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Autore: Friedrike    05/07/2013    1 recensioni
Romano Vargas è un ragazzo come gli altri, alle prese con il liceo.
E' stato bocciato ed ora è costretto a rifare il quarto anno, ma ancora non ha voglia di sottostare alle regole. E' un ribelle: non nel senso che si droga ed ubriaca. Nel senso che è un rivoluzionario. Non riesce ad accettare che ci siano pregiudizi o razzismi di alcun tipo e se si trova di fronte a qualcosa del genere, non può starsene zitto.
Ed è per questo che torna a casa sporco di sangue, circa una volta al mese.
Genere: Angst, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nord Italia/Feliciano Vargas, Nuovo personaggio, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Primo pomeriggio.
Hanno parlato per due ore circa, seduti tutti e tre su una panchina, passandosi una sigaretta dietro l'altra, con fare annoiato. Ora, è calato il silenzio. 
Fa ancora un po' freddo, dopotutto è solo il 7 Febbraio. 
Non ci sono troppi cambiamenti, in realtà, ma tutto procede per il meglio.
Romano ed Elisa stanno ancora insieme, ma nessuno ne sa nulla. Ogni mattina si vedono di nascosto e si baciano prima che gli altri compagni arrivino. Potrebbero anche evitare, ma la cosa diverte molto il ragazzo. Lei è un po' meno divertita. Ha paura che lui lo faccia per vergogna o per imbarazzo. Ha paura che non tenga davvero a lei. 
Eppure lui glielo ha dimostrato in questi undici giorni di "fidanzamento", che ci tiene.
Non sono volate grandi parole né nomignoli dolci; ma ci sono stati dei baci teneri e qualche coccola in più. Sono usciti da soli tre volte ed è sembrato strano ad entrambi. Devono un po' abituarsi alla cosa, ecco tutto. 
Quel giorno, comunque, lui è seduto con i suoi migliori amici.
Spezza il silenzio dopo un attimo di esitazione. 
-E quindo, tipo due settimane fa, io ed Elisa ci siamo baciati- butta lì con indifferenza, evitando di guardarli.
Il biondino abbassa il capo, sconfitto. 
Alex lo indica soddisfatto. -Tu. Mi devi come minimo una birra.- 
Roma non capisce, così si volta per guardarli. Crede abbiano cambiato discorso e ci rimane un po' male. Poi però capisce e ci rimane ancora peggio, tuttavia è anche leggermente divertito dalla piega che ha preso il pomeriggio. -Avete scommesso su di noi?- dice, con tono sconvolto, fissandoli male, un po' per gioco, un po' per vero. 
Carlo lo guarda negli occhi. -Te l'ha data. E' vero, Romie, che te l'ha data? Perché se è così non devo dargli nessuna birra.- 
-Siete delle merde- ribatte il rivoluzionario. 
Butta via l'ormai mozzicone di sigaretta e sospira appena, dando attenzione ad altro. -No, non abbiamo scopato.- 
Alex si piazza davanti a lui, in piedi, e lo guarda. -Fai sul serio, con lei?- 
Il ragazzo lo guarda, gli occhi chiari leggermente infastiditi dai raggi del sole, uno di essi leggermente socchiuso, il destro. Abbassa il capo una volta, in cenno positivo.
-La ami?- domanda ancora l'amico. 
Lui si affretta a rispondere: -Credo sia troppo presto per parlare di "amore." Però mi piace. E con lei sto bene. E vorrei farmela. Ma se ti chiedi se sto con lei per questo, allora no. Stavolta il sesso è l'ultimo dei miei pensieri.-
Carlo lo fissa meravigliato. -Oh, mio Dio. Si è innamorato. Alex!- per richiamarlo, gli da una botta al braccio e continua. -Lo hai sentito? Si è innamorato. Ma che carino!- soggiunge, prendendolo un po' in giro.
-Andate a fanculo entrambi- sbotta Romano, leggermente imbarazzato. -Ah, non vogliamo si sappia. Lo sapete solo voi.-
-Più tutte le amiche di Elisa. Quindi lo sanno tutti- afferma, il ragazzo coi capelli neri. 
-Ragazzi, dico davvero...- li prega con lo sguardo, un momento serio.
Così gli altri due giurano che non diranno nulla. 
Scherzano ancora un po', ridacchiano insieme, come hanno sempre fatto.
E' stato proprio Roma a far conoscere quei due. Adesso non c'è più Pietro, il loro vecchio migliore amico, ma Alex, sicuramente più sincero di quell'altro. 
Si congedano dopo ore, tornando a casa per la cena. Quando si mettono a parlare, sono decisamente peggio delle ragazze, quei tre. Come vecchie comari di paese, persino! Ma sparlare diverte anche loro, sebbene non vogliano ammetterlo. 
Romano però ha un importante compito da svolgere a casa.
Sa benissimo che il fratellino è di nuovo dal fidanzato tedesco, che i genitori credono sia da un'amica e che loro sono a casa da soli, perché è già tardi. Forse lo stanno aspettando per mangiare. Ma quando torna a casa, li vede in cucina a conversare vicino al tavolo ancora spoglie, quella sera la cena verrà allora servita in ritardo. Lui fa un cenno ad entrambi per richiamare la loro attenzione. 
-Devo parlarvi- dice, serio. Richiude la porta alle proprie spalle e indica le sedie in legno. Soggiunge: -E' una cosa lunga, sedete.- 
Rita e Raffaele, un po' preoccupati, si guardano ed ubbidendo prendono posto. Il padre, temendo il peggio, gli lancia subito un'occhiata di rimprovero. -Romano, guarda che se hai osato mettere incinta qualcuna...- inizia, venendo subito interrotto dal figlio.
-Ma sei matto?! Io ho sempre il profilattico!- esclama turbato. Ha appena confessato apertamente che fa sesso occasionale davanti i genitori. Loro sanno anche che lui potrebbe avere una ragazza, come in effetti ha, e tenerla nascosta. Ma sono convinti che in tal caso lo capirebbero e non sapendo che lui sia impegnato, possono solo pensare che il profilattico di cui parla il ragazzo si usato per una sgualdrina qualunque. 
Invece non è più così. 
Calmati gli spiriti, il ragazzo prende posto, appoggiando entrambi i gomiti sul tavolo. Si passa una mano sulla nuca, non sapendo bene come iniziare il discorso. Le sue labbra s'increspano in una smorfia. 
-Feliciano è in casa?- domanda. 
Gli risponde la madre. -No... mangia fuori- dice soltanto, con gli occhioni chiari carichi di preoccupazione. 
-Bene...- risponde lui, passandosi una mano sul viso. -Vi devo parlare di una cosa che riguarda lui. Penso proprio che tra non molto ve lo dirà da solo e sono certo che s'arrabbierebbe sapendo che ve lo sto anticipando io. Ma ho - anzi, ha- paura della vostra reazione e così io devo essere sicuro che voi la prendiate bene.- 
Spiegato ciò, con tono pacato, si cura bene da non guardarli negli occhi. Non lo fa spesso. Parlano raramente e quando lo fanno, sono entrambe le parti impegnate in alto. Quindi il contatto visivo è difficile da stabilirsi, in quella famiglia. Anche se con Feliciano è diverso... 
Rita, preoccupatissima, esclama: -Oddio! Ha messo incinta la sua amica? Oh, cielo, dev'essere così, è sempre a casa sua. Santa Rita! Che Dio lo perdoni!- Inizia a scuotere la testa con disapprovazione e rassegnazione, mentre il marito cerca di calmarla. 
Il figlio, annoiato da quelle stupide paranoie, rotea lo sguardo appoggiando un piede sul tavolo. Malgrado la disperazione, la donna gli intima di togliere -quelle zampacce dal tavolo- e lui ubbidisce, non ha voglia di fare storie ora, ha altro di cui occuparsi.
-Né io né lui abbiamo messo incinta qualcuno, possiamo chiudere il discorso gravidanza, adesso?- sospira pesantemente. -D'accordo... si è innamorato.- 
-Oh, mamma mia! Mi hai fatto prendere un colpo, figlio mio, non si fa così, eh!- fa ancora lei.
-Mamma, per piacere, fammi spiegare. Si è innamorato di una persona, che in questo particolare momento della sua vita non sta molto bene. E dunque è sempre da questa persona.-
L'uomo, a questo punto, il capo famiglia, gli chiede di essere più diretto, perché non capisce dove sia il problema. 
-Questa persona, è un ragazzo.-
Cala il gelo all'intero della cucina. E' come se le graziose tendine colorate, le mattonelle bianche e verdi vicine al piano cottura, il mestolo e l'insalatiera entrambi rossi, la tovaglia con i girasoli arancioni colorati, d'un tratto, fosse diventati tutti neri. 
I genitori non sanno che dire. E per un momento, nessuno dice nulla. Ma i minuti passano, ne trascorrono ben tre, e la donna d'un tratto, si porta una mano sul cuore, con gli occhi lucidi. 
-Gesù mio... che dolore che mi hai dato! Lo sapevo, io! E' tutta colpa di quel mascalzone, Gesù, mi ha rovinato un figlio! Me lo ha fatto diventare deviato!- 
A Romano non sfugge il chiaro riferimento al maestro Maurizio che, ora, in quella casa non va più nominato. Ma lui sa bene che il fratellino non è diventato gay perché ha subito abusi sessuali ripetuti da questa persona. Perché lui sa bene che il fratellino non è diventato gay. Lo è, punto. Non è una malattia, non si viene contagiati, semplicemente lo si è. E' una cosa del tutto naturale. Non c'è niente che non vada in lui e sentire la madre dire quella parola... Deviato. Sentirle dire che, forse, dovrebbero cambiare psicologo, perché non ha fatto nulla di buono. Sentirle dire che quel tipo, le ha rovinato il figlio, non per aver distrutto la sua psiche, ma perché lo ha fatto innamorare di una persona del suo stesso sesso. Non è sempre amore? La donna non aveva sempre parlato di questo sentimento come qualcosa di irrazionale, che viene da dentro? E allora perché adesso si rimangia tutto e giudica il figlio? 
Il padre, invece, non dice nulla. Semplicemente, si è rabbuiato. Ha detto solo qualcosa come: -Dove abbiamo sbagliato?- come se il quindicenne in questione avesse derubato una banca o sparato ad un poliziotto.
 Romie non crede alle sue orecchie. D'un tratto si sente arrabbiato e nervoso. Allora scatta in piedi e sbatte una mano sul tavolo. -Smettetela, state zitti! Mio fratello non ha nulla che non vada. Ma non vi vergognate? Non vi fate schifo?! Avete idea di...- 
Tuttavia, anche lui, è costretto a zittirsi. 
Raffaele gli molla un ceffone, rimproverandolo per i suoi modi maleducati. -Così ti rivolgi ai tuoi genitori?! Ma non ti vergogni?!-
Lo guarda in modo molto severo, eppure ciò non ha nessun effetto sul ragazzo, che pronto replica: -L'unica cosa di cui mi vergogno, siete voi. Avete idea di come la prenderebbe vostro figlio sentendo una cosa del genere? Sentirsi dire che è malato, deviato, sbagliato. Starebbe male per giorni. Forse questa è una fase adolescenziale e passerà. Ma voi dovete comunque appoggiarlo. Perché non c'è niente di sbagliato in lui; non sta facendo nulla di male. Non ruba, non molesta, non inganna, non uccide nessuno. Sta semplicemente amando. Quindi, non permettetevi di dirgli una parola, o giuro che lo prendo e andiamo via di casa.-
Lui parla in tono serissimo, puntando ora gli occhi su quelli dei genitori, prima quelli scuri del padre, poi quelli chiari della madre. Lei sta in silenzio, non osa parlare. Non le piace che il figlio alzi la voce, ma non ha il coraggio di controbattere. Le sue parole l'hanno colpita. 
Il padre però si è concentrato a dire il vero più sul tono che su altro. Gli da un secondo schiaffo. -Abbassa i toni, rivoluzionario- lo schernisce. -Se tu ti vergogni di noi, io mi vergogno di te. Usare quei toni! Ma con che coraggio? Siamo i tuoi genitori!- 
-E allora provate a farli una buona volta! Sono sette anni che non fate una cosa per me! A stento date un'occhiata alla mia pagella, non mi appoggiate mai in nulla, mi date sempre torto, non mi chiedete mai come sto. E non m'importa. Non più. Ma tu non provare a fare il genitore solo quando mi devi alzare le mani, perché non te lo consento. A te non importa nulla di me, come a mamma, e va bene. Ma fate soffrire mio fratello, e non lo vedete più.- 
Quasi ringhia, mentre parla. 
Erano anni che voleva dire ad entrambi queste parole, si sentiva oppresso ed ora va un po' meglio. Si è... liberato, in un certo senso. 
Non vuole guardarli, vuole solo andare lontano da loro. 
Così, nervoso, se ne va in camera propria sbattendo forte la porta. Raffaele lo chiama, ma non ottenendo risposta sospira, passandosi una mano sul volto. 
Il ragazzo si passa una mano sul volto, poi tra i capelli, e sospira pesantemente. Chiude a chiave la porta e si distende sul letto a guardare il soffitto. Sente squillare il cellulare. Lo prende tra le mani, nota la chiamata di Elisa, ma non ha voglia di parlare adesso. E' troppo agitato. Così rifiuta la chiamata e le manda un messaggio. "Ti chiamo dopo" scrive soltanto. 
Si ricorda quand'era piccolo. Tutti gli davano attenzioni perché era malato, ma quando Feliciano piangeva lo lasciavano tutti da solo. Tranne il nonno. Dov'è adesso? Gli manca così tanto... Dopo lo chiamerà. Soltanto lui lo capisce. D'un tratto inizia a chiedersi il perché di molte cose. Lui ha salvato suo fratello confessando l'inconfessabile ai genitori; a quindici anni, ha salvato quelle ragazze durante la manifestazione; qualche mese prima, ha salvato Miriam. Perché, allora, tutti preferiscono Felì? Lui non si definisce un eroe per quello che ha fatto però credeva che i genitori fossero almeno un po' fieri di lui. Invece niente. Di certo non lo ha fatto per ottenere la loro approvazione, ha fatto tutto ciò perché sentiva doverlo fare, tuttavia vorrebbe solo essere un po' più coccolato. Un po' più pregato per fare le cose. Vorrebbe la sua mamma non si fermasse al primo no, perché alle volte ha anche lui il bisogno di una carezza, di una coccola, di un bacio tra i capelli, di una parole dolce. Si sente un uomo, è vero, si sente già un adulto. Ma infondo lo sa che è vulnerabile anche lui. E' per questo che quando Felì lo abbraccia non lo scansa. Lui è l'unico che gli voglia bene per davvero, insieme ad i suoi migliori amici e ad Eli, l'unico da cui accetta qualche gesto d'affetto. Sospira ancora, pensando ciò. Chissà come sarebbe andata, se la violenza l'avesse subita lui? L'avrebbero amato così tanto come amano Feliciano? Eppure a lui non importa. Anche se un po' triste, è fiero di sé stesso. Semplicemente, vorrebbe solo essere amato dai genitori. Che c'è di sbagliato in questo? 

 

 
" Ciao mamma, ciao papà! 
Scusate se vi scrivo una lettera, ma mi manca il coraggio di confessarvi questa cosa di presenza. So che siete fieri di me, me lo ripetete spesso ed io non posso che crederci. E' per questo che non so come dirvelo.
Come definireste l'amore? 
Non lo fareste come qualcosa che vi prende all'improvviso, che vi fa stare svegli la notte e non vi fa chiudere occhio per lunghe notti intere? 
Vi ricordate il vostro primo bacio? Io sono sicuro di sì. 
Non avete chiesto il permesso a nessuno per farlo, né l'avete fatto per sposarvi, perché l'unica cosa che importava era l'amore che ognuno di voi aveva per l'altra. 
Era bello incontrarvi e stare insieme, ricordate? Sapevate che nulla vi avrebbe diviso.
Anche per me è così.
Sì, mamma, sì, papà, mi sono innamorato.
E l'ho fatto nel più comune dei modi. 
Ho visto questa persona di sfuggita una volta ed i suoi occhi azzurri -belli, bellissimi- mi sono rimasti subito impressi nella mente. Non riuscivo a pensare ad altro. Mi chiedevo chi fosse, che scuola frequentasse, quali fossero le sue origini. Pensavo che non le avrei mai parlato. Ma un giorno vidi proprio questa persona alla fermata del bus, così iniziammo a scherzare. Ha un bel sorriso. Non riesco a togliermelo dalla mente mentre ve ne parlo. 
Quando nasciamo non chiediamo il permesso a nessuno e non lo facciamo per i tre quarti della nostra vita. Decidiamo noi che strada prendere, che scuola frequentare, che indirizzo d'università, che lavoro, che vita. E non chiediamo scusa a nessuno, perché questa è la nostra vita e nessuno può togliercela. 
La vita è fatta di scelte.
Ed io ho fatto la mia.
Sapete,  io voglio essere me stesso, ho paura, ma non voglio più nascondermi. Siete la mia famiglia, perché dovrei farlo? Siamo sempre stati uniti.
Il fatto è, cari mamma e papà, che questa persona di cui mi sono innamorato non è una ragazza, ma un ragazzo, come me. 
Si chiama Ludwig, è nato a Berlino ma si è trasferito da un paio d'anni qui, in questa splendida città. Ha un anno in più di me. 
Lui mi vuole bene per davvero, io lo so, lo capisco da come si comporta nei miei confronti. E' dolce, apprensivo, e anche se è un po' timido mi dimostra sempre quanto ci tenga a me, nelle piccole cose e nelle grandi.
Stiamo insieme già da un po'.
Non riusciamo a stare separati per più di due giorni, perché la nostra non è una fase adolescenziale, non è dovuta a nessun passato melodrammatico, semplicemente, è quello che siamo. 
Non voglio deludervi e dopotutto non sto facendo nulla di male se non professare ciò che sono: una normalissima persona innamorata. 
Non credo di far del male a qualcuno, anzi. 
Vi sto chiedendo di capire quanto sia per me difficile dire queste parole, soprattutto a papà, ché lo so che è un po' troppo tradizionalista. 
Ma da me non avrà nipoti, forse mai. 
Sono sempre io. Continuano a piacermi i bambini, amo ancora disegnare e mangiare la cioccolata; ho ancora tanti amici, sia maschi che femmine, e vi voglio ancora bene come ve ne volevo qualche mese fa. Per me non è cambiato nulla. Sono solo più felice.
Riuscirete a condividere questa mia felicità?...
Per favore, pensateci.
 
Con amore, 
Feliciano. "
 
 
 
Rita è seduta sul divano del salotto. 
Nasconde il viso con una mano, le lacrime le rigano le guance. Non riesce a fermarle. Suo marito è accanto a lei, pure lui un poco commosso. Non sono più arrabbiati. Non sono più delusi. Il discorso di Romano e le parole di Feliciano hanno aperto i loro occhi ed il loro cuore. Non sanno come parlare al figlio minore, però vogliono aiutarlo. Il diciannovenne ha ragione: se fosse solo una fase adolescenziale, passerà. Inoltre, non possono permettersi di far star male ancora il loro bambino. Per cui, rileggendo la lettera qualche altra volta, si dicono decisi ad affrontare l'argomento. Sono oltretutto curiosi di conoscere questa persona, questo Ludwig -il nome non sanno ancora pronunciarlo correttamente, ma impareranno. Felì ha fatto capire che è una brava persona. 
La donna ha trovato la lettera quella mattina sul suo letto del figlio e ha aspettato il marito per iniziare a leggerla. O così voleva. Troppo curiosa, l'ha aperta e letta subito. Con Raffaele l'ha riletta per la quinta volta. E' una lettera così dolce! 
Sono di nuovo soli a casa, Romano è uscito e ha solo mugugnato che non avrebbero dovuto aspettarlo per il pranzo. E' ancora arrabbiato, così non li ha degnati di uno sguardo. Sentiva il bisogno quasi fisico di stare un po' con la sua ragazza. Solo lei può calmarlo un po', come ha sempre fatto in questi otto anni, anche se a volte il loro rapporto ha oscillato, soprattutto quando entrambi erano al primo liceo. 
Mentre i genitori si mettono in tavola silenziosi (il quindicenne è davvero uscito con alcuni compagni, stavolta), l'altro figlio, anche lui in silenzio, sta fissando la vetrina di un bar, piena di panini, tramezzini e pezzi di pizza. Punta lo sguardo su un panino pieno di olio piccante.
-Cosa c'è, è troppo hot per te, stronzo?- lo prende un po' in giro Elisa, scherzosa, mentre lo guarda. 
Lui distoglie lo sguardo, lontano dal cibo e da lei. -No... non ho fame.- 
-Mi dici che hai? Stai così da tutto il giorno. E ieri, non mi hai più richiamata- domanda lei, cercando di incontrare quegl'occhi tanto delicati, color muschio. 
-Niente. Ti aspetto qua fuori.-
Dunque esce da quel piccolo locale e si siede ad uno dei tavolini in metallo lì fuori, sotto un capanno in legno, lo zaino tra il piede ed il muro e lo sguardo basso. Sta giocando distrattamente con un tovagliolino di carta, distruggendolo.
La ragazza esce poco dopo e sospira lievemente. Appoggia il proprio piatto sul tavolo e si siede vicina a lui. Toglie il fazzolettino dalle sue mani e lo butta nel contenitore poco distante. 
-Hai litigato con tuo fratello?- chiede, cercando di capire cosa ci sia che non vada. Lo vede scuotere la testa. Fa molte ipotesi, ma nessuna sembra quella giusta. Poi inizia a scherzare. -Hai scoperto che i dinosauri si sono estinti? Gli alieni sono atterrati in camera tua, si sono presi il tuo corpo e tengono il vero te in ostaggio dentro l'armadio?- 
Romano accenna un sorriso, sempre non guardandola. -Scema...- 
-Però ti ho fatto sorridere- dice lei, soddisfatta, toccandogli la guancia con l'indice. Beve un po' di coca cola, dalla cannuccia, osservandolo. -Dai, dimmi che c'è.- 
Dunque, il ragazzo le racconta tutto. Stranamente, nei dettagli. Ha solo bisogno di sfogarsi adesso. Lei annuisce, da un morso al panino poi lo mette sul piatto in plastica rossa, per dargli completa attenzione. 
-Quindi non vi parlate...- 
Il giovane scuote la testa. -Non voglio più vederli. Sono stanco delle loro stronzate.- 
Eli gli si avvicina e gli da un breve e dolce bacio a stampo, che lui ricambia, poi gli dice: -Dai, distraiti.- 
A quelle parole, lui ridacchia. -Mi dai un bacio, per distrarmi?- 
-Te ne do pure due, se vuoi- ribatte lei, addentando il panino. Si pulisce poi le labbra col fazzoletto bianco in carta. 
-Sì, li voglio- conferma il ragazzo, dopo averci pensato per gioco. Così le loro labbra si avvicinano. Elisa gli da il primo bacio veloce, poi un altro, prolungato e più intenso. Roma si prende quei baci e poi le lecca le labbra. -Sai di Ketchup, sai?- le dice, ancora vicino a lei. 
La ragazza ride e gli da una botta al braccio. -Fammi mangiare, coglione.-
Così, si dedica a finire il suo panino, mentre lui gioca col suo IPhone a Ruzzle. Quel gioco è una droga. Continuano a parlare e ridere, a darsi dolci baci, da parte di lui forse un po' troppo passionali ogni tanto. Lei lo rimette subito in riga però. Ed il diciannovenne, per un po', decide di assecondarla. Non andrà oltre i baci, finché lei non lo vorrà. 
 
 

 
Ludwig è tornato a scuola, dopo quattro giorni. 
Il polso gli fa ancora male e tutti iniziano a pensare che ci sia qualcosa di più che una semplice slogatura, ma il biondo fa di tutto per far cadere ogni sospetto. Per fortuna, il suo umore è tenuto alto dal fidanzato e dal nuovo arrivato, che ha deciso di chiamare Derk. Lui per il momento non si muove molto, è ancora troppo piccolo e si dedica a dormire. E' adorabile però vederlo mangiare dei croccantini così piccoli e vederlo bere in quella ciotola così grande. Ha provato a dargli del succo di frutta, un poco, giusto per farlo provare. Sa che dovrebbe mangiare solo le sue cose, però lo stava bevendo lui stesso ed il cucciolo si è fermato a fissarlo. Poi, comunque, non ha voluto bere il liquido arancione e lui ha lavato la ciotola per far sparire le prove. 
Ha giocato molto con lui, lo ha coccolato per lunghi momenti e gli ha fatto qualche foto. Alcune di queste, le ha messe su Facebook. Il suo stato è passato da "single" a "impegnato." Così quello di Feliciano. Non voglio ancora mettere, tuttavia, con chi sono impegnati, perché le notizie di Facebook sono di dominio pubblico e se qualche parente di Felì -perché il biondo parenti sul social network non ne ha- vedesse, potrebbe riferire a mamma e papà. E sarebbe un guaio! In base alla reazione che avranno i genitori alla lettera, modificherà la sua relazione anche lì. Ma non lascerebbe mai Ludwig, questo no.
Ad ogni modo, quel giorno, a scuola, è andato tutto più o meno come al solito. Solo qualche attenzione in più da parte dei compagni e dei professori...
 
 
Ha ancora qualche livido sul viso, però niente di troppo grave.
Quando entra in classe, però, tutti se ne accorgono e si avvicinano svelti a lui. -Ludwig, Ludwig! Cos'è successo? E' per questo che non sei venuto a scuola?- domandano. 
Lui non vuole dare spiegazioni, perché darle avrebbe significato affermare chiaramente la sua omosessualità. E questa è una cosa privata.
Così ha risposto: -Sto bene, non è successo niente. Non voglio parlarne più.- 
I compagni e le compagne hanno deposto le armi. Non hanno chiesto più nulla. Quando ha giustificato le sue assenze, la prof lo ha squadrato per bene. Gli ha domandato se volesse parlarne un po' fuori, da soli. Lui ha risposto di no. Immagina i professori e gli altri pensino che è stato picchiato dai genitori, ma ovviamente non è andata così. Suo papà non lo farebbe mai. 
Quando arriva la prof di tedesco, però, non demorde e continua a fare una domanda dopo l'altra, parlando nella lingua che insegna. -Sei sicuro, Ludwig? Chi è stato?-
Lui decide di confessare almeno a lei parte della verità, sussurrando, così forse lo lasceranno un poco in pace. -Mi hanno aggredito un paio di giorni fa... sono stato in ospedale due giorni, poi sono tornato a casa. Adesso sto bene, davvero.- 
La donna annuisce e gli fa cenno di tornare a sedersi. Conosce la scarsa capacità di mentire che ha il ragazzo. La compagna di banco di Ludwig -ah! se lui sapesse di potersi fidare!- continua ad osservarlo preoccupata. Lei si chiama Giorgia. E' un'appassionata di anime e manga giapponese e se c'è una cosa che ama, è lo yaoi.
Arrivata l'ora della ricreazione escono quasi tutti, ma lei non va via. Mangiando svogliata i suoi Tuc Pocket gusto classico, lo osserva con la coda dell'occhio. Dopo un po', si decide a parlare. -Hei, Lud... senti, mi dici chi è stato? Non lo dico a nessuno, se non vuoi.- 
Il ragazzo non ha veramente legato con qualcuno, in Italia. Ha dei ragazzi amici suoi con i quali gioca a calcio, altri amici per uscire ogni tanto, ma si fida di poche persone. E' suo carattere, non può farci molto. Notando che sono rimasti soli, annuisce con un piccolo sospiro. Le fa promettere di non dire nulla. Lei giura. In quei tre anni, ha capito che lei è una persona sincera. 
-Mi hanno picchiato dei ragazzi... sono stati un po' in ospedale, poi a casa, a riposo... Mi hanno picchiato perché, ecco, io...- 
Le sue guance si colorano di una lieve tonalità rossastra. 
Lei sorride e finisce la frase per lui, però bisbigliando: -...ti piacciono i ragazzi. Vero? Lo sospettavo già da un po'.-
-Ma come...?- 
-Ehh! Che ci vuoi fare? Comunque non preoccuparti, non lo sospetta nessun altro. Ho indagato!- esclama. -E scommetto che sei anche impegnato- soggiunge, guardandolo con aria furba. 
Il biondo, tutto rosso, annuisce distogliendo svelto lo sguardo. -Devi presentarmelo! E possiamo uscire a quattro, se vi va! Io, il mio ragazzo e voi due.- Tornando poi seria, soggiunge: -Sei un bravo ragazzo... Non te lo meritavi.- 
Però suona la campana e gli alunni tornano ciascuno nella propria classe. Per cui, la loro conversazione viene interrotta. I due si congedano con un'occhiata complice. 
 
 
Il tedesco riapre gli occhi. Osserva il cucciolino dormire nel letto vicino al suo.
"Ach... devo essermi addormentato" riflette tra sé, in tedesco, perché quella è la lingua in cui pensa e ragiona. Poi traduce in italiano, ma quello avviene solo in un secondo momento. A casa, infatti, i tre maschietti parlano la loro lingua madre. Si stiracchia un poco, si è addormentato in una posizione scomoda ed il polso sinistro gli fa ancora più male. Derk dorme tranquillo, acciottolato su sé stesso. Il respiro è regolare. Il corpicino si alza e si abbassa. 
D'un tratto qualcuno bussa alla porta. 
Il padre quel pomeriggio, nel proprio studio, ha trovato una lettera, sulla propria scrivania. Chissà com'è arrivata lì! Seduto, ha subito iniziata a leggerla. 
 
 
"Ciao papà. 
Come stai? E' da molto che non parliamo.
Abbiamo entrambi molte cose da fare, molto da studiare e lavorare ed il tempo per le parole è sempre meno. 
Però non è per questo che ho deciso di scriverti. 
E' vero, non ci incrociamo che a cena, per un'ora al giorno o poco più, e sinceramente stare con te mi manca moltissimo. Mi mancano le lunghe giornate insieme, le passeggiate, le gite, mi manca tutto dell'infanzia. 
E mi manca la mamma. 
Non te l'ho mai detto, ma mi manca davvero moltissimo.
Lei se n'è andata senza preavviso quattro estati fa, non è più tornata a consolarmi quando prendevo un brutto voto a scuola, non è tornata per abbracciarmi o per darmi il bacio della buona notte. Non è tornata perché Dio l'ha chiamata a sé. Ma tu hai fatto ugualmente tutto per farmi stare bene ed io per questo te ne sono più che grato. Gilbert è un fratello Magnifico e a volte penso che se non ci fosse stato lui io mi sarei già tagliato le vene in un qualche squallido bagno pubblico. Ma il fatto che sia così, è in parte merito tuo. 
Tu ci hai reso forti, ed uniti.
Papà, non voglio ferirti, ma io ho bisogno di parlarti.
Hai presente queste brutte ferite di cui ho ancora il segno? Non volevano rubarmi il cellulare.
E ti ricordi tutti quei bei voti che ho tutt'ora? Ecco, lo studio è solo una scusa per non pensare.
E rammenti, inoltre, quel brutto periodo che ho passato ultimamente? Ero un po' depresso, ma non era per il motivo che ti ho detto. Non ero turbato da ciò che è successo, dalle ferite, o meglio, non solo da quello.
Vedi, papà, io sto crescendo e molti aspetti di me stanno cambiando.
Lo vedi tu stesso, no?, ho esigenze diverse, bisogni diversi. Ma non è neppure questo il punto. 
Avrei dovuto dirti questa cosa un paio di mesi fa, ma ho sempre rimandato. "Ci sarà un momento migliore" mi dicevo, ed intanto ci stavo malissimo. Avevo paura che non mi avresti accettato.
Papà, non voglio perdere altro tempo. Non voglio "tenerti sulle spine" come si dice qui, in quell'Italia dove tu stesso ci hai portato. E' bella, non temere, non è per questo che ti scrivo.
Mi sono innamorato. 
Immagino tu abbia capito dove sta il problema. 
Sei un uomo dotto ed io ti stimo per questo, non hai bisogno di ulteriori spiegazioni. Ma vorrei comunque dartele. 
Io... mi sono innamorato di un ragazzo. 
Lui è molto diverso da me, però insieme stiamo bene. 
Lui è dolce, affettuoso, forse un po' bisognoso di calore umano, ma fantastico. Ha due occhi nocciola dolcissimi, ed un sorriso che, Dio, non riesco nemmeno a descriverlo. 
Stare con lui mi fa stare così bene... 
Mi sono chiesto se fosse una cosa sbagliata. Tuttavia, non credo lo sia.
Lui è una persona speciale, e se è così bello e perfetto perché dovrebb'essere anche sbagliato? Tu e la mamma mi avete insegnato che "Dio è amore." 
Io non sono mai stato un ottimo fedele, ma ho sempre creduto in Dio. Non ho paura di finire all'Inferno, e, beh, se ci finirò, sarò con lui, il ragazzo che amo. Non sarà poi così terribile.
Sai, ha un nome particolare. Si chiama Feliciano Vargas, ha quindici anni e frequenta il secondo anno del liceo artistico. Ha ottimi voti. Vedi? E' un bravo ragazzo, studioso, diligente, serio. Ok, è un po' disordinato e a volte infantile, ma è giustificato dal suo passato. Non te ne parlerò, non adesso almeno. Ne ha passate tante, ti basti sapere questo. 
Ha anche lui un fratello. E anche loro due hanno un rapporto bellissimo, come quello che io ho col mio fratellone. 
E anche Felì sta scrivendo una lettera ai suoi genitori, perché neppure lui sapeva come dirglielo. L'abbiamo detto ai nostri fratelli maggiori e loro c'hanno capiti. Ci capirete anche voi, vero? Abbiamo bisogno del vostro appoggio. Siamo adolescenti e dunque fragili. 
Ti prego, papà, parliamone, perché io non riesco più a tenermi tutto dentro. L'ho fatto per troppo tempo ed ho bisogno che tu capisca.
Stiamo insieme da quasi un mese ed io non potrei essere più felice. 
 
Ti voglio bene.
Ludwig."
 
 
Così l'uomo ha accennato un sorriso.
Ha continuato a lavorare, sempre con quel pensiero nella mente e a fine giornata ha portato a casa la lettera, in mezzo alla cose importanti, nella valigetta. Le cose futili le lascia a marcire in un cassetto, in ufficio. Ma quella lettera... la confessione di suo figlio! Accidenti, sì, che è importante. E' una prova.
Giunto a casa, bussa dunque alla porta del ragazzo. Chiede permesso; ottenuto, entra. 
-Ludwig...- 
Il biondo deglutisce e si mette seduto. Lo guarda negli occhi. Probabilmente, sa già tutto. Col cuore colmo di ansia, stringe le labbra, non distogliendo lo sguardo.
L'uomo entra e richiude la porta alle spalle. Ha ancora il completo elegante che porta quando si reca a lavoro, in ufficio. Lui fa l'architetto.
Questo lo ha portato a viaggiare molto per tutta l'Europa, gli è sempre piaciuto imparare nuove tecniche e avere una visuale più ampia per costruire casa. E' divertente, per lui. Non avrebbe mai accettato il lavoro oltre confine, se non ci fosse stato quell'incidente. 
Klaudia, la moglie, stava tornando a casa dopo aver fatto la spesa, era in macchina e come al solito aveva allacciato la cintura e guidava con prudenza. Un camion però perse la giusta rotta e le finì addosso. Passò trentadue giorni in coma. Fu il mese più lungo della vita dei Beilschmidt. Ludwig aveva solo dodici anni, quando successe, Gilbert già diciassette. 
Fu difficile per tutti, da affrontare, e quando la madre li lasciò definitivamente loro vollero cambiare pagina. Finirono l'anno scolastico poi il padre accettò un incarico in Italia e lì si trasferirono, al Nord. Ogni estate, però, tornano a casa per almeno un mese e mezzo. Infondo, quella tedesca è rimasta la loro casa. Soffrirono così tanto... e se lo ricordano come fosse successo da poco. 
 
Anche quel giorno Ludwig si reca in ospedale dalla sua mamma. 
Gilbert è seduto accanto a lei, le tiene stretta la mano. Sta piangendo. Il biondo non lo ha mai visto piangere. 
-Mamma, ma che fai? Hai sempre tenuto unita questa famiglia, non puoi andartene. Io e Lud abbiamo bisogno di te...- le sussurra allontanando qualche lacrima dal viso.
I battiti del cuore sono rallentati. La donna non si muove.
E' così bella, la loro mamma. Ha i capelli così biondi da sembrare bianchi, la pelle delicata, le lentiggini, gli occhi verdi. Sembra dormire.
-Mamma, ti prego... lo sai che da soli non possiamo farcela...- 
L'albino sta singhiozzando seduto sulla sua sedia. A stento si trattiene. 
Il ragazzino appoggia una mano alla porta e fa un passo in avanti e lui, sentendolo, asciuga svelto le lacrime e rimanda giù quelle che minacciano di rovinare la sua aura magnifica.
-F...Fratellino! Ma che fai, non dovevi uscire con i tuoi amici, oggi?- domanda osservandolo. 
-Hai gli occhi rossi, Bruder.-
-Certo che ho gli occhi rossi, stupido, sono albino!- 
-Intendo che si vede che hai pianto.- 
Quella risposta mormorata con una serenità irreale, inverosimile, gli fredda il sangue nelle vene. Sospira lievemente, si alza e richiude quella porta alle spalle.
Gilbert è quasi adulto. Si reca ogni pomeriggio a trovare la madre, sebbene al padre dica di essere con i suoi amici. Malcolm sa quella sia  una bugia, ma non dice nulla. E' palese che questa situazione non andrà avanti ancora per molto. 
Torna a sedersi nella sua sedia e gli fa cenno di avvicinarsi. Il fratellino si siede sulle sue gambe.
-Hei, Lud, ormai sei grande...- gli dice. 
Gli occhi vermigli sono rivolti alla figura della donna. Non osa spostare lo sguardo. Tiene stretto l'altro tra le sue braccia, appoggiando il mento alla sua spalla. -E' ora che tu capisca...- 
Il biondo lo guarda e no, non capisce cosa voglia dire. -Che stai dicendo, Bruder?- 
Ma è intelligente e il fatto che non voglia comprendere la situazione è più che comprensibile, ma non dovuto a stupidità o ignoranza.
-E' bella, vero? Lei è dolce... è perfetta. Non riesco a pensare che non preparerà più la nostra merenda, che non si arrabbierà perché lascio in giro la divisa del basket, che non cucinerà più la torta dei nostri compleanni, che non vivrà più con noi...- 
-Gilbert, mi stai spaventando...- 
-Non posso mentirti. Non io, fratellino- si volta e lo guarda negli occhi. Li vede riempirsi di lacrime. 
-Nein...- sussurra il più piccolo. -Nein! Non è giusto! Lei è mia...- 
-Shh...- 
L'albino appoggia una mano al suo capo e lo stringe a sé. Accarezza delicato i suoi capelli biondi, lasciando che si sfoghi, mandando via qualche lacrima che minaccia di rigargli il volto e prosegue. -Non piangere, andrà tutto bene... ti prometto che andrà tutto bene... insieme ce la faremo. Hei, non piangere. Non siamo soli. C'è papà, lo sai.-
-Voglio la mia mamma! Non voglio se ne vada...- esclama Ludwig affondando il viso nell'incavo del suo collo, singhiozzando. -Non se lo merita...- 
-Lo so... è stata tutto per noi, eh? La nostra ancora... ciò che ci ha reso uniti...- porta l'indice vicino l'occhio rosso, catturando una piccola goccia che osserva sul polpastrello. -E noi resteremmo uniti, come ci ha insegnato. Te lo giuro, fratellino. Saremo uniti per sempre.- 
 
 
-Posso parlarti un attimo?- chiede l'uomo.
Lui annuisce, quasi spaventato, fissandolo. 
Il papà si avvicina e si siede nel letto con lui. Porta l'attenzione sul cagnolino e fa qualche carezza sul suo musino, mentre lui dorme, delicato il suo petto s'alza e s'abbassa ancora a ritmo lento.
-Questo pomeriggio ho trovato la tua lettera- continua, riportando lo sguardo sul figlio, il quale abbassa lo sguardo. Il cuore gli batte forte forte. 
-Ludwig, ormai sei un uomo. Hai sedici anni e non sei più un bambino. Mi hai molto deluso, sai?- lo guarda, poi sospirando pesantemente.
Il ragazzino si sente morire a quella frase. China ancora di più il capo, vorrebbe ribattere, ma percepisce che c'è dell'altro per cui decide di aspettare.
Però... possibile che il padre non capisca? Che consideri quell'amore un capriccio? 
-Mi hai deluso perché... me lo hai detto per lettera. Avrei voluto mi affrontassi di persona. Che me lo dicessi guardandomi negli occhi. Ludwig, alza lo sguardo, stiamo parlando da uomo a uomo. Voglio che mi ascolti per bene.- 
Malcolm è un uomo severo, severità nascosta sotto la patina di dolcezza. 
In quella casa ci sono molte regole, per qualsiasi cosa. A tavola si tiene la televisione spenta e si fa conversazione, per esempio. I voti dei ragazzi devono essere alti. Ci sono degli orari per uscire e per stare a casa. E, quando si esce per pranzo o cena, lo si deve dire per tempo, altrimenti ci si becca una sgridata. Gilbert viene rimproverato spesso, perché non rispetta quasi mai le regole. 
Il biondo, ora, alza lo sguardo e lo punta a fatica su quello del padre. Ha capito che non è d'accordo e questo non può che farlo stare malissimo. -Ti sto ascoltando- gli dice a bassa voce, ma con tono deciso. 
-Dimmi perché non me lo hai detto.- 
Eh... ecco che lui abbassa di nuovo lo sguardo, guardandosi le mani distratto. Derk si alza e si accoccola sui suoi piedi, leccandoli un pochino con gli occhi chiusi. Il padrone lo coccola un po', dolcemente, con la mano sinistra, il cui polso è ancora fasciato. 
-Avevo paura che tu non capissi. Che ritenessi tutto questo un capriccio. Ma non lo è, perché io sto davvero bene con lui- rivela al padre, arrossendo leggermente sulle guance. 
-Ich weiss. Lo so che non è un capriccio. Io credo a quello che mi dicono i miei figli. Se dici di amarlo, allora dev'essere così. E non c'è nulla di male in questo- ribatte il padre, con un accenno di sorriso. Nessuno dei due è mai stato bravo a sorridere. Ma Klaudia... aveva un sorriso stupendo. Gilbert lo ha in parte ereditato. 
Ludwig spalanca gli occhioni azzurri a sentire quelle parole. -D-davvero?- farfuglia.
Malcolm annuisce. -Io mi fido di te. E non sono affatto deluso perché ti sei innamorato di un ragazzino. E' quello che sei e va bene così. L'importante è che tu sia felice. Ma ora dimmi una cosa: ti hanno picchiato dei ragazzi per questo, dico bene?- 
Il figlio sedicenne, annuisce un paio di volte, lentamente, sospirando. -Scusa se ti ho detto una bugia.- 
-Alla polizia hai detto la verità?-
-Ja- conferma. -Ma non li ho visti in faccia.- 
Tra l'altro, ambedue sono negati con i gesti affettuosi. Abbracci, carezze, coccole. 
Eppure il padre lo guarda e gli fa cenno di avvicinarsi. Dopo, lo stringe forte a sè, facendogli qualche carezza sulla schiena. 
-Anche mamma faceva così...- sussurra il biondo, chiudendo gli occhi contro la sua spalla. 
-Mh?- 
-Le carezze sulla schiena...- 
Tutt'e due accennano un sorriso. 
L'albino rovina quel momento dolce, irrompendo in casa spalancando la porta e richiudendola brusco. -Bruder! Vati! Ho fame, dove siete?- li chiama, ad alta voce. 
-Va da tuo fratello, io vado a cambiarmi- sussurra il papà. 
Si alza e si avvicina alla porta, ma quando il figlioletto lo chiama si volta e lo guarda interrogativo. 
-Danke...- conclude lui, con occhi sinceri. 



 
 
Si avvicina l'ora della verità anche per Feliciano.
Quel giorno, tornato a casa dopo l'uscita con i suoi amici, rimane un momento davanti la porta d'ingresso. "Chissà se hanno letto... chissà se c'è Romano in casa... ho paura, da solo..." pensa tra sé. E sospira, terrorizzato pure lui. Cerca di prendere tempo. Da un'occhiata al suo cellulare in attesa di una distrazione, ma nulla. "Roma ha ragione. Sono un adulto." Dunque, infila le chiavi nella tocca ed apre la porta. 
I genitori sono seduti in salotto a guardare un po' di televisione. La lettera è aperta sul tavolino che hanno davanti. Sentendolo rientrare, si voltano a guardarlo. 
Anche il suo cuore batte fortissimo... 
Accenna un sorriso, nervoso e forzato, richiudendosi la porta alle spalle. -Ciao...- mugugna. 
Il papà è a disagio e non sa da che parte iniziare. La madre è più o meno nelle stesse condizioni. 
-Ciao, Felì... siediti qua, dobbiamo parlare- dice lei, accennando alla poltrona vicina al divano. Il ragazzino, capo basso, zitto zitto, va a sedersi, abbandonando lo zaino al solito angolo vicino la porta e l'attaccapanni sul quale lascia il giubbotto. Nota la lettera. Così domanda: -L'avete letta...?- 
I due annuiscono e si risiedono. L'imbarazzo in quel momento è talmente palpabile... e c'è silenzio, un silenzio pesante. 
-Senti, Feliciano, noi... non conosciamo questo ragazzo e quando lo abbiamo saputo, pensavamo che tu non dovessi frequentarlo- inizia col dire la donna, gesticolando e non guardandolo. 
Il quindicenne riceve una pugnalata al cuore. -Cos-? No... no, io lo amo, non posso lasciar...-
-Aspetta, fammi finire. Tuo fratello ci ha parlato e poi questa lettera... ci ha fatto aprire gli occhi. Alla fine non è... una cosa sbagliata, ecco. Non fai male a nessuno.- 
Lei pare molto incerta, però il marito annuisce alle sue parole rendendosi suo complice. 
Felì, con gli occhi già umidi, annuisce e asciuga una lacrima. -Noi non facciamo male a nessuno, nemmeno a noi stessi... Non abbiamo fatto niente, siamo piccoli, e lui non mi costringerebbe mai a fare nulla contro la mia volontà. Mi rispetta, ecco tutto. Non posso fare a meno di stare con lui. Ci sono... altre persone che mi voglio bene, ho tanti amici, ma con lui è diverso. Lui mi fa stare bene. E da quando stiamo insieme, non ho più avuto incubi. Mi rende felice, sereno...- spiega lui, accennando un sorriso. Lo sguardo però lo punta sulla punta delle sue scarpe e le gote sono leggermente rosse. Suo fratello... che avrà detto? La sera prima lo ha visto nervoso.
-Avete fatto l'amore?- chiede schietto il padre.
 Lui diventa tutto rosso e, gesticolando nervoso, scuote la testa. -No, papà, ma che ti salta in mente? Non abbiamo fatto nulla! Non ci siamo ancora nemmeno detti "ti amo"... è presto, te l'ho detto.- Sente improvvisamente molto caldo, il viso in fiamme. 
-Va bene, va bene, ho solo chiesto- risponde Raffaele. Poi allarga un poco le braccia. -Beh, se stai bene tu, allora va bene. Se ci hai pensato...-
-Tu hai mai pensato di essere sbagliato solo perché amavi la mamma?- domanda lui, semplice e ingenuo. 
Il papà scuote la testa, ancora una volta in evidente difficoltà.
-Ed io so che non è sbagliato. Io voglio stare con lui. Non voglio nessun altro. Solo lui, Ludwig.- 
Rita, sentendo il nome, gli chiede di ripetere. -Aspetta, aspetta! Com'è che si dice?- 
Il ragazzo si lascia scappare un sorriso. -Ludwig. Ludwig Beilschmidt.- 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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