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Autore: Walpurgisnacht    02/07/2013    0 recensioni
Terza parte dell'epopea di Secrets. Perché non è vero che le cose belle durano poco. E noi, senza falsa modestia, siamo bbravi e bbelli e ci diamo da fare per voi.
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Non c'è ombra di maretta sulla nuova Nerima. Tizio con Caia, Sempronio con Asdrubala e Bertoldo con Cacasenna. Tutti felici e contenti, tutti accoppiati, tutti soddisfatti.
Sì, certo. Come no.
[Seguito di Secret of the Heart Split in Two e Two-Part Secret Heart, di Subutai Khan e Mana Sputachu]
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Secretception!'
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Dove si sono cacciati? Cosa le è successo? Che le starà dicendo?!
Erano passati solo una ventina di minuti da quando Ukyo era riapparsa in veranda dopo aver vinto il suo scontro, ma a Ryoga sembravano ore: era tornata terrorizzata come Shan-Pu tre giorni prima, e il terrore di ritrovarsela in quello stesso stato catatonico era... era troppo. Scosse la testa cercando di scacciare quel pensiero orribile dalla mente, continuando a girare in tondo e lanciando occhiate alla porta del salotto e alla veranda nella speranza di vederla rientrare.
Quando azzardò a mettere un piede fuori dalla porta, nella folle idea di andare a cercare Ucchan e Ranma, sentì qualcuno tossire alle sue spalle. Un lieve brivido percorse la schiena del ragazzo quando riconobbe la voce.
“Ryoga, dove credi di andare?”
“I-io? D-da nessuna parte, Akane” balbettò, “v-volevo solo...”
“Volevi solo andare a cercare Ukyo?”
Ryoga annuì, troppo imbarazzato per formulare una risposta che non fosse composta solo di sillabe balbettate.
“Capisco che tu sia preoccupato, lo siamo tutti” disse Akane, in tono dolce, per poi indurirsi di colpo “ma l’ultima cosa che ci manca è perdere te da qualche parte. Quindi per favore, sta buono e non muoverti da qui, che non ho un guinzaglio abbastanza lungo.”
All’eterno disperso non restò che fare quanto gli era stato ordinato, anche se di malavoglia. Non credeva che un pensiero del genere avrebbe mai potuto attraversargli la mente, eppure... non gli era proprio piaciuto il tono usato da Akane. Ma non osò replicare, avevano fin troppi casini senza doverci aggiungere stupide scaramucce tra di loro; e poi bastò guardarla in viso e notare la cicatrice per concederle quel tono un po’ fastidioso. Da quando era accaduto non aveva ancora ceduto, non una lacrima... ma prima o poi sarebbe crollata. Era questione di tempo.
“Gente, guardate chi vi ho riportato!”
Tutti i presenti si voltarono verso l’entrata del salotto, dove Ranma li guardava con un sorrisone stampato in faccia.
E dietro di lui, nascosta, Ukyo.
"Specialmente credo che un certo tizio con la bandana e i canini sarà felice della notizia" aggiunse ridacchiando. L'idea che quel tardo di Ryoga avesse trovato il coraggio di dirle una cosa tanto importante... beh, lo riempiva di una strana gioia. In parte si sentiva come si era sentito ormai un anno e mezzo prima quando, nel parchetto vicino al Nekohanten, era finalmente riuscito a liberarsi di tutti gli stupidi preconcetti che non gli avevano mai permesso di ammettere ad Akane che lui la amava. Era solo una sensazione di riflesso e molto ridotta, chiaramente, ma era simile.
"Ukyo!" disse Ryoga avvicinandosi ai due nuovi arrivati, le braccia spalancate e litri di lacrime finte che gli inondavano la faccia. Venne però fermato da Ranma, che con un gesto gli intimò l'alt.
"Non voglio rovinare il vostro momento, maialino, ma la tua signora è ancora piuttosto scossa e non credo sia consigliabile avventarsi su di lei con tutta quella foga". Il tono era austero ma non aggressivo e Ranma intendeva davvero quanto aveva appena detto.
"Sì, forse hai ragione..." concesse l'altro, un poco indispettito. Anche se capiva.
"Ukyo" proseguì poi, addolcendosi "ti va bene? Posso avvicinarmi?".
Lei si fece piccola piccola dietro la schiena del codinato, cercando protezione da qualcosa che non le voleva far del male.
"Ukyo, è Ryoga. Non dimenticarti di quello che mi hai detto prima".
"Cosa ti ha detto?".
"È un problema se lo rivelo a tutti?".
"Dipende a cosa ti riferisci, Saotome".
"Parlo di una certa rivelazione che le hai fatto non so quanto tempo fa... roba che scotta".
"Oh. Oh. Credo di avere intuito...".
"Ecco. Per evitarci silenzi imbarazzanti e cose del genere pensi lo si possa dire ad alta voce? Tanto non è che la cosa cambi, che tu lo ammetta o meno di fronte a tutti".
"No, in effetti non cambia. Però devo essere io a dirlo".
"Va bene. Non ti ruberò il tuo momento di gloria".
"Signore e signori" intonò Ryoga come se fosse il presentatore della notte degli Oscar "il qui presente Ryoga Hibiki ama Ukyo Kuonji".
E si sollevarono applausi e "Vai così che sei forte, Ryoga!" da un po' tutti i presenti. Grande il rossore che gli riempì le guance, e grandi i perculi mentali che gli vennero rivolti da un suo coetaneo di rosso vestito.
"Vedi Ukyo?" riprese Ranma rivolgendosi alla sua amica, ancora rintanata dietro di lui "Lui non si vergogna di te. Ha appena rivelato una cosa tanto importante senza il minimo imbarazzo... il che, considerato di chi stiamo parlando, è un mezzo miracolo".
"Saotome, se non fossimo in emergenza totale ti avrei appena tirato un pugno sul naso per sfasciartelo".
"Grazie, sei squisito". E dicendo ciò si scostò per fare in modo che i due piccioncini potessero finalmente guardarsi faccia a faccia.
Ci fu un attimo di tensione talmente densa che si sarebbe potuta tagliare con un'unghia.
Poi la cuoca si avventò su di lui e lo abbracciò, strizzandolo come se fosse un panno imbevuto d'acqua.
Ryoga riuscì a mantenere la calma e prevenire una copiosa emorraggia dal naso, ricambiando l’abbraccio di Ukyo. Notò subito come la ragazza tremasse ancora come una foglia, e si aggrappasse a lui con una disperazione e un bisogno tali che non le appartenevano: per come la conosceva, Ukyo Kuonji era una ragazza sicura di sé, indipendente e fiera. Anche nelle situazioni peggiori e più pericolose, anche quando si era lasciata andare alla paura... non aveva mai raggiunto un tale livello di terrore.
“Ukyo, tutto ok?” chiese sottovoce, con un tono dolce.
“Più o meno” borbottò lei, sollevando lo sguardo. “Ti va se... se andiamo a parlare un po’ da soli?”
Quella frase lo gettò per un attimo nel panico più totale: nel suo immaginario di ragazzo ingenuo e inesperto con le donne, “Parliamo da soli” era il preludio a situazioni catastrofiche come liti e rotture. Ma riuscì a rimanere calmo e annuì, lasciandosi trascinare da Ukyo lungo il corridoio; prima di sparire del tutto alla vista dei presenti, la ragazza si voltò di nuovo verso il salotto.
“Akane poi... poi possiamo parlare anche noi due?”
Akane si sentì presa in contropiede dalla richiesta, ma annuì.
“Certo che possiamo.”
Ukyo annuì, poi lei e Ryoga si dileguarono.
"A proposito di parlare..." disse l'ultimogenita Tendo, a voce abbastanza bassa da non farsi sentire da nessuno.
Si avvicinò lesta a Ranma, a cui pareva di averla vista bisbigliare qualcosa ma che si era trovato a pensare a uno scherzo del suo cervello.
"Ranma, ho bisogno di te...".
Oh? Cosa c'è, mio dolce maschiaccio? Il tuo cavaliere è qui per servirti.
...
No, va bene. Mai più Ranma, neanche nella tua testa. Suoni ridicolo.
"I nostri padri sono sempre a giocare a shogi, vero?".
Eh? Cosa?
"Non... non lo so. Credo di sì. Perché mi fai questa domanda?" bisbigliò lui, sentendosi improvvisamente calato in un film di James Bond. Non che ne avesse mai visto uno.
"Voglio parlare con mio padre" gli rispose, a tono altrettanto basso. La ghenga attorno li osservava stranita, chiedendosi perché quei due sembrassero due spie dell'MI6 a consulto sull'ultima missione segretissima.
Con tuo padre? E non... con me?
"Perché gli vuoi parlare? Di cosa?".
"Fatti gli affaracci tuoi, per una volta. Guarda che non sono obbligata a rivolgermi sempre e solo a te, non esisti solo tu nella mia vita".
Questa frase era stata pronunciata con una certa dose di stizza. Poteva persino arrivare a pensare che Akane fosse... arrabbiata con lui per qualcosa che non si sapeva spiegare.
O forse era solo vicina al punto di rottura.
Spero vivamente sia la seconda.
"Comunque sì, credo... siano al loro solito posto".
"Grazie".
Se ne andò, lasciando con un palmo di naso il suo ragazzo.
-
"Saotome, sei sempre più scarso".
"Ma...".
"Al solito perdi. E no, stavolta non mi freghi rovesciando tutto".
Stava per chiudere definitivamente la partita quando sentì la voce di Akane, dietro di sé, che lo chiamava.
Voltandosi neanche si accorse di Genma che mandò il tavolo di gioco a scatafascio e gli fece una linguaccia.
Soun alzò gli occhi al cielo, riconoscendo il familiare rumore di Genma che barava a modo suo, poi si dedicò totalmente a sua figlia.
“Dimmi Akane, qualcosa non va?” chiese, avvicinandosi.
La ragazza forzò un sorriso, nervosa: in realtà non sapeva nemmeno lei perché avesse deciso di colpo di parlare con suo padre, non aveva nulla di preciso da dirgli; ma quella vocina dentro di lei che per anni si era sforzata di farla ragionare continuava a urlarle di andare da lui e parlare. Non importava cosa, ma le intimava di farlo perché sapeva di averne bisogno.
“Ecco, io...”
Soun sorrise e la spinse fuori dalla stanza, alla ricerca di un po’ di privacy. Asperrò che la ragazza si decidesse a parlare, senza metterle fretta.
“Ecco... io volevo parlarti ma...” balbettò lei, la voce leggermente incrinata “ma... non so cosa dire esattamente...”. Ispirò, cercando di calmarsi, poi riprese: “Però sto bene. Davvero, io sto bene, tu e Kasumi e Nabiki non dovete preoccuparvi per me, sul serio...”
Il signor Tendo ovviamente non credeva a una sola parola uscita dalla bocca della figlia, la conosceva troppo bene per sapere che era orma giunta alla saturazione. Le sfiorò gentilmente una guancia con una mano, e inevitabilmente sfiorò la cicatrice.
Quando Akane sentì quella carezza sul viso, crollò definitivamente.
“Io... io sto bene... sto...” singhiozzò, per poi gettarsi tra le braccia del padre come non faceva da tanti anni. “Papà! Papà mi dispiace! Mi dispiace!”
Non sapeva nemmeno di cosa dovesse scusarsi, posto che ci fosse qualche motivo per farlo, ma si lasciò andare e pianse stretta nell’abbraccio del padre, che la cullava gentilmente.
“Oh bambina mia” sussurrò, “sfogati pure, ne hai tutto il diritto.”
-
Anche se si erano allontanati, il pianto di Akane era arrivato forte e chiaro al suo orecchio.
Ranma si accoccolò sul divano nascondendo la testa tra le ginocchia, e si diede mentalmente dello stupido per non aver capito prima le condizioni della sua fidanzata.
Non che io sia mai stato una cima a capire i suoi sentimenti, anzi...
E comuque, pensò, forse in questo momento aveva più bisogno della vicinanza del papà che del fidanzato. Questo gli fece venire in mente che sentiva un po’ la mancanza di sua madre, e che avrebbe voluto almeno salutarla prima che questo casino scoppiasse. Decise che al primo momento utile le avrebbe fatto una telefonata, anche solo per rassicurarla.

Nel frattempo, in un'altra ala di casa Tendo, altri due membri della banda affrontavano i propri problemi personali.
"Proprio in cucina?" chiese sarcastico Ryoga mentre Ukyo lasciava la sua mano, distanziandosi un po' da lui.
La scherzosa domanda cadde nel dimenticatoio. Si respirava un'aria abbastanza nervosa fra i due.
Non ci fu parola per qualche minuto, solo respiri affannosi e tentativi abortiti di iniziare un discorso.
"Ukyo..." trovò finalmente la forza.
Lei si voltò di scatto e...
No maledizione, non devi far così. Cretina.
"Ryoga... io...".
"Ti prego, smettila di piangere".
"Ma... ma...".
Non sopportava di vederla ridotta così. Lo mandava in bestia e gli faceva desiderare la morte peggiore per quelle odiosissime amazzoni in minatura. Chi toccava la sua ragazza fino a questo punto avrebbe sofferto pene indicibili, contorcendosi in un dolore indescrivibile.
Pregò caldamente per le loro vecchie carcasse che tutto questo danno fosse reversibile, perché se non lo fosse stato...
Oh, una gioia immensa radere al suolo quel cazzo di villaggio a furia di Shishi Hoko Dan. Non sarebbe mai stato più contento di essere disperato.
Cercò di avvicinarsi e lei si ritrasse appena. Non dava l'impressione di essere ingovernabile come quando era appena tornata, ma poteva dire di averla vista in condizioni molto migliori.
"Ukyo... sei stata tu a chiedermi di parlare ma... se continui a sfuggirmi non possiamo". Queste parole, pronunciate con immensa pena, ebbero un lieve effetto calmante e gli permisero di abbracciarla. Naturalmente fece tutto con estrema cura e lentezza per non rischiare di farla imbizzarrire di nuovo.
"Io ti giuro che la pagheranno, quelle schifose. Non permetto a nessuno di fare tutto questo male alla ragazza che amo e uscirne illeso. O non mi chiamo più Ryoga Hibiki. Ma, prima di questo, devo riuscire a recuperarti. Voglio vederti tornare a essere te stessa, non questa fotocopia spaventata e piena di stupidaggini immotivate in testa".
"Io... Ryoga, come sei riuscito ad innamorarti di me? Non sono sicura di meritarmelo...".
La domanda gli procurò un brivido freddo per tutta la schiena.
Le avrebbe ammazzate tutte, una ad una. Lentamente. E dolorosamente.
“Kuonji, se credi di essere la peggiore in questo gruppo di squilibrati, mi duole informarti che ti sbagli” rispose, sperando di strappare un sorriso alla ragazza, “potremmo sederci attorno a un tavolo ammettendo ognuno il peggio delle nostre carriere di pazzi e non finire mai.”
Ukyo si lasciò scappare un risolino, e la cosa rincuorò Ryoga: forse non era così grave come temeva.
“Non saprei dirti esattamente perché mi sono innamorato di te” proseguì, “non ne sono del tutto sicuro nemmeno io. Probabilmente sei ricomparsa nella mia vita al momento giusto e mi hai aiutato a dimenticare un amore che esisteva solo nella mia testa, o perché entrambi avevamo bisogno di leccarci le ferite. O forse dovevo capire che non avevo bisogno di una ragazza mite e gentile, ma una con cui scannarmi e litigare e con cui far pace cinque minuti dopo.”
Ukyo non disse una parola, ma si limitò ad ascoltare; Ryoga lo prese come un invito a continuare il discorso, e così fece: “Quello che voglio dire è... che è successo. Sei... anzi, io sono ripiombato nella tua vita, credo sia più corretto vista la mia propensione a sparire per mesi chissà dove... e ci sono rimasto. Vuoi per un’assurda richiesta di uscire insieme, vuoi perché era destino, è successo e basta. E io sono felice, perché sei la cosa migliore che poteva capitarmi.”
Ukyo sollevò lo sguardo verso il ragazzo, gli occhi lucidi e spalancati dallo stupore.
“Questa è... la dichiarazione più assurda e ridicola che io abbia mai ricevuto” sussurrò, “... e la adoro, parola per parola.”
Ryoga sorrise e la strinse a sé, felice di sentirla finalmente più rilassata tra le sue braccia.
Il devasto di Joketsuzoku avrebbe dovuto aspettare ancora un po’, aveva una fidanzata da consolare.

"Stai un po' meglio, piccola mia?" chiese delicato Soun dopo parecchi minuti di sfogo da parte della figlia.
Lei non rispose subito, ancora troppo impegnata a tirare su col naso e a bagnargli il gi. Però gli disse di sì, anche se solo mentalmente. L'aver buttato fuori quello tsunami di emozioni le aveva indubbiamente fatto bene, perché a tenere tutto chiuso dentro a doppia mandata sarebbe scoppiata, presto o tardi.
"Papà *sniff*" riuscì finalmente a mormorare "io... non so...".
"Ssssssh, Akane. Non parlare. Avevi bisogno di una spalla su cui piangere e mi sento onorato che tu abbia scelto me per questo compito. Ora va tutto bene. Calmati. Il peggio è passato".
"Sei... gentile *sniff* a dire così... ma...".
"Ma?".
"Ma non è passato... proprio *sniff* per nulla...".
"Cosa intendi?".
Lei trovò la forza di staccarsi e di rendersi un pochino più presentabile. L'operazione coinvolse anche una manica della sua maglietta, in assenza di un fazzoletto.
Quando fu tornata in condizioni quasi normali rispose al padre: "Papà, io mi porterò addosso questo... schifo per sempre. Sarà sempre lì a ricordarmi che non sono la fidanzata perfetta che Ranma meriterebbe. Non so cucinare, non so nuotare, sono manesca, sono irritabile... e sono brutta, addirittura sfigurata adesso...".
A Soun montò un'inusuale rabbia a sentire la sua adorata figlia parlare di se stessa in questi termini molto poco lusinghieri. Quel che diceva era in gran parte corretto, questo non lo negava, ma non significava che dovesse essere contento mentre lei si faceva così gratuitamente del male.
Trattenne, non con uno certo sforzo, l'impulso di schiaffeggiarla. Uno di quegli schiaffi terapeutici, che si danno a chi comincia a straparlare per ricondurlo alla ragione. Sapeva che a lei non serviva e le avrebbe solo causato ulteriore dolore.
In compenso trovò cosa dirle: "Akane, non ti voglio sentire mai più dire simili assurdità. Ranma, che mi preme ricordarti ha almeno altrettanti difetti se non di più, è disposto ad accettarti ed amarti anche così. E sì, parlo anche di quel segno sul tuo volto. Io non sospettavo che la più testarda, coraggiosa e intraprendente figlia che un padre possa desiderare si facesse buttar giù da un po' di dubbi. Non sai cucinare... e a chi importa? Non sai nuotare... e va bene, vorrà dire che starai alla larga da piscine troppo profonde e mari aperti. Sei manesca... la pellaccia di quel ragazzo sa sopportare anche il più violento dei tuoi colpi, lo sai bene. Sei irritabile... vi assomigliate in questo. Per quanto riguarda la cicatrice, prova a vederla così: è un marchio di guerra, qualcosa che testimonia come neanche delle centenarie vendicative sono in grado di spezzare il tuo spirito di guerriera e donna".
"Papà... mi stai dicendo che...".
"Devo davvero essere ovvio? E va bene. Sono fiero di te e lo sono sempre stato. Anche per il fatto che sei riuscita a resistere in silenzio e così a lungo a un tale carico emotivo, che avrebbe distrutto chiunque".
Ci mancò poco che Akane riscoppiasse a piangere, ma dalla gioia.
Suo padre, a sua volta commosso, le ricordò che aveva altro da fare. Con gentilezza, ma in modo fermo, le ricordò che aveva un discorso con Ukyo e non era il caso di temporeggiare più del dovuto.
Se ne andò sorridendo come non faceva più da un po' di tempo.
Mentre si avviava verso il salotto ripensò alle parole del padre... e le venne in mente che doveva fare un’altra cosa, prima di parlare con Ukyo - che probabilmente stava ancora chiarendosi con Ryoga, per cui aveva tutto il tempo che le serviva.
Stava percorrendo il corridoio quando trovò il suo obiettivo, vicino al telefono.
“No non preoccuparti, qui va... va tutto bene. Volevo... volevo solo chiamarti, avevo voglia di sentirti, tutto qui. Spero non sia una cosa poco virile... ok ok, la smetto. Adesso vado e... sì sì, ti saluto tutti, tranquilla. Buona giornata e... uh, mamma?...Ti voglio bene.”
Akane si sentì quasì colpevole per aver origliato la telefonata tra Ranma e sua madre, ma non l’aveva certo fatto apposta; quando Ranma si voltò e la vide lì ferma ad osservarlo arrossì di colpo, quasi l’avesse colto a fare qualcosa che non doveva.
“A-Akane! C-che ci fai qui, credevo fossi con tuo padre!”
“Ho finito di... parlargli, stavo cercando Ukyo” rispose lei, imbarazzata, “giuro che non volevo ascoltare la tua telefonata, è stato un caso!”
“Non fa nulla, figurati” balbettò lui. “Senti, volevo dirti che mi dispiace per...” disse dopo alcuni istanti di silenzio, ma Akane lo zittì poggiando un dito sulle sue labbra.
“Sono io che devo scusarmi con te. Poco fa ho reagito in maniera esagerata mentre tu eri solo preoccupato per me... mi dispiace, ero... ero solo arriva al limite. Insomma, sai di che parlo... volevo solo scusarmi.”
Ranma non riuscì a resisterle, e mandò al diavolo la propria proverbiale timidezza per abbracciare Akane e stringerla a sé.
“Non ti devi scusare, posso solo immaginare come potevi sentirti... e io avrei dovuto capirlo prima, anche se lo sai che sono sempre stato troppo ottuso per riuscirci” sussurrò. “E comunque sono contento di sapere che fosse questa la ragione del tuo scatto d’ira, e non qualche idiozia delle mie...”
Akane sorrise, intenerita dall’adorabile goffaggine del fidanzato, e si accoccolò ancora di più tra le braccia di Ranma.
Cinque minuti. Ukyo può attendere altri cinque minuti.
I cinque minuti nella testa di Akane divennero prima dieci e poi quindici. Fosse dipeso da lei sarebbero stati anche di più.
Vennero, ahi loro, disturbati dal poco tempestivo arrivo dell'altra coppietta, reduce dal loro tête-à-tête. Fu Ranma a rompere il piacevolissimo, caldissimo contatto.
"Ryoga... Ukyo. Come va?" chiese, ingenuo. Ingenuo perché Akane, pur contrariata dall'interruzione, non mancò di accorgersi immediatamente del fatto che i due nuovi arrivati si tenevano per mano.
La gabbietta degli scoiattoli nella sua testa prese a muoversi come una forsennata, riempendole la calotta cranica di rumori che conosceva sin troppo bene.
Fu Ryoga a rispondergli: "Bene Ranma, va... bene. Sono riuscito a riportare questa testona sulla retta via, per fortuna. Mi sento di poter dire che, almeno per un po', non dovremmo temere crisi d'autostima da parte sua".
"Oh, che bella notizia. Ucchan...".
"Sì?".
"Sono felice di sapere che sei di nuovo fra noi".
"Grazie, Ranchan" sorrise. Non le era ancora passata del tutto, in verità, ma rispetto a neanche mezz'ora prima stava una favola.
E per far sì che mi passi del tutto ho ancora una cosa da fare.
"Akane, se non ti dispiace...".
"No Ukyo, non mi dispiace. Vogliate scusarci, fustaccioni, ma io e la signorina Kuonji dobbiamo parlare fra ragazze. Smammate, su".
I due si guardarono interdetti, poi sospirarono in sincrono e se ne andarono tenendosi le mani sulle spalle e lamentandosi della loro condizione di sottomessi servi della gleba.
"Ma guardali" commentò Akane, in tono allegro, indicando la schiena del suo fidanzato "fanno pure gli offesi. Non c'è più rispetto".
"Akane...".
"Ukyo, che c'è? Tutto bene?". Per un istante si lasciò sopraffare dalla preoccupazione per via della voce non proprio entusiasta della sua amica. La quale si affrettò a rassicurarla sulle proprie condizioni: "Tranquilla, tranquilla. Sto meglio, molto meglio. È solo che...".
"Che...".
"Ti devo chiedere scusa, Akane".
"Ohibò. Scusa per cosa?".
"Per tutte le volte in cui ti ho ferita, in passato. Solo ora mi rendo pienamente conto di quanto male ti posso aver fatto quando, senza neanche riflettere sulle conseguenze, ti davo del maschiaccio e della fidanzata rozza. È stato un comportamento vergognoso da parte mia e...".
"Ukyo Ukyo Ukyo, su. È acqua passata oramai. Si parla di... quanto, due anni fa? Di più? Non devi...".
"Sì che devo. Prima di essere sottoposta alla tortura delle amazzoni non avevo mai realmente capito quanto potessi risultare offensiva e sgradevole. E non indorerò la pillola dicendo che non lo intendevo, perché in quei momenti lo intendevo eccome. Ero spregevole e di questo mi sono pentita, te lo giuro".
Akane stava per rispondere di nuovo che no, non doveva scusarsi, era ormai storia vecchia... ma si fermò, le labbra dischiuse pronte a dire qualcosa ma fermate appena in tempo.
Invece era il caso di affrontare l’argomento, una volta per tutte. Che togliessero anche quell’ultimo sassolino dalla scarpa.
“Forse hai ragione” disse Akane, dopo qualche attimo di silenzio. “È vero, in quei momenti tu, come anche Shan-Pu e Kodachi, sei stata cattiva nei miei riguardi. Ammetto che, nonostante anche tu abbia giocato sporco parecchie volte cercando di conquistare Ranma, eri di certo la più amichevole nei miei confronti. E forse, se non ci fosse stato lui di mezzo, la nostra amicizia sarebbe cominciata prima, chi lo sa. Però... ogni volta che mi apostrofavi con tutti gli epiteti che anche Ranma usava, solo perché lui lo faceva e quindi ti sentivi in diritto di farlo... mi ha fatto un male tremendo. Ogni frase, ogni insulto, ogni presa in giro... tutte queste cose mi hanno lasciato tante ferite, alcune non del tutto rimarginate. Prima che Ranma entrasse nella mia vita non avevo mai avuto problemi di autostima, ma poi...beh, sappiamo come sono andate le cose.”
Ukyo non parlò, ma si limitò ad ascoltare e incassare il colpo. Si sentì nuovamente un verme, ma resistette stoicamente al peso di quella confessione: almeno adesso la vera Akane aveva un tono più conciliante, lontano dall’odio che l’illusione le aveva sputato contro.
E comunque me lo merito, pensò.
“Sai, ho sempre provato un’invidia enorme nei tuoi confronti” proseguì Akane, “molto più che nei confronti di Shan-Pu e Kodachi.”
“Eh? Perché?”
“Perché tu conosci Ranma da molto prima di me... anche se per anni non vi siete visti eri l’amica d’infanzia, quella che lo conosceva bene... e ogni volta che ti professavi “la fidanzata carina” non potevo non pensare che fosse vero. L’unica cosa che io mi sentivo dire giornalmente era che ero goffa, grassa e un maschio mancato... era inevitabile per me credere che sì, era vero: eri tu la fidanzata carina di Ranma, non io. E sì, ogni volta che me l’hai detto mi ha fatto male, molto male. Anche se non l’ho mai dato a vedere... dentro soffrivo maledettamente.”
Ukyo si augurò che una voragine le si aprisse sotto i piedi e la inghiottisse: come aveva potuto essere così meschina? Certo, quando ci sono ragazzi di mezzo si sa che le ragazze arrivano a dirsi le cose più assurde. Ma se ci fosse stata lei al suo posto? Non avrebbe fosse reagito e sofferto allo stesso modo?
“Akane io... mi dispiace, dico sul serio! Io all’epoca non pensavo proprio a quanto potesse far male, miravo solo a infastidirti... senza neanche pensare come sarebbe stato trovarmi nei tuoi panni.”
“Non avresti potuto, perché sentire Ranma che per primo mi chiamava maschiaccio ti dava ragione per crederlo e farlo a tua volta.”
Ukyo abbassò gli occhi, ormai sull’orlo delle lacrime. Poi sentì la mano di Akane sollevarle il viso.
“Tuttavia” continuò la minore delle Tendo “quando dicevo che è acqua passata dicevo sul serio. Se non ho mai tirato fuori l’argomento è perché lo consideravo davvero storia chiusa. Sono contenta di come le cose si siano evolute tra noi, e parlare di cose vecchie poteva rischiare di incrinare la nostra amicizia... ma come qualcuno più saggio di me ha detto, una volta, meglio dirsi tutto e subito prima di trovarsi a usare certe vecchie storie come scuse per ingigantire discussioni stupide. Quindi sì, direi che era il caso di togliersi questo sassolino dalla scarpa... almeno adesso non ce ne sono più.”
“Quindi... “balbettò Ukyo, incerta.
Akane si limitò a sorridere e poggiò la fronte contro quella dell’amica, per poi stritolarla in un abbraccio confortante.

Mentre tutti in casa Tendo erano occupati a chiarirsi e consolarsi a vicenda, qualcuno si apprestava ad un piccolo confronto.
Si guardò attorno, poi sgattaiolò in bagno.
Aprì il rubinetto l’acqua e porse qualcosa dentro la vasca con delicatezza, poi attese qualche secondo.
Pochi istanti dopo Mousse affiorò dall’acqua.
Quando si voltò, vide una figura appoggiata al bordo della vasca; anche se non aveva i suoi occhiali, era abbastanza vicino da poter riconoscere la sagoma. L’avrebbe riconosciuta tra mille.
“Ciao, Mu-Si.”
"Shan-Pu..."
fu l'intelligentissimo commento che gli uscì dalle labbra.
Silenzio. Nessuno dei due sapeva bene cosa dire, o se doveva dire qualcosa in generale.
Poi, finalmente, qualcuno prese il coraggio a quattro mani. E, contro ogni aspettativa comune, fu lei.
"Mu-Si... come stai?".
"Sto bene. E ora... sto meglio".
"Perché?".
"Perché vedo che non hai più terrore di me. E spero anche della vecchia... ehm, della nobile Ku-Lun, anche se non è che la cosa mi interessi poi così tanto..."
.
Lei si alzò e gli diede le spalle. È vero che non aveva più la fobia totale che l'aveva posseduta negli ultimi giorni, ma non si sentiva ancora del tutto a suo agio in sua presenza. E nonostante questo era stata lei a prenderlo e a portarlo in bagno per riportarlo in forma umana.
Era ancora contrastata. Avrebbe voluto tuffarsi dentro la vasca e abbracciarlo fino a farlo soffocare, ma qualcosa glielo impediva.
"Shan-Pu... tu stai bene, vero?".
Un sospiro: "Meglio di prima sicuramente, altrimenti non sarei riuscita a fare tutto questo. Ma non posso ancora dire di essere completamente a posto".
"No? Cosa ti inquieta ancora?".
"Ho solo un po' di paura residua. Paura che tu o la nonna possiate di nuovo cominciare a insultarmi e a trattarmi come un fallimento totale e farmi pesare gli insulti che ti ho sempre rivolto e rinfacciarmi di non essere una brava combattente come pensavo e...".
"Basta così, Shan-Pu. Ti prego, basta così"
. La voce di Mousse era raramente stata tanto autoritaria e mai così dolce.
"Pugnali a morte me, oltre che te stessa, dicendo queste cose. Né io, né tua nonna pensiamo davvero quella montagna di stronzate. Io sono felice di vederti in piedi e in grado di conversare con me senza strepitare come un cane con l'idrofobia, lo dico sul serio. Però devi cercare di convincerti di quanto sto dicendo, e cioè che tu non sei un fallimento. In nessun caso. E men che meno per me".
"Mu-Si...".
"Shan-Pu, è vero che hai qualche difetto. Sei umana, d'altronde, e voglio proprio trovare il fenomeno che può vantarsi a ragione di essere perfetto. Ma i tuoi difetti non mi hanno mai impedito di apprezzare le tue doti, che sono almeno altrettante. Sei risoluta, testarda, volitiva, ambiziosa, forte, astuta, sexy, voluttuosa e tantissime altre cose splendide. E io non potrei mai, neanche nel punto più basso della mia moralità, rinfacciarti alcunché. Mi esploderebbe la testa se solo lo pensassi, figurati metterlo in pratica. Se non ho smesso di amarti quando mi consideravi il peggior fastidio della tua vita... ora che mi hai dimostrato che mi ricambi come, come potrei rifiutarti? Non credo di poter solo concepire l'idea"
.
Qualcuno si potrebbe aspettare che lei cadesse a terra con lacrimoni e strilli da tragedia greca. Ma no, si limitò a voltarsi in direzione di lui, che la osservava concentrato e speranzoso, e dirgli questo: "Io... io sono veramente fortunata ad averti... non mi capacito di aver perso tutto quel tempo dietro a Ranma quando sotto il mio stesso tetto viveva una simile pietra preziosa...".
Mousse non riuscì a trattenersi e, senza pensarci due volte, uscì dalla vasca e abbracciò Shan-Pu. Non sapeva cosa dire, né gli riusciva di mettere insieme una frase che avesse senso compiuto. Voleva solo stringerla a sé, farle sentire la sua vicinanza e soprattutto sentire la sua, cosa che gli era mancata mortalmente in quei tre giorni.
Si rese conto dell’errore quando sentì la ragazza irrigidirsi.
Sono un idiota!
Shan-Pu si era appena ripresa da quello stato di catalessi, probabilmente gesti così espansivi erano dannosi e avrebbero rischiato di farla nuovamente chiudere a riccio... e invece, con enorme stupore di Mousse, la cinesina si rilassò poco a poco, fino a ricambiare l’abbraccio.
Il ragazzo tirò un enorme sospiro di sollievo.
“Mu-Si...”
“Lo so, scusami, sono stato avventato”
rispose lui, “non dovevo abbracciarti così all’improvviso.”
“Non è questo...”
“Oh già, che idiota... ti starò infradiciando i vestiti!”
“No, non intendevo...”
“E allora cosa?”
chiese, un po’ inquieto. La sua mente stava già facendo i più atroci collegamenti.
“Mu-Si, sei... contento di vedermi.”
“Ovvio che lo sono, te l’ho appena detto.”
“Non in questo senso...”
“E allora in che... oh. OH.”

Si allontanò velocemente da Shan-Pu alla disperata ricerca di un asciugamano, mentre la cinesina rideva. E nonostante l’imbarazzo, quella risata lo rincuorò, facendolo sperare per il meglio.
“Se hai finito di deridermi” disse, mentre cercava di nascondere le sue vergogne alla meglio “non è che potresti chiedere a Kasumi se i miei vestiti sono asciutti?”

   
 
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