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Autore: justinbieber    06/07/2013    65 recensioni
“Ultima fila, lato destro. Ultima fila, lato sinistro.”
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio, Scooter Braun
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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30 Gennaio

Ultimo giorno.
Sesto giorno.
Era arrivato.

Mi alzai dal letto e il mio primo pensiero fu sperare che i pettegolezzi di ieri mattina fossero falsi, che oggi sarebbe stato a scuola, che avesse annunciato di non partire.
Una parte di me era sicura che, non appena entrata in classe, l’avrei trovato seduto al solito posto mentre un’altra parte rideva e mi suggeriva di mettermi l’anima in pace perché mentre io pregavo nell’impossibile, Justin era già arrivato ad Atlanta.

Rafe mi guardò con la coda dell’occhio prima di imboccarsi con un cucchiaino strapieno di cereali inzuppati nel latte. “Quindi il grande giorno è arrivato?”

Aggrottai la fronte alzando lo sguardo dalla mia tazza semivuota. Era la prima volta che riportava a galla quell’argomento.

“Ho sentito che è già partito,” Feci una pausa cercando una risposta sicura in lui. “Per Atlanta, credo.” Non credevo, ne ero sicura.
Alzò le spalle. “Si ne aveva parlato quel pomeriggio che doveva trasferirsi.”
Annuii in segno che avevo ascoltato la sua risposta ma, onestamente, non sentivo il bisogno di rispondere; anche perché una risposta non c’era.


Ritornai sul pianeta Terra non appena Rafe parcheggiò la macchina al solito posto. Non appena scesi dalla macchina, sentii le gambe tremare. Ero terrorizzata di quello che mi aspettava e mi sentii come il primo giorno di elementari: non volevo andare a scuola.

Fianco a fianco, iniziammo ad avviarci verso l’entrata e mi resi conto che ogni passo che facevo sembrava essere più pesante ma sempre più insicuro.

“Ev.” Rafe si fermò di colpo facendo un respiro profondo. Mi voltai e aspettai che continuasse ciò che voleva dirmi. “Mi metti agitazione pure a me.”
Finsi un sorriso. “Perché? Non sto facendo nulla.” Ero pronta voltarmi nuovamente quando la sua voce mi fermò di nuovo.
“Appunto!” Esclamò sollevando le braccia. “Fare nulla è l’ultima cosa sulla tua lista di cosa-da-fare.”
Decisi di giocare la carta delle ragazze bionde. “Non capisco dove vuoi arrivare.”
Alzò gli occhi al cielo prima di ritornare a camminare. “Piangersi addosso non cambierà le cose.” Borbottò prima di sorpassarmi e scomparire in mezzo alla folla.

Piangersi addosso non avrebbe cambiato le cose, certo, ma non sarebbero cambiate neanche se avessi sorris. Perciò, perché non lasciare libero sfogo alle emozioni che avevo soppresso per circa un mese?

Cercai il suo volto mentre mi avvicinavo sempre di più all’armadietto.
Niente.

Sospirai prendendo dall’armadietto tutti i libri necessari per le ore successive. Chiudendo l’armadietto, mi sforzai di non accasciarmi a terra e piangermi seriamente addosso.

Durante il tragitto verso la classe, ebbi la sensazione di camminare sulla gelatina e pregai di non cascare o, ancora peggio, di rotolare giù dalle scale.
Non appena vidi la classe, allungai il passo facendo aumentare il mio stesso battito cardiaco. Nel modo più gentile mi feci spazio tra la folla di ragazzi impegnati a passarsi i compiti o semplicemente a conversare del più e del meno.

Sollevai la mano, spinsi la porta di legno che mi separava dalla domande che mi ero posta per più di una notte e sentii scosse percorrermi tutto il corpo.
Entrai e fui subito accolta dal ragazzo in prima fila. Mi fece un cenno di salute e ricambiai.
Poi alzai lo sguardo e …

Sentii un nodo formarsi in gola, una sensazione di nausea giunse alla bocca dello stomaco il quale si era già contorto in mille modi. Sentii i battiti del cuore aumentare e il respiro affannarsi. Per due o tre secondi, ebbi la sensazione che quella stanza stesse girando come una giostra.

Il banco del ragazzo disgustoso era occupato dal ragazzo che mi aveva fatto patire l’inferno per tutta la settimana. Sentii il bisogno di corrergli intorno, di abbracciarlo, di pregarlo di non lasciarmi mai più e di abbracciarlo di nuovo. Volevo piangere e questa volta le lacrime sarebbero state di gioia, felicità e vittoria. Mi avvicinai piano piano, volevo godermi quello spettacolo che Dio aveva messo al mondo. Sarei stata ore e ore a fissarlo, a fissare i suoi occhi color nocciola lasciando le mie dita accarezzare quei capelli che erano sempre al posto giusto.

Mi morsi il labbro cercando di trattenermi dal sorridere.

Mi sedetti accanto a lui e fu in quel momento che l’immagine di noi due seduti accanto mi piombò addosso.

Justin Bieber si era messo accanto a me. Si era seduto accanto a me di sua spontanea volontà.

Sarei voluta scoppiare a ridere dalla gioia, saltare e chiedere perché si fosse seduto in quel banco – proprio accanto a me.

Mi misi la cartella sulle ginocchia e prendendo il cellulare iniziai scrivere un messaggio a Naomi:

Ho. Justin. Seduto. Accanto.  

Non avevo bisogno di scriverle un poema perché quelle lettere che aggiunsi a fine messaggio, esprimevano tutta la mia eccitazione.

Rimisi il telefono in tasca e mi girai verso di lui. Nel momento in cui i miei occhi si posarono sulla sua figura perfetta, la sua bocca formò una O e chiuse gli occhi spingendosi leggermente indietro.
“No, cazzo!” Disse a voce alta prima di ritornare con la schiena curva e gli occhi puntati sullo schermo del suo cellulare.
Sorrisi appoggiando la mano sinistra sotto il mento. “Macchine…” Sussurrai senza un perché non appena vidi il gioco a cui stava giocando.
Si voltò per due secondi verso di me abbozzando un sorriso prima di ritornare al gioco. “Buongiorno, Ev.”

Quasi mi sciolsi sentendo il tono di voce che aveva usato per darmi il buongiorno. Era stato dolce, gentile, quasi un sussurro che adesso mi rimbombava in testa.

Niente me lo avrebbe portato via e avrei lottato per averlo.

Lessi i numeri in cima allo schermo ‘5/7’ e sorrisi perché era quinto e si stava impegnando tantissimo per arrivare primo.
“Non sei molto bravo.” Lo stuzzicai cercando di non sembrare troppo fastidiosa.
Alzò gli occhi al cielo, “E’ che sono emozionato—”

Perché sono accanto a te, Ev. Finii la frase mentalmente.

“—Se vinco tre partite di fila Chaz mi offre il pranzo.” Sorrise esclamando subito un altro ‘no’.
“Su, fammi provare un po’ anche a me.” Allungai la mano con il palmo in bella vista e senza neanche pensarci troppo, posò il cellulare iniziando una nuova partita. “Come si fa ad accelerare?” Chiesi aspettando che il gioco si caricasse.
Rise scuotendo la testa. “Vincerai di sicuro.” Disse sarcasticamente. “Comunque, tieni premuto sulla macchina.”
Finì la frase e si avvicinò a me. Annuii a fatica sentendo il suo respiro picchiettarmi contro il collo e la guancia – ormai rossa come un peperone.
Sentii il suo cellulare vibrarmi in mano e iniziai a tenere premuto sulla macchina nera che aveva già scelto Justin.
“Oh, sei prima!” Disse e posso giurare che su quelle labbra a cuoricino c’era uno di quei sorrisi stupendi. “Grande!” Disse avvicinandosi ancora di più.

Continuai a stare con gli occhi puntati sullo schermo, lo inclinavo occasionalmente quando vedevo una curva in lontananza o quando qualcuno cercava di sorpassarmi.

“Sto giocando con dei computer o con delle persone vere?”
“Ora per esempio anche con Usher.”

Aggrottai la fronte pronta a rispondere quando sentii un leggero peso sulla spalla. Non appena sentii le sue labbra, anche forse accidentalmente, sfiorarmi il collo entrai in un altro mondo e persi l’interesse nel tenere premuto l’acceleratore di quella macchina. Lasciai che sbandasse contro un cartello stradale e che arrotasse in seguito una persona sulle strisce.

Justin sembrò tranquillo e rise prendendomi di mano il cellulare. “Finisco io, vai.”
Cercai di trovare la voce e di rispondere. “Vai…” Fu l’unica cosa che riuscii a dire.

Arrotolai le labbra dentro la bocca e cercai di rimanere tranquilla. Era stato probabilmente un incidente, le sue intenzioni erano semplicemente quelle di posare il mento sulla mia spalla per vedere meglio ma … Cristo, le sue labbra avevano sfiorato il mio collo e il mio stomaco non smetteva di fare capriole.

Lo guardai continuare la gara che avevo iniziato quando la porta si aprì ed entro la professoressa.
Justin era così concentrato che era quasi un peccato doverlo farlo smettere.

“Bieber, togli quel cellulare dalla mia vista.” Mrs. Bowd iniziò a riordinare tutti i fogli che aveva posato sulla scrivania e aspettò che Justin obbedisse a quello che era stato chiesto.
“Se se, aspetti.” Borbottò continuando a gareggiare.

Guardai la posizione in cui era arrivato ‘1/7’ – ovviamente non avrebbe mai abbandonato una partita in cui stava arrivando prima.

“Bieber,” Mrs. Bowd fece una pausa strofinandosi il volto in modo frustrato. Non era la prima volta che discutevano, anzi … ormai era qualcosa all’ordine del giorno. “Posa quel cellulare immediatamente.”
“Aspetti un attimo, finisco!” Disse in modo annoiato.

Sospirai e, in quel momento, mi accorsi quanto persa fossi di lui. Stavo ragionando con la sua stessa mentalità, forse anche un po’ cafona.

Perché non lo lascia finire? Non sta dando noia a nessuno.

Era un pensiero che non avrei mai fatto se qualcun altro in quella stanza si fosse messo a giocare al cellulare con la professoressa in classe ma era Justin e pensai che con la sua dolcezza nascosta dietro alla cafonaggine, potesse essere perdonato.

“Bieber,” Sbottò Mrs. Bowd facendosi quasi saltare tutti sull’attenti. “Porta quel cellulare qui o chiamo il preside.”
Justin fece un mezzo sorriso e annuii. “Finisco e poi se lo può anche prendere.”

Mr. Bowd sembrò non apprezzare la risposta, tanto meno il sorrisino, perché si alzò di scatto e uscì dalla porta.

Diedi una leggera gomitata a Justin, “Dai, mettilo via.” Non uscì come un consiglio ma come una supplica.

Il preside odiava Justin, lo odiava proprio con il cuore e sapevo che l’avrebbe fatto uscire di classe senza neanche pensarci troppo.

“Finisco e lo tolgo, davvero.” Il suo tono era gentile, dolce e quel Justin che mi aveva risposto non era lo stesso che aveva risposto alla professoressa un minuto prima.
Era come se avesse due personalità: una menefreghista e cafona e un’altra dolce e sensibile.
Rise alzando le mani in aria, “Cazzo si, ho vinto!”

Ridemmo tutti in quella classe. Justin era un po’ come il pagliaccio che portava sempre confusione durante le lezioni e molti lo evitavano anche per questo. Non era proprio escluso dalla classe ma quando rimanevo in classe con altri ragazzi, una cattiva parola era sempre detta su di lui.

“E’ un coglione quando si comporta così.”
“Se continua così, questi lo segano.”
“E’ troppo convinto che diventi chissà-chi. Come minimo rimarrà sempre a casa con la mammina.”


Però, in altre occasioni, era la causa delle risate.
Non appena mise il telefono in tasca, la porta si aprì di colpo e il preside entrò.
Era sempre vestito con un completo nero, i capelli che sembravano leccati da una mucca e l’orologio d’argento bianco che spuntava appena da sotto la camicia.

“E’ possibile che devi sempre dare fastidio ai professori?” Il suo tono di voce era alto e minaccioso. Con la coda dell’occhio vidi Justin trattenere un mezzo sorriso mordendosi il labbro e guardando a terra.
“La professoressa ha dovuto interrompere la lezione per badare a te. Quanti anni hai?”

Interrompere la lezione? Ma non era neanche iniziata.

In quel momento vidi Justin passarsi il palmo della mano sopra la bocca, un sorriso troppo evidente era stampato sulle sue labbra. Probabilmente era uno di quei sorrisi contagiosi perché mi ritrovai con gli angoli delle labbra inarcati.

Quei sorrisi nascosti fecero imbestialire il preside. “Bieber, esci! Torna a casa e domani non tornare nemmeno. Parlerò con i tuoi genitori oggi pomeriggio. Esci!” Il suo tono di voce era così alto che quasi chiusi gli occhi dal fastidio.

“Domani non tornare nemmeno”
“Domani non tornare nemmeno”
“Domani non tornare nemmeno”
“Domani non tornare nemmeno”

No.

Lo vidi alzarsi con lo stesso sorriso.

Perché lui sorrideva ancora mentre io ero pronta a piangere e urlare?

Non appena raggiunse la porta, sentii lo stomaco contorcersi nel vedere il preside incoraggiarlo ad uscire.
Mrs. Bowd aveva un sorriso fiero stampato su quella faccia che avrei voluto prendere a pugni e calci.

Perché?

Afferrai il mio stesso braccio e sprofondai le unghie fino a sentire dolore. Non era un incubo, era la realtà.

Cercai il suo sguardo sforzandomi di rimanere seduta e controllare le mie emozioni. Non potevano portarmelo via così, non oggi …

Fece un passo avanti e, voltando leggermente la testa verso la classe, sorrise.
Continuai a fissarlo e non appena i suoi occhi incontrarono miei, quel sorriso che aveva in faccia svanì lasciandomi con altri mille dubbi.

Gli sarei mancata? Era una domanda che si sarebbe aggiunta alla lista in pochi secondi.

Uscì e il preside chiuse la porta scusandosi per il disturbo.
La lezione continuò come se niente fosse successo, come se l’unica persona di cui avevo bisogno non fosse andata via … per sempre.



Mi buttai sul letto con le guance inzuppate dalla lacrime – non solo di tristezza ma anche di rabbia.
“Ev, calmati.” Rafe si sedette accanto al mio corpo tremante e scosso. Mi posò una mano sui capelli e iniziò ad accarezzami la fronte. Era una cosa che mamma ci faceva sempre quando eravamo piccoli e avevamo paura.
Solo che questa volta non avevo paura, non avevo bisogno di una mano sulla fronte per tranquillizzarmi; avevo bisogno di una persona.
“Non merita piangere,” Rafe fece un sospiro profondo, probabilmente alzando anche gli occhi al cielo. “Scommetto che fra una settimana te ne sarai anche dim—”
Tolsi la testa dal cuscino e mi voltai verso di lui interrompendolo. “Non è quello, Rafe!” Mi asciugai le guance con il dorso della mano. “E’ che la mia vita è piena di ingiustizie!” Urlai. “Cosa ho fatto per meritarmi questo? Perché non riesco mai ad essere felice?”
“Non puoi dire che la felicità dipenda da un ragazzo, Ev.” Rafe rimase tranquillo cercando di farmi ragionare e tranquillizzare ma, onestamente, a meno che dalla porta non entrasse Justin, niente in quel momento poteva farmi ragionare e tranquillizzare.

Mentalmente, ripetei la stessa frase:
30 Gennaio: la fine di qualcosa mai nato.



Il giorno dopo, 31 Gennaio, ricevetti un messagio da un numero troppo familiare:
Ev, sono sempre stato il tuo tipo.
Inconsciamente, il messaggio indirizzato a Naomi l'avevo inviato a Justin. 

Il fatto che entrambi fossimo a conoscenza dei sentimenti dell’altro, non cambiò niente e dopo quel Mercoledì non rividi mai più Justin – o meglio, continuai a vederelo su Internet.
Una settimana dopo essere stato espulso dalla scuola, la Def Jam Island aveva firmato il contratto e Usher era diventato il suo ‘mentore’ o almeno così lo aveva chiamato nell’intervista fatta su MTV.
Aveva realizzato il suo sogno, distruggendo il mio. 


 Jevelyn 

FINE







Ringraziamenti COMING SOON qui
 

  
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