Videogiochi > Kingdom Hearts
Segui la storia  |       
Autore: ChiiCat92    18/07/2013    1 recensioni
"- Bene Sora, hai appena ottenuto un buono per una cerimonia di benvenuto offerta dalla Vanitas Incorporated. - Riku e il biondo ridacchiarono sommessamente, scuotendo la testa - In realtà, dovrei essere io a ringraziarti, sai? Mi stavo annoiando, e sono mesi che non vediamo una matricola. Sembra che il destino ti abbia voluto portare da me. - Vanitas poggiò le mani sulle spalle di Sora, e si abbassò un poco, in modo che i loro occhi fossero allo stesso livello - Nessuno ti ha accolto nel giusto modo, vero? -" dal cap. 1
------------------------------------------------------------------------------------------------
è la prima FF che scrivo su KH, volevo un po' sperimentare!
mi sono chiesta cosa succederebbe se i personaggi di KH fossero studenti di un istituto prestigioso...e questo è il risultato!
Il raiting in alcuni capitoli oscilla verso l'arancione con sfumature di rosso, cercherò di avvertire prima nel qual caso dovesse succedere.
probabilmente la pubblicazione sarà settimanale, il giovedì :3
leggete e, se vi va, lasciatemi un commento!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nessun gioco
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

1

Una giornata cominciata male non può che finire peggio

 

Sora ingoiò la sua colazione mentre ancora stava correndo.

Non volendo perdere tempo fermandosi, visto che non l'aveva fatto neanche per sputare quel pezzo di toast che gli stava finendo nella trachea, tirò fuori la cartina della città dalla tasca esterna della cartella, in corsa.

Il percorso che doveva seguire era segnato con un pennarello rosso.

Da qualche parte, nella sua mente, ricordò che sua madre gli aveva spiegato che c'erano pochi metri da casa loro alla stazione, e che si poteva fare tutto il tragitto in dieci minuti, camminando a passo lento.

Correndo, dovevano per forza dimezzarsi i tempi. O almeno, era quello in cui sperava, perché l'orologio non ne voleva sapere di fermarsi, e il suo treno sarebbe partito in orario.

Traverse Town era una cittadina caotica; la prima impressione che dava era quella di una città di mezzo, di passaggio tra un luogo e un altro, dove non bisognava fermarsi, se non per ripartire subito dopo.

Sora aveva avuto quell'impressione sin dal primo momento.

Forse perché la sua vita era stata appena stravolta da un trasloco, e tutte le sue certezze erano venute a crollare, e perché temeva che suo padre cambiasse idea da un momento all'altro e sarebbero dovuti ripartire.

Abitava nel Primo Distretto da una settimana, ma quella sensazione non aveva voluto saperne di andar via.

Forse era dovuta al via vai di pendolari e studenti che, indaffarati, non perdevano tempo neanche per respirare e correvano, correvano; sparivano nella metropolitana, s'infilavano nelle auto, salivano e scendevano dai bus.

Nessuno stava mai fermo, quasi avesse paura di essere assalito dalle ombre.

La stazione dei treni era nel Secondo Distretto, non molto lontano dal Primo.

Sora provò ad evitare un carretto di verdura fresca, sbucato fuori dal nulla.

Il venditore gli mandò dietro tanti insulti che lui dovette voltarsi a gridare un “mi scusi!”, senza però fermarsi ad aiutarlo a raccogliere i cespi di lattuga che il suo passaggio aveva fatto cadere.

L'orologio, quello da polso, quello che non poteva essere sbagliato, annunciava con boria che erano le sette e venticinque.

Non potrò arrivarci mai!” si disse Sora, e provò una straziante, orribile sensazione di gelo sul fondo dello stomaco.

Non presentarsi il primo giorno di scuola, in un istituto privato della levatura di Kingdom Hearts, sarebbe stato come dare un pugno in faccia al proprio futuro, e sbatterlo fuori a calci nel sedere.

Kingdom Hearts, da cinquant'anni almeno, forgiava le giovani mente del paese, tenendole per mano dalla scuola dell'infanzia fino all'Università. Era una di quelle scuole in cui si passava automaticamente di classe, senza bisogno di fare alcun esame. Poteva dare l'impressione di un posto in cui bastava entrare per avere l'assicurazione di un biglietto di sola andata per l'Università, ma non era così.

Sora aveva visto parecchi servizi televisivi in cui raccontavano le vicende degli studenti di Kingdom Hearts, sfiniti e stressati per il carico di lavoro lasciatogli dagli insegnanti.

Alcuni finivano all'ospedale con crisi isteriche, o attacchi di panico scatenati da ansia da prestazione.

Il nuovo preside, con l'assunzione di dodici nuovi insegnanti, aveva aperto nuove vie di istruzione, e la scuola vantava ora più che mai valanghe e valanghe di domande di iscrizione.

Come Sora ci fosse finito in quell'istituto d'élite, era un mistero depositato nelle mani di suo padre, e delle persone che lo avevano assunto. A quanto pareva, nel nuovo lavoro era compresa anche l'iscrizione a Kingdom Hearts, ragione in più per convincere i suoi genitori ad abbandonare su due piedi la loro vecchia vita e trasferirsi a Traverse Town.

No, non era neanche da prendere in considerazione la possibilità di perdere quel treno.

Quando ormai Sora sentiva che il cuore stava per scoppiargli per la stanchezza, quando le sue gambe lo supplicarono di smettere di correre e i suoi polmoni erano infiammati tanto da non riuscire più a farlo respirare, proprio lì, a duecento metri, vide la stazione.

Forse era la sua immaginazione, forse era la sua disperazione, ma sentì un coro d'angeli intonare un canto, e un fascio di luce bianca avvolgere la struttura.

Forse non era ancora troppo tardi.

Quel che fece per quegli ultimi duecento metri fu più o meno quello che aveva fatto uscendo da casa: correre, a più non posso, finché il suo corpo gliel'avrebbe permesso.

C'era una massa confusa di studenti in divisa pigiati contro l'entrata, che ciondolavano e chiacchieravano, come se non fosse dannatamente tardi.

Sora, che era alto un metro e poco più, dovette farsi strada a gomitate, urlando “Permesso! Permesso!”.

Il cartellone delle partenze pulsava di attività quasi quanto la stazione stessa.

Le lettere e i numeri corrispondenti ai treni, e gli orari di partenza continuavano a scambiarsi, a ruotare.

Sora si fermò solo per cercare il numero del suo treno, e il binario dal quale sarebbe partito.

Anche se non riuscì a tenere a bada le sue gambe, troppo pregne di adrenalina per potersi fermare ora.

Continuava a saltellare sul posto, pronto a scattare.

Dominio Incantato, Atlantica, Isole del Destino...” lesse avidamente tutte le destinazioni, finché i suoi occhi non si fermarono su quella che gli interessava “...Kingdom Hearts!”

L'istituto era così importante che le ferrovie del paese gli avevano dedicato una tratta. Ventiquattro treni, che garantivano, per sei giorni alla settimana, agli studenti di arrivare in orario all'inizio lezioni, e di tornare a casa alla loro conclusione.

Il treno maledetto partiva dal binario numero 7. Anzi, segnava che era già in partenza.

Sora scattò, in direzione del binario.

Fece lo slalom tra l'edicola e il bar (il suo naso e il suo stomaco si fermarono ad assaporare il profumo dei croissant caldi, ma non poté permettere al resto del suo corpo di fare lo stesso), sorpassando un gruppo di pendolari.

Saltò oltre una montagna di valige lasciate abbandonate da una donna che stava litigando con un poliziotto, già stanco di prima mattina.

Alzò lo sguardo solo per accertarsi di stare andando nella direzione giusta, e quando vide il numero 7, luminoso e grande, stampato sulla colonna, svoltò, derapando come una macchina in corsa.

Il capotreno aveva già il fischietto tra le labbra, pronto a dare il via al macchinista per far partire il treno.

- Aspeeeeeeeeeettiiiiiiiiiiiii!!! -

Si ritrovò a urlare Sora.

L'uomo dovette provare pietà per il ragazzo, perché ritardò quei dieci secondi necessari perché lui saltasse sul treno.

Sora gli rivolse uno sguardo pieno di gratitudine, mentre quello fischiava, le porte si chiudevano e il treno cominciava lentamente a muoversi.

Ridotto ad un agglomerato di stanchezza, Sora si disse che non era neanche cominciata la giornata, e che faceva meglio a trovarsi un posto a sedere se non voleva passare la successiva mezz'ora in piedi.

Percorse il primo vagone senza trovare un solo sedile libero.

Quelli che sarebbero stati i suoi futuri compagni di scuola lo squadravano dall'alto verso il basso, con sdegno.

Solo quando intravide il suo riflesso in uno dei finestrini si rese conto dello stato in cui era ridotto: la camicia si era tutta stropicciata, ed era fuori dai pantaloni; il cravattino aveva il nodo storto e pendeva senza grazia al suo collo; la giacca sbottonata; i capelli spettinati in ogni direzione, che avevano perso la piega volutamente in disordine che gli aveva dato; gli occhi stravolti e grandi.

Si rifugiò in bagno per darsi una sistemata, tra gli sguardi altezzosi dei compagni.

La divisa che gli era stata data non era proprio della sua misura.

Per quanto provasse a far entrare la camicia nei pantaloni, quella trovava sempre il modo di venir fuori non appena si muoveva.

La giacca gli stava lunga sulle braccia, costringendolo a fare un rivolto alle maniche; ma per come lo vestiva sulle spalle, non poteva farci nulla.

Questo perché, per essere un sedicenne, era piuttosto minuto e piccolo.

Gli veniva spesso chiesto quand'è che sarebbe cresciuto.

Provò a sistemare il nodo del cravattino allo specchio e si abbottonò la giacca.

Almeno, non sembrava più uno scappato di casa.

Tornò alla ricerca di un posto a sedere, trovandolo nel terzo vagone, che era quasi deserto.

Si lasciò cadere sul sedile, con la cartella sulle gambe, e sbuffò.

La città si era allontanata, se ne poteva scorgere solo il profilo, e tutto intorno al treno correva la periferia. Un'alternarsi di abitazioni, zone di terra brulla, boschetti e strade più o meno trafficate.

Sora provò a tenere gli occhi aperti.

Desiderava imprimersi quel paesaggio nella mente.

La campagna, l'autostrada, anche il treno stesso era per lui qualcosa di nuovo, mai visto prima.

Ma la stanchezza ebbe la meglio, e presto si appropriò dei suoi occhi blu ceruleo, costringendolo a chiuderli e sprofondare in un sonno leggero, cullato dal rumore del treno che viaggiava sui binari.

 

Quando riaprì gli occhi fu più perché il treno aveva smesso di cullarlo, che perché si fosse reso conto di aver dormito per tutto il viaggio e di rischiare di essere riportato indietro a Traverse Town.

E fu anche merito della gentile voce metallica femminile che avvertiva gli studenti che il treno era in stazione, che era il capolinea, e che augurava una buona giornata.

Sora si stiracchiò, gettando le braccia in avanti.

Almeno si era fatto una bella dormita.

Anche se era stanco e sudato per la corsa che aveva dovuto fare da casa alla stazione, quel pisolino l'aveva reso un po' più ottimista.

Sembrava le cose si stessero aggiustando in corso d'opera.

Aveva dormito con la faccia schiacciata contro il vetro del finestrino, ottenendo un torcicollo e una passeggera insensibilità alla guancia, oltre che un segno rosso sulla pelle.

Si massaggiò lo zigomo, facendo le smorfie e aspettando che quella sensazione passasse.

Con uno sbadiglio, si alzò, pronto ad affrontare quella giornata.

Anche se “pronto” gli sembrava una parola davvero, davvero, davvero enorme.

Ma voleva dimostrare ai suoi genitori che avrebbe potuto farcela, e che non era più un bambino.

Forse fu questo a spingerlo giù dal treno, e ad unirsi alla scia di studenti in divisa che si avviavano verso la scuola.

Per avere addirittura una fermata-stazione propria, quell'istituto doveva essere veramente prestigioso.

C'erano quattro binari, e questo indicava che i treni partivano e arrivavano spesso, anche simultaneamente.

C'era addirittura un piccolo chiosco che vendeva giornali, bibite e qualche snack.

Sora seguì i cartelli che indicavano l'uscita, camminando con il naso all'insù.

Gli studenti erano stranamente rumorosi.

Chissà per quale motivo, ma lui si era immaginato una massa di zombie, tutti con la fissa dello studio, competitivi e poco simpatici.

Un'altro pensiero derivato dallo strappo netto che i suoi genitori gli avevano causato con il trasferimento?

Forse, visto che cominciava a ricredersi.

Le uniformi delle ragazze erano una versione femminile di quella dei ragazzi, con una gonna alla marinara veramente corta al posto dei pantaloni, e un fiocco rosso invece del cravattino.

Per forza di cose, Sora si ritrovò a guardare le gambe nude delle ragazze, coperte solo fin sotto il ginocchio da un calzettone bianco.

Scosse la testa e arrossì visibilmente.

Era meglio tornare a guardare i cartelli.

Già quando si ritrovò nell'atrio della stazione, capì quanto grande e monumentale fosse quella scuola.

Dalle finestre s'intravedeva un'enorme struttura dal tetto piatto, con un plesso centrale rettangolare, e diverse ali quadrate ai due lati.

Un viale alberato conduceva al portone principale della scuola.

Sembrava quasi un percorso obbligato; voleva dire chiaramente che da lì non c'era ritorno.

Sora deglutì a vuoto, intimorito.

Strinse al petto la cartella, mentre da solo percorreva il viale.

Gli studenti erano tutti accoppiati tra loro. Chi con gli amici del cuore formava un gruppetto, chi un trio, chi un duo.

Non sembrava esserci nessuno da solo. A parte lui, ovviamente.

Gli occhi blu ceruleo guardarono dappertutto.

Chiunque di loro poteva essere un suo compagno.

Forse quel ragazzo moro?

Forse la ragazza bruna?

L'avrebbero accettato?

Perché aveva così tanta paura del rifiuto?

Non era da lui.

A casa, tutti lo consideravano un ragazzo “dall'amicizia facile”. Legava con tutti, si trovava bene con tutti, aveva sempre una parola gentile per chiunque.

Selphie, Tidus, Wakka, tutti gli amici che aveva lasciato alle sue spalle...era stato così facile con loro.

Adesso aveva l'impressione di aver perso quella scintilla che tanto lo caratterizzava, quella per cui suo padre gli aveva dato il soprannome di “Tornado Sora”.

C'era un grande orologio rotondo sulla facciata della scuola, proprio sopra una vetrata da cui si poteva intravedere un ufficio.

Nel quadrante era stato dipinto il simbolo della scuola, lo stesso che gli studenti portavano sui cravattini (le ragazze sul nastro rosso).

L'orologio segnava le otto in punto.

Nonostante il pessimo risveglio, alla fine era davvero riuscito ad arrivare a scuola.

Quello che doveva fare era spingere via tutto quel pessimismo, e affrontare tutto con un sorriso.

Per confortarsi, si disse che quasi sicuramente alla fine di quella giornata si sarebbe fatto almeno un amico.

Anzi, lo prese quasi come impegno improrogabile.

Prima della fine della giornata, avrò un amico.”

Il pensiero ebbe il potere di sciogliere la tensione che sentiva addosso, e di fargli percorrere gli ultimi metri che lo separavano dall'ingresso con animo più tranquillo.

Una lunga scalinata lo accompagnò alla porta, sul cui stipite era stato scritto in bei caratteri “Kingdom Hearts”, con il solito simbolo a corredare il tutto.

Preso un profondo respiro, Sora entrò.

 

Il via vai di studenti si dissipò in pochi minuti. Tutti avevano fretta di farsi trovare ai loro posti, prima della campanella.

Così, Sora si ritrovò da solo a percorrere i corridoi, rastrellati di armadietti laccati di blu scuro.

I pavimenti di marmo erano tirati a lucido, tanto che ci si poteva specchiare.

C'erano un'infinità di corridoi, e nessuna indicazione su dove andare.

Sora si chiese come mai sua madre non avesse preparato per lui una cartina anche della scuola.

E lui si chiese perché non fosse andato a prendersela da solo su internet. Era quasi certo che l'avrebbe trovata, cercandola.

La persona che entro quella sera sarebbe stata sua amica, doveva fargli fare un bel giro dell'istituto. Quella sarebbe stata la prima cosa che avrebbe chiesto.

Alle otto e cinque invece di essere davanti alla porta del Superiore, vagava nei corridoi senza meta.

Non aveva incontrato neanche la sua classe, che doveva essere la II° K.

Abbattuto, e piuttosto nervoso, provò a battere i corridoi del secondo piano, ma incontrò solo qualche classe elementare.

Che la stanza del Superiore fosse in un'altra ala della scuola?

Cominciava a girargli la testa.

Non c'era neanche qualcuno in giro a cui domandare.

Forse avrebbe dovuto chiedere prima che tutti sparissero dentro le loro classi.

Ma no, lui voleva fare il grande esploratore e trovare l'ufficio da solo.

L'unica cosa sensata da fare che gli venne in mente, fu quella di bussare in una classe e chiedere aiuto all'insegnante che vi avrebbe trovato.

Certo, gli sarebbe rimasta addosso l'etichetta dello stupido per sempre, e si sarebbe imbarazzato da morire, ma che alternativa aveva?

Stava quasi per farlo, quando sentì delle voci ridacchianti provenire dal fondo del corridoio.

C'era ancora qualcuno in giro, dopotutto!

Seguì quello schiamazzare, così fuori luogo nel bel mezzo del silenzio ovattato dei corridoi, e si ritrovò davanti alla porta del bagno degli uomini.

Ho trovato anche il bagno.” si disse, con una certa fierezza.

Spinse la porta ed entrò, con le parole “scusate sapete dov'è l'ufficio del Superiore?” già pronte a uscirgli dalle labbra.

Appoggiati ai lavandini, tutti intenti a fumare e ridere, c'erano tre ragazzi in divisa.

Le parole che Sora si era preparato a dire, gli morirono sulle labbra quando tre paia d'occhi si puntarono su di lui.

L'unica cosa che gli uscì fu uno strozzato “scusate”, patetico quanto doveva essere la sua espressione in quel momento.

Uno dei tre lo squadrò con più attenzione degli altri.

Era un moretto, non troppo alto, con un fisico sottile ma muscoloso; gli occhi erano due perle giallo limone, che facevano male per la loro intensità.

Il moro distolse lo sguardo solo per fissarlo in quello dei compagni, che ricambiarono con altrettanta intensità, come se si fossero appena scambiati un messaggio in codice.

Sora fu attraversato da un pensiero: non doveva essere lì, in quel momento, con quei ragazzi, che quello era il peggior posto in cui trovarsi.

- Ciao piccoletto. - esordì il moro - Non ti ho mai visto in giro, sei nuovo? -

Non dirlo, non dirlo!” lo implorò la sua coscienza. Prontamente ignorata.

- Ehm...sì...sì...sono nuovo. -

Il moro lanciò un altro sguardo ai compagni, che si esibirono in una sommessa risatina.

- Ehi Riku, chi è stato l'ultimo di noi a dare la giusta accoglienza ad una matricola? -

Il ragazzo che rispondeva al nome di Riku si trovava dietro il moro, seduto sul bordo del lavandino.

Aveva lunghi capelli argentei, e occhi intensi color acquamarina.

- Credo sia stato Roxas. -

Il terzo ragazzo, un biondino dagli accesi occhi blu, che era rimasto un po' in disparte dietro i due, si ritrovò ad annuire.

- Ok, vuoi giocartela a testa o croce per vedere chi deve farlo tra me e te? -

Continuò il moro, rivolto a Riku.

Lui si strinse nelle spalle.

- No, non ne ho voglia, divertiti. -

Il moro gli rivolse un sorriso, per poi tornare a Sora.

Si avvicinò a lui, pericolosamente.

Gli passò un braccio intorno alle spalle, con fare amichevole.

- Io sono Vanitas, benvenuto nella nostra scuola, piccoletto. -

Ingenuamente, Sora si sentì sollevato da quell'atteggiamento così caloroso.

Allora aveva sbagliato a pensare male di quei tre.

Certo, il modo lascivo con cui indossavano le loro divise, la nube di fumo delle sigarette che avvolgeva il bagno, e il fatto che fossero fuori dalle aule dopo la campanella, avevano lasciato intendere a Sora che fossero dei poco di buono.

Evidentemente, si era sbagliato.

D'altronde, l'apparenza inganna, non glielo diceva sempre sua madre?

- Grazie. - balbettò, un po' imbarazzato - Io sono Sora. -

- Un bel nome! - fece il moro - Bene Sora, hai appena ottenuto un buono per una cerimonia di benvenuto offerta dalla Vanitas Incorporated. - Riku e il biondo ridacchiarono, scuotendo la testa - In realtà, dovrei essere io a ringraziarti, sai? Mi stavo annoiando, e sono mesi che non vediamo una matricola. Sembra quasi che il destino ti abbia voluto portare da me. - Vanitas poggiò le mani sulle spalle di Sora, e si abbassò un poco, in modo che i loro occhi fossero allo stesso livello - Nessuno ti ha accolto nel giusto modo, vero? -

Sora pensò confusamente che spettava al Superiore “accoglierlo nel giusto modo”. Almeno, era convinto che funzionasse così. Doveva essere lui a stringergli la mano e dirgli “benvenuto a Kingdom Hearts”, per poi lasciarlo andare in segreteria dove avrebbe ricevuto l'orario delle lezioni e l'elenco dei libri da comprare. Si sarebbe dovuto presentare in classe subito dopo, portando con sé un foglietto da far firmare al professore, in cui si attestava che era un nuovo studente.

Era tutto scritto scritto nell'opuscolo informativo che aveva ricevuto insieme alla divisa scolastica e alla tenuta da ginnastica.

In quel momento, per qualche assurdo motivo, ricordò il titolo dell'opuscolo: un benvenuto di tutto cuore a Kingdom Hearts.

- No...io...a questo proposito dovrei andare nell'ufficio del Superiore, mi ci puoi accompagnare? -

Sciorinò in fretta e furia Sora.

Il cuore pulsava così forte che temeva che il moro lo potesse sentire.

- Certo, potrei. - Sora colse la strana sfumatura che assunse la voce di Vanitas, e non gli piacque per niente - Però, vedi, è che non voglio. -

- Ma...io... -

Provò a ribattere Sora.

Vanitas gli poggiò un indice sulle labbra, per zittirlo.

- Ho in mente qualcosa di speciale per te, piccoletto. E poi ti accompagnerò dove vuoi. Ammesso che tu abbia ancora voglia di stare in mia compagnia, dopo. -

- Avanti Vanitas, non lo spaventare. -

Buttò lì il ragazzo biondo.

Sora pensò che fosse la sua salvezza, ma capì che era ironico dal modo in cui cominciò a ridere subito dopo aver detto quelle parole.

- Hai ragione Roxas, prima cominciamo, prima finiamo, no? - ribatté Vanitas, senza voltarsi a guardare l'amico - Dimmi Sora, sei bravo a trattenere il fiato? -

- Trattenere il fiato...? Sì, sono bravo, vivevo su un'isola e... -

- Un'isola! È così affascinante! - trillò Vanitas, dando delle pacche sulle spalle di Sora, che cominciava a sentirsi davvero confuso. Che cosa c'entrava adesso se fosse bravo o meno a trattenere il fiato? La presa del moro si fece ferrea sulle sue spalle, tanto che Sora sentì un gemito di dolore nascergli tra le labbra. - Adesso vediamo se sei davvero bravo come dici. -

Soffiò Vanitas, così delicato e gentile che sembrava parlasse con un amante.

Le risate dei due compagni dietro di loro si alzarono come un coro in festa.

Vanitas bloccò le braccia di Sora prima che lui potesse anche solo pensare di ribellarsi.

Il ragazzo provò a scalciare per liberarsi, ma il moro era troppo forte.

Con un calcio, Vanitas aprì la porta di uno dei gabinetti, e Sora capì che cosa avesse intenzione di fare.

Non riuscì neanche a urlare, mentre Vanitas gli pigiava a forza la testa nel water.

Quell'acqua sporca che sapeva di varichina ed escrementi gli entrò con violenza nel naso e nella bocca, che Sora provò invano a chiudere.

Nelle orecchie il rombo del sangue e dello sciacquone gli impedivano di sentire anche i suoi stessi pensieri.

Vanitas lo tenne sotto finché la cassetta non fu vuota.

Un tempo abbastanza lungo per lasciare Sora stordito dalla mancanza di ossigeno, ma non per farlo morire annegato.

Lo tirò fuori, tirandolo per il colletto della giacca, e lo scaraventò sul pavimento del bagno.

Sora si ritrovò scosso da conati di vomito e da tremiti convulsi, mentre i tre ragazzi ridevano di gusto.

Vanitas si fletté sulle ginocchia e afferrò Sora per i capelli, tirandolo verso di sé.

- Benvenuto a Kingdom Hearts, piccoletto. -

Gli poggiò un bacio sulla fronte, per poi lasciarlo di botto.

- Possiamo andare? C'è quella gran gnocca di Aqua che fa lezione adesso, ho voglia di vederla. -

Chiese Roxas, con fare sognante.

Riku rise di gusto, e diede una pacca sulla spalla al biondo.

- Ti sei preso una sbandata per lei? -

- Bhè, per essere gnocca è gnocca. - commentò Vanitas - Va bene, andiamo! -

Uscirono dal bagno, chiacchierando come se niente fosse successo.

Sora rimase lì dov'era, sdraiato a terra. La guancia poggiata sul pavimento era diventata fredda.

I capelli tutti bagnati gli ricadevano sul volto pallido.

Rannicchiato su se stesso non riusciva a formulare neanche un pensiero sensato.

Da qualche parte nella sua mente continuava a ripetersi “perché?”, ma era un'eco sbiadita, come lo erano le sue lacrime, che andavano a mischiarsi con l'acqua sporca che impregnava i suoi capelli.

Sarebbe potuto rimanere lì per tutto il giorno, forse anche per tutta la notte, perché nessuno si azzardava ad avvicinarsi a quel bagno, nessuno studente almeno.

Tutti sapevano che era il quartier generale di Vanitas e dei suoi due scagnozzi Roxas e Riku. Personaggi da cui era meglio stare alla larga, se si voleva avere un'esistenza tranquilla a scuola.

Ma Sora, questo non poteva saperlo.

Come non poteva sapere che qualcuno aveva visto uscire i tre dal bagno, con un'aria più soddisfatta del solito.

Quel qualcuno si era impensierito. Aveva capito subito dall'espressione di Vanitas che c'era qualcosa che non andava.

Così, aspettando che il trio girasse l'angolo, era corso ad infilarsi in bagno.

Al solo sentire il cigolio della porta, Sora provò un lungo brivido, che gli tagliò in due la schiena.

- Porca miseria, lo sapevo! - sbottò una voce. Lui non riuscì neanche a voltarsi, paralizzato com'era dalla paura. Una mano si poggiò sulla sua spalle, e lui ebbe un sussulto. - È tutto ok tranquillo, non voglio farti niente. - Sora voltò gli occhi cerulei sulla fonte dalla quale proveniva la voce, e il primo istinto che gli venne naturale fu quello di allontanarsi da lui.

Era un ragazzino minuto, in divisa scolastica, con occhi di un colore blu acceso e una zazzera scombinata di capelli biondo grano.

Sora provò a divincolarsi, mentre il panico gli prendeva il petto.

Cos'è, Roxas aveva ancora voglia di giocare con lui ed era tornato per finire il lavoro di Vanitas?

- Ehi, ehi, va tutto bene. -

Disse Roxas, con un sorriso gentile sulle labbra.

Sora lo spinse via e si allontanò da lui quanto più glielo permisero le gambe instabili, ancora tremanti.

- Sta' indietro! Lasciami in pace! -

Gridò lui, cercando di essere minaccioso. Ma bagnato come un pulcino e con i capelli afflosciati sul volto non rendeva molto l'idea.

Roxas sospirò, triste.

- Questo è il brutto di avere un fratello gemello. Quando lui combina qualcosa, vengo additato io al suo posto. - negli occhi di Sora passò un barlume di consapevolezza - Sì, hai capito bene. Il biondino che era insieme a Vanitas e Riku è il mio stupido fratello. Io sono Ventus, e tu sei un'altra vittima di Vanitas, eh? -


The Corner


Ciao a tutti!
ecco, dato che oggi è giovedì ho deciso di postare il primo capitolo :3
non so ancora che direzione prenderà la storia,
però mi sto divertendo un mondo a scriverla,
quindi non vi resta che leggerla e scoprirlo con me e con Sora ahahahah!
l'appuntamento per il prossimo capitolo sarà giovedì 25 luglio :3
alla prossima, dattebayo!

Chii

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: ChiiCat92