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Autore: _eco    04/07/2013    7 recensioni
[Peeta Mellark/Katniss Everdeen] [Una visione del tutto personale di come Peeta avrebbe potuto chiedere a Katniss se l'amasse o no.]
Dalla storia:
"- Ti piace? –
La voce di Peeta mi riporta alla realtà. E’ davanti a me, in un grembiule a righe bianche e azzurre e un po’ di farina sulla punta del naso.
Certo che mi piace! E’…è…
- E’ bellissimo – dico.
E’ bellissimo, ripeto fra me e me, prendendomi in giro. Davvero è il massimo delle possibili risposte che puoi dare, Katniss?"
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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[Dolci] Ricordi

Sulle pareti ci sono tutte le sfumature di arancione, anche le più sfuggenti e indefinibili. E’ come assistere ad un tramonto che non ha mai fine. Ti senti in pace, come dentro un fuoco dai colori accesi e caldi, che però non brucia. Riscalda e basta.
Nei mesi scorsi, ho offerto più volte il mio aiuto a Peeta, il quale ha ogni volta ringraziato con un sorriso e reclinato la proposta.
- Lo vedrai una volta finito. – diceva.
E cambiavamo argomento. Capisco, in un certo senso, il suo desiderio di ultimare il lavoro in solitudine, la sua voglia di chiudersi in un mondo fatto di infiniti tramonti. Credo che consideri tutto questo – la panetteria letteralmente rinata dalle proprie ceneri e l’aver preso su di sé la responsabilità di portare avanti un’attività che è sempre stata accompagnata dal nome della sua famiglia – come un modo per non perderli del tutto: suo padre, i suoi fratelli maggiori, e anche sua madre, sì. Perché per quanto un genitore possa mostrarsi assente, c’è sempre una parte di te che non smetterà mai di volergli bene.
Si respira aria e profumo di pane caldo, appena sfornato. Un profumo che ti sale su per le narici e ti invade il cervello, e così ti ritrovi ad immaginare montagnole di pagnotte fumanti e fragranti.
A Prim piacevano le focaccine rotonde e soffici dei Mellark, ma, pur essendo il tipo di pane meno pregiato che producessero, ogni volta mi venivano a costare uno scoiattolo. Più di tutto, Prim andava matta per i colori sgargianti delle torte e dei pasticcini esposti in vetrina, su fogli di carta sottile e rosata. Tutti i pomeriggi, dopo scuola, esigeva che ci fermassimo cinque minuti almeno lì davanti. Aveva una strategia tutta sua, per indurmi ad assecondarla: arrivate in piazza, iniziava a rallentare il passo, e prendeva a guardarsi intorno con noncuranza, tirandosi su spesso la gonna che era mia e che le stava troppo larga in vita. Quando ci trovavamo a due o tre metri dalla panetteria, voltava il capo di qua e di là, fingendo di non capire da dove provenisse il profumo del pane appena sfornato. Annusava l’aria con attenzione, e io cercavo di ignorarla, perché lo sapevo – accidenti, lo sapevo! – che non potevo comprarle i dolci che tanto desiderava assaggiare. Così affrettavo il passo e superavo la panetteria dei Mellark, ma Prim piantava i piedi per terra e cominciava a soffiare un “ti prego” supplicante, con tanto di faccia da cucciolo correlata.
- Ti piace? –
La voce di Peeta mi riporta alla realtà. E’ davanti a me, in un grembiule a righe bianche e azzurre e un po’ di farina sulla punta del naso.
Certo che mi piace! E’…è…
- E’ bellissimo – dico.
E’ bellissimo, ripeto fra me e me, prendendomi in giro. Davvero è il massimo delle possibili risposte che puoi dare, Katniss?
Mi sa tanto di preconfezionato e vuoto, e io stessa non lo sopporto quando esce dalla bocca delle persone. Perché è prevedibile e banale e scontato, e mi suggerisce sempre che la persona in questione sia distratta e disinteressata. Be’, distratta lo sono, ma disinteressata no.
Così mi guardo intorno, sforzandomi di trovare un aggettivo che renda meglio il concetto.
Ci sono degli scaffali di legno scuro – oh, com’è buono il profumo del legno nuovo! – e su questi sono allineate file e file di pagnotte, di quelle morbide e calde che, ogni tanto, mi permettevo il lusso di portare a casa, in cambio di uno o addirittura due scoiattoli. Poi ci sono altri tipi di pane, sottili o con una forma che richiama una successione di gradini, oppure a forma di rosa. Ci sono pacchetti di plastica in cui sono chiusi tre croissant per ciascuno. Una volta ne ho visti diversi sul tavolo da cucina di Madge Undersee. I più ricchi del Distretto ci facevano colazione ogni mattina.
E poi c’è un banco molto ampio e lungo, delimitato da uno spesso strato di vetro luccicante e trasparente. Peeta deve averlo lucidato da poco. Teglie e teglie foderate di carta sottile e colorata e riempite di pasticcini e torte più o meno noti alla mia memoria, e praticamente sconosciuti alle mie papille gustative.
Il bancone ha il piano di marmo, ma la struttura è di pietra, anch’essa dipinta di arancione. Penso alle pareti, al soffitto, e alla porta d’ingresso, che è vetrata e ha una sorta di mosaico color mandarino e limone.
- E’ arancione. – mormoro, incantata e un po’ intontita.
Ma brava, Katniss, conosci anche qualche colore!, mi rimbecco da sola.
Peeta non ride, ma si limita a fare una smorfia divertita: è sempre molto discreto.
- Volevo che fosse accogliente. – aggiunge dopo un po’.
Decido che è ora che la smetta di cercare altre frasi d’effetto per complimentarmi con Peeta, così mi metto a guardare veramente ogni singolo bigné in esposizione. Ci sono i tartufi al cioccolato, le barchette piene di panna e fragoline, i mini tortini alle amarene, le crostate alla marmellata di fichi o arance, i bicchierini di vetro con dentro mousse alla fragola o al melone. E poi piatti circolari che ospitano le torte più svariate: dal semplice pan di spagna spolverato di zucchero a velo, al ciambellone al cioccolato, alle più elaborate con farciture di panna e fragoline o crema di cacao o di pistacchi. E poi c’è la crostata di pere e cioccolato, per cui Prim andava matta.
Una volta – una sola – riuscii a comperarne tre fette sottili da far incartare e portare a casa, per il decimo compleanno di mia sorella. Prim condivise la sua fetta con Ranuncolo, che le strisciava la coda contro le gambe magre e sempre in movimento.
- Toh, mangione! – gli disse, avvicinando la mano al suo brutto muso.
Insistetti molto affinché Prim mangiasse la sua porzione per intero, perché Ranuncolo poteva anche nutrirsi di topi e cose varie, ma lei, per tutta risposta, mi disse che anche noi potevamo mangiare altro. Rimasi zitta: niente da fare, mia sorella amava quel gatto.
Scopro con vergogna di aver incollato le dita e il naso al vetro, e di averlo così sporcato con il mio respiro e le mie impronte, quando Peeta deve averci messo delle ore per pulirlo per bene.
Mi torna in mente Prim – di nuovo – che schiacciava il nasino contro la vetrina, nella speranza di percepire il profumo delle torte glassate e farcite di cioccolato. E poi vedo l’ombra mezza gobba – quella strega della Mellark – che la scaccia con un gesto della mano, da dentro la panetteria. Stava sempre a pulire e lucidare, e non sopportava che qualcuno imbrattasse il suo lavoro. Se poi questo qualcuno era una bambina del Giacimento con le unghie nere e i vestiti larghi e rattoppati…
Penso che il mio viaggiare con l’immaginazione mi abbia impedito di accorgermi che Peeta si è allontanato. Dev’essere entrato nella stanza che si intravede dal bancone. Forse c’è il forno, perché riesco a scorgere la luce tipica del fuoco acceso.
Ritorna poco dopo, con in mano un vassoio di plastica verde. Mi chiedo se sia un caso che abbia scelto il mio colore preferito. E anche se fosse, mi piace.
Comunque, non se l’è presa per le ditate sul vetro. Ha fatto una faccia alla “non ti preoccupare”. – Sai quante ne lasceranno i bambini che entreranno! – ha detto, scherzoso.
Ci accomodiamo ad uno dei quattro tavolini di legno che Peeta ha disposto in fondo al locale. Solo adesso mi accorgo che la nuova panetteria deve essere almeno il doppio della vecchia.
Peeta si siede di fronte a me, e mi dà il tempo di studiare i pasticcini nel vassoio. Sono due, e non più grandi del fondo di un normale bicchiere di plastica. Ma forse è il fatto che siano così piccoli a renderli ancora più preziosi: ogni decorazione o rifinitura è delicata e curata.
Sono composti da un cestino biscottato con il bordo di cioccolato, e sono ricoperti da glassa colorata. Non troppa, però, perché Peeta sa che non mi piace. O forse perché nemmeno a lui piace. Tanto meglio, penso, perché la glassa mi lascia un sapore dolciastro in bocca che proprio non sopporto. C’è del cioccolato, molto cioccolato. Penso il massimo che quei piccoli cestini possano contenere. C’è scritto qualcosa, sulla glassa, ma i caratteri sono sottili e devo avvicinarmi per leggere.
“MI AMI” si vede in alto, e poi, in corrispondenza della “M”, parte una leggera linea di cioccolato bianco, in verticale. Divide a metà il pasticcino. Da un lato, c’è scritto “VERO”, dall’altro “FALSO”.
Mi sorprende scoprire che Peeta ha infiniti modi di comunicare: le parole, i colori, adesso anche i dolci.
Prendo un dolcetto, e, tenendolo con entrambe le mani, lo spezzo a metà. O almeno è quello che avrei voluto fare: non sono riuscita a seguire perfettamente la linea di cioccolato bianco, e il “VERO” si è portato dietro la “F” del “FALSO”.
Metto un pezzo sul vassoio, e l’altro lo do a Peeta. Non sembra turbarlo il fatto che non sia spezzato bene.


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Salve salvino! Vi disturbo di nuovo con una one-shot davvero, davvero molto...fluff, e fuori dal mio genere, accidenti! Non so cosa mi prenda in questo periodo, ma scrivo cose che fanno venire il latte alle ginocchia, piene di malinconia e fluff a palate.
In Mockingjay, si ha solo un "assaggio" di come Peeta chieda a Katniss se lo ama o no, e io ho pensato a questo. Cioè...la mia mente malata e diabetica ha pensato a questo.
Fatemi sapere! :)
S.

  
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