Anche
arrivare a casa stanco, distrutto, affaticato sotto ogni punto di vista
–
fisico e mentale – sembrava non essere più
abbastanza.
Faceva gli straordinari, correggeva compiti in tempi record, stilava
programmi
delle lezioni, leggeva qualsiasi novità sui testi
universitari di Letteratura.
La sua mente era in continuo lavoro, non si fermava mai. Mai, davvero.
Non poteva permettersi il lusso di fermarsi a pensare.
Per quanto fosse in grado di controllare ogni aspetto della sua vita
– o almeno
così si illudeva di poter fare – c’era
qualcosa che lo colpiva dritto al petto.
Un pensiero, un nome e un volto, in grado di paralizzarlo e
intrappolarlo in
una bolla senza aria.
I momenti peggiori arrivavano sempre alla sera. O meglio: notte. Aveva
smesso
di andare a letto ad orari decenti ormai da un pezzo.
Lentamente, ogni giorno, quella stanchezza davvero non sembrava
più abbastanza.
Addormentarsi diventava sempre più difficile. Mettersi nel
letto, avvolgersi
nelle coperte, chiudere gli occhi e sperare di addormentarsi il prima
possibile… una routine di movimenti che non riuscivano
più a fargli raggiungere
il suo scopo: dormire e non pensare. Dormire e non sognare.
Perché, purtroppo, era proprio in quei momenti che quel
nome, quel viso,
prepotentemente reclamava spazio nei suoi pensieri.
Ecco, era proprio questa una di quelle cose che non riusciva a
controllare.
Quando mai, del resto, era stato in grado di controllare quel ciclone
che aveva
sconvolto ogni aspetto della sua esistenza?
Lo odiava in quei momenti.
Davvero lo odiava. Continuava a ripeterselo mentre serrava gli occhi.
Si rigirava nel letto più e più volte. Iniziava a
fare calcoli mentali sul fuso
orario che li differenziava. Sui chilometri che li separavano.
Cosa diavolo stava facendo adesso?
Ed era in quell’istante che iniziava il circolo
vizioso delle sue domande.
Anche lui faticava ad addormentarsi la sera?
Esisteva ancora un po’ di spazio per lui, nei suoi pensieri?
Quello stupido riusciva, almeno vagamente, ad immaginare il disastro
emotivo
che aveva lasciato dietro di sé?
E alle domande susseguivano inesorabili le paure senza controllo.
Quelle che lo
catapultavano in un tunnel senza via d’uscita.
Aveva conosciuto qualcun altro? Qualcuno
in grado di fargli dimenticare cosa avesse lasciato in Giappone?
Nowaki poteva essere felice anche senza di lui?
Ficcava la testa sotto il cuscino, tratteneva il respiro,
odiandosi per
lasciarsi sconvolgere così tanto.
Odiandolo, per averlo sconvolto così tanto.
Era in quei momenti che sentiva la mancanza dell’amore
incondizionato che
Nowaki riusciva a dargli.
Serrava gli occhi, sentendo il freddo invaderlo fino alle ossa. E non
bastava
avvolgersi nelle coperte, non bastava alzarsi e prepararsi un
thé caldo
sforzandosi di scacciare quel genere di pensieri.
Non bastava più.
Serrava gli occhi e cercava di ricordare quella sensazione. Di sentirla
ancora
sulla sua pelle.
“Nowaki… ho
freddo.”
Lo borbottava appena, senza bisogno di aggiungere altro. Lui arrivava
subito.
Lui arrivava sempre.
Lo stringeva a sé, le sue braccia gli circondavano le spalle
e Hiroki veniva
circondato da quel calore che solo lui e nessun altro al mondo avrebbe
mai
potuto dargli.
Fermo così, fermi così.
Stretto a lui, lentamente, si addormentava.
Nowaki non gli avrebbe mai permesso di provare quella sensazione. Di
sentire
quel freddo. Di sentirsi solo.
No. Non l’avrebbe mai permesso.
Il momento peggiore in assoluto era quando arrivava il nodo alla gola.
Quello
arrivava sempre quando non riusciva a prendere sonno per
così tanto tempo da
far divenire il flusso di pensieri totalmente incontrollato.
E non
c’era davvero niente di peggio per Hiroki che lasciarsi
comandare dalle sue
paure.
Quel nodo alla gola, quello, era la conclusione di quel turbine senza
fine.
In quei momenti si concedeva qualcosa che non avrebbe mai mostrato a
nessuno.
Uno sfogo di cui si vergognava terribilmente.
E ancora sentiva quel freddo.
Ancora
sentiva Nowaki.
Ancora, per un’altra maledetta notte, sentiva Nowaki.
Sentiva il freddo e il vuoto che la sua assenza aveva lasciato.
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Scritta di getto in una notte in cui avrei dovuto fare decisamente altro, ma la mancanza che sento per una certa persona mi ha imposto di buttare su carta (virtuale) delle sciocche parole.
A breve quella mancanza verrà colmata, e anche se quella persona riesce comunque ad essermi sempre - davvero sempre - vicina, a volte manca in maniera indescrivibile.
Dedicata al mio “Nowaki” personale.
N.