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Autore: E m m e _    09/07/2013    2 recensioni
Per secoli è stata tramandata l’esistenza di un’entità buona e di una malvagia.
Ed una volta era così:
Lucifero e Dio, l’eterna lotta tra il Bene ed il Male.
Ma ora non più.
Eravamo abituati a parlare di Dio come una presenza buona, genuina.
I nostri genitori, i nostri amici, preti e suore
ce lo hanno presentato come la Salvezza.
Ma si sbagliavano, si sbagliavano tutti.
Perché è a causa sua che la più grande di tutte le guerre si è abbattuta sulle nostre terre, sulla nostra gente.
E sta cercando i suoi Angeli, tra noi, quelli che lo hanno tradito, che lo hanno oltraggiato nel nostro mondo…
E se anche tu pensavi che Dio ti avrebbe risparmiato, ti sbagliavi.
Ora né Dio né nessun altro potrà salvarci.
STORIA SCRITTA A DUE MANI DA MIRIANA (ME) E ANGELICA (ENGI)
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Ok, prima di leggere spero che vi vada di vedere questo mio piccolo appunto, per informarvi che, se siete particolarmente romantiche, potrebbe scapparvi una lacrima perché io, quando l'ho scritto, ho pianto tipo fin quando Engi non mi ha dato il capitolo 19! Vabbè, detto questo spero che il capitolo 18 vi piaccia, perché, francamente, se ci fosse una top ten tra i capitoli di cui sono più soddisfatta, questo sarebbe tra i primi 3 (ma non vi rivelerò mai quale numero muahahahahahah) :P Buona lettura :D -Miri


Capitolo 18:
Per dirti “ciao” (DI MIRI)

Hesediel

Controllo.
Ne perdevo sempre di più ogni secondo che passava.
Nell’oscurità della mia mente, sentivo solamente i miei occhi formicolare, fastidiosamente, come incollati, impossibili da aprire. Più mi sforzavo, più capivo quanto inutile fosse quel mio vano tentativo. Il mio corpo non rispondeva ai miei comandi, non mi permetteva di fare ciò che volevo. Sentivo delle voci intorno a me, forse Angeli, forse Umani, o forse il Male che aveva portato Hariel via con sé senza permettermi di proteggerla.
- Quanto sei sciocco.
Una voce famigliare mi colpì i timpani, come mille vetri che s’infrangevano, uno dopo l’altro, in una coda infinita. Mi voltai di scatto, il mio primo gesto volontario da quando mi trovavo in quel luogo buio e senza fine. Non c’era nulla a parte me lì dentro.
- Sono qui!
Quella frase fu seguita da un fischio ironico che provocò in me un insano ringhio.
Mi voltai ancora una volta, nella direzione dalla quale proveniva il suono, ma, ancora una volta, il buio mi accolse. Un minuto buono e il silenzio ritornò ad impossessarsi della mia mente.
Dovevo controllare le mie sensazioni.
Dovevo spegnere le mie paure.
E poi la mia figura, che brillava nell’oscurità, rompendo il nero e il silenzio, mi sorrise.
Ma che diavolo stava succedendo?
- Ciao, Hesediel.
Doveva essere un incubo, certo, non c’era altra spiegazione.
Oppure uno specchio, ma le figure proiettate in esso non parlano per loro volontà!, pensai sentendo il cuore esplodere all’interno del petto.
- Ti ricordi di me?
E poi un flash: le fiamme che variavano dal rosso, all’arancione e infine al giallo, bruciando tutto ciò che avevano intorno, creando cenere grigia e triste ammassata sul terreno.
Riuscivo ad avvertire le loro grida, le loro richieste d’aiuto strillate o sussurrate a fior di labbra tra un gemito e l’altro. E poi Lui. Lo avvertivo dentro.
L’oscurità. La mia parte cattiva.
- Tu…
Spalancai gli occhi e indietreggiai rapidamente. E ora riuscivo a vederlo con il suo viso, la sua vera essenza, il suo corpo umano. Per tanto tempo avevo voluto dargli un altro viso, un altro nome, ma era sempre stato quello il suo volto, i suoi occhi di ghiaccio, pari al suo cuore gelido.
- Hesediel…


Continuammo a guardarci per svariati minuti, senza pronunciare parola. Hesediel, o almeno la parte malefica di me, mi guardava con insistenza, con un sorriso beffardo disegnato sulle labbra.
Lui si avvicinò, con passo felpato e lento, senza rompere il silenzio che si era formato tra di noi.
- Pensavi di poterla proteggere, non è così?
E poi un soffio di vento gelido mi colpì, come una secchiata d’acqua gelida nel bel mezzo dell’inverno. Lui era sparito.
- Hesediel!
Mi voltai di scatto verso dove avvertivo la voce femminile.
Hariel mi guardava, gli occhi pieni di lacrime, mentre Lui le sfiorava lentamente i capelli dorati.
Le sue dita le toccavano delicatamente il collo, facendola rabbrividire e piangere.
- HARIEL!
Scattai in avanti, con furia, ma qualcosa mi frenò; la scintillante lama di cristallo sfiorò la gola morbida e bianca di Hariel, che gridò. Un sottile taglio le si disegnò sul collo, simile ad un filo rosso strappato via da una maglietta sfilacciata.
- Hesediel… Aiutami!
I suoi occhi luccicavano di lacrime, mentre tentava con tutte le forze di sfuggire dalla pazzia del mio subconscio malefico.
- Ti prego…
Il suo era un gemito sussurrato tra i denti. Lui mi sorrideva, con odio, i suoi occhi sprizzavano orgoglio per sé stesso e per le sue gesta. Ringhiai con forza, chiudendo gli occhi, e corsi in avanti, verso di loro, più veloce che potevo.
- Hariel!
La voce dello sconosciuto mi costrinse ad aprire gli occhi, rapidamente, voltandomi di scatto.
Era una voce rauca, eppure sottile e bella da sentire. Nello stesso tempo in cui avrei potuto definirlo un perfetto estraneo, il mio cuore palpò la famigliarità del suo tono.
E la sua voce mi aprì davanti un nuovo mondo, una luce chiara che distruggeva tutto il buio dentro di me; non ero più nell’oscurità.
Non ero più l’oscurità.


- Hariel! Sono tornato!
Quel nome mi fece sussultare, ma mi trattenni dal non gridare, anch’io, quel nome.
Quando la luce scomparve, lasciando trasparire solo il giusto necessario, riuscii a vedere due figure, all’interno della stanza, dapprima sfocate e confuse, poi sempre più nitide e reali, fin quando non scorsi la figura eterea di Hariel.
Mi dava le spalle con naturalezza e riuscivo a intravedere soltanto la lunga treccia bionda che spezzava il nero del suo vestito dal retro in pizzo.
Non sembrava spaventata, né ansiosa o agitata. Stava bene e questo mi fece scoppiare il cuore di gioia. La seconda figura si fece spazio più lentamente sulle mie retine, come un disegno della quale curavo ogni singolo dettaglio, molto lentamente. Sussultai nel rapporto, appena compreso, della sua voce con il viso pallido, punteggiato della corta barba incolta.
- Azazel…
Sussurrai quel nome, come una salvezza o, forse, come la peggior condanna.
I suoi occhi risplendevano di uno strano, insolito, colore dorato, sfumato nel cremisi.
- ZIO!
Gridai, scattando in avanti. Azazel si era avvicinato alla ragazza, sfiorandole con un gesto dolce, il mento, rialzandolo per guardarla dritta negli occhi.
Ma erano strani, diversi da qualsiasi altro sguardo avessi mai avuto l’occasione di guardare. Occhi caprini, gialli come il sole che entrava furiosamente dalla finestra della piccola stanza di forma rettangolare.
Nessuno si voltò a guardarmi, come se non esistessi affatto in quella realtà nella quale mi trovavo solo come uno spettatore.
- Hariel!
Gridai, ma nessuno parve sentirmi. Chiusi gli occhi mettendo le mani davanti al viso per ritornare alla mia oscurità. Qualsiasi cosa mi fermasse, era fredda e liscia, come una parete di vetro che mi divideva da quel mondo in cui non ero ben accetto.
- Che cos’è quello?
Lasciai la fronte spiaccicata contro il vetro ma riuscii ad alzare abbastanza lo sguardo per vedere Hariel abbassare lo sguardo verso le mani di Azazel, che si muovevano rapide per chiudere in un sacchetto di stoffa qualcosa di circolare e brillante.
- È la salvezza, Hariel.
La sentii indietreggiare, confusa, il suo passo scricchiolava lungo il parquet lucido.
- Salvezza?
La sua voce risuonava sincera, fresca come una folata di vento in un’arida giornata d’estate.
Lei sorrise piano, guardando Azazel; e pensare che qualche ora prima guardava proprio me con quello stesso sguardo pieno di gioia, vita, umanità…
- È la speranza. La speranza di un mondo migliore, di una vita migliore, di avercela almeno una vita! È questa la salvezza, la speranza che ognuno di noi porta proprio qui.
Azazel le afferrò la mano e gliela spinse fino all’altezza del cuore.
Ed io riuscivo a sentirlo: un cuore pulsante, vivo, elettrizzato e terrorizzato.
Il suo cuore, il suono più bello che le mie orecchie potessero sentire.
- È amore e… Compassione. È la voglia di essere vivi, Hariel. Questa è salvezza.
Lei alzò lo sguardo lucido verso i suoi occhi, senza alcun timore. Gli strinse la mano, poi lo abbracciò, come se fossero amici di vecchia data che si incontravano dopo una lunga lite.
Azazel la allontanò, dopo un minuto buono, e le afferrò entrambe le mani mettendo, poi, sui palmi il sacchetto di stoffa argenteo.
- È per te. So che ne farai buon uso.
Hariel alzò lo sguardo e sorrise. E quelle sue labbra rosee, piegate abbastanza per riempire quelle sue splendide guance arrossate, fu un grazie silenzioso.
O almeno Azazel la pensava come me, perché le mise una mano sui capelli dorati, facendola scivolare fino alla guancia, sorridendo.
- Ciao splendore.
E la baciò sull’attacco dei capelli con dolcezza. Hariel sorrise, ma era sull’orlo delle lacrime.
Lei chiuse un attimo gli occhi ma solo il tempo di riaprili che lui era già un’ombra della storia di quella stanza. Quando la porta si chiuse al suo passaggio, Hariel scoppiò a piangere, stringendo i denti e tirando i capelli con le dita, tra cui alcune ciocche bionde sfuggite alla lunga treccia. Tratteneva le lacrime, provocando grandi respiri che muovevano ritmicamente il suo petto.
- Ehi, no…
Quasi dimenticai la barriera invisibile che ci teneva separati quando, con tutto il cuore, desiderai poter andare più avanti di quel metro cubo che mi avevano concesso.
Iniziai a sussurrarle parole di conforto, come se lei potesse avvertirle, farle sue e calmarsi.
Ma questo non accadde.
Misi una mano avanti a me, sulla piattaforma liscia che mi divideva da lei, e Hariel si voltò verso la mia direzione, senza però guardarmi dritto negli occhi. Prese a camminare, lentamente, e si avvicinò talmente tanto che riuscii ad avvertire il suo odore di pulito.
La ragazza si fermò, improvvisamente, a meno di un respiro da me. Appoggiò la testa sulla superficie fredda e liscia e respirò profondamente, lasciando che due grosse lacrime le rigassero il viso. E poi allungò la mano in direzione della mia, avvicinandola così tanto da riuscire ad avvertirne il calore.
- Ti prego non piangere…
Appoggiai la fronte in corrispondenza della sua e respirai piano. Chiusi gli occhi ma riuscii ad avvertire le sue labbra tremolare lentamente.
- Non è possibile.
La sua voce era un sussurro tremante mentre il suo respiro mi colpiva il viso con delicatezza, come un vento caldo e travolgente. Riuscivo a sentirla, era vera, reale, ed era proprio davanti a me.
E se, per la prima volta, mi ero sentito come se non ci fosse niente di più importante della vita che stavo lasciando, allora sperai.
Sperai che Hariel tornasse a casa, tra le braccia di suo fratello, sperai che la guerra terminasse prima ancora di cominciare, che lei stesse al sicuro nella sua bella casa.
E sperai che lei si innamorasse, follemente, pazzamente, più che poteva, che si sposasse e avesse avuto tanti splendidi bambini, che avrebbero avuto gli occhi della loro mamma, e una vita bellissima, come quella che volevo per lei.
Ma, intanto, sperai di poterla toccare, e stringere a me.
Amarla fino al mio ultimo respiro, fino all’ultimo battito.
- Sei qui…
Hariel mi strinse le mani, la barriera che ci allontanava era del tutto scomparsa.
Ero stanco, scosso dalla violenza con la quale la mia realtà si era fusa alla sua.
Sentivo come se dentro di me qualcosa si stesse spegnendo, una candela soggetta al sospiro del vento… Lei piangeva con forza, mentre le sue dita, intrecciate alle mie, rubavano ogni forza, tremando sempre più velocemente contro di me. Sentii il suo sguardo cercare il mio, ma io non la guardai. Sarebbe stato troppo straziante vedere i suoi occhi mentre la mia forza svaniva piano dal mio sguardo, mentre la mia pelle impallidiva e il mio calore scompariva pian piano dal mio corpo.
Sarebbe stato troppo, per entrambi.
- Perché non vuoi guardarmi?
Singhiozzò lei, allungando la mano sulla mia guancia. Ebbi un tremito, poi strinsi gli occhi, costringendomi a non aprirli per nessuna ragione, anche se quella fosse stata Hariel.
Lei era la mia ragione…
- Potrai mai perdonarmi?
Sussurrai e lei lasciò cadere la mano lungo il fianco.
- Per cosa?
La sentii sorridere, imbarazzata. Non mi serviva guardarla per sapere ogni sua singola mossa.
La conoscevo, ormai, più di me stesso. Sentii una violenta fitta al petto, e strinsi i denti dal dolore.
- Hesediel!
Lei scattò in avanti, ma fui io a indietreggiare.
- Ti prego, guardami!
Hariel fece un passo avanti e mi prese il viso tra le mani.
- Perché sono un debole, non sono riuscito a portarti in salvo.
Solo allora aprii lentamente gli occhi, per incontrare quelli azzurri e terrorizzati di lei.
- Sei… Gelido.
La ragazza mi afferrò il polso per poi lasciarlo cadere pesantemente contro di me.
- Il tuo cuore batte così piano e…
Le sue dita scivolarono sulle mie labbra, lentamente, mentre si alzava sulle punte dei piedi per avere il mio viso ancora più vicino.
- I tuoi occhi…
Le afferrai entrambe le mani, spostandole dal mio viso, e stringendole con delicatezza.
- Tu… Tu…
Hariel aveva gli occhi grondanti di pesanti lacrime salate, che le solcavano il viso rapidamente, come una battaglia per quale di esse arrivasse prima. Le lasciai libera una mano, ma solo per cancellarle le lacrime che avevano bagnato il suo splendido volto.
- Lo sapevi già, nel profondo di te. Sarebbe successo prima o poi.
Era così bella, anche quando piangeva, anche quando il suo cuore si spezzava piano. Riuscivo ad avvertirlo dalla sua espressione, scossa, distrutta. La stessa espressione che aveva adottato nel momento esatto in cui si era resa conto che i suoi genitori non avrebbero aperto mai più quella porta.
- No, no, no! Tu non puoi…
Le misi una mano sulla guancia, ma questa volta lei non pianse. Le sorrisi, piano, come la prima volta che le avevo sorriso furtivamente. Ma questa volta lei non ricambiò.
- Tu non puoi abbandonarmi… Tu non puoi farlo, non anche tu!
Hariel gemette piano e tentò di allontanare lo sguardo dal mio. Si liberò dalla mia presa, e mi diede le spalle. Scattai in avanti, con la paura che una nuova barriera potesse dividerci prima ancora che potessi dirle ciò che davvero importava, perciò la bloccai per un polso, rigirandola verso di me. Le scostai una ciocca di capelli biondi scomposti dal resto della treccia, e avvicinai il viso al suo, baciandola piano, lentamente.
Perché io la amavo, e quel mio sentimento non l’avrebbe abbandonata mai, nemmeno dopo la mia scomparsa. Un bacio, solo uno.
Era l’unico modo per dirle addio…
   
 
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