Serie TV > Once Upon a Time
Segui la storia  |       
Autore: Yoan Seiyryu    19/07/2013    3 recensioni
Sleeping/Hook
Solo il bacio del vero amore può risvegliare Aurora dal sonno eterno, ma non sarà Filippo a salvarla dalla maledizione. Dunque che valore può avere un bacio dissimile da quello più potente di tutti?
Hook dimostrerà alla Bella addormentata che non sempre la magia è la risposta, a volte le persone sono legate da un filo sottile che prescinde dai propri desideri. Entrambi si ritroveranno ad affrontare un'avventura comune, riscoprendo loro stessi e ciò che il Destino ha in serbo per loro.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Aurora, Filippo, Killian Jones/Capitan Uncino, Mulan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Pictures of you, pictures of me
Hung upon your wall for the world to see
Pictures of you, pictures of me
Remind us all of what we used to be. 

~*~



IV. Il coraggio di vivere

 



 

 

Si sentiva soffocare, non riusciva più a risalire in superficie. Avvertiva le vie respiratorie ostruite, spesso conduceva le mani alla gola, un gesto che credeva funzionasse a migliorare la respirazione.
Provava, ma non vi era alcun risultato. L’acqua confluiva fino ad oscurarle i polmoni, non riusciva a filtrare l’ossigeno.
Cercava di nuotare, ma qualcosa la fermava, come delle catene invisibili incastonate nel pavimento di marmo.
Ogni volta che tornava in quella stanza maledetta non vi erano che fiamme, o inondazioni, o terremoti o bufere. Soffriva e non vi era modo di fuggirne.
Avrebbe desiderato non dormire mai più, ma ne aveva bisogno, il corpo lo richiedeva. Ancora una volta aveva timore di non risvegliarsi, essere totalmente incosciente del mondo esterno e rimanere chiusa in un’eternità immobile che non desiderava.
Hook, ad ogni alba  era costretto a destarla dal sonno e dai suoi incubi. I lamenti e i pianti emergevano tutti alla medesima ora e il tormento era eccessivo, persino per chi stava ad osservarla e non poteva provare quelle stesse sensazioni.
E così  si ripeteva la stessa storia. Se era stata colpita dal freddo, si riscaldava. Se era stata bruciata dalle fiamme, si ungeva con un unguento particolare preparato dal pirata perché non lasciasse le ustioni sul corpo.

“Siete un fiore raro, sarebbe un vero peccato lasciarvi perdere i petali” le ripeteva Hook, ogni volta che lei lo ringraziava per rimanerle accanto in quegli oscuri momenti di tormento.

Lei, ovviamente, si ritraeva nel suo rossore che per nulla rientrava con la timidezza, era abituata a ricevere complimenti e non era la prima volta che si trattava di un uomo affascinante a farne.
Ormai erano trascorsi vari giorni dal risveglio e da quando erano entrati nella Foresta Proibita, avevano imparato a rispettare gli spazi altrui senza intercedere quando l’altro voleva rimanersene per sé.
Evitavano i battibecchi inutili, tentavano di instaurare una convivenza ottimale per entrambi, la guerra in quel momento non li avrebbe condotti a nulla.


“Questa volta cos’avete affrontato?” le domandò Hook, quando le vide aprire gli occhi avvolti nello sconforto e nella paura.

Aurora si mise in piedi, abbandonando il giaciglio di foglie verdi che era stato il suo letto. Si mordeva le labbra freneticamente, sentiva ancora l’umido dell’acqua su di esse mentre tentava di raggiungerle la gola e i polmoni.

“Siete pallida, si sarà trattato della stanza inondata” la precedette, mentre si alzava anche lui per spegnere il fuoco della sera prima, colpendolo lentamente con i piedi per sotterrare le ceneri.

“Non resisto più” disse lei, con le lacrime agli occhi che cercava di rimandare indietro. “Un’altra notte in quella stanza e penso che potrei morire. Ho paura ogni volta che è l’ora di andare a dormire” sussurrava, scostandosi i capelli dietro le spalle.

Era stanca anche di camminare continuamente su un terreno difficile da attraversare. Si era dovuta togliere le scarpe e conservarle in una sacca, il tacco aveva iniziato a consumarsi e non erano di certo comode per quel tipo di evento. Si era costretta, con rammarico, a camminare priva di calzature e spesso le dolevano molto le piante dei piedi che incontravano pietre acuminate facili da conficcarsi nella pelle.
Anche i lembi dell’abito erano mortificati dai rovi che di tanto in tanto si trovavano e dagli arbusti che inspiegabilmente nascevano dalla terra, appuntiti, volti proprio a farla incastrare in quei punti.
Avrebbe desiderato cambiarsi d’abito, ripulirsi di tutto punto e sistemarsi invece di portare con sé un cattivo odore ad ogni termine di giornata (non sempre trovavano fonti d’acqua abbastanza grandi) e le incrostazioni di fango ricamate sull’abito.
Hook aveva ragione, la Foresta Proibita non era il luogo adatto a lei. Una principessa non dovrebbe vivere in quel modo, senza agi e senza che tutto le sia dovuto.
Persino la vita nella casa di campagna era raffinata e poteva avere tutto ciò che desiderava. Forse si sarebbe arresa e non avrebbe salvato il suo regno. In fondo si era già sacrificata una volta, cos’altro doveva ancora fare?
Si sentiva sciocca a ragionare in quel modo così egoistico, lei non era così. Il sacrificio era la chiave della sua vita, ritrarsi indietro l’avrebbe dipinta come una codarda ed era troppo orgogliosa per acquisire una nomea simile. 

“Temo che non vi sia soluzione, Aurora. Non so come possano essere spezzati gli effetti di una maledizione, ma potete prendere in mano la situazione e tentare di sconfiggerli” le disse Hook, mentre estraeva la sciabola dalla guaina per poter aprire un passaggio di arbusti secchi ed intricati che si stanziavano davanti a loro.

“In che modo? Io non ho controllo su ciò che accade nei miei sogni, non posso comandarli a mio piacimento” rispose lei leggermente stranita da quell’affermazione così assurda. Si teneva indietro, in attesa che tutti i rami si distogliessero dalla strada.

“Questo è un errore che fanno in molti, dolcezza. In diversi paesi orientali che ho avuto il piacere di visitare, ci sono alcuni uomini che sono in grado di governare i propri sogni e spesso è durante il sonno che vanno a trovare gli amici lontani” la guardò per un attimo, per farle comprendere che era serio e non si stava burlando di lei “esistono diverse tecniche per prendere coscienza di sé all’interno del sogno, anche se non sono riuscito mai a metterle in pratica, la pazienza non è una mia virtù”.

Aurora si morse appena il labbro, tutto quello che stava ascoltando le sembrava una follia, ma in fondo non trovava una soluzione migliore di quella. Almeno, doveva tentare.
“Io so essere paziente. Esattamente come si procede? Insomma, posso governare i miei movimenti o anche ciò che accade nel sogno?”

“Entrambe le cose” rispondeva Hook, continuando a districarsi tra i rami che si arricciavano sulle loro teste, ormai era quasi riuscito ad aprire il passo davanti a sé. “Spesso i sogni sono creati dalla nostra parte più intima,  il nostro corpo è addormentato e la nostra mente altrettanto. Quel che si deve fare è riuscire ad addormentare il corpo e tenere sveglia la mente, per prendere coscienza di sé all’arrivo del sogno. Una volta che avrai imparato potrai imporre il tuo volere, cambiando le cose a tuo piacimento”.

“Uhm…” disse semplicemente lei, ancora poco convinta. Era abituata a vivere nei propri sogni, quando era bambina le piaceva svegliarsi con quei ricordi mattutini dove aveva attraversato mondi magnifici e incontrato le più strane tra le creature.
Ma erano stati soltanto sogni, nient’altro. Solo Filippo si era rivelato essere una realtà, se non fosse stato per il fatto che in quel momento lo sentiva tremendamente lontano e avrebbe desiderato ricevere un suo caldo abbraccio di rassicurazione.

Hook aveva terminato l’opera ed andò a riposare la sciabola nella guaina, soddisfatto del lavoro compiuto. Aurora finalmente poté attraversare il breve sentiero calpestando i rami secchi e bruniti che poggiavano sul manto di foglie.
Sembrava che all’interno della Foresta non scorressero la stagioni, vi erano tutte e in contemporanea.
A volte credeva che gli alberi si muovessero o che addirittura riuscissero a parlare tra loro. Altre immaginava che le fonti d’acqua fossero abitate.  Ma non aveva paura, quel pirata era riuscito a tranquillizzarla, se la cavava piuttosto bene e sembrava conoscere tutti i sentieri della foresta.

“Toglietemi una curiosità” le domandò lui, procedendo su una via davanti a sé, circondata da piante dalle foglie quadrate che sporgevano sul cammino “perché Malefica odia tanto la vostra famiglia? Non mi avete spiegato come siete caduta nella maledizione”.

“Siete talmente tanto egocentrico che non vi siete posto prima il problema” sussurrò lei, un po’ indispettita.

Hook lasciò calare il sorriso sulle labbra, prima di dire “Mi piace essere desiderato, principessina”.

Aurora sbuffò, scuotendo appena la testa.
“Ebbene, credo che sia arrivato il momento di raccontarvi la mia storia. In fondo voi mi avete narrato una parte della vostra.” Prese coraggio ed iniziò “Malefica era la figlia del re della Torre D’Acqua, il regno che si trova al di là della Foresta Proibita, era stata promessa a mio padre sin dalla tenera età. I loro genitori desideravano unire le casate così da portare la pace tra i due regni. Mio padre era innamorato di Malefica, il cui vero nome temo di non ricordare, così anche lei era rimasta soggiogata da quell’amore che nessuno credeva possibile, essendo stato imposto. Immagino sappiate che noi nobili non abbiamo libertà di scelta, in proposito”.

“Una vera stupidaggine, se posso permettermi. Per questo sono un pirata, per essere libero da sciocchi ed inutili conformismi. L’amore imposto non è amore” rispose Hook, appropriandosi di un argomento che gli procurava una leggera fitta all’altezza del cuore.

“Temo che in questo possiate sbagliarvi, pirata. A volte è un bene che l’amore cresca lentamente, anche quando alla radice sembra che non possa esservene. Costruirlo vuol dire essere maturi e acquisire una tenerezza che non tutti gli innamorati che dicono di essere tali hanno. In ogni caso, non credo che ci sia bisogno di discutere sui tipi di amore che esistono, giusto?” tentò lei di annegare immediatamente quella discussione, preferiva raccontare il proprio passato, aveva timore che lui potesse farle qualche domanda sull’amore che provava lei per Filippo e sapeva di non conoscere le parole adatte per descriverlo. Per sua fortuna, anche Hook non desiderava procedere verso quella strada e lei poté continuare.
“Dunque, siamo rimasti a quando mio padre e Malefica si innamorarono. In realtà, mio padre era ancora molto giovane e poteva incontrare la futura sposa soltanto durante l’estate [1], la vedeva crescere di anno in anno ma non era mai certo della sua evoluzione caratteriale. Malefica era uterina, umorale, cambiava a seconda del tempo e nelle ultime estati sembrava aver mutato il suo essere dolce e premurosa, come se la sua maschera avesse preso a cadere. Mio padre però preferì non farvi caso, continuando ad amarla come dall’inizio. Solo che durante una delle estati più fredde della storia del regno, non fu possibile l’incontro trai due e proprio in quel periodo mio padre incontrò una giovane donna, figlia del nuovo consigliere del re. Come avrai ormai intuito, i due si innamorarono perdutamente. Mio padre poté comprendere quanto fosse diverso quel tipo di amore, quello che provava per Malefica non era stato altro che un’illusione portata avanti per il bene del regno. Mentre quello che provava per mia madre era sincero, reale, tangibile. Così quando mio nonno morì, non ebbe più potere sulle decisioni del futuro re che spezzò l’accordo tra i regni e sposò la donna che amava, facendo cadere Malefica nella disperazione. Lei non aveva mai smesso di amarlo, ma era consumata dall’odio e dal rancore, tanto da cadere nella magia oscura per potersi riprendere ciò che desiderava. Quando nacqui io, gettò una maledizione su tutto il regno. Se il giorno dei miei sedici anni non avessi punto il fuso di un arcolaio, il regno sarebbe caduto in disgrazia. Per questo i miei genitori mi portarono via, perché non incontrassi mai alcun pericolo sulla mia strada. Vivevo tra il palazzo ed una casa in campagna, una doppia vita che non mi piaceva affatto. Non mi sentivo parte di nulla. Ma non potevo permettere che la maledizione si avverasse, così proprio il giorno del mio sedicesimo compleanno fuggii dalle mie madrine e punsi il fuso dell’arcolaio all’interno della torre del Palazzo, cadendo in un sonno profondo. Quel gesto avrebbe dovuto salvare il mio popolo, ma Malefica non deve aver rispettato i patti” sussurrò con rabbia crescente.

Hook era rimasto ad ascoltare il silenzio, senza pronunciarsi in alcun giudizio. Una storia interessante, ma non era una novità per le sue orecchie. In quelle terre era a tutti noto quanto le Regine o le Streghe detestassero i regnanti che in qualche modo erano entrati in competizione con loro.
Malefica aveva semplicemente ceduto ai propri desideri, alla vendetta, alla ribellione. Lui in fondo era un cattivo, mosso da sentimenti poco affini alla natura principesca che Aurora possedeva.

“I giuramenti delle Streghe valgono poco, mia cara Aurora. Loro non si appellano ad alcuna coscienza, spezzare un patto fa parte della loro natura” le spiegò, come se fosse del tutto normale  ciò che era accaduto.
“Quindi, avete scelto di sacrificarvi per la vostra famiglia e il vostro popolo. Fatemi indovinare, avete preso questa decisione quando vi siete  accertata che in futuro sareste stata svegliata dal vostro amato principe?”

Aurora corrugò la fronte, fermandosi di colpo e portando le braccia al petto.
“Voi non potete capire, Killian Jones. Non tutti possiedono uno spirito di sacrificio così alto da riporre tutto nelle mani di un’altra persona. Ho dato me stessa per il mio regno ed ero certa che Filippo un giorno mi avrebbe salvata”.

Hook scoppiò a ridere, fermandosi anche lui ed iniziando a girarle intorno con fare provocatorio, voleva farla arrabbiare, si divertiva.
“Peccato che Filippo non sia più giunto da voi. Non avevate messo in conto che si sarebbe potuto innamorare di un’altra donna?” le domandò, cogliendola nel punto dolente.

Lei continuava a stringere le braccia al seno, torturandosi le labbra e sbattendo le palpebre con furia.
“Questo è impossibile. Io e Filippo eravamo innamorati, il nostro era vero amore” sussurrò con convinzione.

“Ah, certo. Il vero amore…” sghignazzò Hook, lasciandola da sola mentre camminava a ritroso, dando le spalle al sentiero.  “Allora spiegatemi il motivo per cui il mio bacio ha funzionato”.


“Io questo non posso saperlo, ma sto cercando di scopr…” non ebbe il tempo di terminare la frase che si slanciò in avanti con gli occhi sbarrati “Killian, attenzione!” esclamò nella sua direzione, ma ormai era troppo tardi.

Hook, con quell’ultimo passo indietro, si ritrovò immerso con tutte le gambe in una pozza di sabbie mobili.
Aurora si gettò verso di lui, a debita distanza e provando ad allungare le braccia perché le potesse afferrare.

“Non mi ricordavo che fossero qui, maledizione!” inveì Hook con rabbia, cercando di stendere il busto per provare ad uscire. “Andate a cercare un ramo che sia abbastanza lungo e spesso, non perdete tempo con i piagnistei!” le ordinò immediatamente, tentando di alzare le braccia per non immergere anche quelle.
Se si fosse mosso sarebbe stato risucchiato più in fretta, doveva solo sperare nelle capacità di Aurora.

Poco dopo, mentre le sabbie avevano iniziato a lambirgli i fianchi, lei tornò con un ramo che gli passò in tutta fretta.
“Se non vi foste comportato di nuovo da saccente, ora non vi ritrovereste in questo guaio”.
Era incredibile il modo in cui lei continuava ad incalzarlo, nonostante la situazione compromettente.

“Ma non vi ha mai insegnato nessuno a chiudere la bocca nei momenti difficili?” di rimando, Hook non poteva esimersi dal rispondere allo stesso modo “Metteteci più forza, dovete tirarmi fuori di qui, non caderci dentro!” le sabbie continuavano ad inglobare parte del suo corpo, lo stomaco era già stato sommerso e mancava poco per ricoprire tutto il busto.

“Ingrato, dovreste ringraziarmi, potrei benissimo lasciarvi qui invece di aiutarvi” le parole stentavano ad uscire dalle labbra di lei, lo sforzo che stava compiendo era considerevole e le sue braccia non erano abbastanza forti, ma continuava ad indietreggiare imperterrita per poterlo tirare su.
Lentamente, ci stava riuscendo.

“Certo, per poi essere sbranata dalle lepri” le rinfacciò l’importanza che lui aveva in una situazione simile, era la sua guida, non poteva permettersi di perderla.
Ma il ramo si spezzò, proprio nel momento in cui la tensione era al massimo. I due si lanciarono uno sguardo carico di preoccupazione.
Aurora si guardò lo scialle che aveva avvolto intorno al collo, senza riflettevi lo srotolò velocemente e andò a legare un’estremità al tronco dell’albero più vicino alle sabbie mobili.
Hook poco a poco veniva sempre più inglobato, tanto che le sabbie andarono a rivestirgli il petto per intero, ormai soltanto la testa rimaneva visibile e la mano che a fatica rimaneva fuori.

“Non ho idea di quello che state orchestrando, ma io qui ci sto rimettendo la pelle!” esclamò ancora lui, ora che il mento iniziava a scomparire.

“Un po’ di pazienza!” rispose lei, prima di ricomparire con l’altra estremità dello scialle che riuscì a lanciare fino alla mano di lui. Riuscì ad afferrarla con la destra e arrotolarsela sul dorso, stringendo con forza.
Ormai non mancava molto al salvataggio, sarebbe bastato davvero poco, forse soltanto un istante in più.
Hook fu sommerso completamente, la tensione dello scialle si ammorbidì.
Aurora sgranò gli occhi incredula, non era possibile. Credeva che in quel modo sarebbe riuscita a recuperare il tempo perduto, ma evidentemente non aveva fatto bene i suoi calcoli.

“Killian!” si inginocchiò ai piedi delle sabbie mobili, accuratamente a distanza per non cadervi dentro. “Killian Jones, se questo è uno dei vostri scherzi, non è divertente!”.
Lui non rispondeva, al contrario, la tensione dello scialle sembrava scemare sempre di più.



 

 

 

Killian era seduto sugli scalini fuori dalla porta di casa, aveva ancora gli occhi lucidi e la mela che era riuscito a rubare allo zio aveva il gusto della delusione.
Suo padre era un uomo onesto, nessuno doveva permettersi di dire il contrario. Avrebbe lottato per difendere il suo onore fino alla fine. Non c’era quasi mai a casa, da quando era morta la madre, lavorava tutto il giorno e non passavano più il tempo insieme come una volta.
Come ogni sera lo aspettava lì, prima della magra cena che li aspettava, quando era possibile averla. Molti dei passanti si fermavano a salutarlo, chiedendogli se avesse bisogno di qualcosa, ma lui rifiutava sempre con orgoglio.
Suo padre non gli faceva mancare niente, diceva. In realtà aveva sempre tremendamente fame, ma cercava di non darlo mai a vedere a lui, non voleva dargli alcun dispiacere.
Quella sera però, Dwigth Jones fece ritorno a casa poco dopo il tramonto, un orario decisamente inconsueto. 
“Ragazzino, sei sempre qui che mi aspetti?” lo salutò, appoggiandogli un dito sulla fronte per fargli alzare lo sguardo.
Killian incontrò i suoi occhi, quegli occhi azzurri e penetranti, così profondi da potersi perdere dentro. I capelli scuri e la barba incolta gli ricoprivano il viso arrossato dalle continue bevute.
“Padre!” si alzò in piedi Killian, ricacciando via le lacrime.
“Hai pianto?” gli domandò premurosamente, passando il pollice all’angolo degli occhi, per constatare lui stesso i fatti. “Se è stato uno dei tuoi amici, mi auguro che tu lo abbia sistemato per le feste”.
Killian annuì, gonfiando il petto con orgoglio.
“Ah, non fare quella faccia” gli prese il braccio destro, mostrandogli il gomito scoperto “hai riportato un livido. Non puoi dire di aver vinto, se l’avversario è riuscito a sfiorarti anche solo con un dito [2]”.
Gli lasciò un sorriso appena stentato, tutte le sue premure erano terminate. Killian si riprese il braccio, nascondendoselo dietro la schiena e chinando in basso la testa.
Rientrarono a casa, una casa spoglia e priva di mobili. C’erano solo un tavolo e due sedie, tutte le altre erano state usate come legna da ardere per quell’inverno. Le pareti erano spoglie, una volta erano colme di stoffe lavorare dalla madre per decorare le stanze.
“Padre…” disse Killian, una volta che si sedette, con la speranza di poter mandare giù qualcosa di diverso dalla frutta rubata al mercato.
Dwigth lo interruppe, mentre si gettava a sedere anche  lui, coprendosi il viso con le mani.
“Sono molto stanco, stanotte devo tornare a lavoro. Sei riuscito a farti dare del pane da Norah?”
Killian, mortificato, fece un segno negativo con la testa.
“Norah non c’era oggi e mi hanno cacciato via appena mi hanno visto. Però sono riuscito a prendere un paio di mele!” il bambino si alzò subito con entusiasmo, andando a rovistare nella sacca che aveva abbandonato sul giaciglio al rientro.
“Puoi prenderle entrambe, io ho già mangiato” gliele porse con gentilezza.
“Bravo bambino, sono fiero di te” rispose Dwigth mentre andava ad afferrare golosamente le due mele per poterle mangiare.
Caddero entrambi in un lungo silenzio, che durò tutta la magra cena, ognuno avvolto nei propri pensieri.
Poi, Killian si rianimò e decise di affrontare quel discorso che un po’ lo spaventava.
“Padre…” tentò di nuovo, ebbe la meglio “oggi lo zio mi ha detto una cosa molto brutta. E’ vero che hai rubato dei soldi al vecchio Jay?”.
Dwigth smise di mordere il torsolo della mela, gettandolo a terra e battendo un pugno sul tavolo.
“Quell’uomo deve finirla di mettere in testa a mio figlio strane idee e tu, Killian, non devi credergli. Sono tuo padre! Mi conosci, credi davvero che potrei ingannare  il vecchio Jay? Guardami!” gli prese il viso e se lo avvicinò al suo, i loro occhi si mescolarono nello stesso sguardo intenso. “Guardarmi, credi che potrei comportarmi in modo così vile?”.
Killian trattenne il fiato, assolutamente pentito di aver potuto credere alle parole false dello zio. Doveva immaginarlo, non poteva essere vero. Suo padre era un uomo onesto.
Negò tutto, credendo fermamente alle sue parole e si rincuorò. Si fidava di suo padre, era l’ultima persona che gli era rimasta in cui poter credere in qualcosa.
“Bravo bambino” ripeté ancora, lasciando la presa su di lui.




 

 

Non poteva arrendersi in quel modo. Non poteva abbandonare la sua vita in quel conglomerato di sabbia, come se nulla fosse, cedendo come un codardo.
Sentiva quella voce richiamarlo ancora, quanto stava passando? Non poteva rispondere, stava morendo.
Ma lui non era come suo padre, lui non si era mai arreso. Era sempre andato avanti, aveva sempre combattuto per se stesso, forse in modo disonesto, ma non si era mai fermato.
Doveva riprendere le forze, doveva lottare.
All’improvviso lo scialle si mise di nuovo in tensione, con tutta la forza che aveva, Hook tentò di uscire dalle sabbie mobili, aggrappato con la mano sana all’unica speranza di vita.
Riuscì a salire le sabbie, poco a poco, quando Aurora si accorse dell’ampio respiro che venne fuori, si rianimò alzandosi in piedi e tirando lo scialle per poter aiutare il compagno.
Hook risalì, gettandosi lontano da quel tormento, sporco di fanghiglia e melma che si cospargevano sugli abiti neri.
Aurora corse da lui, gettando lo scialle a terra e afferrandogli il viso tra le mani, aveva gli occhi chiusi.

“Killian, svegliatevi!” gli ordinò, tirandogli un sonoro schiaffo sulla guancia.

Lui si drizzò subito con la testa, tossendo e sputando parte della sabbia che aveva ancora in bocca.

“Che diamine, mi stavo riprendendo!” inveì contro di lei, mentre si puntellava con i gomiti per rialzarsi almeno con il busto.

Aurora prese a ripulirgli il viso passandovi sopra le dita, così da scoprirne i tratti nascosti dalla sabbia che si era attaccata.

“Credevo foste morto per la seconda volta” si scusò subito, sentendosi innocente.

“Vi siete preoccupata per me?” sogghignò Hook “Ho sentito la disperazione nella vostra voce. Alla fine di questa avventura, vi innamorerete di me” ridacchiò, togliendole quelle mani fastidiose che continuavano a disturbargli le espressioni del viso. Poteva pulirsi da solo, non era un bambino.

Aurora, impettita, si alzò immediatamente in piedi.
“Non ditelo nemmeno per scherzo! Certo, ho avuto paura che foste morto ma solo perché mi sarei ritrovata da sola. Non tengo alla vostra vita così tanto da piangere una vostra supposta mancanza” e si girò dall’altra parte, con le braccia piantate al petto.

Hook rimase a terra, con l’uncino tra i capelli e l’altra mano appoggiata sul terriccio umido. Sarebbe potuto morire davvero, se non avesse trovato la giusta forza di volontà .
Forse, da morto, avrebbe desiderato sentire ancora la sua voce petulante.

“In ogni caso vi consiglio di ritirare quello che mi avete detto in precedenza: La Foresta Proibita non è adatta nemmeno a voi” e con soddisfazione, Aurora iniziò ad allontanarsi.

O forse  no.


 




Note: 

[1] Vi ricorda per caso L’incantesimo del lago? :P

[2] Questo l’ho ripreso dal mio insegnante di scherma, secondo cui la vera vittoria sta nel non farsi mai toccare dall’avversario.






Nda: 
Sto andando davvero lentamente, sia con la Sleeping Hook che con la Red Hook, ma purtroppo ho finito ieri l'ultimo esame della sessione e non ho avuto molto tempo per scrivere. Ma cercherò senz'altro di recuperare, in fondo vorrei tornare a pubblicare una volta a settimana ^^. 
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, entrare nell'infanzia di Hook è difficile e non voglio fare sciocchezze, almeno ci provo.
Ringrazio sempre tutte coloro che continuano a seguirmi e mi auguro che continueranno a farlo ^^ un bacio a tutte! 

Yoan

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Once Upon a Time / Vai alla pagina dell'autore: Yoan Seiyryu