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Autore: d r e e m    01/07/2013    6 recensioni
E’ il silenzio l’unico sovrano di casa Salvatore. Unica regola: non menzionare mai ciò che è successo undici anni prima, soprattutto in sua presenza. Una storia di legami ritrovati, di ricordi amari pronti a ricomparire, di amicizie fraterne, di ferite ancora aperte, di amori pronti a tutto. Anche se urla si levano nel cuore della notte, sangue macchia le pareti delle stanze, fantasmi del passato ritornano alla luce, nessun problema: stanno bene, sono tutti felici.
Dal Prologo:
«Tu menti!» gridò e affondò le unghie sul collo della vampira che un tempo aveva amato con l’intento di farla tacere per sempre.
«So il nome-» gracchiò con quel filo di voce che le rimaneva «- so il nome della bambina».
Quelle parole scossero Stefan che lasciò subito la presa.
«Caroline, Caroline Forbes»

Dal capitolo 14:
C’era una strana sensazione che gli pervadeva il corpo - e non era solo nel sogno.
Il terreno sembrava trasudare quel siero, imbrattando di rosso tutto ciò che incontrava.
C’era un pregnante odore di ruggine tra le pareti di casa Salvatore, sui vestiti candidi di Stefan.
C’era del sangue sul collo niveo di Caroline, tanto sangue sulle labbra a mezza luna di una Katherine moderna.
E poi c’era il mostro e con esso anche la fame – di lei.
Genere: Mistero, Sovrannaturale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Katherine Pierce, Stefan Salvatore
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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Riassunto dei capitoli precedenti:
Caroline, ragazza di Mystic Falls dal passato apparentemente semplice, è affetta da una strana sindrome davvero insolita per un neovampiro come lei: ha la fobia del sangue. Questa paura dipendeva da un episodio infantile: all’età di circa sei anni Caroline era stata rapita per capriccio di un essere mostruoso e aveva trascorso più di nove settimane rinchiusa in una cantina buia e sporca dove alle continue e terrificanti visite del mostro, durante le quali si nutriva di lei schizzandola di sangue, si alternavano le visite di un volto amico che la coccolava e la rassicurava. A più di dieci anni dall’accaduto Care si ritrova trasformata in vampiro e Katherine la conduce alla pensione Salvatore affidandole alle cure di Stefan. Ma Caroline non sa, Caroline non ricorda: quello è proprio il suo aguzzino nonché mostro della sua terribile infanzia. Stefan dal canto suo non sa come rimediare per quel terribile misfatto, tanto che pensava addirittura che la bambina fosse morta, ma adesso non ha alcuna intenzione di fare del male a Caroline, con la paura però che lei possa ricordare qualcosa. A compromettere la loro convivenza vi è il ritorno di Damon il quale sapendo il segreto del fratello accondiscende a stare zitto impegnandosi anche lui alla salvaguardia della vampira a dir poco malata. Caroline infatti è affetta da crisi, momenti di panico, perde il controllo e distrugge ciò che trova alla semplice vista del sangue; è gracile perché il suo corpo si rifiuta di assumerlo. Ogni giorno di quei sei mesi di convivenza con i due Salvatore, Caroline aveva incominciato a ricordare qualcosa, tassello dopo tassello, allarmando i due vampiri. L’arrivo di Katherine complica la situazione visto che Caroline lega uno stretto rapporto con lei, fidandosi ciecamente. Alla pensione giunge anche Lexi, amica di Stefan, e cerca di metterla in guardia nei confronti del suo passato e della paura incondizionabile che le genera. C’è una porta. La cantina. Caroline non sa perché ma sente che vi sia rinchiuso qualcosa dentro. Una bestia. Un mostro. E così scopre il suo passato, ricorda la cella e il luogo, rivede il volto del suo aguzzino e rivede Stefan. Tra i due scoppia una profonda lite che porta anche allo sfaldamento del rapporto tra i due fratelli. Dopo una breve battaglia Damon decide di andarsene ma, fermato da Caroline segretamente innamorata di lui, alla fine è Stefan ad andarsene, lasciando la pensione. Il crimine è stato scoperto ma non è finita. Il mostro è ancora dentro casa pronto a escogitare la prossima mossa del piano per sbarazzarsi della vampira. Katherine dopo aver sedotto Damon lo convince che la soluzione migliore sia uccidere la vampira. Così armato di paletto entra in camera di Caroline, la quale viene prontamente salvata dall’intervento di Lexie che muore sul colpo. A Caroline non resta altro che scappare.

15. Tana

 

«Bambolina, dove sei?»
Con queste parole Damon si aggirava per la casa deserta da più di un quarto d’ora e ogni scricchiolio di scarponcino era una nuova goccia di sudore freddo che imperlava la fronte di una Caroline quasi inesistente e terribilmente silenziosa.
Che si fosse tramutata in aria o che fosse diventata invisibile erano due ipotesi che il cervello del vampiro avevano rifiutato sin dal principio eppure ad ogni nuovo nascondiglio sventato e trovato vuoto, quelle due ipotesi tornavano prepotentemente a bussare all’uscio della mente del Salvatore.
«Conto fino a cinquanta - ma tanto so che ci sei» proruppe esasperato il giovane Salvatore, ma l’unico risultato fu il ripercuotersi delle sue parole sulle pareti inanellate di crepe della pensione.
Damon odiava giocare a nascondino. Non che odiasse di per se il gioco, anzi i ricordi più felici legati alla sua infanzia erano proprio le ore trascorse nel giardino paterno con il fratello a rincorrersi e a cercarsi a vicenda, ciò che lo tediava era quella ricerca assurda e abnorme che lo strascicava avanti e indietro da almeno due ore lungo tutto il corridoio che si snodava al primo piano della casa.
Aveva cercato sotto i divani incrostati di muffa e sudiciume, aveva scosto i vestiti tra le ante degli armadi, aveva aperto ogni sorta di botola arrotolando accuratamente tappeti variopinti, ma ad ogni tentativo arricciava il naso e assottigliava gli occhi.
Come avrebbe voluto che Caroline avesse quel minimo di ingenuità! Così come l’aveva il fratello il quale, nei lunghi pomeriggi assolati del diciannovesimo secolo, non aveva mai vinto una partita di nascondino: eppure si intrufolava ben bene, si ricopriva con foglie o si arrampicava sugli alberi, eppure gli occhi del Salvatore dai ciuffi corvini ribelli lo acciuffavano subito e indugiavano sul da farsi, se finire presto quella sceneggiata o continuare a giocare, facendo finta di non scorgerlo, bighellonando sotto le fronde delle querce e dei faggi.
Forse anche Caroline avrebbe fatto così, si sarebbe nascosta, accucciandosi con le ginocchia contro il petto, nei luoghi più disparati ma che i fratelli Salvatore sarebbero riusciti a trovare perché la conoscevano fin troppo bene.
Ma in casa Salvatore non si giocava a nascondino, se ci si nasconde da qualcosa è perché non si vuol essere trovati.
E per Caroline quel nascondiglio era la garanzia per la sua sopravvivenza.
«Mi sembra quasi impossibile che una bambinetta del genere ti sia sfuggita da sotto il naso» si sbilanciò la vampira mora e con quelle parole provenienti tra il diciannovesimo e il ventesimo scalino, annunciò la sua presenza attorcigliando attorno all’indice una ciocca di capelli, quasi come se quella fosse il filo di un telefono degli anni ‘Ottanta. Il ricordo di quel buffo particolare la fece sorridere di gusto e data un’occhiata fugace al ricciolo del tutto privo di doppie punte, tornò ad occuparsi di una faccenda alquanto più importante, sfregando con il polpastrello il pomello di legno con cui terminava il passamano della sontuosa scala, così come sfregava con gli occhi la figura del Salvatore a pochi passi da lei.
Damon roteò gli occhi visibilmente stanchi e scostò per l’ennesima volta la tenda giallo ocra facendo passare tra le dita il tessuto ruvido del lino lavorato. Niente, neanche lì.
Kate arricciò il naso solleticato da una nota di divertimento che derivava dal continuo cercare del Salvatore che a intervalli regolari continuava a rovistare sempre negli stessi nascondigli, come se solo cinquantotto minuti prima non avesse adocchiato un particolare importante, come se Caroline fosse lì nascosta e lui non l’avesse vista.
«Evidentemente qui non c’è» costatò la vampira indicando con l’indice l’ennesima stanza che Damon stava mettendo a soqquadro.
Il Salvatore chiuse gli occhi tanto da far unire le sopracciglia e si portò l’indice e il pollice della mano destra tra le due palpebre serrate, quasi per frenare l’impeto di friggere la vampira nell’olio bollente e per riacquistare quella lucidità mentale che – sapeva bene – tra meno di dieci minuti si sarebbe esaurita.
Emise uno sbuffo seccato e si rivolse alla vampira, assumendo un’espressione ironica e aprendo il palmo della mano come se stesse contando qualcosa.
«Ho cercato giù in cantina, tra le celle, in ogni singolo angolo della cucina, in salone, dentro la canna fumaria del camino, in garage, in bagno, in ogni camera di questa casa; a meno che non sia diventata la donna invisibile, dove potrebbe essere?» chiese sarcastico socchiudendo gli occhi, enumerando tutti i potenziali nascondigli, per poi dipingersi in viso un’aria interrogativa aspettando che la lampadina della vampira di fronte a lui si illuminasse perché la sua si era quasi sicuramente fulminata.
Damon venne investito da un’occhiata omicida proveniente direttamente dagli occhi della vampira la quale però dopo pochi secondi si illuminò.
«Questa pensione è provvista di porte e finestre, mai pensato che Pollyanna potesse fuggire?» domandò la vampira dall’aria di chi la sapeva fin troppo lunga e si precipitò giù per le scale seguendo il Salvatore al pari della sua ombra, non volendo perdersi per nulla al mondo l’espressione avvilita del vampiro quando il suo cervello avesse assimilato l’ipotesi da lei appena proposta.
Ma con sua grande sorpresa sulle labbra di Damon era sbocciato un sorriso malinconico e quasi antico, mentre apriva le ante della credenza della cucina martoriata, agguantando una tazza beccata.
«Pollyanna può essere frivola, superficiale, a volte impulsiva, ma non stupida: le avevamo severamente vietato di uscire fuori da sola e per di più nella sua città, per quanto impaurita potesse essere non ci avrebbe mai disobbedito, ne va della sua stessa vita» puntualizzò il Salvatore trangugiando quel caffè amaro e freddo di un giorno e rigettandolo senza alcun contegno sul pavimento scheggiato, brontolando qualcosa che la vampira si arrese a non capire.
L’amaro in bocca fece ricordare a Damon di Lexie, la quale stava adagiata morta sulla dura pietra di una delle tante celle della cantina. Al Salvatore quel sapore acre e freddo sembrava essere uno dei tanti rimproveri rivolti dalla vampira bionda. Era come se la sentisse quella sua voce antipatica e ridondante: già che ci sei perché non le fai scegliere il colore della lapide?
«Come se non stessimo cercando di ucciderla!» sbottò Katherine eliminando dalla maglietta i residui di caffè che Damon le aveva letteralmente sputato addosso.
Il vampiro scoccò la lingua intorpidita, alzò un sopracciglio scettico e rimuginò sopra la costatazione di Kate: in effetti loro stavano certamente cercando di ucciderla e per di più per un motivo che, ora che Damon ci pensava bene, era totalmente campato in aria.
Il Salvatore alzò lo sguardo sulle crepe e un cruccio gli sopravvenne in testa.
«Katherine, potresti avere la grazia di informarmi circa le motivazioni che ci hanno spinto a demolire – e sottolineo la parola demolire – casa mia?” si rivolse alla vampira visto che per almeno tre quarti la colpa era la sua.
Kate alzò lo sguardo al soffitto e i suoi occhi si soffermarono su certe impronte tra le assi di legno, opera sicuramente non di semplici topi.
«Perché in casa avete accolto una vampira pazza e squilibrata che al momento opportuno perderà la testa e ci ritroveremo tutti con un’assassina in circolazione. Devo anche ricordarti che la colpa è di tuo fratello o quel particolare te lo ricordi?» blaterò artigliandosi i fianchi.
A Damon quella situazione puzzava e non era solo il tanfo che si era venuto a creare in cucina di sangue rappreso, polvere e caffè bruciato: era che Caroline per quanto insana di mente potesse essere non era così grave da attentare alle loro vite.
«E perché ti sta tanto a cuore questa situazione che riguarda me e mio fratello?» domandò sventolando l’indice evitando di indicarla direttamente.
Katherine inghiottì il groppo di stizza che le si era formato in fondo alla gola, temendo che Damon avesse potuto intuire qualcosa circa le sue reali intenzioni.
«E tu perché fai tutte queste domande? Sbaglio o sembra che non vuoi più ucciderla?» rincarò la dose e avendo agguantato uno strofinaccio a scacchi per ripulirsi le dita, lo sventolò davanti al naso del vampiro dagli occhi blu, quasi come se fosse un guanto di sfida.
«Touche» ammise di controvoglia Damon il quale era sempre più propenso a credere che l’idea – o meglio il piano – che fino a quel momento aveva perseguito era assolutamente da cambiare.
Kate sorrise di rimando e, direttasi verso l’androne della pensione, armeggiò contro una cassetta in legno dentro la quale ticchettò un paio di mazzi di chiavi dalla fattura lucente e argentea.
«Cerca meglio in garage, io salgo al piano di sopra»
Gli occhi di Katherine si affusolarono pronti a cogliere una qualsiasi impercettibile indecisione da parte del Salvatore contando le finissime goccioline di sudore che si andavano addensando nella cavità del collo ricoperto leggermente di peluria.
Ad un’occhiata la vampira lanciò le chiavi che Damon prese al volo.
«Ricevuto, miss Katherine» brontolò il Salvatore rigirandosi tra le mani le chiavi leggere, pur avendo in mente tutt’altro da fare che continuare a dar la caccia alla povera Caroline.
La vampira riccioluta tese ogni singolo centimetro di fibra muscolare finché non udì la porta richiudersi alle spalle del maggiore dei Salvatore che – lei sapeva già – non sarebbe stato più suo alleato.
Contrariamente a ciò che avrebbe mai sognato di fare, Damon era arrivato alla conclusione che quello fosse  il momento più adatto per attuare il piano Salvatore che consisteva, come prima fase del piano, il ritrovo di suo fratello.

 
Bill Cleverstone, 1847 - 1898
Erano queste le parole incise sulla grossolana pietra sepolcrale che giaceva simile alle altre nel cimitero di Mystic Falls.
Stefan spolverò la dicitura in basso rilievo per poi scontrare una mano all’altra per eliminare i residui di terriccio e polvere dalle sue dita.
A differenza del fratello, il quale non vi si recava quasi mai, al minore dei Salvatore era sempre piaciuto gironzolare per il camposanto, sin dai tempi quando, accompagnato dall’arcigno padre o in compagnia della balia, andava a far visita alla madre defunta. Lo attiravano soprattutto quei nomi e le date incise sul marmo che nascondevano chissà quali storie e quali famiglie, i visi paffuti degli angeli dai riccioli ben marcati o i fiori scolpiti e così realistici da sembrare imbalsamati.
Ma quello era un tempo ormai fin troppo lontano.
Per Stefan recarsi al cimitero nel ventunesimo secolo era sinonimo di ricordi e di rimorsi, della consapevolezza che poteva – doveva – esserci anche lui tra quelle tombe, tra i compagni del suo secolo.
Il Salvatore si rizzò in piedi facendo leva sulle ginocchia e dopo aver dato un fugace sguardo alla tomba che conteneva l’ennesimo conoscente dei secoli passati, affondò le mani nelle tasche dei jeans facendo scricchiolare i suoi scarponcini sul selciato rovente del cimitero.
Paradossalmente a ciò che aveva temuto, nulla si era mosso dal fronte Caroline e, benché avesse la netta sensazione che prima o poi avrebbe ricevuto qualche malcapitata notizia dalla sua amica Lexie, era più che deciso di non mettere più piede alla pensione almeno per i prossimi cinquant’anni, ne andava della vita della sua Care.
Stefan aggrottò la fronte arrestando il suo strascichio lento e continuo dei suoi passi alla vista di un ragazzo del suo stesso istituto.
Non che Stefan fosse propriamente stupito dell’incontro con quel ragazzo giacché aveva avuto modo di incontrarlo in diversi luoghi lì a Mystic Falls; ciò che più lo stupiva era sorprenderlo di fronte a quella che ad occhio e croce doveva essere la tomba di Caroline.
«Ciao» salutò il ragazzo dai capelli scuri e ispidi così come gli occhi non appena si accorse del Salvatore il quale gentilmente rispose al saluto sentendosi impacciato per la prima volta in centosessantaquattro anni.
«Devi essere Stefan Salvatore, del terzo anno, dico bene?» chiese il ragazzo affondando le mani dentro le tasche della giacca di pelle nera.
Il vampiro dagli occhi verdi annuì e la lingua limò il suo interno guancia quasi come a manifestare il suo lento frugare tra le scartoffie della sua mente alla ricerca di un’identità che Stefan conosceva fin troppo bene.
«Esatto. E tu devi essere Tyler Lockwood del quinto anno, il figlio del sindaco, dico bene?» lo scimmiottò lievemente e Tyler si aprì in un sorriso a trentadue denti che in realtà era carico di amarezza e irritazione.
Stefan conosceva i Lockwood del diciannovesimo secolo e il loro temperamento irruento, per cui era più che convinto che non dovevano essere cambiati di molto.
Il Salvatore affilò lo sguardo per un momento per poi posarlo sulla lapide.

Caroline Forbes, 1994 - 2011
«La ragazza morta quest’estate. La conoscevi?» chiese Stefan giocherellando con la cerniera del suo giubbotto, gli occhi fissi su Tyler.
Il ragazzo tirò un sospiro amaro e Stefan irrigidì la mascella, sentendosi ingiustamente responsabile per l’accaduto.
«Si. Ero con lei e il suo ragazzo quando ha avuto l’incidente. Guidavo io. Stavamo tornando da una festa e non so cosa sia potuto accadere ma ho perso il controllo dell’auto. Quando mi sono svegliato mi sono ritrovato soltanto un taglio alla tempia. Lei, un trauma cranico».
Si umettò le labbra non distogliendo lo sguardo dalla terra umida come se lì distesa vi fosse Caroline, con lo sguardo attento e un po’ corrucciato. Ma Stefan sapeva che la sua Care non si trovava lì sottoterra: era nella sua stanza alla pensione Salvatore, servita e riverita, con un peso in meno dal cuore ora che il mostro finalmente era uscito dalla sua vita.
Poi riprese.
«I medici sostenevano che non ce l’avrebbe fatta, che il trauma era stato troppo forte e che poteva compromettere alcune funzioni. Sapevamo del rapimento di Caroline da bambina e anche delle sue fobie che nel tempo si erano affievolite, eravamo pronti ad accettarle e a debellarle qualora si fossero ripresentate. Invece no, Caroline il giorno dopo si svegliò con il sorriso raggiante, borbottando di aver fame, spulciando le riviste di moda che io e il suo ragazzo le procuravamo. Sembrava andare tutto per il meglio quando-»
La sua voce si smorzò e digrignò i denti con gli occhi inondati di lacrime represse e di cui – il Salvatore pensò – solo la lapide ne era a conoscenza.
Stefan deglutì in attesa del seguito di quella storia.
«Quando l’infermiera ci informò che era morta nel sonno e che non avevano potuto far niente per lei. Nessuno la vide più o almeno io non la vidi più. Era come se qualcosa mi proibisse di guardarla per un’ultima volta»
Il Salvatore riassestò col piede un ramoscello che contorcendosi stava arrampicandosi su per la pietra.
Non che non fosse evidente che Tyler - così come i restanti amici di Caroline presenti in ospedale – fosse stato soggiogato, ciò che più crucciava la mente del giovane Salvatore è quale vampiro sano di mente avrebbe voluto trasformare un’umana per suo capriccio.
In realtà di vampiri capricciosi ce n’erano parecchi e lui guarda caso ne conosceva proprio uno.
«Il fatto è che quella stessa notte io l’ho vista, era viva-» sbottò il ragazzo rivolgendo i suoi occhi grandi contro uno Stefan alquanto scosso dal racconto ma al contempo curioso di sapere quel dettaglio, forse vitale per raccapezzarsi in quella storia.
«-ed era con tuo fratello»
 

 

Caroline strizzò gli occhi e sperò con tutto il cuore che il ragno avvinghiatosi ai suoi capelli fosse scivolato via e l’avesse lasciata in pace.
La soffitta Salvatore non era di certo il sinonimo della pulizia ma era il miglior luogo per nascondersi quando non si voleva essere trovati.
A Care ricordava tanto la soffitta nella vecchia casa di nonna Forbes, quando, lasciando in casa le urla di mamma e papà e i piatti rotti, si arrampicava sulla scala a chiocciola con la gonna che le si arrotolava tutta. Stava lì in mezzo a due o tre cappelli fuori moda, fotografie impolverate e vecchi gatti impagliati che con i loro occhi vuoti le facevano rizzare le codine bionde.
La vampira si osservò la ciabattina superstite con cui era scappata dalla sua stanza, l’altra sua omologa sarà andata perduta durante la fuga. Si sgranchì le dita dei piedi facendo ondeggiare le righe verdi e azzurre della calza destra ricoperta di fuliggine e sporcizia.
A quella vista la bionda si intristì all’improvviso: la consapevolezza che Damon, il ragazzo che aveva amato e che adesso considerava quasi come un fratello, volesse ucciderla le faceva decisamente male.
Aveva ancora riflessa negli occhi verdi la morte di Lexie, il tonfo sordo del suo corpo ormai vuoto. Era la prima volta che vedeva qualcuno morire, umano o vampiro che fosse, e ora poteva pure giurarlo: era uno spettacolo semplicemente orrendo.

Come se non stessimo cercando di ucciderla! La voce leggermente stizzita della sua amica vampira dai riccioli castani solleticò le sue orecchie già particolarmente sensibili nell’udire ogni qual tipo di rumore sospetto.
Le labbra screpolate le si tesero impercettibilmente impedendo ai canini di fuoriuscire dalle gengive estremamente rigonfie e si accorse di tale reazione solo quando i denti le maciullarono parte del labbro inferiore, quando il sapore del suo sangue le incrostò le papille gustative.
La bionda ebbe subito un motivo di ribrezzo che le fece accapponare la pelle delle braccia sotto la sottile maglia di cotone.
Caroline non aveva mai provato l’ebbrezza della caccia, il macabro rumore di una carotide pulsante pronta per essere dilaniata dai suoi denti: all’infuori dell’infausto incontro ravvicinato con Matt, non aveva mai divorato nessuno, o almeno che lei ricordasse.
Era la rabbia non la sete che le innestava quelle reazioni inattese, come un effetto domino che perduta la lucidità era tutto un susseguirsi di gesti automatici e incontrollati, visti e imitati da chissà quale genere di mostro e che lei ripeteva con minuziosa attenzione nei dettagli.
Era la rabbia che adesso le ribolliva nelle vene ma, per quanto fosse incandescente, la paura spargeva acqua sul fuoco, rilassava i muscoli, ritirava gli artigli. Dopotutto codarda c’era sempre stata anche d’umana.
Caroline protese il busto in avanti e accostò l’orecchio all’asse malconcia del pavimento butterato e divorato dalle termiti. Non che ne avesse realmente motivo date le sue capacità sopraffine, ma era un’abitudine alla quale faticava rinunciare.

Devo anche ricordarti che la colpa è di tuo fratello o quel particolare te lo ricordi? Katherine rispose a quella che la bionda percepì come una domanda alla quale non aveva prestato attenzione e si infuriò contro se stessa per non aver origliato per bene. Ma l’argomento Caroline, sebbene non avesse udito il resto della conversazione, l’aveva indovinato già da tempo e il solo ritorno di quella sensazione le provocò un rigurgito di sangue che le impiastricciò la bocca di bile amara e sangue putrefatto.
Era più che logico che si trattasse di Stefan e del suo inconfessabile misfatto per cui Care continuava a sentire bruciare i morsi e le cicatrici come se fossero stati inferti sul momento. Ciò di cui non riusciva a maturare la completa accettazione era l’idea che avesse realmente intenzione di farle del male. Per quanto le loro menti fossero realmente affette da chissà quale pazzia interiore, non erano poi così malvagie da garantire la morte dell’altro.
Non come la mente lucida e senza scrupoli di Damon.

E perché ti sta tanto a cuore questa situazione che riguarda me e mio fratello? Intonò il Salvatore con voce rauca e ovattata dallo spesso strato di legno che divideva la soffitta al corridoio sottostante.
Quelle poche parole bastarono a rianimare la speranza della povera Caroline la quale sfregando le unghie contro le assi di legno si prospettava una scena ben diversa dalla realtà con un Damon persuaso dall’idea di ucciderla e una Katherine seriamente preoccupata per la sua scomparsa.
Se li immaginava battibeccare lì sotto di lei a pochi metri di distanza, con gli sguardi assassini che rimbalzavano tra le pareti e imprecazioni dette a mezz’aria. E magari sarebbe potuta scendere, avrebbe potuto distendere le braccia e le gambe intorpidite, avrebbe potuto rimuovere il sottile strato di cenere dai capelli annodati, e magari li avrebbe trovati in cucina con una tazza di caffè in mano pronti ad accoglierla e a sgridarla per la marachella che aveva commesso. Ma Caroline sapeva bene che quei giorni erano finiti, che il tempo dei sorrisi e dei rimproveri era già scaduto da un pezzo. Il loro era un gioco perverso a cui lei stava imparando a giocare seppur a sue spese.
Un nuovo bisbiglio e la bionda tese ancora le orecchie avvertendo il fruscio di tende e lo strascichio di mobili.

Sbaglio o sembra che non vuoi più ucciderla? Le arrivò all’orecchio la voce ovattata di Katherine e per poco non graffiò l’asse di legno sulla quale era premuta la mano leggermente sudata.
Si sentì solleticare il collo da qualcosa di sottile e di viscido e si tappò la bocca ricacciando l’urlo stridulo che sapeva avrebbe emesso alla vista di quell’orrendo millepiedi. Strizzò gli occhi colta alla sprovvista da un moto di disgusto ma che in fin dei conti non era poi così tremendo paragonato alla sensazione del sangue e del sapore della ruggine in bocca.
Afferrò tra le dita quel minuscolo essere e lo fece ruzzolare due o tre scatoloni più in là. Poi si prese i capelli biondi fra le mani sudice e con fare frenetico li torturò, le pupille grandi e lucide roteavano velocemente come se da qualche angolo buio dovesse apparire una nuova bestiola pronta a mettere a repentaglio ancora di più la sua vita.
Colta dalla veridicità di quel pensiero, Caroline pose nuovamente attenzione alla conversazione che si stava svolgendo a pochi metri sotto di lei.
Mantenne il fiato ben stretto tra la faringe e il palato e assottigliò lo sguardo come se questo le avesse consentito di registrare meglio perfino gli ultrasuoni.
Ciò che la povera Care riuscì a percepire fu il ronzio monotono e quasi stanco di una mosca a pochi metri da lei. Poi il cigolare della porta di ingresso e lo scatto metallico della serratura. Passi che si allontanavano.
Se n’erano realmente andati?
La vampira non ebbe il coraggio di rispondersi ma ugualmente svuotò i polmoni dell’ossigeno ormai ristagnato e rasserenò le spalle che ormai avevano assunto un aspetto granitico.
Evitò di mordicchiarsi il labbro inferiore anche se il movimento ad intermittenza della palpebra destra mostrava tutto il suo nervosismo. Sgusciò veloce tra gli scatoloni evitando di fare il minimo rumore – cosa sicuramente non facile date le assi di legno marce e non molto stabili che regalavano bubbolii sinistri ad ogni peso che vi si poggiava.
La vampira tirò su la maniglia della botola che collegava direttamente la soffitta al corridoio del primo piano sottostante. Le scivolò dalle mani sudate e la botola si richiuse producendo un tonfo sordo che ammutolì il cuore di Caroline.
Rimase senza respirare cinque forse dieci minuti prima di ricominciare a battere le ciglia, a respirare regolarmente, a sentire i nervi delle sue gambe allentarsi e formicolare.
Contò mentalmente fino a tre come quando da bambina aspettava con ansia e paura che il dentista gli togliesse un dente, quando si corrucciava gli occhi e prometteva di non mangiare più caramelle.
Contò mentalmente fino a tre e aprì la botola fiondandosi sul pavimento sottostante coprendosi istintivamente gli occhi e il viso come se da un momento all’altro dovesse uscire un mostro pronto a infliggerle del male, ma tutto ciò che ritrovò ad osservarla furono le tendine giallo ocra e il tappeto a lei tanto familiare.
Si stava nascondendo da- quanto? Mezz’ora, tre ore- o forse erano giorni? Il tempo non le era sembrato mai così assente come in quel momento. Fatto sta che Caroline, confusa o meno che fosse, ritrovava gli oggetti di quella casa come antichi e non più riconoscibili come quelli che avevano accompagnato le sue giornate durante il soggiorno alla pensione.
La vampira allungò il collo e si accertò che non sbucasse alcuna ombra sospetta dalle scale.
Una minuscola speranza si insinuò nel cuore di Caroline tale da rianimarle gli occhi opachi e le guance smunte. Si precipitò al piano di sotto e nonostante il forte capogiro che avvertì e che fece ruotare la casa come una giostra cercò di mettere in ordine le idee e concentrarsi su ciò che avrebbe dovuto fare. Non ebbe bene il tempo di pensare al da farsi che le sue gambe l’avevano trascinata in cucina alla ricerca di qualche brandello di cibo così da tamponare la fame straziante che la corrodeva da ormai non sapeva quanto.
Setacciò gli scaffali e ogni anta della credenza immaginandosi qualche biscotto ammuffito in qualche angolo o delle fette biscottate sbriciolate nel fondo di qualche cassetto.
Ma non appena gli occhi della bionda rintracciarono un misero pacchetto di cracker invece di brillare di felicità si ingrigirono dalla paura.
«Caroline?»
Una voce dietro di lei le impose a rimanere immobile come se il semplice fatto di non respirare l’avrebbe potuta rendere invisibile.
Katherine sulla soglia della cucina attendeva una risposta da parte della sua coinquilina.
Care si voltò temendo il peggio.
Gli occhi di Katherine leggermente lucidi erano affranti e al contempo gioiosi per la scoperta che avevano fatto, le labbra erano semiaperte lasciando fuoriuscire un flebile sospiro di sollievo, le braccia tese fremevano nella voglia di un abbraccio.
«Oh Care, temevo che ti avesse già trovata» esclamò e annullò la distanza tra i loro corpi, accogliendo tra le sue braccia una Caroline confusa ma al contempo grata per quella accoglienza.
«Kate perché mi vuole fare questo?» piagnucolò Caroline lasciando andare i nervi che avevano ormai oltrepassato il limite del sopportabile.
Katherine slegò le braccia attorno le spalle della vampira e le prese le mani, continuando a guardarla negli occhi color giada.
«Chi ti vuole fare del male?» chiese la vampira riccioluta cantilenando, assottigliando gli occhi e irrigidendo leggermente la mascella.
Caroline singhiozzò.
«Damon»
Allora gli occhi di Kate si affilarono e una luce particolare tornò a illuminarle il viso olivastro.
«Oh piccola Care, ma Damon non ti vuole fare del male» cantilenò posando l’indice lungo il profilo delle guance della bionda.
Fu allora che si ripresentò prepotentemente quel senso di malessere, quella paura sviscerante e senso di oppressione che si manifestava ogni qual volta riceveva un contatto da Katherine. Non era una semplice sensazione, era un avvertimento, era pericolo.
La vampira mora si aprì in un ghigno mentre Caroline poggiava un piede dietro di lei, pronta ad imboccare l’uscita.
«Quella sono io»
Il tempo che intercorse tra la scarica di adrenalina che investì le vene di Caroline e il lancio del coltello da cucina contro il petto di una Katherine famelica fu minimo.
La vampira bionda abbandonò veloce la cucina e a grandi falcate si diresse verso l’ingresso. Cacciò uno sguardo veloce verso le scale ma scartò subito l’opzione di nascondersi nuovamente in soffitta dopotutto non avrebbe potuto rimanere nascosta in qualche buco per sempre.
Katherine si sfilò velocemente il coltello che si era ben incastrato tra la quinta e la sesta costola destra e gettata lontano l’arma si mosse con tutta tranquillità. I suoi passi picchiettarono contro il parquet e Caroline riuscì a malapena a deglutire.
Gli occhi color giada fermi sull’unica via d’uscita disponibile in quel momento: la porta d’ingresso.
Fu uno scatto e Caroline era fuori.
La luce calda e densa del sole la colpì in pieno viso, sulle guance, sulla sommità del collo, lungo le braccia scoperte, i polsi, le mani e le dita – dita sprovviste di quell’oggetto magico e prezioso che l’abitudine aveva fatto dimenticare a Caroline di averlo.
«Tana libera Caroline» squillò la voce inquietante della vampira dai riccioli morbidi i cui occhi si stavano inevitabilmente accartocciando.
Ma Care non ascoltava.
Caroline era in fiamme.

 

***

Chiedo venia, ve ne prego! So bene che ho lasciato questa storia praticamente a se stessa, senza una fine dignitosa e senza rivelarvi il mistero che si cela alla fine, ma, sapete, il blocco dello scrittore prima e la maturità poi mi ha portato a trascurare di molto questa fan fiction. Ringrazio già ora tutti quelli che avete provato nostalgia per questa storiella e che vi siete interessati. Che vi avevo detto, sarei tornata no? E guarda caso oggi è proprio il primo luglio! Ad ogni modo dopo il breve riassunto che ho posto all’inizio, il capitolo inizia proprio come era finito quello procedente: Lexi è morta, Damon e Katherine sono alleati, Caroline è in pericolo, Damon deve uccidere Caroline. E così il Salvatore fruga negli angoli più nascosti della casa per trovare la vampira dai riccioli biondi anche se evidentemente quella ricerca non lo soddisfa molto, mentre Katherine è impaziente che Damon faccia il lavoro sporco per lei. Damon non è assoggettato a Katherine o cose simili, ma le parole della vampira erano state così convincenti che ci ha creduto. Dopotutto sappiamo di cosa è fatta Kate! Ma effettivamente Damon dopo una prima sbandata ritrova la lucidità e molla tutto alla ricerca del fratello. Stefan d’altro canto è all’oscuro di ogni cosa, come è solito si martirizza credendosi il colpevole di turno e guarda caso durante una passeggiata al cimitero incontra Tyler. Non so voi, ma a me questa interazione con i personaggi del telefilm un po’ fuori dal comune mi piace e molto. Spero vivamente di non aver reso Ty oc. Comunque il Lockwood informa Stefan di un dettaglio importantissimo: Damon era con Caroline la sera in cui è stata trasformata. Questo cosa può significare? Caroline si nasconde in soffitta e sì, l’aspetto fanciullesco lo vedrete ancora per poco: Care è più forte e più matura di ciò che sembra anche se lei stessa non se ne accorge. E comunque ingenuamente dopo aver origliato tre quarti di conversazione scende di sotto e incontra niente poco di meno che Katherine. Finalmente Care capisce chi è il nemico, ma ormai è troppo tardi. E come se non bastasse Katherine in quell’abbraccio con Caroline ha trovato il modo di sfilare l’anello magico alla vampira sotto proprio la luce del sole. Vi anticipo già che il prossimo capitolo (in fase di completamento state tranquilli) è un flashback ma questa volta non contrassegnato da [sei mesi prima] ma sarà il fatidico flashback della notte in cui è morta Caroline. Finalmente scoprirete chi ha trasformato Caroline e come siano state le sue prime ore da vampira.
Con questo vi saluto e spero di aver evitato i pomodori!
Ad ogni modo per qualsiasi cosa mi trovate su face book Dreem L. Efp
Grazie mille per la lettura,
baci.

   
 
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