Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: E m m e _    11/07/2013    2 recensioni
Per secoli è stata tramandata l’esistenza di un’entità buona e di una malvagia.
Ed una volta era così:
Lucifero e Dio, l’eterna lotta tra il Bene ed il Male.
Ma ora non più.
Eravamo abituati a parlare di Dio come una presenza buona, genuina.
I nostri genitori, i nostri amici, preti e suore
ce lo hanno presentato come la Salvezza.
Ma si sbagliavano, si sbagliavano tutti.
Perché è a causa sua che la più grande di tutte le guerre si è abbattuta sulle nostre terre, sulla nostra gente.
E sta cercando i suoi Angeli, tra noi, quelli che lo hanno tradito, che lo hanno oltraggiato nel nostro mondo…
E se anche tu pensavi che Dio ti avrebbe risparmiato, ti sbagliavi.
Ora né Dio né nessun altro potrà salvarci.
STORIA SCRITTA A DUE MANI DA MIRIANA (ME) E ANGELICA (ENGI)
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Capitolo 19:
La Luce tra le mani del Peccato (DI ENGI)

Lia
 
Gabriel camminava davanti a me, assorto nei propri pensieri. Il suo passo era leggero e sostenuto, come quello di un predatore che insegue la propria preda, ignara di tutto.
Gli uccelli cinguettavano, il vento s’infilava tra le ultime foglie degli alberi e i rami ormai rinsecchiti, e il sole brillava in mezzo al cielo, tingendo ogni cosa con la sua luce malaticcia, interrotta alle volte dai minacciosi nuvoloni.
I miei, di passi, invece risultavano goffi sul terreno ricoperto dal tappeto di foglie marroni, che si lamentavano del mio peso, lanciando allarmi alle loro sorelle, avvertendole che avrebbero avuto la stessa sorte. Strinsi i denti e provai a posare i piedi negli spazi vuoti, dove era visibile solo la terra, ma il mio tentativo fu reso vano da una coppia di sassi, che riuscirono a farmi perdere l’equilibrio e a farmi cadere in avanti, contro Gabriel.
Mi aggrappai alla sua maglietta e riuscii a evitarmi la caduta. Lui si voltò, sorpreso, e i nostri occhi s’incontrarono. Arrossii violentemente, come se mi avessero preso a schiaffi sulle guance, e mi raddrizzai, pulendo gli abiti da della polvere inesistente.
- Stai attenta, ok?
Il suo sguardo dolce mi sfiorò il viso, che si riscaldava ogni secondo di più, aumentando di conseguenza la tonalità di rosso che lo tingeva.
Annuii e, dopo che Gabriel mi ebbe lanciato un’ultima occhiata, proseguimmo.
Rinunciai completamente a provare a non far rumore o a compiere movimenti sgraziati, e, nel silenzio più possibile che riuscii a mantenere, continuai a seguirlo, guardando ogni tanto dove mettevo i piedi.
- Ma non potremmo tipo… tele-trasportarci?
Domandai, sovrastando i rumori del bosco con la mia voce.
- No. Forse volare sì, ma rischiamo di essere intercettati.
Rispose lui, senza nemmeno voltarsi. 
- Parli degli altri Angeli, vero?
- Non solo.
Lo fissai, interrogativa, e Gabriel sembrò percepire la mia muta domanda.
- Demoni.
La sua voce era un suono secco, simile a un ringhio interiore, che scaturiva gradualmente dal suo animo. Quella parola mi terrorizzò. Non avevo mai visto dei Demoni, ma la sola idea mi metteva inquietudine, ansia. Improvvisamente mi sentii circondata, priva di protezione. Era come se ci stessero seguendo, come se qualcuno camminasse proprio dietro di me, in fila, uno dopo l’altro.
Gabriel continuava ad avanzare, non provando le stesse emozioni che invece vorticavano e scombussolavano la mia mente.
- Per loro è più semplice rintracciarci, sai?
Fece lui, sempre senza guardarmi, come se fosse la sua schiena a parlare.
- I Demoni, intendo.
Precisò, non sentendo nient’altro che il mio respiro uscire dalle labbra.
- E perché?
Chiesi, sentendomi quasi obbligata a porgli quella domanda. M’immaginai un lieve sorriso incurvargli le morbide e chiare labbra, leggero come il battito delle ali di una farfalla che si posa su un fiore.
- Perché Noi siamo il loro contrario. La Nostra energia è diversa, pura. Loro la sentono con maggiore intensità perché la temono e, in qualche modo, devono evitarla.
Evitai una buca e rimasi in silenzio, pensando a quanto mi avesse appena detto.
- Noi siamo la Loro rovina, e Loro la nostra.
Concluse. 
Uno stormo di uccelli si librò in volo, facendo sì che le ultime foglie del ramo su cui era posato precipitassero a terra, tremanti e sfinite.
Guardai in quella direzione, spaventata dal rumore improvviso di rami scossi e ali sbattute contro il vento.
Gabriel si voltò. I suoi occhi dorati, scuriti da un cupo bagliore, si fissarono nei miei, agitandomi e rendendomi impossibile sostenere tale sguardo.
- Sei spaventata?
La voce piatta rimbombò tra i tronchi freddi degli alberi.
Rialzai gli occhi e riuscii a guardarlo, ma vedevo tutto tremolare, come se fosse in atto un terremoto.
- No.
Mentii. Gabriel sorrise risollevato dal mio falso coraggio.
Arrivammo a un ponte completamente ricoperto di erbacce e rampicanti, che giravano attorno all’intero corpo; entrambi i fianchi erano percorsi da una successione di piccole piattaforme semicircolari, che facevano assumere alla struttura un’aria futuristica. Era posizionato su un enorme spacco della terra, una profonda divisione dello stesso mondo, come se due diversi individui avessero litigato e poi deciso di fare uno a meno dell’altro.
Strano…, pensai, osservando il ponte. Mi fermai e, posando un piede su una delle piattaforme, guardai giù. 
Profondo.
Sembrava non aver fine, non possedere un luogo di arrivo.
Affascinata mi sporsi ancora di più, convinta di aver visto qualcosa nell’ombra.
Il rumore di qualcosa che cedeva mi mise in allarme, ma non abbastanza in tempo perché potessi reggermi a qualcosa. Le mie mani vorticarono nell’aria, ma non trovarono alcuna superficie.
Guardai il fondo dello squarcio. Adesso sarebbero usciti degli scheletri urlanti, che mi avrebbero preso per i polsi e trascinata giù, portandomi nel loro mondo? Esisteva un mondo di morte e dolore? Perché, dopotutto, la tortura più grande era continuare a soffrire anche dopo la morte; continuare a vivere nell’agonia sapendo che non ci sarebbe stata una fine.
Una forte presa mi circondò il polso sinistro e, a quel punto, gridai, chiudendo gli occhi, spaventata da ciò che avrei potuto vedere: occhi neri di buio, anch’essi senza fondo, come il posto da dove provenivano.
Non potevo far altro che urlare e tentare di sottrarmi a quella stretta, ma sembrò tutto inutile. E poi una voce. Familiare e sconosciuta allo stesso tempo, che… imprecava?
Trovai la forza per aprire gli occhi e guardare in faccia le Tenebre… e non vidi nulla, niente a parte la stessa identica crepa che finiva chissà dove.
Venni tirata indietro e i miei piedi si posarono stabilmente al terreno, felici di non rischiare più di abbandonarlo.
- Sarebbe più semplice aiutarti a non cadere nel vuoto se non ti dimenassi.
Sbottò la voce di poco prima.
I miei occhi affondarono in quelli verdi di Mikael. Le pupille esageratamente dilatate avevano inghiottito le iridi, rendendo gli occhi quasi del tutto neri.
Anche Gabriel era sorpreso, che si era appena girato, come se fosse appena emerso dai suoi pensieri.
- Cosa ci fai tu qui?
Domandò Gabriel, guardando il contatto tra la mano dell’Angelo biondo e il mio polso.
Mikael sorrise, per niente divertito.
- Faccio ciò che dovresti fare tu.
Gabriel allora alzò lo sguardo e incontrò quello ammonitore dell’altro; non rispose e decise di distogliere gli occhi dorati e posarli su un punto nel vuoto.
Mikael si voltò nuovamente verso di me.
- Tutto ok?
Domandò, esaminandomi dalla testa i piedi e, di conseguenza, provocandomi un lungo brivido.
- Sì.
Dissi, liberando il mio polso con uno scatto veloce.
Il ragazzo assottigliò gli occhi e, dopo qualche attimo, guardò in direzione di Gabriel, che era tornato a fissarci.
- Ci stavi seguendo?
Chiese Gabriel, improvvisamente preoccupato per qualcosa.
- Non proprio.
Mikael, intuendo il pensiero di Gabriel, gli rifilò una risposta poco precisa, ma abbastanza perché quella semplice preoccupazione divenisse una vera e spaventosa certezza.
- Ecco, complimenti! Ora ci troveranno!
Sbraitò l’Angelo; non l’avevo mai visto tanto furioso, anzi non l’avevo proprio mai visto arrabbiato, eppure Mikael non sembrò sorpreso dalla sua reazione.
- Allora penso sia il caso di riprendere il cammino, non credi?
Gabriel digrignò i denti, infastidito al solo udire la voce dell’altro.
Mikael fece spallucce e, superandolo, proseguì nella direzione che stavamo seguendo.
Guardai Gabriel che lo rincorse con lo sguardo, poi, dopo aver lanciato una maledizione al ragazzo, lo raggiunse.
Il sole cominciava già a scendere dal proprio posto nel cielo, triste e lento nella sua discesa in mezzo alle montagne, che si stagliavano all’orizzonte della mia visuale.
I due giovani non si parlavano da ore ormai, troppo presi a farsi il muso a vicenda e a fingere di non conoscersi.
Osservandoli notai le differenze superficiali che li distinguevano: Gabriel era di una decina di centimetri più basso da Mikael, però, per compensare, la sua costituzione lo faceva apparire più muscoloso dell’altro, che, essendo anche più magro, possedeva un fisico più asciutto e slanciato, tutti elementi che lo facevano apparire aggraziato e agile, come ne aveva dato la prova all’allenamento. 
Alzai la mano destra e guardai il braccialetto di Hariel. 
Andai a sbattere contro Gabriel. 
- Oh, scusa…
Feci, senza accorgermi che era stato lui a bloccarsi all’improvviso.
- Che succede?
Mikael si era girato a guardare Gabriel, ancora immobile, con il volto ricoperto da una maschera di ansia.
- Sono vicini. Riesco a…
E si voltò indietro, interrompendo le proprie parole. I suoi occhi spalancati vagavano oltre le mie spalle, esaminavano i dintorni, alla ricerca del pericolo imminente.
- Dobbiamo muoverci.
Disse poi, tornando a camminare velocemente, senza controllare che gli stessimo dietro.
- Quanto sono distanti da qui?
Chiese Mikael, anche lui come me accelerando il passo.
- Poco.
Si limitò a rispondere l’altro ragazzo. Nella sua voce si poteva sentire il risentimento che provava nei confronti di Mikael, per la situazione in cui ci aveva cacciati. E sembrò anche lui accorgersene.
Tacque, non sapendo cosa dire o fare per rimediare. Vedevo come si sentiva pesare la colpa sulle spalle. Un nuovo peso che si sommava a dell’altro, molto più antico e ancora presente. Ero tormentato, riuscivo a sentire la sua anima gridare, straziata dai ricordi, dal presente e dal pensiero del futuro che la attendeva. Per essa non esisteva altro che agonia e silenzio.
Mikael
Mi stava guardando. Sentivo i suoi occhi puntati addosso, che mi leggevano l’anima, incuranti che io lo sapessi o meno. Non riuscii a voltarmi. Non potevo guardare quel suo sguardo senza subire poi una pugnalata al petto. 
- Smetti di fissarmi?
Non potevo sopportare oltre. Lei tornò al presente, come se avesse ricevuto un forte schiaffo in pieno viso.
- In genere faccio ciò che mi pare.
Sorrisi alla sua risposta già pronta.
- Ah, allora hai imparato a parlare, finalmente, complimenti!
La sfottei io, contento di aver trovato un modo per distrarmi.
- Grazie.
Fece lei, senza dare peso alle mie parole. Ancora non mi girai per vedere la sua espressione, ancora non ero pronto per affrontare i suoi occhi.
Il cielo coperto dalle spesse nuvole, che avevano coperto il debole sole, si stava scurendo. Sarebbe stata una notte senza stelle e priva anche di luna. Le nubi si sarebbero tinte di oscurità e avrebbero reso tutto più buio e impenetrabile.
- Continueremo a camminare anche al buio.
Disse Gabriel, degnandoci di farci udire la sua voce.
- Bello.
Commentai.
- Ma non sarà pericoloso?
Chiese la ragazza, il rumore dei suoi passi risuonava dietro la mia schiena.
- Sì, molto più di quanto non lo sia alla luce del sole, Lia.
Gabriel non intendeva fermarsi. Voleva ritrovare sua sorella, e ci sarebbe riuscito, anche a costo di camminare per interi giorni.
Un rumore quasi impercettibile mi fece girare. Incontrai gli occhi sbarrati dal timore di Lia, ma non era stata lei a provocarlo. 
- Correte!
Gli alberi presero a scorrere veloci ai lati della mia visuale. Tutti stavamo scappando dal pericolo, che ci seguiva con altrettanta velocità.
Il Male si stava avvicinando.
Superai Gabriel e, guardando sempre dritto dinnanzi a me, gridai agli altri di seguirmi. Li avrei portati via dai Demoni, non potevo lasciare che succedesse anche questo, dovevamo trovare Hariel.
Lia
Non ero abbastanza veloce, non quanto loro. Pur essendo un Caduto ormai, non ero ancora in grado di sfruttare tutta la mia velocità.
Li persi di vista dopo qualche minuto. Davanti a me non sentivo nulla, ma dietro di me sì. Sentivo delle forze oscure avvicinarsi e dividersi in più direzioni.
Il cuore cominciò a pompare il sangue con maggiore intensità. Il respiro era spezzato e accelerato. Brividi di freddo e terrore fusi tra loro mi percorrevano braccia e gambe, e una vocina dentro di me mi urlava di scappare, correre il più lontano possibile da quei mostri, senza curarmi di dove sarei arrivata, ed io eseguii alla lettera. Strinsi denti e pugni, e provai ad aumentare la velocità.
Continuai a correre, ininterrottamente. Non m’importava la destinazione.
Mi ritrovai a seguire il corso di un ruscello e, dopo qualche istante, stavo già saltando giù, lungo la cascata che si fondeva con il fiume che poi proseguiva verso destra e s’inseriva nuovamente in mezzo ad altri alberi.
Seguii ancora la direzione delle sue acque, finché questo non s’interruppe a formare un piccolo laghetto.
Il cielo era ormai completamento scuro, non avevo la minima idea dell’ora che potesse essere o da quanto tempo stessi correndo, sapevo solo che erano non troppo lontani da me, e che mi stavano seguendo. Ero io la preda.
Altri passi si aggiunsero ai miei, proprio alle mie spalle.
Mi si bloccò il respiro e, proprio in quell’istante, presi una storta in una buca. Caddi rovinosamente a terra. Diversi rametti mi s’impigliarono tra le ciocche di capelli e pezzetti di foglie rinsecchiti mi entrarono in bocca.
Il cuore sembrò arrivare al termine della sua corsa. Lo sentivo caldissimo, tanto che temetti si sciogliesse. Avevo i polmoni doloranti e gonfi. Sentii le lacrime salirmi agli occhi. Mi tremavano le mani e i miei pensieri cominciarono a fondersi tra di loro, anch’essi bollenti come lava.
Un’enorme ombra si stagliava nel buio della notte e gravava su di me, tremenda.
Un grido soffocato mi sfuggì dalle labbra e arretrai sulle braccia, strisciando tra le foglie. Piccoli occhi scarlatti sembrarono prendere vita, come se fino a quel momento il Demone mi avesse inseguita senza il bisogno di guardare.
La voce graffiante che scaturì dalla sua gola sembrava lo stridore delle unghie o del gessetto troppo lungo su una lavagna. 
Cercai di sfuggirle, ma la mia schiena andò a contatto con la superficie legnosa della corteccia di un albero. Ero finita. Non avevo più scampo.
Il Demone disse qualcosa in una lingua a me sconosciuta e si avvicinò, minaccioso e pieno di divertimento sadico.
I suoi occhi rossi scomparvero e tornai a guardare solo la sua sagoma d’ombra.
Gridai ma non riuscii a chiudere gli occhi.
Era ormai a due passi da me, quando un’altra sagoma scura si inserì in mezzo a noi, facendomi come da scudo.
- Non la toccherai!
E quelle parole furono accese da una luce chiarissima, quasi fastidiosa agli occhi. Il volto bianco del Demone comparve nel buio: possedeva occhi da squalo e denti altrettanto affilati, la testa pelata era segnata da cicatrici miste a tatuaggi tribali, e il naso non era altro che un buco al centro del viso.
Un urlo acuto gli uscì dalla gola. 
Anche il viso di Mikael fu illuminato dalla luce che usciva dalla sua mano. Sembrava che la pelle fosse più chiara, aveva l’espressione indecifrabile, le labbra lasciavano scoperti i denti bianchi stretti tra loro e gli occhi erano fissi su quella creatura, che si contorceva dal dolore e tentava di chiudere gli occhi, dai quali usciva il fumo.
Sembrava un Angelo vendicatore, arrivato a impartire la punizione che quel Demone si meritava per tutti i peccati che lo avevano reso ciò che era.
L’odore di zolfo, che non avevo percepito fino a quel momento, si accentuò, insieme all’intensità della Luce che bruciava la pelle appesantita dal peccato del Demone.
Le grida isteriche della creatura rimbombarono tra gli alberi, propagandosi poi per tutto il bosco.
Strillò, ancora e ancora, poi la potenza della Luce divenne tanto grande che il Demone fu scaraventato contro il tronco di un albero.
Quello fu il suo ultimo grido di dolore soffocato, poi il suo corpo si abbandonò contro il terreno, morto.
Mikael rimase ancora qualche attimo così, il braccio teso in avanti, la mano spalancata con la Luce che ancora bruciava sul suo palmo, il respiro veloce che gli sfuggiva dalle labbra e gli occhi spalancati.
Poi la luce scomparve e il buio, geloso, riprese tutto il proprio spazio.
   
 
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