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Autore: angelady    31/01/2008    2 recensioni
Sul treno diretto a Tokio, una ragazza dai lunghi capelli biondi guardava pensierosa dal finestrino... Il ritorno di Nana Osaki dopo la lunga assenza di sei anni, affronterà i fantasmi del suo passato.
Genere: Romantico, Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nana Komatsui, Nana Osaki, Nobuo Terashima, Ren Honjo, Shinichi Okazaki
Note: Lemon | Avvertimenti: Spoiler!
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Non poteva andarsene, scappare come aveva sempre fatto, se era tornata lo aveva fatto con l’intenzione di risistemare la sua vita, si accese un’altra sigaretta, le tremava tra le dita, non fece in tempo a portarsela alle labbra che una mano, veloce, gliela sfilò via.


“In questi anni, dove ho provato a costruire la mia felicità su castelli di carta, ho sempre saputo che prima o poi sarebbero crollati”



Il caffè caldo fumava dalla tazza con un buffo disegno; un paperotto col salvagente. Erano passati sei anni da quando abitava in quella grande casa, la dimora di una star, che non era lei. Si strofinò gli occhi, un poco stanca del peso della mattinata, aveva ancora così tante cose da fare, troppe da pensare, e nessuna da dimenticare…si affrettò a lavare i piatti nel lavandino, aveva appena messo le mani nell’acqua calda che il campanello suonò.
Non si stupì, né cercò di immaginare chi potesse essere, già lo sapeva. Si asciugò le mani e andò al citofono.
-Si, Takumi vieni pure…-
Appena aprì la porta l’ex bassista dei TRAPNEST entrò senza quasi neanche salutare.
-Papà…papà!-
Una bambina dai lunghi codini neri corse in contro all’uomo, felice di rivederlo, e gli si gettò fra le braccia, Takumi la prese in braccio sorridendo, mentre Nana li guardava tristemente.
Takumi era rimasto l’uomo di un tempo; i capelli neri lunghi, un portamento elegante, forse il suo viso tradiva il suo stato d’animo. Diede un grosso e tenero bacio alla bimba, quando alzò lo sguardo Nana vide che nei suoi occhi c’erano le lacrime.
-Takumi, vuoi una tazza di caffè? O una birra?-
Le sorrise mesto, quasi nostalgico, fissò per un istante il pavimento, perso tra i ricordi del passato che lo accompagnavano in ogni istante, poi alzò il volto e annuì.
Satzuki era seduta al tavolo del soggiorno intenta a pastrugnare su un foglio da disegno, mentre Nana e Tekumi erano in cucina. La ragazza gli pose la birra fresca, Takumi guardava la scena e la riviveva nella sua testa, un immagine ormai lontana sepolta tra i ricordi di un tempo. Prese la lattina senza azzardare un cenno, impassibile come sempre, la aprì svogliatamente bevendone un sorso. Nana tornò ad occuparsi dei piatti sporchi nel lavandino.
-Allora, come va?-
-Come al solito, domani cominciano i lavori per la nuova casa-
-Ah…bene, sarai sicuramente contentissimo…-
-Inutile girarci intono Nana…sono qui per discutere del divorzio-
-Si…però…è da un po’ che non ci vediamo, e…niente volevo sapere come stai…-
-Si si…ti ho detto che sto bene no?-
La guardava negli occhi, e niente era cambiato in lei, era sempre la solita sognatrice che giocava alle bambole con la figlia e piangeva per le commedie romantiche, la stessa che qualche tempo fa ascoltava ancora un cd dei BLAST, di nascosto per non farsi vedere piangere.
Amare per Takumi era sempre stato un contrasto, perché era troppo attaccato alla sua carriera e alla fama della sua, come la chiamava lui, principessa Reira, per accorgersi che il valore più grande era l’amore di una famiglia, ma come dargli torto, come rimproverare un errore come il suo se lui una famiglia non l’aveva mai avuta? Non si può essere migliori di quello che ti insegnano, però ci si può provare, lui, non aveva voluto affibbiarsi questa fatica. Guardò la sua donna mentre asciugava i piatti, e si strofinava le mani bagnate nel grembiule, ammirato dalla sua semplicità di fare e di essere, e un rimorso gli invase il petto, sapeva che in fondo un tempo, quella che ancora per poco poteva chiamare moglie, l’aveva amata.
-Per quanto riguarda Satzuki possiamo metterci d’accordo sui giorni che starà con te. Dimmi quando sei disponibile-
-Non lo so, devo vedere l’agenda, e sentire il lavoro-
-Ok, allora mi dirai in settimana?-
Attese la risposta ma la sorprese il silenzio, perché mai Takumi non rispondeva? Provò a chiederglielo di nuovo, lo chiamò lievemente per nome, quasi intimorita, e girandosi lentamente incrociò i suoi occhi penetranti.
-Takumi-
-Posso venire qui a trovarla nel frattempo…no?-
-C…certo…che domande-
Il fiato le moriva in gola, le mani le tremavano. Non osava nemmeno sfiorare l’idea di muoversi, era paralizzata sotto lo sguardo suadente dell’uomo, svoltò di lato la testa, e si sorprese di essere circondata dalle sue braccia, deglutì ansante schiacciando la schiena contro il bordo del lavandino.
-Comunque…puoi anche venire se io non sono in casa…-
-Preferisco quando ci sei tu-
Nana conosceva Takumi, sapeva apprestarsi ai suoi trabocchetti, sapeva che quando lui era arrabbiato o scosso gli sarebbe bastato fare l’amore con lei, per calmarlo. Conosceva ogni sua espressione, tono di voce, e portamento del corpo, ed era consapevole di non avere abbastanza forza di volontà per respingere i suoi vizi. Takumi avvicinò le labbra alle sue, la guardò di sfuggita prima di chiudere gli occhi e unire il contatto, Nana in quel breve arco di tempo riuscì solo a dire il suo nome.
Le mani dell’uomo si muovevano lente, dolci, delicate sulla coscia di Nana, la sensualità di quel gesto la mandava in estasi, e si accaldò ancora di più quando lui si introfulò fra le sue cosce, scoprendola eccitata e vogliosa.
-Takumi…fermati…-
Le sue dita si facevano strada nella sua femminilità, Nana non poteva reprimere gli spasmi, e ad ogni vibrazione il suo corpo si aderiva sempre di più a quello di Takumi. Gli avvolse le spalle con le braccia affondando il viso fra l’incavo del collo, era come se tutto fosse tornato in quel periodo dove si frequentavano le prime volte, quando bastava un nulla per farli cadere nella passione.
Nana aprì di scatto gli occhi e alzando il viso notò lo sguardo interrogativo della bimba, che teneva il suo disegno fra le mani.
-Sa…Satzuki!-
Takumi si allontanò di scatto da lei, passandosi le mani fra i capelli e voltandosi con un sorriso stampato sul volto verso la bambina.
-Che c’è tesoro, hai già finito il tuo disegno?-
-Si…-
-Io e la mamma ci stavamo abbracciando perché papà oggi è un po’ triste, e allora la mamma, lo consolava-
-Si tesoro, papà era triste…-
-Perché papà?-
Takumi si morse il labbro inferiore e la guardò teneramente, poi la abbracciò stringendola forte a se.
-Perché mi sei mancata tanto piccola mia-
-Anche tu mi sei mancato papà-
Si incamminò verso la porta, riprendendo la lattina di birra che aveva appoggiato sul tavolo. Nana gli corse il contro per salutarlo.
-Bene…-
Le accarezzò lievemente la guancia col dorso della mano, e la guardava languido, mentre lei si lasciava coccolare dal calore che emanava quella mano così cara in quel momento. Il contatto si interruppe, Takumi si girò di spalle intento ad andarsene.
-Ci sentiremo in settimana, ma molto probabilmente verrò a trovare la bambina qui a casa, sempre se per te va bene-
Sapeva che non avrebbe replicato, non aveva il coraggio di negarglielo, sorrise lievemente beffardo e se ne andò, Nana era ancora sulla soglia della porta, con lo sguardo perso nel vuoto.

“Sai Nana, le persone sono strane, perché si lasciano fare del male incondizionatamente…vorrei essere una principessa delle fiabe, per farmi venire a salvare dal mio eroe…”


Quando rientrò in casa il telefono squillò. Era come se Takumi avesse gettato un incantesimo su di lei, perché non riusciva a tornare alla realtà. Eppure sentiva la voce dall’altra parte dell’apparecchio che la chiamava ostinatamente.
-…Hachi! Che diavolo, ci sei?-
-Nobu?...-
-Tutto ok? Non mi rispondevi…-
-Si si…emh, ero solo sopra pensiero-
-Ascolta, devo parlarti…-
-Di cosa?-
-E’ complicato da spiegare al telefono, mi chiedevo se potevamo vederci in giornata-
-Non lo so, devo fare un sacco di cose a casa, e…-
-E’ una cosa davvero importante!-
-Va bene…allora…-
-Ci troviamo al solito Caffè alle cinque-
-A dopo, ciao-

***

Si accese un’altra sigaretta, le tremava fra le dita, non fece in tempo a portarsela fra le labbra che una mano, veloce, gliela sfilò via.
Rimase pietrificata, incapace di muoversi, incapace anche di respirare, appena si fosse girata avrebbe incontrato lo sguardo di Ren e non avrebbe potuto scappare. Si girò di scatto, alzando il volto, Ren la fissava esterrefatto, incredulo.
Non era il freddo che soffocava le parole, non era il dolore o la paura di averlo rivisto che le impedivano di parlare, nel suo petto esplodeva un senso di colpa, per averlo abbandonato, e di gioia perché dopo sei anni poteva rispecchiarsi nei suoi occhi chiari. Lo guardò con attenzione e si domandò perché anche lui non parlasse, se almeno l’avesse schiaffeggiata, o insultata sarebbe riuscita a parlare e a digli tutto, se lo meritava infondo no? Invece lui se ne stava li, con la sigaretta in bocca e lo sguardo fisso su di lei.
-Parla maledetto, dì qualcosa!-
Gettò la sigaretta e con uno scatto felino l’abbracciò, Ren riusciva sempre a stupirla.
-Ren…parla…odiami…- esplose in un pianto soffocato fra le braccia di Ren, mentre tirava i pugni contro il suo torace.
-Ti ho aspettato per tutto questo tempo…ti amo, come potrei odiarti…-
Le sue inutili difese si arresero alle parole del ragazzo, lo abbracciò a sua volta, gli bagnava la pelle con le lacrime e ad ogni singhiozzo Ren la stringeva più forte.

“Hachi, le persone sono strane, perché anche se il passato le ha ferite, inevitabilmente ritornano a percorrere lo stesso destino. Mentre sto qui, fra le braccia di Ren una parte di me vorrebbe ancora scappare…”


I poster sul muro della sua camera, la chitarra isolata in un angolo della stanza, e i cd sparsi sulla scrivania erano ancora l’icona che delineavano il carattere di Nobu. Quando la band si era sciolta, e Nana era scomparsa i membri dei BLAST erano tornati alla vita normale di un tempo, accantonando il sogno di sfondare nel mondo della musica. Yasu aveva aperto uno studio privato e ora esercitava il lavoro di avvocato a tempo pieno, Shin uscito dal carcere aveva dovuto passare del tempo con i suoi famigliari, ma se ne era andato poco dopo e ora lavorava come attore, mentre Nobu, era diventato quello che Nana aveva sempre voluto. Aiutava i suoi genitori con l’albergo, anche se a volte se ne andava per qualche giorno per incontrare i suoi amici.
Aveva appena riagganciato la cornetta del telefono, rimase un istante a pensare, poi non perse tempo, si vestì in fretta e saltò in macchina per giungere a Tokyo.
Era strano come ogni volta che doveva incontrarsi con Hachiko gli battesse forte il cuore, eppure l’aveva dimenticata da anni, tutto quello che c’era stato fra loro era una parentesi…ma si era ritrovato a pensare a loro, a quando stavano insieme e a come stavano bene, alla notizia che lei e Tekumi avrebbero divorziato lui era stato felice, ricordò amaramente che si era ubriacato quella sera, quando Shin glielo aveva detto, e poi si era sentito in colpa di essere felice di una cosa tanto triste e dolorosa per lei.
Quando arrivò Hachi era già al tavolo ad aspettarlo, si avvicinò dolcemente con un bel sorriso stampato sul volto.
-Ciao-
-Ciao Nobu-
Sembrava assurdo eppure gli era sembrato che lei fosse arrossita nel vederlo, in effetti era da molto che non si vedevano, Nobu si tolse la giacca di Vivien e la adagiò sulla sedia per poi prendere posto accanto alla donna.
-Dov’è la bambina?-
-Dai nonni, starà con loro per un paio di giorni, mentre sistemiamo alcune cose…-
-Sistemiamo…tu e…-
-Takumi-
Si guardarono un istante negli occhi, la vedeva turbata e imbarazzata, si chiese se era felice, se stava bene e se avesse potuto fare qualcosa per lei. La cameriera arrivò per chiedere l’ordinazione, e tutti pensieri cessarono. Nobu prese un tè freddo col limone, mentre Achi un cappuccino e una fetta di torta.
-Allora Nobu, di cosa volevi parlarmi?-
-Non è semplice. Quando l’ho detto a Yasu non ci ha creduto, però tu…tu sei diversa, penso che prima di dichiararmi pazzo ci penserai su a quanto sto per dirti…almeno lo spero-
-Così mi preoccupi, dimmi che cosa c’è!-
-Beh ecco…è successo che…-
In breve tempo le raccontò tutto; del giorno in cui aveva incontrato quella ragazza sotto la pioggia, e casualmente nelle vicinanze di dove abita Yasu, le disse che lo a eveva raccontato al ragazzo ma non l’aveva creduto. Il volto di Hachi si fece rigido, certo la storia era inverosimile, quella ragazza poteva essere chiunque, però cerdeva alle parole di Nobu. Pochi giorni prima era stata all’appartamento 707 e nella cassetta della posta aveva trovato delle fotografie e una cassetta; le foto di una donna che poteva essere Nana. Subito era andata a riferire tutto agli altri, mostrando le foto, avevano provato a chiedere alle linee aeree, Yasu si era diretto fino in America con la speranza di tornare indietro con lei, ma era stato tutto inutile, nessuno aveva mai visto la ragazza delle foto e tanto meno avevano mai sentito nominare il nome Nana Osaki.
La ragazza si portò una mano sulla fronte, sospirando a fondo, dentro sentiva che lei era viva, e che la storia che le aveva raccontato Nobu era vera.
-Io ti credo…-
-lo sapevo, allora…mi aiuterai a cercarla?-
-Farei qualsiasi cosa per ritrovare Nana e poterle dire quanto mi manca Nobu. Qualsiasi cosa…-

“Ogni mattina mi alzo, preparo la colazione per me e la mia bambina, la vesto, e poi comincia la mia giornata, ma per ogni istante del mio tempo non ho mai smesso di pensare a te, ogni minuto, ogni secondo, con la speranza che un giorno ci saremmo riviste, io continuo a cercarti Nana, invocando il tuo nome e spero che tu, in qualche modo, possa sentirmi”
  
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