Dove
si sono
cacciati? Cosa le è successo? Che le starà
dicendo?!
Erano
passati solo una ventina di minuti da quando Ukyo era riapparsa in
veranda dopo
aver vinto il suo scontro, ma a Ryoga sembravano ore: era tornata
terrorizzata
come Shan-Pu tre giorni prima, e il terrore di ritrovarsela in quello
stesso
stato catatonico era... era troppo. Scosse la testa cercando di
scacciare quel
pensiero orribile dalla mente, continuando a girare in tondo e
lanciando
occhiate alla porta del salotto e alla veranda nella speranza di
vederla
rientrare.
Quando
azzardò a mettere un piede fuori dalla porta, nella folle
idea di andare a
cercare Ucchan e Ranma, sentì qualcuno tossire alle sue
spalle. Un lieve
brivido percorse la schiena del ragazzo quando riconobbe la voce.
“Ryoga, dove
credi di andare?”
“I-io? D-da
nessuna parte, Akane” balbettò,
“v-volevo solo...”
“Volevi solo
andare a cercare Ukyo?”
Ryoga annuì,
troppo imbarazzato per formulare una risposta che non fosse composta
solo di
sillabe balbettate.
“Capisco che
tu sia preoccupato, lo siamo tutti” disse Akane, in tono
dolce, per poi
indurirsi di colpo “ma l’ultima cosa che ci manca
è perdere te da qualche
parte. Quindi per favore, sta buono e non muoverti da qui, che non ho
un
guinzaglio abbastanza lungo.”
All’eterno
disperso non restò che fare quanto gli era stato ordinato,
anche se di
malavoglia. Non credeva che un pensiero del genere avrebbe mai potuto
attraversargli la mente, eppure... non gli era proprio piaciuto il tono
usato
da Akane. Ma non osò replicare, avevano fin troppi casini
senza doverci
aggiungere stupide scaramucce tra di loro; e poi bastò
guardarla in viso e
notare la cicatrice per concederle quel tono un po’
fastidioso. Da quando era
accaduto non aveva ancora ceduto, non una lacrima... ma prima o poi
sarebbe
crollata. Era questione di tempo.
“Gente,
guardate chi vi ho riportato!”
Tutti i
presenti si voltarono verso l’entrata del salotto, dove Ranma
li guardava con
un sorrisone stampato in faccia.
E dietro di
lui, nascosta, Ukyo.
"Specialmente
credo che un certo tizio con la bandana e i canini sarà
felice della
notizia" aggiunse ridacchiando. L'idea che quel tardo di Ryoga avesse
trovato il coraggio di dirle una cosa tanto importante... beh, lo
riempiva di
una strana gioia. In parte si sentiva come si era sentito ormai un anno
e mezzo
prima quando, nel parchetto vicino al Nekohanten, era finalmente
riuscito a
liberarsi di tutti gli stupidi preconcetti che non gli avevano mai
permesso di
ammettere ad Akane che lui la amava. Era solo una sensazione di
riflesso e
molto ridotta, chiaramente, ma era simile.
"Ukyo!"
disse Ryoga avvicinandosi ai due nuovi arrivati, le braccia spalancate
e litri
di lacrime finte che gli inondavano la faccia. Venne però
fermato da Ranma, che
con un gesto gli intimò l'alt.
"Non
voglio rovinare il vostro momento, maialino, ma la tua signora
è ancora
piuttosto scossa e non credo sia consigliabile avventarsi su di lei con
tutta
quella foga". Il tono era austero ma non aggressivo e Ranma intendeva
davvero quanto aveva appena detto.
"Sì,
forse hai ragione..." concesse l'altro, un poco indispettito. Anche se
capiva.
"Ukyo"
proseguì poi, addolcendosi "ti va bene? Posso avvicinarmi?".
Lei si fece
piccola piccola dietro la schiena del codinato, cercando protezione da
qualcosa
che non le voleva far del male.
"Ukyo,
è Ryoga. Non dimenticarti di quello che mi hai detto prima".
"Cosa
ti ha detto?".
"È un
problema se lo rivelo a tutti?".
"Dipende
a cosa ti riferisci, Saotome".
"Parlo
di una certa rivelazione che le hai fatto non so quanto tempo fa...
roba che
scotta".
"Oh.
Oh. Credo di avere intuito...".
"Ecco.
Per evitarci silenzi imbarazzanti e cose del genere pensi lo si possa
dire ad
alta voce? Tanto non è che la cosa cambi, che tu lo ammetta
o meno di fronte a
tutti".
"No, in
effetti non cambia. Però devo essere io a dirlo".
"Va
bene. Non ti ruberò il tuo momento di gloria".
"Signore
e signori" intonò Ryoga come se fosse il presentatore della
notte degli
Oscar "il qui presente Ryoga Hibiki ama Ukyo Kuonji".
E si
sollevarono applausi e "Vai così che sei forte, Ryoga!" da
un po'
tutti i presenti. Grande il rossore che gli riempì le
guance, e grandi i
perculi mentali che gli vennero rivolti da un suo coetaneo di rosso
vestito.
"Vedi
Ukyo?" riprese Ranma rivolgendosi alla sua amica, ancora rintanata
dietro
di lui "Lui non si vergogna di te. Ha appena rivelato una cosa tanto
importante senza il minimo imbarazzo... il che, considerato di chi
stiamo
parlando, è un mezzo miracolo".
"Saotome,
se non fossimo in emergenza totale ti avrei appena tirato un pugno sul
naso per
sfasciartelo".
"Grazie,
sei squisito". E dicendo ciò si scostò per fare
in modo che i due
piccioncini potessero finalmente guardarsi faccia a faccia.
Ci fu un
attimo di tensione talmente densa che si sarebbe potuta tagliare con
un'unghia.
Poi la cuoca
si avventò su di lui e lo abbracciò, strizzandolo
come se fosse un panno
imbevuto d'acqua.
Ryoga riuscì
a mantenere la calma e prevenire una copiosa emorraggia dal naso,
ricambiando
l’abbraccio di Ukyo. Notò subito come la ragazza
tremasse ancora come una
foglia, e si aggrappasse a lui con una disperazione e un bisogno tali
che non
le appartenevano: per come la conosceva, Ukyo Kuonji era una ragazza
sicura di
sé, indipendente e fiera. Anche nelle situazioni peggiori e
più pericolose,
anche quando si era lasciata andare alla paura... non aveva mai
raggiunto un
tale livello di terrore.
“Ukyo, tutto
ok?” chiese sottovoce, con un tono dolce.
“Più o meno”
borbottò lei, sollevando lo sguardo. “Ti va se...
se andiamo a parlare un po’
da soli?”
Quella frase
lo gettò per un attimo nel panico più totale: nel
suo immaginario di ragazzo
ingenuo e inesperto con le donne, “Parliamo da
soli” era il preludio a
situazioni catastrofiche come liti e rotture. Ma riuscì a
rimanere calmo e
annuì, lasciandosi trascinare da Ukyo lungo il corridoio;
prima di sparire del
tutto alla vista dei presenti, la ragazza si voltò di nuovo
verso il salotto.
“Akane
poi... poi possiamo parlare anche noi due?”
Akane si
sentì presa in contropiede dalla richiesta, ma
annuì.
“Certo che
possiamo.”
Ukyo annuì,
poi lei e Ryoga si dileguarono.
"A
proposito di parlare..." disse l'ultimogenita Tendo, a voce abbastanza
bassa da non farsi sentire da nessuno.
Si avvicinò
lesta a Ranma, a cui pareva di averla vista bisbigliare qualcosa ma che
si era
trovato a pensare a uno scherzo del suo cervello.
"Ranma,
ho bisogno di te...".
Oh? Cosa
c'è, mio dolce maschiaccio? Il tuo cavaliere è
qui per servirti.
...
No, va bene.
Mai più Ranma, neanche nella tua testa. Suoni ridicolo.
"I
nostri padri sono sempre a giocare a shogi, vero?".
Eh? Cosa?
"Non...
non lo so. Credo di sì. Perché mi fai questa
domanda?" bisbigliò lui,
sentendosi improvvisamente calato in un film di James Bond. Non che ne
avesse
mai visto uno.
"Voglio
parlare con mio padre" gli rispose, a tono altrettanto basso. La ghenga
attorno li osservava stranita, chiedendosi perché quei due
sembrassero due spie
dell'MI6 a consulto sull'ultima missione segretissima.
Con tuo
padre? E non... con me?
"Perché
gli vuoi parlare? Di cosa?".
"Fatti
gli affaracci tuoi, per una volta. Guarda che non sono obbligata a
rivolgermi
sempre e solo a te, non esisti solo tu nella mia vita".
Questa frase
era stata pronunciata con una certa dose di stizza. Poteva persino
arrivare a
pensare che Akane fosse... arrabbiata con lui per qualcosa che non si
sapeva
spiegare.
O forse era
solo vicina al punto di rottura.
Spero
vivamente sia la seconda.
"Comunque
sì, credo... siano al loro solito posto".
"Grazie".
Se ne andò,
lasciando con un palmo di naso il suo ragazzo.
-
"Saotome,
sei sempre più scarso".
"Ma...".
"Al
solito perdi. E no, stavolta non mi freghi rovesciando tutto".
Stava per
chiudere definitivamente la partita quando sentì la voce di
Akane, dietro di
sé, che lo chiamava.
Voltandosi
neanche si accorse di Genma che mandò il tavolo di gioco a
scatafascio e gli
fece una linguaccia.
Soun alzò
gli occhi al cielo, riconoscendo il familiare rumore di Genma che
barava a modo
suo, poi si dedicò totalmente a sua figlia.
“Dimmi
Akane, qualcosa non va?” chiese, avvicinandosi.
La ragazza
forzò un sorriso, nervosa: in realtà non sapeva
nemmeno lei perché avesse
deciso di colpo di parlare con suo padre, non aveva nulla di preciso da
dirgli;
ma quella vocina dentro di lei che per anni si era sforzata di farla
ragionare
continuava a urlarle di andare da lui e parlare. Non importava cosa, ma
le
intimava di farlo perché sapeva di averne bisogno.
“Ecco,
io...”
Soun sorrise
e la spinse fuori dalla stanza, alla ricerca di un po’ di
privacy. Asperrò che
la ragazza si decidesse a parlare, senza metterle fretta.
“Ecco... io
volevo parlarti ma...” balbettò lei, la voce
leggermente incrinata “ma... non
so cosa dire esattamente...”. Ispirò, cercando di
calmarsi, poi riprese: “Però
sto bene. Davvero, io sto bene, tu e Kasumi e Nabiki non dovete
preoccuparvi
per me, sul serio...”
Il signor
Tendo ovviamente non credeva a una sola parola uscita dalla bocca della
figlia,
la conosceva troppo bene per sapere che era orma giunta alla
saturazione. Le
sfiorò gentilmente una guancia con una mano, e
inevitabilmente sfiorò la
cicatrice.
Quando Akane
sentì quella carezza sul viso, crollò
definitivamente.
“Io... io
sto bene... sto...” singhiozzò, per poi gettarsi
tra le braccia del padre come
non faceva da tanti anni. “Papà! Papà
mi dispiace! Mi dispiace!”
Non sapeva
nemmeno di cosa dovesse scusarsi, posto che ci fosse qualche motivo per
farlo,
ma si lasciò andare e pianse stretta
nell’abbraccio del padre, che la cullava
gentilmente.
“Oh bambina
mia” sussurrò, “sfogati pure, ne hai
tutto il diritto.”
-
Anche se si
erano allontanati, il pianto di Akane era arrivato forte e chiaro al
suo
orecchio.
Ranma si
accoccolò sul divano nascondendo la testa tra le ginocchia,
e si diede
mentalmente dello stupido per non aver capito prima le condizioni della
sua
fidanzata.
Non che io
sia mai stato una cima a capire i suoi sentimenti, anzi...
E comuque,
pensò, forse in questo momento aveva più bisogno
della vicinanza del papà che
del fidanzato. Questo gli fece venire in mente che sentiva un
po’ la mancanza
di sua madre, e che avrebbe voluto almeno salutarla prima che questo
casino
scoppiasse. Decise che al primo momento utile le avrebbe fatto una
telefonata,
anche solo per rassicurarla.
Nel
frattempo, in un'altra ala di casa Tendo, altri due membri della banda
affrontavano i propri problemi personali.
"Proprio
in cucina?" chiese sarcastico Ryoga mentre Ukyo lasciava la sua mano,
distanziandosi un po' da lui.
La scherzosa
domanda cadde nel dimenticatoio. Si respirava un'aria abbastanza
nervosa fra i
due.
Non ci fu
parola per qualche minuto, solo respiri affannosi e tentativi abortiti
di
iniziare un discorso.
"Ukyo..."
trovò finalmente la forza.
Lei si voltò
di scatto e...
No
maledizione, non devi far così. Cretina.
"Ryoga...
io...".
"Ti
prego, smettila di piangere".
"Ma...
ma...".
Non
sopportava di vederla ridotta così. Lo mandava in bestia e
gli faceva
desiderare la morte peggiore per quelle odiosissime amazzoni in
minatura. Chi
toccava la sua ragazza fino a questo punto avrebbe sofferto pene
indicibili, contorcendosi
in un dolore indescrivibile.
Pregò
caldamente per le loro vecchie carcasse che tutto questo danno fosse
reversibile, perché se non lo fosse stato...
Oh, una
gioia immensa radere al suolo quel cazzo di villaggio a furia di Shishi
Hoko
Dan. Non sarebbe mai stato più contento di essere disperato.
Cercò di
avvicinarsi e lei si ritrasse appena. Non dava l'impressione di essere
ingovernabile come quando era appena tornata, ma poteva dire di averla
vista in
condizioni molto migliori.
"Ukyo...
sei stata tu a chiedermi di parlare ma... se continui a sfuggirmi non
possiamo". Queste parole, pronunciate con immensa pena, ebbero un lieve
effetto calmante e gli permisero di abbracciarla. Naturalmente fece
tutto con
estrema cura e lentezza per non rischiare di farla imbizzarrire di
nuovo.
"Io ti
giuro che la pagheranno, quelle schifose. Non permetto a nessuno di
fare tutto
questo male alla ragazza che amo e uscirne illeso. O non mi chiamo
più Ryoga
Hibiki. Ma, prima di questo, devo riuscire a recuperarti. Voglio
vederti
tornare a essere te stessa, non questa fotocopia spaventata e piena di
stupidaggini immotivate in testa".
"Io...
Ryoga, come sei riuscito ad innamorarti di me? Non sono sicura di
meritarmelo...".
La domanda
gli procurò un brivido freddo per tutta la schiena.
Le avrebbe
ammazzate tutte, una ad una. Lentamente. E dolorosamente.
“Kuonji, se
credi di essere la peggiore in questo gruppo di squilibrati, mi duole
informarti che ti sbagli” rispose, sperando di strappare un
sorriso alla
ragazza, “potremmo sederci attorno a un tavolo ammettendo
ognuno il peggio
delle nostre carriere di pazzi e non finire mai.”
Ukyo si
lasciò scappare un risolino, e la cosa rincuorò
Ryoga: forse non era così grave
come temeva.
“Non saprei
dirti esattamente perché mi sono innamorato di te”
proseguì, “non ne sono del
tutto sicuro nemmeno io. Probabilmente sei ricomparsa nella mia vita al
momento
giusto e mi hai aiutato a dimenticare un amore che esisteva solo nella
mia
testa, o perché entrambi avevamo bisogno di leccarci le
ferite. O forse dovevo
capire che non avevo bisogno di una ragazza mite e gentile, ma una con
cui
scannarmi e litigare e con cui far pace cinque minuti dopo.”
Ukyo non
disse una parola, ma si limitò ad ascoltare; Ryoga lo prese
come un invito a
continuare il discorso, e così fece: “Quello che
voglio dire è... che è
successo. Sei... anzi, io sono ripiombato nella tua vita, credo sia
più
corretto vista la mia propensione a sparire per mesi chissà
dove... e ci sono
rimasto. Vuoi per un’assurda richiesta di uscire insieme,
vuoi perché era
destino, è successo e basta. E io sono felice,
perché sei la cosa migliore che
poteva capitarmi.”
Ukyo sollevò
lo sguardo verso il ragazzo, gli occhi lucidi e spalancati dallo
stupore.
“Questa è...
la dichiarazione più assurda e ridicola che io abbia mai
ricevuto” sussurrò,
“... e la adoro, parola per parola.”
Ryoga
sorrise e la strinse a sé, felice di sentirla finalmente
più rilassata tra le
sue braccia.
Il devasto
di Joketsuzoku avrebbe dovuto aspettare ancora un po’, aveva
una fidanzata da
consolare.
"Stai
un po' meglio, piccola mia?" chiese delicato Soun dopo parecchi minuti
di
sfogo da parte della figlia.
Lei non
rispose subito, ancora troppo impegnata a tirare su col naso e a
bagnargli il
gi. Però gli disse di sì, anche se solo
mentalmente. L'aver buttato fuori
quello tsunami di emozioni le aveva indubbiamente fatto bene,
perché a tenere
tutto chiuso dentro a doppia mandata sarebbe scoppiata, presto o tardi.
"Papà
*sniff*" riuscì finalmente a mormorare "io... non so...".
"Ssssssh,
Akane. Non parlare. Avevi bisogno di una spalla su cui piangere e mi
sento onorato
che tu abbia scelto me per questo compito. Ora va tutto bene. Calmati.
Il
peggio è passato".
"Sei...
gentile *sniff* a dire così... ma...".
"Ma?".
"Ma non
è passato... proprio *sniff* per nulla...".
"Cosa
intendi?".
Lei trovò la
forza di staccarsi e di rendersi un pochino più
presentabile. L'operazione
coinvolse anche una manica della sua maglietta, in assenza di un
fazzoletto.
Quando fu
tornata in condizioni quasi normali rispose al padre: "Papà,
io mi porterò
addosso questo... schifo per sempre. Sarà sempre
lì a ricordarmi che non sono
la fidanzata perfetta che Ranma meriterebbe. Non so cucinare, non so
nuotare,
sono manesca, sono irritabile... e sono brutta, addirittura sfigurata
adesso...".
A Soun montò
un'inusuale rabbia a sentire la sua adorata figlia parlare di se stessa
in
questi termini molto poco lusinghieri. Quel che diceva era in gran
parte
corretto, questo non lo negava, ma non significava che dovesse essere
contento
mentre lei si faceva così gratuitamente del male.
Trattenne,
non con uno certo sforzo, l'impulso di schiaffeggiarla. Uno di quegli
schiaffi
terapeutici, che si danno a chi comincia a straparlare per ricondurlo
alla
ragione. Sapeva che a lei non serviva e le avrebbe solo causato
ulteriore
dolore.
In compenso
trovò cosa dirle: "Akane, non ti voglio sentire mai
più dire simili
assurdità. Ranma, che mi preme ricordarti ha almeno
altrettanti difetti se non
di più, è disposto ad accettarti ed amarti anche
così. E sì, parlo anche di
quel segno sul tuo volto. Io non sospettavo che la più
testarda, coraggiosa e
intraprendente figlia che un padre possa desiderare si facesse buttar
giù da un
po' di dubbi. Non sai cucinare... e a chi importa? Non sai nuotare... e
va
bene, vorrà dire che starai alla larga da piscine troppo
profonde e mari
aperti. Sei manesca... la pellaccia di quel ragazzo sa sopportare anche
il più
violento dei tuoi colpi, lo sai bene. Sei irritabile... vi assomigliate
in
questo. Per quanto riguarda la cicatrice, prova a vederla
così: è un marchio di
guerra, qualcosa che testimonia come neanche delle centenarie
vendicative sono
in grado di spezzare il tuo spirito di guerriera e donna".
"Papà...
mi stai dicendo che...".
"Devo
davvero essere ovvio? E va bene. Sono fiero di te e lo sono sempre
stato. Anche
per il fatto che sei riuscita a resistere in silenzio e così
a lungo a un tale
carico emotivo, che avrebbe distrutto chiunque".
Ci mancò
poco che Akane riscoppiasse a piangere, ma dalla gioia.
Suo padre, a
sua volta commosso, le ricordò che aveva altro da fare. Con
gentilezza, ma in
modo fermo, le ricordò che aveva un discorso con Ukyo e non
era il caso di
temporeggiare più del dovuto.
Se ne andò
sorridendo come non faceva più da un po' di tempo.
Mentre si
avviava verso il salotto ripensò alle parole del padre... e
le venne in mente
che doveva fare un’altra cosa, prima di parlare con Ukyo -
che probabilmente
stava ancora chiarendosi con Ryoga, per cui aveva tutto il tempo che le
serviva.
Stava
percorrendo il corridoio quando trovò il suo obiettivo,
vicino al telefono.
“No non
preoccuparti, qui va... va tutto bene. Volevo... volevo solo chiamarti,
avevo
voglia di sentirti, tutto qui. Spero non sia una cosa poco virile... ok
ok, la
smetto. Adesso vado e... sì sì, ti saluto tutti,
tranquilla. Buona giornata
e... uh, mamma?...Ti voglio bene.”
Akane si
sentì quasì colpevole per aver origliato la
telefonata tra Ranma e sua madre,
ma non l’aveva certo fatto apposta; quando Ranma si
voltò e la vide lì ferma ad
osservarlo arrossì di colpo, quasi l’avesse colto
a fare qualcosa che non
doveva.
“A-Akane!
C-che ci fai qui, credevo fossi con tuo padre!”
“Ho finito
di... parlargli, stavo cercando Ukyo” rispose lei,
imbarazzata, “giuro che non
volevo ascoltare la tua telefonata, è stato un
caso!”
“Non fa
nulla, figurati” balbettò lui. “Senti,
volevo dirti che mi dispiace per...”
disse dopo alcuni istanti di silenzio, ma Akane lo zittì
poggiando un dito
sulle sue labbra.
“Sono io che
devo scusarmi con te. Poco fa ho reagito in maniera esagerata mentre tu
eri
solo preoccupato per me... mi dispiace, ero... ero solo arriva al
limite.
Insomma, sai di che parlo... volevo solo scusarmi.”
Ranma non
riuscì a resisterle, e mandò al diavolo la
propria proverbiale timidezza per
abbracciare Akane e stringerla a sé.
“Non ti devi
scusare, posso solo immaginare come potevi sentirti... e io avrei
dovuto
capirlo prima, anche se lo sai che sono sempre stato troppo ottuso per
riuscirci” sussurrò. “E comunque sono
contento di sapere che fosse questa la
ragione del tuo scatto d’ira, e non qualche idiozia delle
mie...”
Akane
sorrise, intenerita dall’adorabile goffaggine del fidanzato,
e si accoccolò
ancora di più tra le braccia di Ranma.
Cinque
minuti. Ukyo può attendere altri cinque minuti.
I cinque
minuti nella testa di Akane divennero prima dieci e poi quindici. Fosse
dipeso
da lei sarebbero stati anche di più.
Vennero, ahi
loro, disturbati dal poco tempestivo arrivo dell'altra coppietta,
reduce dal
loro tête-à-tête. Fu Ranma a rompere il
piacevolissimo, caldissimo contatto.
"Ryoga...
Ukyo. Come va?" chiese, ingenuo. Ingenuo perché Akane, pur
contrariata
dall'interruzione, non mancò di accorgersi immediatamente
del fatto che i due
nuovi arrivati si tenevano per mano.
La gabbietta
degli scoiattoli nella sua testa prese a muoversi come una forsennata,
riempendole la calotta cranica di rumori che conosceva sin troppo bene.
Fu Ryoga a
rispondergli: "Bene Ranma, va... bene. Sono riuscito a riportare questa
testona sulla retta via, per fortuna. Mi sento di poter dire che,
almeno per un
po', non dovremmo temere crisi d'autostima da parte sua".
"Oh,
che bella notizia. Ucchan...".
"Sì?".
"Sono
felice di sapere che sei di nuovo fra noi".
"Grazie,
Ranchan" sorrise. Non le era ancora passata del tutto, in
verità, ma
rispetto a neanche mezz'ora prima stava una favola.
E per far sì
che mi passi del tutto ho ancora una cosa da fare.
"Akane,
se non ti dispiace...".
"No
Ukyo, non mi dispiace. Vogliate scusarci, fustaccioni, ma io e la
signorina
Kuonji dobbiamo parlare fra ragazze. Smammate, su".
I due si
guardarono interdetti, poi sospirarono in sincrono e se ne andarono
tenendosi
le mani sulle spalle e lamentandosi della loro condizione di sottomessi
servi
della gleba.
"Ma
guardali" commentò Akane, in tono allegro, indicando la
schiena del suo
fidanzato "fanno pure gli offesi. Non c'è più
rispetto".
"Akane...".
"Ukyo,
che c'è? Tutto bene?". Per un istante si lasciò
sopraffare dalla
preoccupazione per via della voce non proprio entusiasta della sua
amica. La
quale si affrettò a rassicurarla sulle proprie condizioni:
"Tranquilla,
tranquilla. Sto meglio, molto meglio. È solo che...".
"Che...".
"Ti
devo chiedere scusa, Akane".
"Ohibò.
Scusa per cosa?".
"Per
tutte le volte in cui ti ho ferita, in passato. Solo ora mi rendo
pienamente
conto di quanto male ti posso aver fatto quando, senza neanche
riflettere sulle
conseguenze, ti davo del maschiaccio e della fidanzata rozza.
È stato un
comportamento vergognoso da parte mia e...".
"Ukyo
Ukyo Ukyo, su. È acqua passata oramai. Si parla di...
quanto, due anni fa? Di
più? Non devi...".
"Sì che
devo. Prima di essere sottoposta alla tortura delle amazzoni non avevo
mai
realmente capito quanto potessi risultare offensiva e sgradevole. E non
indorerò la pillola dicendo che non lo intendevo,
perché in quei momenti lo
intendevo eccome. Ero spregevole e di questo mi sono pentita, te lo
giuro".
Akane stava
per rispondere di nuovo che no, non doveva scusarsi, era ormai storia
vecchia... ma si fermò, le labbra dischiuse pronte a dire
qualcosa ma fermate
appena in tempo.
Invece era
il caso di affrontare l’argomento, una volta per tutte. Che
togliessero anche
quell’ultimo sassolino dalla scarpa.
“Forse hai
ragione” disse Akane, dopo qualche attimo di silenzio.
“È vero, in quei momenti
tu, come anche Shan-Pu e Kodachi, sei stata cattiva nei miei riguardi.
Ammetto
che, nonostante anche tu abbia giocato sporco parecchie volte cercando
di
conquistare Ranma, eri di certo la più amichevole nei miei
confronti. E forse,
se non ci fosse stato lui di mezzo, la nostra amicizia sarebbe
cominciata
prima, chi lo sa. Però... ogni volta che mi apostrofavi con
tutti gli epiteti
che anche Ranma usava, solo perché lui lo faceva e quindi ti
sentivi in diritto
di farlo... mi ha fatto un male tremendo. Ogni frase, ogni insulto,
ogni presa
in giro... tutte queste cose mi hanno lasciato tante ferite, alcune non
del
tutto rimarginate. Prima che Ranma entrasse nella mia vita non avevo
mai avuto
problemi di autostima, ma poi...beh, sappiamo come sono andate le
cose.”
Ukyo non
parlò, ma si limitò ad ascoltare e incassare il
colpo. Si sentì nuovamente un
verme, ma resistette stoicamente al peso di quella confessione: almeno
adesso
la vera Akane aveva un tono più conciliante, lontano
dall’odio che l’illusione
le aveva sputato contro.
E comunque
me lo merito, pensò.
“Sai, ho
sempre provato un’invidia enorme nei tuoi
confronti” proseguì Akane, “molto
più
che nei confronti di Shan-Pu e Kodachi.”
“Eh?
Perché?”
“Perché tu
conosci Ranma da molto prima di me... anche se per anni non vi siete
visti eri
l’amica d’infanzia, quella che lo conosceva bene...
e ogni volta che ti
professavi “la fidanzata carina” non potevo non
pensare che fosse vero. L’unica
cosa che io mi sentivo dire giornalmente era che ero goffa, grassa e un
maschio
mancato... era inevitabile per me credere che sì, era vero:
eri tu la fidanzata
carina di Ranma, non io. E sì, ogni volta che me
l’hai detto mi ha fatto male,
molto male. Anche se non l’ho mai dato a vedere... dentro
soffrivo
maledettamente.”
Ukyo si
augurò che una voragine le si aprisse sotto i piedi e la
inghiottisse: come
aveva potuto essere così meschina? Certo, quando ci sono
ragazzi di mezzo si sa
che le ragazze arrivano a dirsi le cose più assurde. Ma se
ci fosse stata lei
al suo posto? Non avrebbe fosse reagito e sofferto allo stesso modo?
“Akane io...
mi dispiace, dico sul serio! Io all’epoca non pensavo proprio
a quanto potesse
far male, miravo solo a infastidirti... senza neanche pensare come
sarebbe
stato trovarmi nei tuoi panni.”
“Non avresti
potuto, perché sentire Ranma che per primo mi chiamava
maschiaccio ti dava
ragione per crederlo e farlo a tua volta.”
Ukyo abbassò
gli occhi, ormai sull’orlo delle lacrime. Poi
sentì la mano di Akane sollevarle
il viso.
“Tuttavia”
continuò la minore delle Tendo “quando dicevo che
è acqua passata dicevo sul
serio. Se non ho mai tirato fuori l’argomento è
perché lo consideravo davvero
storia chiusa. Sono contenta di come le cose si siano evolute tra noi,
e
parlare di cose vecchie poteva rischiare di incrinare la nostra
amicizia... ma
come qualcuno più saggio di me ha detto, una volta, meglio
dirsi tutto e subito
prima di trovarsi a usare certe vecchie storie come scuse per
ingigantire
discussioni stupide. Quindi sì, direi che era il caso di
togliersi questo
sassolino dalla scarpa... almeno adesso non ce ne sono
più.”
“Quindi...
“balbettò Ukyo, incerta.
Akane si
limitò a sorridere e poggiò la fronte contro
quella dell’amica, per poi
stritolarla in un abbraccio confortante.
Si guardò
attorno, poi sgattaiolò in bagno.
Aprì il
rubinetto l’acqua e porse qualcosa dentro la vasca con
delicatezza, poi attese
qualche secondo.
Pochi
istanti dopo Mousse affiorò dall’acqua.
Quando si
voltò, vide una figura appoggiata al bordo della vasca;
anche se non aveva i
suoi occhiali, era abbastanza vicino da poter riconoscere la sagoma.
L’avrebbe
riconosciuta tra mille.
“Ciao,
Mu-Si.”
"Shan-Pu..."
fu l'intelligentissimo commento che gli uscì dalle labbra.
Silenzio.
Nessuno dei due sapeva bene cosa dire, o se doveva dire qualcosa in
generale.
Poi,
finalmente, qualcuno prese il coraggio a quattro mani. E, contro ogni
aspettativa comune, fu lei.
"Mu-Si...
come stai?".
"Sto
bene. E ora... sto meglio".
"Perché?".
"Perché
vedo che non hai più terrore di me. E spero anche della
vecchia... ehm, della
nobile Ku-Lun, anche se non è che la cosa mi interessi poi
così tanto...".
Lei si alzò
e gli diede le spalle. È vero che non aveva più
la fobia totale che l'aveva
posseduta negli ultimi giorni, ma non si sentiva ancora del tutto a suo
agio in
sua presenza. E nonostante questo era stata lei a prenderlo e a
portarlo in
bagno per riportarlo in forma umana.
Era ancora
contrastata. Avrebbe voluto tuffarsi dentro la vasca e abbracciarlo
fino a
farlo soffocare, ma qualcosa glielo impediva.
"Shan-Pu...
tu stai bene, vero?".
Un sospiro:
"Meglio di prima sicuramente, altrimenti non sarei riuscita a fare
tutto
questo. Ma non posso ancora dire di essere completamente a posto".
"No?
Cosa ti inquieta ancora?".
"Ho
solo un po' di paura residua. Paura che tu o la nonna possiate di nuovo
cominciare a insultarmi e a trattarmi come un fallimento totale e farmi
pesare
gli insulti che ti ho sempre rivolto e rinfacciarmi di non essere una
brava
combattente come pensavo e...".
"Basta
così, Shan-Pu. Ti prego, basta così". La voce di
Mousse era raramente
stata tanto autoritaria e mai così dolce.
"Pugnali
a morte me, oltre che te stessa, dicendo queste cose. Né io,
né tua nonna
pensiamo davvero quella montagna di stronzate. Io sono felice di
vederti in
piedi e in grado di conversare con me senza strepitare come un cane con
l'idrofobia, lo dico sul serio. Però devi cercare di
convincerti di quanto sto
dicendo, e cioè che tu non sei un fallimento. In nessun
caso. E men che meno
per me".
"Mu-Si...".
"Shan-Pu,
è vero che hai qualche difetto. Sei umana, d'altronde, e
voglio proprio trovare
il fenomeno che può vantarsi a ragione di essere perfetto.
Ma i tuoi difetti
non mi hanno mai impedito di apprezzare le tue doti, che sono almeno
altrettante. Sei risoluta, testarda, volitiva, ambiziosa, forte,
astuta, sexy,
voluttuosa e tantissime altre cose splendide. E io non potrei mai,
neanche nel
punto più basso della mia moralità, rinfacciarti
alcunché. Mi esploderebbe la
testa se solo lo pensassi, figurati metterlo in pratica. Se non ho
smesso di amarti
quando mi consideravi il peggior fastidio della tua vita... ora che mi
hai
dimostrato che mi ricambi come, come potrei rifiutarti? Non credo di
poter solo
concepire l'idea".
Qualcuno si
potrebbe aspettare che lei cadesse a terra con lacrimoni e strilli da
tragedia
greca. Ma no, si limitò a voltarsi in direzione di lui, che
la osservava
concentrato e speranzoso, e dirgli questo: "Io... io sono veramente
fortunata ad averti... non mi capacito di aver perso tutto quel tempo
dietro a
Ranma quando sotto il mio stesso tetto viveva una simile pietra
preziosa...".
Mousse non
riuscì a trattenersi e, senza pensarci due volte,
uscì dalla vasca e abbracciò
Shan-Pu. Non sapeva cosa dire, né gli riusciva di mettere
insieme una frase che
avesse senso compiuto. Voleva solo stringerla a sé, farle
sentire la sua
vicinanza e soprattutto sentire la sua, cosa che gli era mancata
mortalmente in
quei tre giorni.
Si rese
conto dell’errore quando sentì la ragazza
irrigidirsi.
Sono un
idiota!
Shan-Pu si
era appena ripresa da quello stato di catalessi, probabilmente gesti
così
espansivi erano dannosi e avrebbero rischiato di farla nuovamente
chiudere a
riccio... e invece, con enorme stupore di Mousse, la cinesina si
rilassò poco a
poco, fino a ricambiare l’abbraccio.
Il ragazzo
tirò un enorme sospiro di sollievo.
“Mu-Si...”
“Lo so,
scusami, sono stato avventato” rispose lui, “non
dovevo abbracciarti così
all’improvviso.”
“Non è
questo...”
“Oh già, che
idiota... ti starò infradiciando i vestiti!”
“No, non
intendevo...”
“E allora
cosa?” chiese, un po’ inquieto. La sua mente stava
già facendo i più atroci
collegamenti.
“Mu-Si,
sei... contento di vedermi.”
“Ovvio che
lo sono, te l’ho appena detto.”
“Non in
questo senso...”
“E allora in
che... oh. OH.”
Si allontanò
velocemente da Shan-Pu alla disperata ricerca di un asciugamano, mentre
la
cinesina rideva. E nonostante l’imbarazzo, quella risata lo
rincuorò, facendolo
sperare per il meglio.
“Se hai
finito di deridermi” disse, mentre cercava di nascondere le
sue vergogne alla meglio
“non è che potresti chiedere a Kasumi se i miei
vestiti sono asciutti?”