname, non credo che sia una buona idea…- disse timoroso il direttore, riaggiustandosi gli occhiali sul naso
-Direttore, lei sa quanto la rispetti e quanto appoggi i suoi propositi di pace, altrimenti non avrei mai pensato di iscrivermi a questo istituto, ed è per il bene di questa idea di armonia, che è fondamenta di questo edificio, che avevo deciso di chiudere un occhio sulla questione. Ma adesso stiamo superando il limite- disse Kaname, appoggiandosi sulla scrivania in legno di noce dietro la quale sedeva il direttore, illuminato dalla flebile luce della lampada poggiata nell’angolo lì accanto. Lo guardò dritto negli occhi, mentre la rabbia e la preoccupazione per la sua amata Yuki gli stavano facendo perdere la capacità di autocontrollo. La sua mente non faceva altro che proiettargli sprazzi di quello che poteva essere accaduto: il volto di lei trasfigurato dal dolore e dalla paura, mentre quello di lui annegava nei suoi capelli, stringendo a sé il suo corpicino, con violenza, concentrato a prendersi ogni goccia di ciò che faceva parte della sua unica ragione di vita; il rumore del dolce sangue che scorreva nella sua avida bocca gli rimbombava nelle orecchie, assieme ai gemiti della sua Yuki. Era la sua Yuki; eppure quella sera si era ritrovata tra le braccia di uno che non era lui. Non riusciva a perdonarselo. Lo faceva impazzire.
Kaien sospirò –Kaname, capisco quanto tu sia preoccupato, ma prova anche a metterti nei panni di…-
-Preside, sa chi era la vampira che undici anni fa sterminò i Kiryu?- lo interruppe Kaname, la sua voce bassa che gli vibrava irritata dal profondo delle corde vocali.  L’altro ammutolì, limitandosi a scrutarlo dietro le sottili lenti dei suoi occhiali.
“Certo che lo so. Come avrei mai potuto dimenticarmi tutto quel sangue, quell’odio che sgorgava copioso dai suoi innocenti occhi?”
Avrebbe tanto voluto dirglielo, ma il suo corpo non sentì ragioni. Restò immobile, aspettando il resto.
-Era una Sanguepuro, esattamente come me. E, come lei ben sa, quelli come “noi” possono infliggere la peggiore delle pene per gli umani. Basta un solo morso, e diventano vampiri. Se sono abbastanza fortunati, perdono la vita nel giro di pochi minuti, avvelenati; ma, se riescono a sopravvivere, allora gli verrà riservata una lenta agonia, che nessuno può immaginare, trasformandoli nelle bestie che noi siamo. Da lì, non c’è più possibilità di tornare indietro: a poco a poco il loro istinto di vampiro prenderà il sopravvento sulla ragione, e perderanno il senno. A quel punto, non potranno più saziare la loro sete, e reclameranno altro sangue. Cominceranno ad uccidere, senza sosta, senza rimorsi- premette con forza le sue esili dita sul legno, lasciando profondi solchi sotto la loro scia. Piccole schegge violarono la carne, mostrando piccoli graffi e deboli gocce di sangue. L’iride dei suoi occhi mutò in un minaccioso color cremisi
-Sto parlando dei livello E. Zero è stato morso dall’ultima Sanguepuro dei Hiou, ed è sopravvissuto. La trasformazione si è ormai completata, ne abbiamo avuto la prova questa sera. Quanto ancora vorrà aspettare prima che degeneri? Vuole lasciare che i suoi studenti rimangano esposti a un tale pericolo?- continuò duro
-No, certo che non lo voglio- ammise Kaien, aggrottando la fronte in un espressione crucciata
-Allora le conviene considerare attentamente l’idea di trasferirlo nella Night Class, ora-
“Lo voglio lontano, lontano da lei
Il direttore abbassò lo sguardo, pensieroso. Cosa fare? Pensare all’incolumità degli studenti, o ai sentimenti del suo adorato figlioccio? Chiuse gli occhi, sospirando arreso
-Zero non me lo perdonerebbe mai, ma suppongo non ci sia altra scelta…- sussurrò
-Sono lieto che lei abbia capito-
Per un effimero lasso di tempo, che sembrò perdurare per un’eternità, i due rimasero a fissarsi taciturni, ciascuno perso negli intricati sentieri del proprio pensiero, immersi in oscuri segreti, repressi in quel pugno di carne e sentimento che chiamavamo cuore.
-Direttore, ci sarebbe un’altra cosa della quale desidererei parlarle…-
-Dimmi, Kaname-
-Si tratta della nuova arrivata… Yame Minashigo-
Il direttore si irrigidì –Cos’è che ti preoccupa?- chiese con una nota di titubanza, perché sapeva benissimo che, qualunque fosse stata la risposta, non gli sarebbe affatto piaciuta. Kaname posò lo sguardo oltre il vetro della finestra che dava sul cortile ben curato, sui lineamenti perfetti della candida luna
-Quella ragazza è pericolosa- esordì, quasi in un sussurro
-Come fai a dirlo?-
Kaname tornò a fissare il direttore
-Adhara… forse questo nome le dice qualcosa?- chiese provocante il Sanguepuro, mentre l’altro impallidiva sotto i suoi occhi –Questa sera, quando ho portato Yuki in infermeria… ha cercato di uccidermi- rivelò
-Cosa?!- esclamò il direttore sconcertato
“No, non può essere… che sia… di già…?” pensò allarmato
-Ha capito bene, e ciò che più mi incuriosisce è che in quell’attimo sembrava non fosse più lei. Non so se mi spiego… sembrava fosse, in qualche modo, posseduta- disse avvicinando il volto a quello del preside –E ho ragione di sospettare che i suoi improvvisi malori non siano per niente casuali. Coincidenza poi, per chissà quale strana ragione, avvengono sempre in mia presenza. Non pensa anche lei sia insolito, direttore?- continuò pacato. Il direttore incurvò la bocca in un sorriso teso e sospirò, rassegnato di fronte alla perspicacia del giovane vampiro.
Tana.
-Immaginavo sarebbe stato difficile ingannarti Kaname… Bene, se vuoi accomodarti…- disse facendo un cenno ad una delle sedie di fronte –ti potrò spiegare tutto quello che c’è da sapere. Devi promettermi però- disse in tono grave, trafiggendolo con uno sguardo penetrante –che tutto ciò che sentirai qui dentro non dovrà mai uscire da queste mura, intesi?-
-Ma certo, signor preside-
“Sento che Talya mi squarterà vivo quando lo saprà…”
-Perfetto- esordì compiaciuto, scacciando dalla mente quella brutta prospettiva -Allora, devi sapere che…-
Intanto, nell’ala opposta…
-Cosa?! Quindi Zero… è un vampiro?!- esclamai sconvolta,con gli occhi sbarrati
-Sì…- confermò sconsolata Yuki, abbassando le iridi color cioccolato sulle lenzuola dell’unico letto dove eravamo sedute
-Ma come è possibile?- domandai indignata, guardando affranta la vistosa fasciatura sul suo collo, pensando a quanto deve aver sofferto. Quando la curai appena sveglia, potei constatare che l’aveva morsa con violenza. Le aveva lasciato dei profondi segni. Doveva essere stato molto affamato.
Yuki scosse piano la testa, facendo oscillare i morbidi capelli -Non lo so…-
Mi passai stizzita una mano nella mia folta chioma bruna. Ora il quadro tornava chiaro: gli occhi spenti, la testa tra le nuvole, il pallore… erano i segni del suo disperato tentativo di reprimere la sete. Aveva cercato di trattenersi il più a lungo possibile, ma evidentemente quella notte la situazione gli era sfuggita di mano. Volsi assorta lo sguardo oltre la finestra, focalizzandomi sulle finestre del dormitorio, illuminato dalla tenue luce notturna. Chissà cosa stava facendo adesso… Scommetto che anche lui doveva aver sofferto molto. Immaginavo che non era affatto facile convivere con una tale certezza nell’animo, ed essere obbligato tenertela solo per te.
Ma il punto era: come avevamo fatto a non capirlo prima?
Era su questo che continuavamo a riflettere, più do ogni altra cosa, nel tentativo di assimilare per bene la sconcertante rivelazione.
Per Yuki, chiederselo era più che plausibile: quattro anni vissuti insieme come fratello e sorella, e lei non si è mai accorta di nulla, e il fatto che lui non glielo aveva mai detto le faceva ancora più male, perché in una famiglia non ci dovevano essere segreti.
Mentre io… beh, non facevo altro che ripetermi che ero un’idiota. Per un hunter è una vera umiliazione non essere capace di riconoscere un vampiro che ti passa sotto il naso. Era inconcepibile, perfino per un’apprendista. Però, l’aver scoperto che Zero era una di quelle bestie mi aveva veramente sconvolta. Non mi sarei mai aspettata che un tipo come lui fosse uno di loro… un ragazzo che discendeva da una famiglia di prestigiosi hunter, e che lo è diventato grazie ad un intenso e arduo addestramento. Un hunter-vampiro. Chi se lo sarebbe mai immaginato?
Posai lo sguardo sulle mie mani in grembo. In tutta questa faccenda, c’era una cosa che mi rendeva perplessa: ripensavo continuamente a quel limpido sguardo ametista traboccante d’odio che aveva riservato ad Aidoh e ai suoi compagni poche ore prima, alla mano ferma stretta attorno alla pistola, deciso più che mai a premere il grilletto… era pronto ad uccidere uno come lui, un suo confratello. Perché?
I miei furono uccisi da un vampiro quando avevo undici anni…
Che sia questa la ragione del suo rancore?
E la Night Class… cosa era veramente? Erano davvero solo semplici studenti? O i sospetti che nutrivo nei loro confronti avevano un fondo di verità?
-Ehi Yuki…-
-Sì?-
-La Night Class… sono vampiri anche loro, non è vero?- chiesi distrattamente, tenendo lo sguardo fermo sulle mani intrecciate
-Eh?! M-ma no! Cosa te lo fa pensare?!- esclamò agitata, ridendo nervosa –E-e poi, pe-perché dovresti chiederlo a me? I-io non ne so niente…- concluse, ancor più tesa sotto le mie occhiate ambigue.
A quanto pare, avevo fatto centro.
-Oh, eccovi qui! Non mi sarei aspettato di trovarvi già sveglie!- squillò una voce
Ci voltammo di scatto, sorprese, stanando l’intruso del momento: il direttore
-Allora, come vi sentite?- chiese allegro, entrando
Alzai gli occhi al cielo -Oh, alla grande!- commentai amareggiata –Come si sentirebbe lei dopo aver scoperto che un suo compagno è un vampiro?- chiesi sprezzante.
-Ecco, beh, immagino non tanto bene- ammise grattandosi la testa, sorridendo imbarazzato
-Ma come è sagace!- esclamai sarcastica
Molto probabilmente non mi sarei rivolta a lui in modo così acido, se solo mi fossi trovata in un’altra situazione. In quel momento, mi sentivo esattamente come una bolla di sapone: leggera, fragile, che scoppia al minimo tocco con la sua scintillante superficie acquosa, svanendo nell’aria. La mia bolla, quella rivestita delle mie emozioni, delle mie certezze, era stata toccata, distrutta, lasciandomi on semplice, fatale “pof”. Ora le sentivo galleggiare dentro di me, le mie adorate, travolgenti  emozioni. Scorrevano libere attraverso il mio corpo, lo scuotevano, lo turbavano senza riguardi, senza barriere a fermarle. Mi sentivo fuoco che brucia, che corrode. Ero un vulcano in eruzione.
Crudele, il destino, vero? Entità capricciosa ed egoista, privilegiata di tenere d’occhio i fili della nostra vita. Il mio, doveva averlo tagliato da un bel po’.
Guardai il direttore avvicinarsi a Yuki con fare premuroso, accarezzarle dolcemente una guancia, chiederle come stava, se aveva paura. Mi ricordò gli stessi gesti che faceva mio padre, quelle volte che avevo avuto gli incubi o mi sentivo triste. Ricordi che per me erano come i caldi baci del sole in primavera, come le fresche gocce di rugiada sui petali di un bocciolo di rosa. Rimasi lì in silenzio, imprigionando, invidiosa, quelle tenere immagini nel grigio delle mie iridi, cercando disperatamente di dare un contegno alla mia tempesta interiore. Tirava un forte vento, gelido e turbolento, tra le vele del mio cuore.
Avrei forse dovuto confessargli che ero stata in procinto di uccidere una persona?
Chissà come avrebbe reagito… forse penserebbe che sia diventata pazza.
Le labbra rosee di Yuki si dischiusero, tessevano i suoni in parole; ma io non le sentivo. Era come se mi fossi smarrita in una folta nebbia, accerchiata dalle mani ripugnanti delle ombre. La visione di me stessa, che tiravo fuori il pugnale si era ripresentata cruda nella mia mente, diventando un chiodo fisso, tanto che mi sembrava di vedere la scena ripetersi davanti ai miei stessi occhi. In quella notte, non seppi più chi fossi, e ciò mi terrorizzava, mi confondeva. Potevo solo aggrapparmi ad un nome, il mio nome, l’unico frammento rimasto della mia identità, l’unica cosa che mi impediva dall’essere semplicemente nessuno. L’indispensabile scatola che custodiva la mia vera essenza, tutto ciò che rendeva me… beh, me.
Avevo la scatola, ma ero priva del prezioso contenuto.
Esiste cosa peggiore che perdere coscienza di sé stessi?
“Patetico” pensai con disprezzo, provando una fitta in pieno petto
-Come sta Zero?-
“Già, chissà cosa starà provando ora…”
-Sembra si sia un po’ calmato ora, lo abbiamo accompagnato nella sua stanza…-
“Deve sentirsi smarrito, proprio come me…”
-Mi dispiace molto Yuki, per avertelo nascosto per tutto questo tempo-
“Ah, le sento, le sento magnificamente: la tristezza, lo sconforto… che egoisti. Si stanno preoccupando solo dei propri sentimenti, non stanno neanche tentando di immaginare come si possa sentire lui, che, adesso, me lo immagino bene, sarà rimasto seduto ai piedi del letto, incurante del suo aspetto trasandato, con lo sguardo perso nel candore del soffitto della sua stanza. Non penserà a niente, lo so, perché la sua anima si sarà ridotta in una massa di sangue e cenere, bruciata dai sensi di colpa che lo staranno dilaniando come gli artigli di feroci belve.”
Finalmente hai rivelato la tua vera natura, vampiro
Chiusi gli occhi, angustiata
“Lo so Zero, lo so, perché ho compreso che odi i vampiri con tutto te stesso, anche se sei uno di loro. Non ne puoi fare a meno”
-Come potevo sapere che Zero era un vampiro?!- urlò angosciata Yuki. Era arrabbiata. Con lui, con sé stessa, ed era delusa. Un gusto amaro le ricopriva la bocca, oltraggiando il delicato sapore del gelato alla fragola che sempre aveva.
Erano sensazioni che non si addicevano per niente alla piccola ed innocente Yuki; sensazioni che dimenavano il suo gioioso spirito come un ramoscello scosso dalla furia del vento.
“Oh, Yuki, ti prego, prova a capire…” pensai guardandola addolorata
-Per gli ultimi quattro anni…-
-Non avresti mai potuto, mia adorata Yuki, perché Zero era un umano, prima di quattro anni fa…-
Sentii il sangue gelarsi. L’intera stanza, sembrava ora vittima della morsa del ghiaccio, sovrastata da un’innaturale silenzio. Alzai lentamente lo sguardo sul direttore, incredula a quello che le mie orecchie stavano per sentire. In un effimero istante, capii dove voleva andare a parare.
“No, non è possibile…” riuscii solo a pensare
-Quattro anni fa, la famiglia Kiryu fu attaccata da un vampiro. Zero fu l’unico sopravvissuto a quella strage-
“Proprio come mi aveva raccontato lui…” 
Yuki continuava a guardarlo guardinga, spaesata. Stringeva con forza la ruvida stoffa della gonna in due pugni, timorosa di scoprire il seguito.
-Apparentemente, era sano quando lo trovai, finché non scorsi i segni di un profondo morso sul collo-
Un brivido ci colse alla sprovvista. Attraversò l’intero tratto della nostra schiena.
Era proprio come credevo?
-È  sempre stato un umano, ma ora è un vampiro? Che sia… per via del morso?- tentennò Yuki, con voce tremante. Il direttore la scrutò per un momento, tremendamente serio.
Sicuri che era lo stesso Kaien allegro e saltellante?
-Yuki, tu non credi alla leggenda che chi viene morso da un vampiro, si trasforma in uno di essi, vero?- chiese piano –So che è incredibile, ma è vera. I vampiri possono cambiare la natura degli umani. Fanno parte di una cerchia ristretta, vengono definiti…-
-Sanguepuro- terminai con un sussurro
-Sì Yame, proprio loro- confermò il direttore, sospirando –Ma non ti devi preoccupare, Zero non è uno di loro, perciò non diventerai un vampiro Yuki- continuò con fare paterno
Guardai con apprensione Yuki: appena il direttore aveva finito di raccontarci cosa c’era dietro il passato di Zero, lei aveva abbassato lo sguardo, ostinandosi a guardare le mani frementi, come sconfitta dalla gravità dei fatti, impallidendo, mentre gli occhi le si erano fatti acquosi e le gote si erano arrossate. Doveva essere stato un duro colpo per lei, ancora più che per me, dato che ero già a conoscenza di quell’orrida diceria. Stava soffrendo molto, le si leggeva in faccia, e né io né il direttore sapevamo cosa fare per sollevarla da quello stato pietoso.
Avrei tanto voluto aiutarla, se solo non mi fossi ritrovata intrappolata nel suo stesso dannato stato confusionale.
Sentendosi evidentemente a disagio in quel clima infausto che si era creato, il direttore si congedò da noi pochi minuti dopo, lasciandoci sole nella piccola e fredda infermeria.
-Yame, ricordati l’addestramento di domani! Si comincerà alle sette della mattina, intesi?- cinguettò prima di andarsene, e dissi addio alla mia opportunità di riferirgli quanto accaduto con Kaname. Fu come rimanere con in mano una mela marcia.
Non saprei dire per quanto tempo restammo in silenzio in quella stanza, tentando di riassemblare i pezzi di un puzzle sconquassato; ma ricordo bene cosa accadde dopo.
-Yame…- mormorò Yuki, che ancora aveva lo sguardo basso
-Sì?- la spronai gentilmente
-Potrei… chiederti un favore?- chiese con voce flebile, colma di sconforto
-Spara pure!- risposi subito, sorridendole con fare materno, procurando un timido sorriso sulla bocca di lei, che poi scomparve nel giro di un secondo. Fece un profondo respiro, come per farsi coraggio a rivelarmi quello che stava per chiedere
-Se è così allora, ti chiedo per favore… prenditi cura di Zero- disse in un fiato, guardandomi dritta negli occhi con fare implorante –ti affido le sue cure- continuò, mentre gli occhi le incominciarono a inumidirsi. Il suo tono era incredibilmente deciso, ma ancora ostentava una nota di tristezza. La fissai stordita, come se avessi appena visto un Kaien felice gironzolare in mutande, con le guance improvvisamente arrossate.
-Yuki, non capisco, che intendi dire?- le chiesi confusa
Lei chinò la testa, e strinse gli occhi
-Zero è sempre stato un tipo taciturno e di poche parole, dai modi freddi, che raramente dimostra gesti di affetto a qualcuno. A prima vista, il suo volto sembra quasi una maschera: impassibile, priva di emozioni, e non esterna mai i suoi veri sentimenti. Ma io so quanto in fondo è sincero. So che si costringe a tenere il suo cuore in una fortezza di ghiaccio, dalla quale ha sempre cercato di tenermi fuori, per quanto abbia provato ad entrarvi. Mi sono sempre presa cura di lui, fin da quando, quattro anni fa, varcò la soglia della nostra casa. Ancora non riesco a comprendere per quale motivo ho deciso di farlo. Forse fu nel momento in cui i nostri sguardi si incrociarono per la prima volta, davanti a quella porta. Non avevo mai visto tanto odio negli occhi di un bambino, ma a vederlo sembrava così fragile che ebbi paura andasse in mille pezzi se l’avessi anche solo sfiorato. Ricordo che ebbi una tale premura verso di lui, della quale io stessa mi stupii. Credo che nacque da lì il desiderio di proteggerlo. Volevo riuscire a sciogliere quel ghiaccio dove si tiene imprigionato, per non farlo sentire solo, per fargli capire che, volente o no, gli sarei sempre stata accanto, a sostenerlo. Però, non appena credo di aver fatto un passo in più verso di lui, mi accorgo che, in realtà, ne ho fatto uno indietro. Ora lo capisco più che mai. Si è portato questo peso per quattro lunghi anni, si sarà sentito solo, impaurito, tormentato da una sofferenza così grande, e io cosa sono riuscita a fare? Niente, un bel niente!- urlò infine, sull’orlo delle lacrime –Stupido Zero! Perché decide sempre di fare tutto da solo?!- imprecò, stingendo la presa sulla gonna
-Yuki- la chiamai prendendole le mani –tu non hai alcuna colpa, non c’è bisogno di crogiolarti così- la rimproverai dolcemente, guardandola dritta negli occhi, che teneva ancora bassi –è stata una sua scelta- sentenziai
-E invece no Yame!- sbottò, liberandosi in modo brusco dalla mia presa. Mi scoccò un’occhiata arrabbiata –Mi ero promessa che avrei avuto cura di lui, e ho fallito! Nonostante tutto il tempo trascorso insieme, lui non si fida ancora di me, mi tiene lontana da lui! Ecco perchè ti sto chiedendo questo favore Yame! Sei l’unica persona che conosco in grado di farlo!- esclamò risoluta
In preda dall’incredulità, la fissai per un lungo momento, taciturna. I suoi grandi occhi marroni, così limpidi e sinceri, trasmettevano una grande determinazione, quella di chi è fermamente convinto delle sue scelte. Come poteva essere così sicura che ero io quella adatta a questa sua disperata richiesta d’affetto? Forse stava sbagliando persona. Io portavo solo sofferenza, disagi, per tutti coloro che mi si avvicinavano. Per questo non ho mai instaurato legami troppo forti. Anzi, non ne ho instaurati quasi per niente. Stava sbagliando decisamente persona.
-Perché? Perché io?- mormorai abbassando lo sguardo, malinconica –Come fai ad esserne così sicura?-
Notando il mio sconforto, stavolta fu lei a cercare di rincuorarmi con uno dei suoi dolci sorrisi
-Ne sono sicura perchè penso che voi vi possiate comprendere più di chiunque altro. Possedete un legame speciale, me lo sento- rispose sfregandosi gli occhi lucidi con il dorso della mano
Le rivolsi un sorriso beffardo, ridendo ironica davanti a quell’affermazione che, se fossimo stati in una favola, sarebbe stata più che perfetta.
-Chi sei per caso? Una sensitiva?- la sbeffeggiai bonaria
-No, ma diciamo che certe cose si possono indovinare facilmente, se si presta attenzione- disse in tono misterioso, sbocciando in un sorriso malizioso, privo di cattive intenzioni
-Ora facciamo pure gli Sherlock Holmes, eh?- scherzai scoccandole un’occhiata indispettita
-Non sarebbe male- commentò lei stando al gioco
A quel punto scoppiammo in una grossa risata, dimenticandoci per un attimo, anche se breve, la tensione ed i cattivi pensieri provocati dalla sorte avversa. Eravamo serene, mentre la testa si estasiava della sensazione di vuoto, del brio. Era come se nulla in realtà fosse accaduto: non ci trovavamo in un letto d’infermeria, ma sedute di fronte al tavolo della nostra camera; Zero non era un vampiro, ma un comune ragazzo della scuola del quale parlavamo spesso, perché infatuate; dei vampiri, non sapevamo neanche che esistessero, perché frequentavamo un comune liceo, dove eravamo capitate nella stessa classe; vivevamo con tranquillità, perché sapevamo di avere una famiglia che ci avrebbe dato aiuto e conforto quando ne avremmo avuto bisogno.
Sì, era una bella realtà, quella che la nostra fantasia accarezzò solo per un istante. Ma era un’illusione. Incantevole ed invitante, ma pur sempre un’illusione.
E, si sa, le illusioni purtroppo hanno vita breve.
-Allora, accetterai la richiesta di questa penosa ragazza?- chiese Yuki, sfregiandosi di un sorriso amaro, riportandoci così tra le spire dell’efferata realtà.
Non le risposi. Mi limitai ad alzarmi dalla branda, mentre lo scricchiolio della rete arrugginita attutiva l’echeggiare dei miei passi, e mi avvicinai cauta alla finestra, osservando assorta il paesaggio notturno, quasi come se ne fossi ipnotizzata. Regnava sovrano, il silenzio.
Quello che mi proponeva Yuki poteva essere la mia prima occasione di riscatto, una di quelle che tanto speravo di avere. Poteva essere l’inizio della mia scalata nel purgatorio. Ma ero lì, esitando a pochi centimetri da quel sottile e terso strato di vetro che mi separava dal mondo di fuori, quel mondo che pazientemente mi aspettava fuori da questo piccolo paradiso, pronto ad inghiottirmi con la stessa voracità di uno spaventoso buco nero. Temevo di non essere pronta, di finire per commettere un’altro tremendo sbaglio. L’ennesimo della mia vita.
Inoltre, stavamo parlando di Zero, non di un certo Lucignolo del paese dei balocchi.
Non biasimavo affatto la sua scelta. Dopotutto, fu la stessa che feci anche io, anni addietro, sebbene con qualche dettaglio di piccola rilevanza. Ora potevo comprendere per quale motivo Yuki non riusciva a capire: Zero spesso non esternava i suoi pensieri e le sue emozioni non perché non si fidasse di lei, ma piuttosto per proteggerla da sé stesso. Il massacro dei Kiryu lo aveva spinto a rinchiudersi in una fredda e spoglia prigione, a darsi in pasto al dolore e al rimpianto, pur di non condividerli con altri. La consapevolezza del suo divenire vampiro poi, doveva aver ancora più incupito la sua condizione. Se prima si crogiolava per non far soffrire altre persone per colpa di un suo misero momento di debolezza, ora lo faceva perchè si considerava lui stesso un flagello, una cosa che non avrebbe dovuto avere neanche il diritto di esistere, o peggio, di nascere. Così l’odio che provava per i vampiri, lo aveva portato ad odiare anche sé stesso. Proprio perché non voleva minacciare lo scorrere tranquillo della vita delle persone con la presenza di una creatura immonda quale si riteneva, che decise di allontanarsi dalla gente, evitando ogni contatto grazie all’aiuto di quella maschera d’indifferenza che sempre indossava, aspettando ansioso il momento in cui la sua amara e disonorevole esistenza avrebbe avuto incisa la parola “fine”.
Una mente semplice ed aperta, e forse anche un po’ ingenua, come quella di Yuki non avrebbe mai potuto afferrare tutto ciò, nemmeno con dei banali disegni. Però, era riuscita ad intuire una cosa importante: Zero si rifiutava di lottare, desiderava rimanere solo. Si stava arrendendo allo spietato destino.
Disgustoso destino che, prima o poi, si sarebbe dilettato nel trangugiarsi lentamente la sua anima, fino a che non si sarebbe portato via anche il suo ultimo soffio di vita.
Annegai lo sguardo nell’abisso celestiale, scivolando nelle tetre sfumature del cielo, incappando in una circonferenza perfetta, dotata di un magnifico candore e splendente quasi quanto il sole dorato. È di un fascino accecante, la luna. Così piccola a vederla, ma di una potenza straordinaria. Apparentemente succube della sconfinata oscurità del cielo e di quella immensa ed infinita del segreto aldilà, lei continua a splendere, opponendosi con tenacia alla morsa del buio; e più questo pare ingigantirsi fino ad inghiottirla, più il chiarore che lei emana si fa fulgido, quasi abbacinante. Si rifiuta di soccombere, e lotta fino allo stremo, avvolgendo ogni cosa con il suo niveo abbraccio di luce. In quel momento pensai che Zero forse avrebbe dovuto imparare da lei, da quel bellissimo astro, perché reagiva e basta, incurante delle sue dimensioni o della grandezza del suo oppositore. Era conscia di avere uno scopo, un posto in quel vasto ordine divino, e lo difendeva con tutto il suo splendore. Doveva capire che anche lui aveva uno scopo in questo dannato mondo, una ragione per esistere, non importava quale fosse. È su questo concetto che si fonda la nostra vita. Esistiamo per indagare sul motivo della nostra stessa nascita, per poi andare a scovare la nostra ragion d’essere, ciò cui siamo destinati, o cui vogliamo destinare. Anche gli assassini, o i ladri, possono avere uno scopo. Anche i vampiri. Facciamo tutti parte di un disegno completo, al quale non possiamo mancare, o nascondere. E se questo Zero non l’avesse compreso, allora me ne sarei occupata io, a farglielo entrare in testa. Ad ogni costo. L’avrei fatto per lui, e per Yuki. Compresi che era meglio agire e sbagliare, che starmene con le mani in mano mentre altri soffrivano sotto i miei stessi occhi. Meglio uno sbaglio da riscattare, che un rimpianto da compiangere.
Mi girai verso Yuki, che con paziente quiete aspettava il mio responso, seduta sulla branda. La vidi osservarmi con attenzione, mentre una piccola speranza scintillava vivida nelle sue pupille, colpita dai fasci della luna. Ricambiai l’occhiata con un’espressione dura, per poi sfoggiare la mia migliore aria di sfida, quella dove pensi di poter già assaporare il gusto dolce e intenso della vittoria, e le tesi la mano, forse troppo sicura di saper giocare bene le mie carte
-E va bene, ci sto!- ruggii, scatenando così la trascinante gioia di Yuki, che con un irruento scatto di reni si alzò dalla branda, saltandomi addosso per abbracciarmi, cogliendomi alla sprovvista.
Oramai non mi importava più nulla. Avevo un dovere al quale adempiere, una promessa da rispettare. Un patto per il bene di qualcuno; e niente mi avrebbe impedito dal farlo, né Kaname, né Rido. Nessuno. Potesse cascare il mondo.
Era arrivato il momento di rendere utile la mia miserabile vita. Era ora di ribadire il mio scopo.
Coraggio destino. Son pronta ad affrontare la tua tempesta.
ANGOLO AUTRICE
Uff, finalmente eccomi qua, con la sfacciataggine di presentarmi dopo questo clamoroso ritardo dalle dimensioni catastrofiche -.- scusatemi tanto, non so nemmeno io perché faccio ritardi di questa portata. Evidentemente…
Zero: sei tu che sei ritardata…
…. Ok, va bene, ha ragione lui ecco, contenti?!
Bene, ora sono molto stanca, perciò la chiudo qui. Spero tanto che abbiate la santa pazienza di perdonarmi… e di continuare a seguirmi... T.T
Al prossimo chappy… spero
Shiki: di certo, non ti seguiranno… dopo tutto questo…
Io: oh, Shiki, lasciami almeno qualche speranza!!! Non vedi già come sono afflitta??
Zero: pff
Io: e tu non ridere delle pene altrui!!!




 

 
  
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