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Autore: _Lightning_    02/07/2013    5 recensioni
Dal Capitolo 2, "Odio gli indifferenti": Il mio era un mondo dorato che mascherava qualcosa di molto più turpe di cui non volevo curarmi minimamente. Ero corazzato dietro l'indifferenza perché, tanto, non sarei stato io a subire i risultati del mio stesso lavoro. Mi sarei limitato a coglierne i frutti.
È facile parlare quando sei dalla parte sicura, quando il tuo punto di vista è l'unico che conosci.

Dopo Iron Man 3 troviamo un Tony diverso, cambiato dagli eventi nella mente e nel fisico, con una realtà del tutto nuova con la quale confrontarsi... e con una gran voglia di parlarne con qualcuno, meglio ancora se quel qualcuno è il suo migliore amico improvvisatosi controvoglia psicologo.
Non si parla però solo di Iron Man 3: si torna alle origini, al giorno in cui è nato Iron Man, alle scelte e alle decisioni che hanno portato Tony ad essere ciò che è adesso.
E tra un capitolo e l'altro qualche filosofo -e non- dice la sua.
[pre-Iron Man // Afghanistan // post-New York // Serie: Newborn]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Bruce Banner, Tony Stark, Yinsen
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Newborn'
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2

Sopravvivere



 

"Un essere che s'adatta a tutto: ecco, forse, la miglior definizione che si possa dare dell'uomo."

[F. Dostoevskij]




"Dicono che il bene più prezioso che abbiamo è la vita. Certo che lo è, se intendiamo come "vita" l'insieme delle cose che la rendono tale. Per me erano una bella casa, tante ragazze, un laboratorio a disposizione, auto sportive, un computer intelligente: roba del genere, a cui magari non dai tanto peso. Cose frivole che però rendono interessante la tua esistenza. Ma quando tutto questo scompare, quando la tua vita è composta unicamente dal tuo cuore che batte grazie a una batteria, dal tuo respiro che sembra sempre l'ultimo e dal tuo stesso corpo sfibrato... non è preziosa. Non è nulla. È una parola, uno stato momentaneo in cui sei intrappolato. Sei vivo, ma non vivi. A quel punto quasi speri di morire."
 

*


«Otto.»

«Undici.»

«Ti dico otto

«Sono undici.»

«Io ne ho contate otto.»

«Allora hai contato male

Yinsen si voltò finalmente verso Tony, rivolgendogli uno sguardo penetrante che lo fece ammutolire. L'uomo si mosse a disagio sulla cassa su cui era seduto e si passò nervosamente una mano sul pizzetto sfatto, ormai quasi inglobato dalla barba incolta. Yinsen si concentrò di nuovo sulla padella che sfrigolava sul fornelletto, rimestandone distrattamente il contenuto con un cucchiaio. La sua figura magra e allampanata quasi spariva nei vestiti larghi e sformati che indossava, ormai inutilmente eleganti. Gli occhiali rotondi che gli incorniciavano le iridi chiare erano appannati dal vapore, e spesso passava una manica sulle lenti per pulirli. Aggrottò la fronte mentre si domandava se quello che stava cucinando fosse commestibile. Non che facesse molta differenza. Le sue considerazioni furono interrotte dalla voce di Tony che risuonò ancora nell'ampia grotta, leggermente amplificata:

«Otto, undici... che differenza fa?» sbottò sfrontatamente e senza alcuna intenzione di demordere.

Yinsen non rispose subito, ma quando lo fece il suo tono era pacato, sebbene venato da una punta di durezza:

«Hai ragione. Non fa molta differenza essere trafitti da otto o undici proiettili, dopotutto. E tu non hai davvero bisogno di altro metallo nel tuo corpo,» aggiunse adocchiando la vistosa batteria posata sul bancone, che protendeva i cavi fino al suo petto per poi scomparire tra le bende ormai sudice che lo fasciavano.

Tony toccò nervosamente il magnete sotto la stoffa, trattenendo palesemente un singulto di dolore, ma sostenne il suo sguardo con ostinazione dettata da puro orgoglio ferito.

«Loro sono pochi e noi abbiamo un arsenale a disposizione,» ribatté, accennando ai componenti meccanici, agli ordigni e alle apparecchiature che campeggiavano lungo una parete, «Quanto pensi che mi ci vorrà per...»

«Per ritrovarti con una pallottola in testa? Poco, molto poco,» lo troncò sul nascere Yinsen.

«Cosa pensi che accadrà una volta che avrò costruito il Jericho?» insistette Tony con veemenza, facendo un brusco scatto che ricordava quello di una bestia in gabbia, o di qualcuno che volesse scacciare con forza qualcosa di molesto.

«Non ti lasceranno certo tornare a casa,» convenne lui, serafico. «Ti uccideranno, o forse ti tratterranno ancora e chiederanno un riscatto, lo otterranno e poi ti uccideranno lo stesso,» continuò con agghiacciante semplicità. «Ma questo lo sai. Pensa piuttosto a quel che puoi fare prima che accada tutto questo. E con ciò non intendo lasciarsi morire di fame,» chiarì con voce improvvisamente severa, additandolo accusatorio col cucchiaio.

Tony ignorò il commento e corrugò le sopracciglia, confuso.

«Ti sto dicendo,» la sua voce si fece più lenta, come se dubitasse di essersi spiegato bene, «che potremmo facilmente sopraffare quei terroristi, con tutto il potenziale bellico che ci hanno lasciato,» rilevò pragmaticamente.

Dalla sua espressione si poteva star certi che sarebbe stato in grado di costruire veramente di tutto anche in una situazione così disagevole. Yinsen sospirò.

«Tu mi stai dicendo che vuoi costruire una qualsiasi arma e uscire di qui sparando all'impazzata e sperando di uccidere più nemici possibili prima che ti cada quella batteria, che ti prenda un infarto o che tu svenga per le ferite,» lo corresse, e stavolta lo guardò palesemente scettico.

Tony voltò il capo a disagio e Yinsen si sentì un poco in colpa nel demolire i suoi propositi di fuga. Ma illuderlo sarebbe stato ancor più crudele. Era un uomo che era stato sicuramente abituato a veder realizzato ogni suo desiderio in qualsiasi circostanza e ad essere adulato per ogni sua azione; adesso doveva comprendere il fatto di non essere più lui a dettare le regole e che qualunque mossa errata poteva avere risvolti tutt'altro che piacevoli. La sua vita era l'unica cosa che gli fosse rimasta, per quanto diversa e dolorosa e vuota. Doveva solo accettarlo...

«È pur sempre un piano. Sicuramente meglio che rimanere qui dentro a marcire,» borbottò infine Tony, rivolgendo uno sguardo impotente alle pareti rocciose che li rinchiudevano.

... e al momento non sembrava avere la minima intenzione di farlo. Si sarebbe lasciato morire piuttosto che sottomettersi ai suoi carcerieri, questo dicevano i lividi che marchiavano il suo volto e 
il suo sguardo deciso, in qualche modo già pronto ad essere spento dalla rassegnazione. Yinsen sospirò di nuovo, più tristemente.

«Non mi sembra un gran bel piano. Sicuramente Tony Stark può far meglio di così,» concluse con veemenza, spegnendo il fornelletto e segnando così anche la fine del discorso.

Il diretto interessato non replicò, chiudendosi in un silenzio assorto, ma l'occhiata che gli rivolse sembrò forse ravvivata da quelle parole. Yinsen versò il contenuto della padella in due scodelle di latta seguito dagli occhi assenti del compagno. Ne prese una per sé e porse l'altra a Tony, che la accettò, ne scrutò dubbioso il contenuto – fagioli, prevedibilmente – e la abbandonò sul bancone accanto alla batteria. Erano due giorni, da quando si era svegliato, che non toccava cibo. Lo scrutò a lungo con rimprovero, con gli occhi azzurri che sembravano indagarlo nel profondo.

Tony incrociò le braccia sul petto, in un gesto che, se in un altro contesto sarebbe stato naturale e tendente allo spavaldo, adesso sembrava quasi di difesa, come se così potesse impedire di essere ferito o di far fermare il suo cuore. Il suo sguardo rimase fisso sul pavimento in terra battuta, gli occhi improvvisamente spenti e offuscati da pensieri cupi. Yinsen scosse la testa e non commentò, prendendo a mangiare con assoluta tranquillità. Tony sembrò apprezzare quella discrezione, perché gli scoccò un'occhiata meno cupa prima di catalizzare di nuovo la sua attenzione sull'ingombrante congegno che lo teneva in vita. Distolse bruscamente lo sguardo puntandolo sulla fila di missili allineati a pochi metri da lui, per poi passare ad osservare le pareti, il soffitto, l'occhio rosso perennemente vigile della telecamera, la porta blindata che li separava dalla libertà. La sua mano tornò a stringere inconsapevolmente il magnete. Serrò i denti e cominciò a respirare più profondamente, come se stesse cercando di domare emozioni troppo intense per essere ignorate. Chiuse gli occhi e poggiò la testa sulla mano libera, ripiegandosi su se stesso in silenzio.

Nel frattempo Yinsen finì di mangiare, si alzò e posò la ciotola vuota accanto al fornello, senza fare osservazioni sul fatto che la cena del suo coinquilino fosse ancora intatta, né aprendo bocca per la mezz'ora successiva, durante la quale se ne stette sdraiato sulla brandina a sonnecchiare, godendosi quel raro momento di quiete.

«Perché siamo ancora vivi?»

Yinsen fu strappato al dormiveglia e socchiuse gli occhi, prima di rispondere bofonchiando in un mormorio meccanico:

«Perché non ci hanno ancora uccisi.»

Udì un sospiro esasperato da parte di Tony.

«Intendo dire,» sottolineò rudemente, trattenendo la rabbia che faceva vibrare la sua voce, «per quale motivo siamo ancora vivi? Per cosa? Cosa ci resta da fare adesso che siamo prigionieri?» chiese, affannato.

«Tu hai un missile da costruire, se non sbaglio. Io sono qui per accertarmi che tu non collassi sul lavoro e per tenerti in vita il più a lungo possibile, in modo che tu completi quel missile.«»

«Non lo costruirò. E non è questa la risposta che volevo,» aggiunse, amareggiato.

A quel punto Yinsen si mise a sedere di scatto, trapassandolo coi suoi occhi chiari divenuti improvvisamente gelidi. La grotta sembrò molto più cupa adesso, mentre le fiamme stentate del focolare disegnavano ombre spigolose e primordiali sulle pareti rocciose e balenavano negli occhi dei due uomini. La sua voce risuonò di nuovo, tagliente:

«Ti aspetti una qualche spiegazione mistica a tutto questo? Vuoi sentirti dire che sei vivo per un motivo, che hai ancora qualcosa da compiere su questo mondo o che sei stato miracolato?» Tony sembrò indietreggiare di fronte a quell'esplosione, ma non mosse un muscolo, il volto contratto. «Mi dispiace deluderti, ma non c'è nessuna spiegazione, nessun perché metafisico per cui sei ancora in vita. Solo fortuna, un'operazione azzardata e una batteria per auto.»

«Questo lo so,» replicò l'altro, sferzante. «Mi chiedevo soltanto come mai io non abbia staccato il magnete da quella batteria non appena mi sono svegliato prigioniero. E perché tu, dottore, non ti sia già tagliato le vene da un pezzo con quel tuo maledetto rasoio!»

Concluse la frase in un ringhio frustrato, scoccando a Yinsen un'occhiata astiosa ma venata del timore di chi ha detto una parola di troppo a chi non la meriterebbe. Yinsen scosse la testa, ma il repentino guizzo di rabbia che l'aveva infiammato era già sopito, rimpiazzato da un sentimento più mesto e conciliante, dettato da una vita trascorsa tra guerre di armi e parole inutili. Rispose senza acredine, ma cristallino:

«Sei... siamo vivi semplicemente perché siamo umani e non possiamo rassegnarci a morire. È nella nostra natura voler sopravvivere il più a lungo possibile con ogni mezzo che abbiamo. Tentiamo di adattarci, anche se sappiamo di poter fallire o di andare incontro ad altra sofferenza, perché tutto ci sembra più allettante della morte. Non è altro che semplice istinto di conservazione, che ti piaccia o no.»

Si fissarono a lungo, l'uno in attesa che l'altro parlasse, ma l'unico suono rimasto era il crepitio del fuoco morente. Infine Yinsen si distese nuovamente, rivolgendo gli occhi stanchi al soffitto scosceso. Non arrivò nessuna replica dal suo compagno, né se ne aspettava una. Poté infine udire un sommesso rumore di stoviglie smossa e, subito dopo, lo stridio del cucchiaio che raschiava il fondo della gavetta.

«Quello di cui parli...» esordì Tony tra un boccone e l'altro, «Si chiama "speranza".» affermò semplicemente.

Yinsen sorrise tra sé, un sorriso triste che gli fece tremare gli angoli delle labbra.

«Questo può essere un inizio.»




 


 

 


Note Dell'Autrice:

Salve a tutti, non c'è bisogno di dire che sono in vergognoso ritardo come sempre, giusto? Perdonate i miei tempi di aggiornamento da incubo, ma non ho avuto veramente un minuto libero e l'ispirazione fatica a ripristinarsi come si deve. 
Bene, riguardo al capitolo: nella mia testa era molto più bello, ma è venuto fuori questo. Non sono del tutto sicura di aver reso l'idea centrale, che poi sarebbe la scelta tra vita e morte –sì, l'allegria spopola proprio nei miei scritti, ma ho pur bisogno di uno sfogo. Quindi... godetevi la visione di un Tony più frustrato, complessato e delirante che mai, col buon Virgilio Yinsen che gli mostra la retta via.
Ci tengo a sottolineare che il personaggio di Yinsen è liberamente riadattato e sviluppato dal poco che hanno fatto vedere nel primo film. Sono consapevole di averlo reso forse un po' troppo duramente, ma è una mia personale visione legata ad altri eventi di mia invenzione -o intuizione?- che verranno esposti più avanti nella storia.

Detto ciò, ringrazio quelle anime pie di Alley e evenstar che hanno recensito gli scorsi capitoli e che mi fanno felice come una Pasqua <3
Auf Wiedersehen!

-Light-
   
 
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