CAPITOLO
VIII
A
ciascuno il suo cigno
Sono
innamorato.
Cazzo.
Tre
infiniti giorni sono passati da quando ha fatto
visita a Maka ma in qualche modo le sue attività cerebrali
continuano a
concentrarsi solo ed esclusivamente su quella scoperta, a dir poco
sensazionale
visto il soggetto che la riguarda.
Si
è innamorato.
Non
è difficile capire per quale ragione, fino ad
allora, lo avesse ritenuto impossibile. Soul era sempre stato un
inguaribile
playboy, indifferente di fronte a parole quali amore e rispetto.
C’era sempre
stato solo il sesso. Abbiamo già visto come se ne fosse
stancato, ora vediamo
come la vita si stia rivelando ironica: proprio lui, che ha sempre
preteso il
controllo sulla sua vita, arrivando ad andarsene di casa e, in tempi
più
recenti, ad insultare uno degli uomini più in vista
dell’alta società
rifiutando di sposarne la figlia, si ritrova incapace di controllarsi
nel suo
stato attuale. Non capisce più nulla. Ne cosa stia
succedendo, ne perché, ne
quando sia cominciato, niente di niente. C’è solo
un immenso senso di
smarrimento e di agitazione.
Le
farfalle nello stomaco. Proprio lui che ha sempre
detto di essere in grado di bruciarle coi succhi gastrici quelle
farfalle ...
si ritrova a confrontarsi con quel sentimento che non lascia scampo e
che in se
conserva mille e più capacità. Non riesce a stare
fermo ma non sa cosa fare, sa
solo pensarla. Mille e mille immagini di Maka gli affollano la mente
rendendogli impossibile riflettere oltre su qualsiasi altra cosa.
E
anche Stein se n’è accorto.
“sai
... Evans, a me non frega proprio nulla che tu
abbia la possibilità economica di acquistare
l’intera scuola, insegnanti
compresi. Se non ti decidi a prestare attenzione e a levarti dalla
faccia
quell’espressione da pesce lesso temo che dovrò
... vi vi se zio nar ti! È
tutto chiaro ora?”
Soul
non fa in tempo a rispondere che qualcuno bussa
alla porta.
“avanti!”
esclama seccato Stein, interrotto al
culmine delle sue minacce.
“Professor
Stein, buongiorno...”
“ah!
Ciao, Maka. Dimmi pure.”
Per
un attimo Soul medita sulla possibilità di
ficcarsi nell’orecchio una matita per stapparlo,
perché non è possibile che
Stein abbia pronunciato il nome di Maka, poi il suo sguardo cade sulla
soglia
dell’aula.
In
quel preciso istante Maka volge lo sguardo alle
file più alte di banchi e incontra gli occhi di Soul. Di
nuovo. È il silenzio.
Un silenzio pesante, solido, che mette in imbarazzo chiunque ci si
trovi di
mezzo.
“Maka,
cosa volevi dirmi?”. È Stein a rompere la
tensione, costringendo Maka a distogliere lo sguardo.
“la
professoressa Mjolnir la sta cercando, professor
Stein. Mi manda a chiamarla.”
“ah,
si, d’accordo, arrivo subito. Puoi andare Maka,
grazie.”
Allora
Maka gli volta le spalle e sparisce oltre la
soglia.
“ehi,
Soul, ma quella non è la tipa dell’altra
notte?”
chiede Black Star, come sempre un po’ troppo forte, infatti
tutti quelli a
portata d’orecchio si sono voltati verso di loro, incapaci di
tenere a freno la
curiosità. Molti bisbigliano eccitati di come Maka Albarn
alla fine si sia
fatta fregare come tutte le altre, altri si chiedono come sia in quelle
situazioni, quando di solito è così fredda ...
qualcuno da voce alle proprie
sfrenate fantasie e allora è troppo, Soul non ce la fa
più. È come se lui fosse
un pittore e qualcuno
stesse stracciando
il suo capolavoro.
“AVETE
FINITO DI ROMPERE I COGLIONI? FATEVI I CAZZI
VOSTRI! E NON PARLATE COSI’ DI MAKA!”
Di
nuovo il silenzio, ma stavolta è la paura a
premere il tasto mute. C’è anche un po’
di curiosità per quella reazione
esagerata. Non è forse vero che non fa altro che scoparsele,
tutte quante?
Molte delle ragazze che si trovano in quella stessa classe lo sanno
meglio di
altre. Soul si rende conto che qualcosa è andato storto e,
approfittando del
fatto che Stein non c’è, guadagna
l’uscita trascinandosi dietro Black Star,
fermandosi solo una volta arrivato al campetto da basket li vicino.
“grande
Soul, ci voleva un po’ d’aria! Comunque
sa....”
“STAI
ZITTO UN ATTIMO.”
Soul
deve chiarire questa situazione almeno col suo
amico o non ne uscirà. La varietà dei sentimenti
che prova è troppo vasta
perché possa tenersela tutta per se.
“ascolta
... il Soul che conoscevi è andato, finito,
ok?”
“amico
che cazzo dici?”. Adesso che lo vede così
serio, anche Black Star comincia a preoccuparsi.
“quello
che ho detto. Basta scoparmi tutte le
ragazze che mi capitano a tiro, basta ubriacarmi tutte le notti e fare
cazzate,
basta tutto! Cazzo Black Star mi sono innamorato!” confessa,
tutto d’un fiato,
nascondendosi la faccia tra le mani perché l’amico
non possa vedere quanto gli
stia costando dire tutto questo.
Black
Star per un attimo pare non capire. In volto
gli si dipinge la smorfia più stupida del mondo mentre il
suo cervello,
programmato solo per fare cazzate, cerca di comprendere un discorso
serio come
quello senza andare in panne. Poi recupera la facoltà della
parola e tutto
quello che riesce a dire è: “ah.”
Soul
si toglie le mani dal viso e lo fissa,
esasperato.
“come
“si
che l’ho capito, non sono mica coglione!”
Soul
si trattiene a stento dal commentare che invece
è un coglione eccome! Lo fa solo perché qualcosa,
nell’espressione di Black
Star, lo distrae.
“e
a te invece, che t’è successo? Che è
‘sta
faccia?”
Black
Star fissa un punto lontano, opposto agli
occhi dell’amico mentre risponde: “e io che credevo
che saresti stato tu a
tirarmi fuori da ‘sto casino ... invece ci sei finito anche
tu, cazzo!”
“no
scusa, adesso sono io che sono coglione, perché
non ho capito ... almeno non credo.”
“hai
capito benissimo. Non so quando cazzo è
successo ne perché, ma quella tizia mi sta risucchiando il
cervello!”
Soul
non può trattenersi da ridere. È sollievo,
quello che lo pervade. Sollievo per non aver perso il suo amico, come
credeva.
Sollievo per aver invece trovato un altro punto che li lega, anche
stavolta.
“primo,
non è che ci sia molto cervello da succhiare
in quel tuo cranio, secondo: chi è la tizia?”
“non
lo so Soul ... non so come si chiama o da dove
viene, non so niente di lei, niente! So solo che questi giorni sono
stati un
continuo inseguimento! Ovunque sta lei, ci sto anch’io. Non
riesco a lasciarla
perdere! Così ho pensato: cazzo, devo essere ... non riesco
a dirlo, porca
puttana! Almeno tu l’hai ammesso!”
Soul
ride così tanto che gli occhi gli si riempiono
di lacrime, ma smette dopo poco perché il suo amico
è ancora troppo serio.
“be?
Hai finito co ‘sta faccia?”
“tu
non capisci ...”
In
effetti, Soul non capisce. La sua vita si è
trasformata senza dubbio in meglio, con l’arrivo di Maka, per
cui non riesce a
capire cosa ci sia da essere tanto scuri in volto. Ma Black Star, prima
di
potersi dedicare all’amore, ha ben altri conti da risolvere,
e ne ha anche
Soul, solo che non lo sa ancora.
È una notte
troppo buia per i gusti di Black
Star. C’è qualcosa che lo agita nel profondo
nell’assenza di stelle e in quella
mezza luna che gioca a nascondino con le nuvole, senza tuttavia
riuscire a
celare del tutto il suo ghigno malefico, divertita dalla
pateticità crescente
degli esseri umani che bagna con la sua flebile luce. Tutto, se
illuminato
dalla luna, perde colore, ma come una punizione il sangue che macchia
la sua
lama è più rosso che mai, sembra quasi avere il
potere di tingergli le pupille.
Ai suoi piedi, un corpo morto. Non è che l’ultimo
di una lunga serie, ma quando
ormai gli sembrava di averci fatto l’abitudine, ha
ricominciato a soffrire
della morte altrui. Non è così che pensa e agisce
un assassino, se lo vedesse
suo padre si vergognerebbe di chiamarlo figlio, ma cosa può
farci? Maledice ancora
una volta la luna che tinge d’argento le sue lacrime
disperate, rendendole
oltremodo visibili a chiunque. È grato di essere solo, e
allo stesso tempo se
ne dispiace, visto che ha solo undici anni. Ripensa a due anni prima,
spegneva
le sue nove candeline e desiderava rendere orgogliosa la sua famiglia,
non
sapendo quale strada avrebbe dovuto intraprendere per realizzare quel
desiderio. Se l’avesse saputo, avrebbe chiesto di avere un
altro sangue, ma il
tempo di ripensarci e, sotto la guida di suo padre, era già
diventato una
macchina per uccidere, come succedeva da generazioni a tutti gli uomini
della
sua famiglia.
Osserva
ancora quel corpo steso inerte al suolo, mentre la terra ne beve la
linfa
vitale. Non fa più male per un improvviso ritorno di
coscienza, ma perché quel
cadavere rappresenta per lui una negazione. Era proprio una bella
ragazza, ed
era molto più della SUA ragazza. Era il suo futuro,
perché sapeva che l’avrebbe
sposata. Almeno fino a quando una guerra tra clan non aveva segnato il
suo
destino, costringendo lui stesso a porre fine alla sua vita in quanto
erede
delle redini della sua famiglia. Aveva undici anni e la amava
dell’amore degli
adulti, e adesso è morta. In un attimo realizza che
è proprio questo il suo
destino, restare solo e non conoscere l’amore,
perché potrebbe accadere di
nuovo una cosa come questa e sa che non ce la farebbe a sopportarla
un’altra
volta.
Questa
è la battaglia di Black Star che, seppure
ormai lontano dalla sua famiglia, conserva quella consapevolezza di
essere
destinato alla solitudine, per il bene di chi gli sta intorno.