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Autore: Alex e Finger    05/07/2013    1 recensioni
— Non mi sono mai sentito così poco Mentore come vicino a lui. —
— Diceva che sei così disposto ad imparare. Diceva che gli ricordavi Ishak, in qualcosa, anche se siete profondamente diversi. —
Lo sguardo di Ezio scivolò verso il tumulo e si velò per un attimo, mentre percepiva gli occhi di lei fissi sul suo viso.
— Perché mi cercavi? —
Ràhel si prese un attimo prima di rispondere, come se stesse raccogliendo le forze.
— Perché lo amavo. E perché sento che in questo breve tempo, anche tu lo hai amato. Vorrei parlarti di lui. —
Genere: Generale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Sofia Sartor, Yusuf Tazim
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Istanbul,

Jumâda Ath- Thânî 897

(Aprile 1492)

 

 







mir lo intercettò sulla passerella, mentre si avviava verso un esasperante appostamento al distretto di Bayezid che gli avrebbe portato via l’intero pomeriggio.

— Tutti i tuoi incarichi di oggi sono annullati, Yusuf. — Il siriano gli posò una mano sulla spalla con uno strano scintillio negli occhi. — Il Maestro mi manda a dirti che ti aspetterà in cima alla Kulesi (torre , di Galata) subito dopo l’Isha’a (preghiera della notte) e di usare questo tempo per salutare il tuo Apprendistato. —

Il cuore di Yusuf fece una capriola e una vampa di calore gli risalì le guance, seguita subito dopo da un brivido. Amir stirò le labbra in un sorriso.

— So che i Cristiani vegliano in chiesa un’intera notte, in ginocchio, prima di essere nominati Cavalieri. — disse. — Per tua fortuna ai nostri Apprendisti non è richiesto nulla di simile, vengono avvisati perché abbiano modo di prepararsi e sono esentati dagli incarichi perché l’agitazione li renderebbe distratti. Puoi fare quello che vuoi. —

Yusuf non poté trattenere una smorfia di disappunto. — Avrei preferito che mi tirassi giù dal letto stanotte, sai che detesto… —

— Aspettare. Sì, lo so. Vedila come una prova ulteriore. — Amir gli strinse la spalla e si voltò per andarsene.

— Aspetta! — Yusuf avrebbe voluto rimangiarsi immediatamente quella richiesta che non era riuscito a trattenere e il tono quasi di supplica con cui gli era uscita di bocca, ma ormai il danno era fatto. — Hai tempo per un paio di scambi in cortile? —

Amir si bloccò e tornò a guardarlo. — Ce l’ho. — Il suo sguardo prometteva umiliazione.

 

Le nuvole correvano nel cielo e le loro ombre si inseguivano sulla terra battuta del cortile. Quel paio di scambi si stava protraendo da più di un’ora, sotto gli occhi curiosi di un gruppetto di Novizi. Serdar, che dirigeva il loro addestramento, aveva dovuto interromperlo anzitempo, perchè tutta l’attenzione dei ragazzi era calamitata da quei due che si affrontavano come se ne andasse della loro stessa vita. Con l’aria di chi sa sfruttare al meglio le situazioni, l’affabile Serdar li aveva fatti sedere sotto il ciliegio.

— Chi di voi sa dirmi le caratteristiche dei due avversari? — domandò all’improvviso e il silenzio fu imbarazzante.

— Nessuno? Neanche uno che vuole mettersi in mostra? Allora toccherà scegliere a me. — disse facendo circolare uno sguardo severo in mezzo ai suoi allievi, che tentarono in ogni modo di non attirare l’attenzione su di sé.

— Sarah? —

La ragazzina arrossì. — Amir è più... bravo. — balbettò.

— Davvero una spiegazione esauriente. — ironizzò Serdar. — E da cosa lo capisci? —

— Sembra che sappia da prima dove arrivano i colpi. —

— Qualche idea su come si batte un avversario simile? —

Nessuno rispose.

Yusuf indietreggiò, asciugandosi il sudore dalla faccia. La sua guardia si abbassò leggermente e quel segno di stanchezza non sfuggì ad Amir, che si infilò nel varco d’impeto, attendendosi un fiacco tentativo di parata che avrebbe potuto sfondare facilmente. Le lame cozzarono, ma invece di opporre resistenza, Yusuf ruotò il polso e si spostò di lato, facendo sfilare l’avversario e accarezzandogli il fianco con il filo del kijil, solo un pollice al di sopra del cinturone.

— Ingannandolo. — sentenziò Serdar, mentre Amir infilava due dita nel taglio sulla casacca con un sguardo stranamente soddisfatto.

— Questo trucco non potrai usarlo mai più. — disse il siriano.

— Non con te. — ribatté Yusuf rinfoderando il kijil e rivolgendo un inchino alla platea di Novizi, che si trattenne a stento dall’applaudire. Poi raggiunse l’amico e, sollevandogli il braccio, osservò tutto fiero il risultato del suo stratagemma.

— Neanche una goccia di sangue. — sogghignò.

— Fortuna. — replicò Amir.

— Fortuna tua che sono così preciso. Bisognerà rammendare solo la casacca. —

— Ho ancora il tempo di chiedere a te di farlo. —

— Sai che sono molto preciso anche in quello, ma rammendare la tua pelle sarebbe stato più soddisfacente. —

— Ah, no. Per nulla al mondo mi metterei in balia di quelle tue manacce. —

— Non si sa mai a quali sorprese la vita può sottoporci... —

I due si avviarono verso l’uscita continuando a stuzzicarsi.

— Un consiglio per il futuro. — disse Serdar rivolto ai suoi allievi. — Potrete apprendere molto da chi è più abile di voi, ma imparate a non sottovalutare mai chi lo è di meno. —

 

Il richiamo al Maghrib (preghiera del tramonto)trafisse le orecchie di Yusuf, avvisandolo che le ore più difficili stavano iniziando. Sembrava che il sole affondasse dietro i minareti con maggiore lentezza del solito, quasi volesse attardarsi a prendersi gioco di lui.

Era una tortura: inseguiva pensieri senza forma e costrutto da ore ed ore, ma quando giunse l’Isha’a e l’attesa finalmente si concluse, non ci fu più tempo per i dubbi e le domande e in quel momento, come sempre era accaduto durante tutta la sua vita, la calma scese nella sua mente.

Cinque anni prima aveva scelto di unirsi alla Confraternita, assediandone faticosamente le regole fino a farle sue e quella notte rendeva irrevocabile la direzione intrapresa. Yusuf si disse che quella cerimonia non era per lui, che aveva già ben chiaro nel cuore chi era, così come non lo era stata per nessuno prima di lui. Era per l’Ordine, che aveva bisogno di un segno indelebile della dedizione e dell’impegno richiesti dalla sua causa.

Mentre percorreva la passerella per uscire dal Covo sentì su di sé gli sguardi dei pochi presenti e li ignorò. Nessuno gli rivolse la parola.

Fuori, la brezza umida sapeva di salmastro e non c’era luna né una stella in cielo. Yusuf percorse le strade silenziose come un’ombra fra le ombre fino all’imponente base della Torre di Galata, pensando che non sarebbe stata quella notte a renderlo un Assassino, perchè lo era dalla prima volta che aveva preso una vita per conto della Confraternita.

Si è Assassini per sempre, riflettè, è la morte a farti entrare nell’Ordine e solo la morte può fartene uscire. Osservò quel pensiero con distacco, alla luce fredda della sua determinazione e in esso rivide gli occhi di suo padre la sera prima della partenza da Bursa. Sento che devo tornare a essere quello che sono, aveva detto. Si domandò se Yalìm, che lo aveva lasciato del tutto libero, sarebbe stato orgoglioso di lui e cosa avrebbe pensato sua madre, che aveva amato un uomo con quell’ombra negli occhi, uno che la lasciava sempre sola inseguendo il dovere...

Con questi pensieri nella mente Yusuf scalò la Kulesi, con il gusto di sentire i muscoli affaticarsi e il respiro farsi corto, spinto verso l’alto dalla forza del suo braccio, del quale la lama uncinata era ormai l’estensione e sapeva trovare, anche nell’oscurità, gli appigli certi di una via sicura. Il silenzio delle strade si allontanò, lasciando il posto alla voce del vento primaverile, che gli gonfiò gli abiti e gli strappò il cappuccio, facendo sbattere i capi della sciarpa di suo padre che portava legata sulla fronte. I ricordi andavano e venivano, scandendo il ritmo dell’ascesa, accompagnandolo nei movimenti che aveva eseguito un’infinità di volte, ogni giorno, per ore, fino all’estenuazione, costringendo il suo corpo a sollevare sé stesso e la sua mente a sollevarsi dalla fatica, dai lividi, dal gelo e la calura, affilando la sua volontà come si affila una lama.

La luce di un braciere lo accolse quando si issò sulla piattaforma che circondava il tetto conico della torre e accanto ad esso il Mentore, con il cappuccio calato sulle spalle, celava un sorriso sotto i folti baffi. Alla sua sinistra Zuhre e i quattro Maestri Assassini di più vecchia nomina, tutti a capo scoperto, lo fissavano in silenzio, solenni. Yusuf piegò un ginocchio a terra e chinò la testa, per il rispetto che era dovuto ai suoi massimi superiori e anche per sottrarsi a quegli sguardi che parevano scavargli dentro l’anima.

— Yusuf, figlio di Yalìm e Imran. — lo richiamò la voce di Zuhre.

Conscio di non poter più nascondersi dietro quel gesto di ossequio e che era giunto il momento di alzarsi, Yusuf lo fece, con il cuore che ancora correva per lo sforzo della scalata, fronteggiando i presenti con il viso impassibile.

Ishak fece un passo avanti e il vento si impadronì della sua sopravveste scura, facendone ondeggiare gli orli.

Laa shay'a waqi'un moutlaq bale kouloun moumkine. — disse con voce ferma e autorevole.

Con un brivido che gli percorreva l’intero corpo Yusuf si accorse di star trattenendo il respiro, quasi fosse stato appena sfiorato da qualcosa che credeva di conoscere, ma che solo in quel momento gli si rivelava in tutta la sua potenza.

— Queste parole attraversano i secoli e sono da sempre l’essenza del nostro Credo. — proseguì il Maestro e nel silenzio che seguì, il crepitio del braciere e il sibilo del vento parvero assordanti. Gli occhi di Ishak erano incatenati ai suoi, lo tenevano stretto in una morsa a cui non avrebbe potuto sfuggire neanche se avesse voluto, ma che allo stesso tempo gli trasmetteva forza e sostegno e un nuovo, misterioso senso di unità.

— Dove gli altri seguono ciecamente la verità, ricorda... —

Yusuf prese un respiro profondo. — Nulla è reale. —

— Dove gli altri sono limitati dalla morale o dalla legge, ricorda... —

— Tutto è lecito. —

— Agiamo nell’ombra per servire la luce. Noi siamo Assassini. —

Ishak fece un altro passo verso di lui, gli si affiancò e, posandogli la destra sulla spalla, lo spinse verso il braciere. Zuhre afferrò la molla che giaceva tra le braci e Yusuf ne osservò le estremità arroventate con una freddezza che non avrebbe mai sospettato di possedere. Aveva visto la mano di Amir fasciata dopo l’investitura e quel marchio guarire e sbiadire nel tempo fino ad assomigliare a una qualsiasi cicatrice.

— Non potrai cancellare questo marchio come non potrai cancellare il tuo impegno. — disse il Maestro facendo scivolare la mano sotto il suo avambraccio sinistro e sollevandoglielo. Yusuf sentì la sua stretta forte quando la molla si chiuse sul suo anulare e il dolore saettò per un attimo lungo i suoi nervi fino alla spalla. Chiuse gli occhi facendosi sfuggire solo un sospiro e quando li riaprì Zuhre lo guardava con la stessa espressione che aveva sua madre quando gli medicava i graffi con spietata efficienza. Ishak si era spostato sul bordo della piattaforma dove una breve ed esile passerella di legno collegava la torre al cielo. Con un braccio, lo invitò a percorrerla e lui obbedì, mentre qualche goccia di pioggia cominciava a cadere, facendo sfrigolare le braci alle sue spalle.

La città, laggiù, a perdita d’occhio, non era altro che un mare di luci tremolanti come stelle e quando Yusuf si lanciò nel vuoto fu certo di stare volando. Il vento e la pioggia che vorticavano attorno a lui erano una mano fresca e carezzevole che pareva sostenerlo, mentre il corpo si disponeva naturalmente nella posizione del volo, e ogni centimetro della sua pelle pizzicava, come se vere piume stessero per spuntare da ogni poro.

Era chiamato Salto della Fede quel misterioso rito di passaggio, ma Yusuf non seppe spiegarsi, né mai avrebbe saputo farlo, se fu la fede a salvarlo dalla caduta o se piuttosto gli consentì di scegliere tra tornare a terra o allontanarsene per sempre. Visse quegli istanti in uno stato alterato di coscienza, come dentro un sogno che si sentiva in grado di prolungare all’infinito e dove ogni cosa era alla portata di un semplice atto di volontà.

Giù, pensò a malincuore, e un gran mucchio di fieno lo accolse prontamente.

Poi due mani decise lo afferrarono, tirandolo fuori.

— Benvenuto nell’Ordine. — disse Amir e un attimo dopo Yusuf si trovò stretto in un abbraccio un po’ rude, chiedendosi se fosse più strano quello o la sensazione di avere di nuovo la terra sotto i piedi.

 

 

 

 

  
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