Epilogo
Quanti anni erano passati?
Trenta? Forse di più quaranta. Come se lo ricordava bene quel giorno. Il giorno
della battaglia, Fiamma aveva fatto fuggire Arya e Roran. Galbatorix aveva
capito, ma non l’aveva uccisa. Probabilmente temeva qualche reazione sua.
Ora Murtagh stava seduto in
quelle stesse stanze, dove aveva passato la notte più lunga della sua vita. E
pensava, anzi stava rievocando i ricordi di ciò che era successo tempo prima,
in un certo senso per quanto Fiamma fosse stata impulsiva con il suo gesto, non
poteva fare altro che ringraziarla per quello che aveva fatto. Certo, se fosse
successo in qualsiasi altro contesto, che sua moglie, la sua adorata moglie,
avesse rischiato così la vita, per quanto giusta e sensata potesse essere la
causa, lui non avrebbe potuto fare altro che crogiolarsi nella tristezza per le
conseguenze, che ne sarebbero conseguite.
Quella volta, però, il suo
gesto non fu punito, Galbatorix aveva reagito subito, mobilitando il più in
fretta possibile l’esercito e dirigendosi verso il Surda, ma soprattutto aveva
rimandato ciò che avrebbe voluto fare quella notte. Eragon. Voleva lui, la sua
lealtà, ma lui non avrebbe mai acconsentito e questo Murtagh lo sapeva bene, gli esiti sarebbero
stati prevedibile e lui avrebbe dovuto assistere. Che cosa tremenda gli
sembrava ora! Paragonata al clima di pace e armonia in cui si viveva ad
Alagaesia in quegli ultimi anni.
“Pace e armonia”, ma a quale
prezzo? Un prezzo troppo alto forse, gli esiti della battaglia gli erano
sembrati sempre più terribile man mano che ci allontanava da quella data.
Probabilmente perché lì per lì l’entusiasmo della vittoria aveva ubriacato le
menti, evacuandole dallo scenario di morte e distruzione, che si era creato
alle porte di Lithgow.
Com’è che aveva detto Arya?
-Molti
sono morti, ma era un prezzo equo per le vite che abbiamo salvato.-
Gliel’aveva detto, anzi
l’aveva detto a Nasuada, poco dopo la morte di Galbatorix, quando la Regina dei
Varden guardava, avvilita, i morti sul campo di battaglia.
“Un prezzo equo”, alcuni
istanti e si sarebbe pentita di quell’affermazione. Lui dal canto suo non ne
aveva sofferto più di tanto, ma ora per questo si sentiva un mostro. Il lamento
straziato di quel drago. Come poteva pensare che fosse il suo drago. Anche Arya era rimasta sconvolta, per quanto poco fosse
stato equo quel prezzo.
Murtagh si guardò un attimo
scuotendo la testa per scacciare quell’immagine dal cervello e le immagini, che
sapeva sarebbero seguite. Alcuni anni fa per sentirsi meglio gli sarebbe
bastato ricordare la sua bravura in battaglia, com’era stato decisivo per
uccidere gli ultimi seguaci del “Re Tiranno”, dopo che, con la sua morte era
stato liberato dal giuramento che lo legava a lui. Ora non era più così, però,
non bastava pensare al suo coraggio per non sentirsi responsabile di ciò che
era successo, poco importava ormai spezzoni di quei giorni gli balenavano nella
mente e non aveva intenzioni di usare le sue energie per scacciarli.
-Sono
fuggiti! Sono fuggiti!- aveva detto un tale quel giorno. Era tarchiato e
portava dei baffetti sottili.
-No
non è possibile!- aveva esclamato un altro di slanciato, ma evidentemente goffo
nei movimenti -Come avrebbero potuto fare da soli?-
Accortosi
della mia presenza che incuriosita si avvicinava l’uomo abbassò la voce.
-Non
erano soli…- disse in un sussurro.
Anche
l’altro si era accorto di me e annuì al compare iniziando ad allontanarsi da
me, ormai la mia curiosità si era ingigantita, fino a diventare sospetto.
Loro
se n’erano accorti, ma facevano di tutto per non farsi sentire.
Sciocchi!
Eppure lo sanno che posso entrare nelle menti altrui!
Quello
tarchiato mi lanciò un ultima occhiata, poi tornò a rivolgersi al compagno -La
ragazza…- disse facendo un evidente cenno di capo verso di me.
Mi
ci volle qualche secondo per realizza, nel frattempo i due uomini se n’erano
andati.
Fiamma,
non poteva essere! Corsi immediatamente negli alloggi gi Galbatorix, lì avrei
avuto diversi notizie, anche confortanti se devo dirla tutta. Né Fiamma, né
Eragon sarebbero morti per il momento almeno…
Erano
stati giorni difficili quelli che sarebbero seguiti, dovevo organizzare
l’esercito mentre Galbatorix guardava altri suo uomini di fiducia che
preparavano strategie e dati sui Varden e il Surda. Avevo avuto dieci giorni
per organizzare le legioni, troppo pochi per avere un esercito di qualità, ma
troppi per evitare un qualche coinvolgimento degli elfi.
In
cuor mio speravo davvero che fossimo sconfitti, ma non osavo formulare quel
pensiero Galbatorix l’avrebbe saputo in un modo o nell’altro.
Scossi di nuovo
violentemente il capo per non rievocare quei giorni, orribili! Non potevo
vedere mia moglie o mio fratello e anche se Galbatorix mi aveva assicurato che
non era così, non potevo fare a meno di pensare che fossero morti. Ricordi
lontani, ma dolorosi. Evitai di infliggermi anche quell’agonia e passai alla
parte che un tempo mi avrebbe fatto sentire meglio, la battaglia.
Era
stato rincuorante sapere che Eragon non era stato ucciso e neanche Fiamma.
Galbatorix li aveva portati nel Surda con noi, temeva potessero scappare e non poteva lasciare nessuno ad
Uru’baen per sorvegliarli. Servivano tutti per quella grande battaglia
decisiva, dove per la prima volta sarebbe sceso in campo anche il “Re Tiranno”.
C’erano
anche Speranza e Saphira costretti a subire, di buon grado, l’umiliazione di
vedersi controllati da dei rozzi soldati, se si fossero ribellati sapevano che
i rispettivi Cavalieri sarebbero morti.
Riflettendoci bene anche
quello non era un bel ricordo, suo fratello drogato, con catene ai polsi e alle
caviglie che lo guardava come se fosse il peggior criminale al mondo.
Di
lì a poco ecco arrivare la luce, o meglio. La luce vera e propria era sparita,
ma era arrivata la sua luce personale. Erano nei pressi si Lithgow ed ecco
spuntare l’esercito dei Varden e del Surda.
C’erano
umani e nani, ma anche qualche urgalo, quelli che non erano più sotto
l’influenza di Galbatorix.
Insieme
a quella luce momentanea, però, sentiva anche una morsa di tristezza prendergli
lo stomaco. Non erano molti, probabilmente erano più freschi, ma contro di loro
non avevano possibilità. Due Cavalieri, esperti per di più, contro uno, un
novizio. Si rallegrò un po’ nel non vedere gli elfi, magari dovevano arrivare
di lì a poco, si pentì quasi subito di quel pensiero, però, Galbatorix lo
fissava accigliato. Doveva controllarsi meglio!
La
battaglia, come aveva previsto era stata tutto un programma. I loro avversari
non potevano competere e presto avrebbero dovuto cedere, ma la sua mente non
era lì. Pensava a suo fratello e a Fiamma erano rimasti, attorniati da una
piccola legione sulle retrovie, a quale scopo quella manciata di uomini poi?
Anche se si fossero liberati o se qualcuno li avesse liberati cosa sarebbe
cambiato.
Inorridiva
al pensiero, avrebbe dovuto scontrarsi con sua moglie e suo fratello, con la
donna che amava e il suo sangue. Ogni tanto lanciava qualche occhiata a Fiamma,
lo guardava muovendo impercettibilmente le labbra. Chi sa cosa stesse dicendo?
Che lo amava? Di stare attento? Chiedeva forse perdono? O stava semplicemente
cercando di ricordare qualche termine
dell’antica lingua che la togliesse da quella situazione? Non lo avrebbe mai
saputo, non glielo aveva voluto chiedere, il suo corpo si rifiutava di
percepire anche il più piccolo segno di disgusto in quel volto gentile. Come
doveva essergli sembrato in quel momento. Mentre ordinava a Castigo di bruciare
frotte di contadini indifesi…
Anche
Roran, però, si dava da fare, non aveva attaccato ancora lui o Galbatorix
direttamente, evidentemente si rendeva conto che la sua vita sarebbe stato un
sacrificio inutile.
Sorrise prima che anche
quest’altro ricordo gli invadesse la mente.
Qualcosa
li attaccava alle spalle: gli elfi. Davanti a loro c’era Arya, non sembrava in
gran forma, tuttavia, come del resto anche il resto degli elfi. Probabilmente
erano arrivati da Ellesmera e avevano attraversato di corsa il deserto
dell’Handarac. Il loro intervento non sarebbe stato decisivo anche se, come
fecero, avessero liberato Eragon e Fiamma. Sfiniti anche loro e intontiti dalla droga.
Ciò
nonostante quel loro intervento fu decisivo.
Avevano
risollevato il morale dell’esercito dei Varden, ma anche i componenti delle
fila di Galbatorix, soprattutto i contadini e gli uomini strappati alle loro
famiglie per una sanguinosa, quanto ingiusta, causa che non li riguardava, si
ribellarono e gli si ritorsero contro.
Nel
vedere ciò Murtagh fu preso dal panico. Fiamma e Eragon venivano verso di loro.
Non sapeva che fare. Eragon si diresse verso Galbatorix e Fiamma verso di lui,
stava piangendo. E fuggii.
Nel
farlo vide Roran che andava ad aiutare Eragon. Intanto sotto di loro qualcosa
era cambiato. Stavano perdendo. Un ondata di rabbia lo avvolse. Murtagh si
chiede ancora oggi quali siano stati i fondamenti del suo gesto, non aveva
smesso di planare verso le ultime file dell’esercito del Surda, avrebbe potuto
scappare come era sua intenzione all’inizio, ma non era più in lui. Iniziò ad
attaccare quella parte dell’esercito. Poveri e indifesi. Cosa potevano fare
contro un drago e il suo Cavaliere? L’aria era diventata satura di fumo e…
urla. Una piana di morti carbonizzati.
Murtagh sei sicuro?
Così
gli aveva detto Castigo, neanche lo stette a sentire continuò nel suo folle
gesto, poi arrivò qualcosa da dietro che lo fece cadere dal dorso del suo
drago. Si ritrovò a rotolare su quella piana di morte che aveva creato sopra di
lui c’era Fiamma. I capelli bagnati, il viso rigato di lacrime, gli diede un
pugno con quanta più forza aveva.
-Smettila!-
urlò.
Lì
nessuno li avrebbe sentiti, la battaglia era più avanti intorno a lui c’erano
solo cadaveri…
Murtagh
la guardò mesto -Lo sai che non posso.-
-Provaci.-
la sua voce era implorante.
-Non
posso- ripeté -Ora spostati- disse lui dandole ano strattone.
Aveva
smesso di piangere -Murtagh… non posso neanche io…-
Lui
si girò curioso.
-Neanche
io posso lasciartelo fare-
Un
brivido lungo la schiena. Ecco cosa lo percorse quando vide le mani della
ragazza stringersi alla sua spada.
-Non
farlo, Fiamma- ora era lui ad implorare -Se mi attacchi, dovrò reagire, ho
giurato di difendermi…-
Fiamma
sorrise malinconica -Allora reagisci, non sono in grado di guardare mentre
uccidi quelle persone… queste persone- disse indicando il cumolo di salme
attorno a loro.
La
sua stretta di fece più decisa.
-Ti
prego…-
Stava
quasi per estrarre l’oggetto dalla federa -No, Murtagh è troppo tardi.-
In
un attimo si era già avventata su di lui, conscia che per quanto poteva,
avrebbe cercato di non farle del male.
Infatti,
schivava i suoi colpi più che cercare di attaccarla. Anche se il patto che
aveva fatto lo reclama.
Sentiva
la voce di Galbatorix nella testa.
-Giura che tenterai di
eliminare, chiunque ti attacchi.-
-Lo giuro.-
Sembrava
che avesse previsto quella situazione, così sollevò Fiamma di peso e lo lanciò
lontano, sperava che fosse sufficiente, intento osservava i draghi sopra di
loro. Lottavano anche loro, forse un po’ troppo affettuosamente. Stava per
chiamare Castigo quando Fiamma lo attaccò da dietro. Sperava che non lo
facesse, ma la conosceva troppo bene,
non si sarebbe arresa così. Fu un attimo contrastò il suo attacco con la spada
facendole volere quest’ultima dalle mani e senza pensare che si trattava di sua
moglie. Le puntò l’arma al collo. Lei la prese tra le mani. Piangeva di nuovo,
quanto avrebbe voluto non doverlo fare, ma c’era il patto. Quello stupido
patto!
Non
spingeva la spada con tutta la sua forza, ma la spingeva contro quel bellissimo
collo, lei, lo vedeva stava per cedere, forse non era destino. Ma allora perché
doveva morire lei? Perché non lui? Era lui che non la meritava? Aveva cercato
di adattarsi al suo mondo, ma non ce l’aveva fatta. Lei era buona…
Intanto
vedeva dalle sue mani scendere dei rigagnoli di sangue, stava per cedere povera
piccola, mentre quella forza invisibile lo spingeva a continuare, ma quale
forza invisibile. Il patto non poteva obbligarlo a fare qualcosa. Non poteva,
ma allora perché? Perché continuava ad insistere? Certo se avesse mollato
sarebbe morto, ma sempre meglio lui, che lei. Se n’era accorto troppo tardi,
però.
D’un
tratto, non seppe mai se aveva avvertito che era libero o se infondo non era
troppo tardi, mollò la spada. E libero lo era davvero.
Sentiva
le urla di gioia, e di nuovo, senza pensare prese Fiamma per mano e corsero
verso il campo di battaglia. Nell’aria il lamento straziante di un drago, fu
allora che la vide la testa di
Galbatorix giaceva a terra separata dal corpo. Il suo drago stava morendo. Un
altro lamento, però, sopraggiunse poco dopo. E un altro corpo cadde a terra,
senza vita. Roran.
Murtagh si passò le mani
sulla faccia. Quel povero ragazzo! Suo cugino per giunta! E lui non aveva
provato pietà, forse solo un briciolo, per lui. La sua ragazza, Katrina, era
anche incinta. Avrebbe partorito due gemelli ad Aberon pochi giorni prima della
battaglia. Tutti pensavano che sarebbe morta dal dolore, ma, invece, non
successe Katrina era forte.
Dopo aver appreso la notizia
fu invitata a partecipare al Congresso che si tenne ad Aberon per riorganizzare
i territori. Ai nani furono dati i Monti Beor e i territori adiacenti al lago
Eldor fino a Ceris, quelle città erano state, però, a lungo abitate dai Varden
così si stabilì, che chi voleva poteva rimanere, Nasuada ogni tanto tornava per
controllare come stessero i suoi sudditi, anche se dopo poco tutti se ne
andarono e si trasferirono nell’ex regno di Galbatorix. Nasuada così ebbe le
isole, lei fu accondiscendente anche se, ormai, non vedeva più la necessità di
restare Regina. Il popolo, invece, acclamava Eragon come futuro Re, lui li
ignorò e con Katrina, Arya e i bambini se ne andò, oltre l’oceano, nelle
vecchie terre dei Cavalieri dei Draghi. Gli elfi restarono dov’erano. Per
quanto riguarda Alagaesia, dopo che Eragon ebbe rifiutato il titolo di Re passò
a Murtagh e anche se il popolo non lo accettò subito divenne lui Re.
Già Re, ne era stato felice,
una volta che tutti l’avevano riconosciuto come tale. In fondo aveva avuto fin
troppa fortuna, durante la battaglia era schierato con l’esercito di Galbatorix,
ma la gente dimentica; forse troppo in fretta.
E fiducioso di ciò si
diresse a letto, fiducioso di accantonare in angolo, per un’altra notte, quella
brutta vicenda del suo passato. Il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi
andò a quei poveri ragazzi, ormai uomini, senza padre e che un tempo non aveva
compatito.
Garrow e Roran.