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Autore: Medea00    21/07/2013    5 recensioni
Raccolta in cui sono contenute tutte le OS che ho scritto per le Seblaine Sundays e l'iniziativa domeniche a tema, organizzata dal gruppo Seblaine Events. Tutti i rating e i generi che mi passano per la testa.
23/06: Supernatural!AU
30/06: Babysitting
21/07: Dystopic!AU
1/09: Aeroporto
15/09: Magia
22/09: Literature!AU
6/10: 4 canzoni del tuo Ipod
20/10: Raffreddore
27/10: Scommessa
17/11: Esame andato male
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Questa fanfiction partecipa all'iniziativa domeniche a tema organizzata dal gruppo Seblaine Events
 







Così, quella era Zanarkand.
Una città morta da mille anni; una realtà che Sebastian vide con i suoi stessi occhi: rovine, macerie. Non era rimasto niente di quella città leggendaria impressa nella sua memoria.
Il fuoco costruito al centro del loro cerchio li riscaldava con delicatezza; le loro armi erano appoggiate lì, tutte insieme, intorno al bastone da invocatore di Blaine.
Si alzò in piedi, e prima di salire su una roccia piuttosto alta per osservare l’orizzonte, andò da lui in cerca di un gesto, di un qualsiasi contatto fisico; Blaine alzò la testa con i suoi grandi occhi ambrati e sorrise, quel sorriso lo riscaldava più di mille braceri.
Gli accarezzò lentamente una spalla, Blaine in risposta afferrò le dita della sua mano per intrecciarle alle sue. Fu un attimo, poi Sebastian lasciò la presa, aveva bisogno di guardare meglio, di crederci veramente.
Quella era Zanarkand. La fine del loro viaggio. L’ultimo capitolo della sua storia.
Forse, era l’ultima occasione rimasta, per poterla raccontare.
 
 
 

Lo stadio di Zanarkand era completamente pieno per la grande finale. Le luci dei riflettori erano accese, mentre gli ultimi arrivati prendevano posto tra gli spalti con bibite e oggettistica per tifare la loro squadra preferita. Il tabellone con i punteggi aveva il cronometro pronto e azzerato, in attesa del fischio di inizio; la globosfera, quella palla dalla capienza di cinquecento chilometri quadrati, era completamente riempita d’acqua grazie alle apposite cisterne all’avanguardia. Il Blitzball era lo sport più famoso in tutta Spira, non c’era bambino, ragazza, o adulto, che non lo avessero mai conosciuto o provato; la dinamica era semplice: era un misto tra il calcio e la pallanuoto, solo che si era completamente immersi nell’acqua, dove vi si poteva muovere e respirare con facilità grazie alle ultimissime tecnologie.
Dopotutto, erano pur sempre nel duemila.
 

“Posso avere un autografo?” Cinguettò una ragazzina con i capelli rossi e scompigliati di fronte all’asso nella manica degli Zanarkand Abes. Il playmaker sfoggiò un sorrisetto compiaciuto rispondendo “Ma certo Miss”, Con la sua voce calda e sensuale che faceva impazzire le sue fans.
Era davvero un peccato che lui avesse di gran lunga altri gusti.
Sebastian Smythe, recitava la firma sul pallone con calligrafia chiara ed elegante, mentre il resto dei tifosi accorreva e tentava di tutto per ottenere un autografo o scambiare giusto un paio di parole.
Sebastian sorrise ai fans, scostandosi un ciuffo di capelli dalla fronte e appoggiando le mani sui fianchi, in quella posa che ormai lo raffigurava su ogni sfondo, poster e parete. Era sempre lui, con i suoi occhi verdi, il suo sorriso malizioso, i suoi jeans lunghi e la sua maglietta con scollo a v, decisamente eccitante.
Un giovane tiratore all’apice della sua carriera, che poteva avere qualsiasi oggetto, premio, o ragazzo desiderasse, perché lui era importante, il più importante.
“In bocca al lupo per stasera!” Esclamò un ragazzo sulla ventina, con un viso carino e un corpo abbastanza bello da fargli venire un certo pensiero in mente; Sebastian inarcò un sopracciglio e si fermò davanti a lui e al suo amico, approfittando dell’occasione per firmare il suo pallone bianco e blu, con la tipica forma traforata del Blitzball.
“Non ne ho bisogno”, Rispose sprezzante: “Ho tutto sotto controllo.” Fece roteare la palla sull’indice della sua mano, prima di ridarla al proprietario. “Che posti avete?”
“Spalti laterali, quinta fila centrale!” Rispose l’amico, trattenendo a stento l’emozione.
“Ricevuto. Allora, se segno un goal...” Levò una mano a mezz’aria, con il palmo aperto, tenendo chiusi soltanto l’anulare e il medio: “E farò così, significa che quel punto ve lo dedico.”
“Oh Dio!” Sentì cinguettare dai due, come delle ragazzine urlanti. Era sempre divertente quando lo facevano; soprattutto, era divertente quando ci tenevano a ringraziarlo a dovere nel dopo-partita.
Si voltò verso la folla in visibilio e si strinse leggermente nelle spalle: “Ora devo andare ragazzi. Ma tifate per me, d’accordo?”
Scoppiarono in urla e applausi, e pensò che fosse una risposta più che sufficiente.
Nel frattempo, lo stadio era riempito fino all’ultimo posto, aspettavano tutti l’inizio di quella partita che sarebbe stata memorabile.
“Chissà cosa ci riserverà il giovane Smythe, questa volta”, Commentò il cronista ufficiale al suo collega, le loro voci che echeggiavano per tutta Zanarkand. Il vuoto tra le strade rendeva i loro microfoni ancora più potenti, erano tutti lì; volevano vedere lui, Sebastian Smythe, figlio del leggendario John Smythe, l’eroe del Blitzball. Zanarkand quella sera aveva occhi solo per lui.
 
 
Quando partì il fischio d’inizio la città scoppiò in un boato.
I Riverside Lakers erano forti, nuotavano con forza e con la massima cura; intercettavano i passaggi più lunghi e marcavano i giocatori più temibili. Sebastian ne aveva due alle calcagna, ma non si sentiva particolarmente pressato, nè in preda alla frustrazione: lui faceva il suo gioco, era talmente bravo da riuscire a smarcarsi con un paio di bracciate, merito anche della sua altezza e dei suoi muscoli forgiati dentro l’acqua.
Era una partita memorabile, piena di tiri in porta e di colpi di scena, la folla era letteralmente entusiasta di vivere nella collettività quel giorno che, sicuramente, sarebbe passato alla storia.
In effetti fu così, sebbene in via del tutto non premeditate.
Sebastian era uscito fuori dalla sfera per raggiungere la palla schizzata via in aria e effettuare il mitico colpo: il tiro Smythe, la firma di suo padre, l’unica cosa che preferiva avere in comune con lui. Una rovesciata perfettamente eseguita a mezz’aria giusto un attimo prima di rientrare in acqua, sferrando un calcio potente alla palla che sarebbe finita nell’incrocio dei pali e avrebbe sancito la loro vittoria.
Osservò il cielo da lassù, si perse per un momento a osservare quelle stelle che sembravano brillare solo per lui.
Fino a quando non notò l’onda gigantesta che stava per abbattersi sulla città. Il sorriso scomparve definitivamente dalle sue labbra nel momento in cui da quella minaccia uscirono dei raggi fulminei, si abbatterono contro le torri, contro i palazzi, contro le strade, per tutta la città.
Non era uno tsunami qualsiasi: non era un fenomeno naturale.
Un attimo dopo, la sirena del municipio sancì l’allarme e l’evacuazione immediata mentre l’onda imperviava spazzando via tutto ciò che incontrava nel suo cammino.
Un mostro comparve dall’alto; un qualcosa di troppo grande per essere descritto, e di mai visto prima. Sebastian, che si era aggrappato a uno dei pilastri della globo-sfera, avvertì quell’entità avvicinarsi sempre di più a lui, una luce calda, una forza di gravità che lo stava attirando verso l’alto, dritto al centro di quella sottospecie di foro illuminato e terrificante.
Credeva che sarebbe morto lì: inghiottito assieme alle macerie da un essere senza forma e senza dimensioni umanamente calcolabili. Invece, quando aprì gli occhi, davanti a sè comparve il sole.
Galleggiava su una vasta distesa d’acqua, era chiara, color verde mare. Un colore completamente diverso dal blu della globo-sfera.
“Ehi, coso? Tizio? Ti senti bene?”
Si destò dal suo stato quasi comatoso per mettersi composto e osservare la riva, dalla quale riuscì a scorgere un gruppetto di ragazzi che sventolavano le mani verso di lui. Rielaborando nella sua mente la domanda, andò a tastare ogni parte possibile del suo corpo per vedere se fosse ancora tutto intero.
“Sì, credo di sì”, Urlò in mezzo all’acqua, mentre nuotava per raggiungerli e ricevere un po’ di delucidazioni. Dove si trovava? Assomigliava a una zona tropicale, con delle lunghe palme e la salsedine che si insediava fin dentro ai polmoni. Non assomigliava affatto a Zanarkand.
“Dio, credevamo fossi morto!” Il ragazzo che gli aveva rivolto la parola per primo si fece avanti con un telo da mare, che Sebastian accettò di buon grado per cercare quanto meno di tamponarsi il viso, nonostante i vestiti zuppi. Ma il tempo era bello, c’era un sole che riscaldava la terra sotto alle sue scarpe, sarebbe stato piacevole asciugarsi così. Squadrò il gruppetto da dietro il telo, sembravano avere grosso modo la sua età, il primo era alto più di lui lui con le spalle spesse il doppio, i capelli corti e un viso affettuoso e ingenuo.
“Io sono Finn Hudson.”
“Sebastian Smythe.” Si aspettò un qualche tipo di reazione, insomma, era Sebastian Smythe; invece, si sentì stringere velocemente la mano.
“Loro sono Wes, David, Jeff e Nick. Siamo compagni di squadra.”
“Squadra? Giocate a Blitzball?” Quella notizia lo illuminò come una lampadina. Ebbe la consapevolezza che qualcosa, almeno quello, non fosse poi così cambiato.
“Sì, certo!”
“Ma non siamo granchè”, Intervenne Jeff. “Facciamo schifo”, Disse allora Nick, e i due ragazzi vennero zittiti da delle proteste di Wes e David. Finn, in quanto capitano, ordinò loro di continuare l’allenamento, e così i quattro ripresero a fare il giro della spiaggia a passo sostenuto, spintonandosi e prendendosi in giro tra di loro.
“Beh, per fortuna avete davanti a voi il miglior Blitzer di tutta Spira. Mi sento particolarmente riconoscente, quindi potrei anche insegnarvi qualche trucchetto”, Esordì Sebatsian alla nuova conoscenza, sedendosi sulla sabbia e sentendosi incredibilmente bisognoso di chiacchiere e attenzioni. Era completamente sperduto e disorientato, sull’orlo di una crisi di nervi, ma quell’accoglienza amichevole gli aveva risollevato il morale.
“Davvero? In che ruolo?”
“Attaccante”, Rispose con un moto d’orgoglio che gli fece gonfiare il petto e sorridere spavaldo: “Sono l’asso degli Zanarkand Abes!”
“Ah ah, buona questa! No dai dico sul serio, da dove vieni amico?” Ridacchiò Finn sedendosi accanto a lui.
“Te l’ho detto.” Il suo sorriso si fece più contenuto: “Vengo da Zanarkand. Ti fa tanto ridere?”
“Per caso qualcuno t’ha dato una botta in testa?” Esclamò, ridendo ancora più forte. Sebastian gli lanciò un’occhiata cinica: “Beh è probabile, visto che mi sono svegliato in mezzo all’acqua come un deficiente.”
Il tono freddo e seccato convinse l’altro ragazzo a cambiare registro. “Va bene, facciamo un passo alla volta. Ti sei svegliato e ti sei ritrovato a cento metri dalla spiaggia.”
“Esattamente.”
“Non ricordi come sei arrivato fin qui?”
Così Sebastian gli raccontò tutto quello che sapeva su Zanarkand. Sulla città e il suo tenore di vita, su quella partita e l’attacco misterioso, su quella luce che lo aveva avvolto. Parlò senza riflettere, ma più andava avanti, e più l’espressione di Finn diventava un grande punto interrogativo, come se fosse perplesso, o confuso.
“Sto dicendo cose così strane?” Sbottò a un tratto quando il ragazzo aveva fatto una breve smorfia, forse, perchè non sapeva bene come commentare tutto quel racconto.
“Amico, da quello che ho capito, e ho capito molto poco”, Puntualizzò, “Sei stato vicino a Sin.”
“Sin?”
“Il mostro di cui mi parli. È Sin, no? Non può essere altri che lui.”
Sebastian lo sentì parlare con un tono talmente convinto, che diede per scontata la veridicità delle sue parole. A quel punto, Finn gli mise una mano sulla spalla, scuotendo la testa con fare comprensivo: “Non preoccuparti, dicono che a chi si avvicina a Sin vengono delle strane alllucinazioni. Vedrai che tra qualche ora starai meglio, sarà stato un brutto sogno.”
“Che vuoi dire? Sono malato?!” Non poteva essere malato, lui aveva solo venti anni, stava benissimo.
“Sei intossicato”, Lo corresse lui, “Da Sin. Amico, stai dicendo davvero delle cose assurde, sembri quasi delirante.”
“Non sto dicendo cose assurde, dico solo quello che è successo.” Sbottò Sebastian alzandosi in piedi e togliendosi con cattiveria i granelli di sabbia dai jeans, ma Finn lo prese per un polso con ancora più tenacia e commentò: “Sebastian, Zanarkand non esiste più, Sin la distrusse mille anni fa. E dubito che ci sia una qualche finale di Blitzball in corso, lì. Ci sono solo vecchie rovine.”
Quella notizia lo tramortì come una ventata d’acqua gelida in pieno petto.
“Non è possibile.” Il suo cuore batteva all’impazzata, stava sudando freddo. “No, io c’ero, l’ho visto. Ho visto Sin attaccarla. È successo ora, poco fa,  in questa giornata e non puoi dirmi che si tratta di mille anni fa.”
Finn lo guardò per diverso tempo senza aggiungere niente. Dopodichè, abbozzando un sorriso incerto, gli diede una piccola pacca sul braccio.
“Ti va di andare a mangiare un boccone? Al villaggio avranno preparato degli spuntini deliziosi.”
Sebastian non aveva le forze per contraddirlo o negare quella gentilezza immeritata; si sentiva come in balìa di se stesso, con quel Finn che adesso lo guidava attraverso zone che non aveva mai visto nè sentito prima e gli faceva una panoramica del posto. Inoltre, non vedeva traccia di tecnologia da nessuna parte: le case erano in legno, le strade in mattoni e pietriccio, i vestiti semplici e di cotone, senza metalli o sostanze più moderne.
Besaid, era quello il nome della terra in cui si trovava. Un piccolo villaggio anonimo sperduto tra il mare, il bosco e le montagne.
“Oh, un’ultima cosa.” Finn lo fermò quando avevano raggiunto il cuore del villaggio, con i bambini che giocavano tra di loro con corde e palle fatte con pezzi di stoffa, e le lavandaie che si dirigevano ai bagni pubblici.
“Fidati: non dire a nessuno che sei di Zanarkand. È la Terra Santa di Yevon, qualcuno potrebbe arrabbiarsi per queste tue battute.”
“... Certo”, Annuì, sebbene, non troppo convinto.
Zanarkand una Terra Santa, pensò scettico. Certo, come no. E da quando?
Ma poi, che diavolo era quel Sin? E quel Yevon di cui parlava? Sebastian credeva che Sin lo avesse portato in qualche posto lontano, ma non così lontano. Non mille anni nel futuro.
“Finn! Ecco dov’eri, ti ho cercato per tutta Besaid!”
Una ragazzina alta la metà di lui, con una semplice toga che le scendeva fino alle caviglie, si parò di fronte a loro con lo sguardo accigliato e tutta l’aria di non voler farli passare.
“Rachel”, balbettò Finn guardandosi intorno come per trovare una via di fuga. “Amore, non è come pens-“
“AH NO? E allora dimmelo tu come stanno le cose Finn Hudson, dovevamo andare al mercato insieme!”
“Lo so, ma i ragazzi avevano bisogno di un allentamento e... e poi c’era Sebastian!” Esclamò, come trovando la soluzione ai suoi problemi, quando Sebastian voleva soltanto andarsene e lasciare che i fidanzatini litigassero da soli, senza che lo ficcassero in mezzo, in santa pace.
“Sebastian?” In un attimo, le attenzioni della ragazza dalla voce squillante furono tutte dirette verso di lui. “Sebastian? E chi è Sebastian? Finn sei impossibile, non ci credo che hai convinto un povero estraneo nella tua farsa, se non volevi venire al mercato bastava dirm-”
Venne interrotta proprio quando stava per puntare l’indice contro il petto del ragazzo, sollevata a terra da un altro senza il minimo sforzo e che adesso sbuffava sonoramente, mentre il fidanzato potè finalmente tirare un sospiro di sollievo.
“Grazie Sam. Non sapevo come zittirl-“
“COSA?”
“Calmarla. Non sapevo proprio come calmarla.”
Il ragazzo biondo che rispondeva al nome di Sam gli fece un cenno della testa in segno di approvazione, e poi rimise Rachel a terra, i suoi lunghi capelli castani che caddero morbidamente sulle spalle scoperte.
“Beh, comunque. Io sono Rachel Berry.” Disse rivolta a Sebastian con un sorriso perfettamente finto, “E lui è Sam Evans. Non ti ho mai visto da queste parti.”
“Non sono di qui infatti”, Rispose senza nemmeno pensarci: “Vengo da Zanarkand.”
Sam e Rachel lo fissarono pietrificati: “Come hai detto scusa?”
“Ehm... niente. Niente, lui fa così, scherza sempre, vero?”
“... Già”, Commentò lui, sfoggiando il miglior sorriso che riuscisse a fare e passandosi una mano trai capelli. Cercò di ripetere il discorso sentito da Finn, e la sua incertezza nel ripetere parole per lui completamente prive di significato venne scambiata soltanto per pura timidezza: “Sono... sono stato intossicato da Sin e... dico cose senza senso, sapete com’è...”
“Oh, sei sopravvissuto a Sin.”
“Lodato sia Yevon”, Risposero prima Sam e poi Rachel, facendo una sottospecie di inchino con una rotazione delle braccia che portò a congiungere le mani in orizzontale, i palmi rivolti tra di loro, facendo combaciare soltanto la punta delle dita. Evitò di fare domande: dopotutto, se avesse cominciato a farle, non si sarebbe più fermato; ma una, in particolare, martellava la sua mente in cerca di risposte, che non potevano essere ignorate. Dopotutto, quei ragazzi sembravano disponibili: magari non quella specie di ragazzina, e quello biondo non aveva l’idea di essere uno molto sveglio, ma Finn lo aveva aiutato. A lui poteva chiederlo.
“Ma cos’è Sin?” Si schiarì meglio la voce, riformulando la frase: “Voglio dire, so cos’è Sin, ovviamente.” Ovviamente, come no. “È solo che non capisco... cosa voglia da noi.”
Cosa voglia da me.
“Tanto tempo fa c’erano molte città automatizzate su Spira.” Rachel aveva un tono impostato e aulico, come un’insegnante di Catechismo ai suoi discepoli. Sembrava che avesse ripetuto quel discorso centinaia di volte: “La gente si divertiva e faceva lavorare solo le macchine. Poi arrivò Sin, e distrusse tutto ciò che l’uomo ha creato, solo per sfuggire al lavoro e al sacrificio. La prima città rasa al suolo fu Zanarkand, mille anni fa.”
“Mille anni fa”, Sussurrò Sebastian, pallido in viso.
“Esatto. Sin é  il flagello che Yevon ci ha mandato per aver vissuto nell’ozio.” Rachel fece di nuovo un altro inchino, e abbassò la testa.
“E noi dobbiamo scontarla per quei quattro nullafacenti”, Borbottò Sam, ricevendosi una gomitata in pieno fianco. “Non dire così! Abbiamo anche noi i nostri peccati, lo sai.”
Sebastian fissò i due senza riuscire a proferire parola. Era proprio come aveva detto Finn e non potevano aver mentito tutti quanti, perchè avrebbero dovuto?
Rachel arricciò le labbra sbattendo i piedi a terra: “Accidenti alla tua boccaccia larga.”
“Smettila di prendere in giro la mia bocca, è normalissima!” Si lamentò Sam coprendosi le labbra con una mano; “E poi tu non puoi parlare, visto che sei petulante più di tutte le ragazze del villaggio messe insieme!”
“COSA?! Ripetimelo in faccia se hai il coraggio, Sam Evans non osare allontanrati da me! Finn, digli qualcosa anche tu, forza!”
Sebastian apprezzò quel piccolo siparietto che, probabilmente, aveva soltanto lo scopo di tirarlo su; in realtà, però, l’unica cosa a cui riusciva a pensare era a quanto tutto quello fosse capitato per colpa di quel mostro, quel Sin.
Era tutto cominciato per causa sua e forse, rivedendolo, sarebbe riuscito a tornare a casa. Ma per il momento decise di accantonare tutti i problemi e vivere alla giornata; era difficile non pensare alla sua terra, ma adesso, con quei ragazzi, cominciava a stare un po’ meglio.
“Sebastian, sei appena arrivato, giusto?” Rachel lo prese a braccetto, incamminandosi tra tende, baracche e capannoni. “Allora devi presentare i tuoi omaggi al tempio.”
E no, davvero, quello era troppo.
“Non direi proprio.” Si scostò da lei bruscamente, spolverandosi la parte del braccio che era stata a contatto con lei e mettendosi le mani in tasca, con tutta l’intenzione di non fare un altro passo in avanti. Rachel lo guardò come se gli avesse appena detto di non credere in Dio: “Certo che sì! È un segno di rispetto per il nostro villaggio. Se non lo fai la tua miscredenza si riverserà su di noi!”
“E dovrebbe interessarmi perchè...?”
Stava diventando sempre più rossa dalla rabbia, e in quel momento intervenne Finn: “Rachel, perchè non lo portiamo a casa a mangiare qualcosa, prima di far visita al tempio? Magari vuole riposarsi.”
Sì, decisamente, quella era un’idea di gran lunga migliore rispetto che omaggiare chissà quale divinita in cui non credeva, e non aveva mai creduto. Ma Rachel era di gran lunga più testarda di loro due messi insieme, così guardò Sebastian dritto negli occhi e lo minacciò: “Se non vai immediatamente al tempio ti lascio a digiuno per due giorni.”
Tra la fede e la fame, di gran lunga, vince sempre la fame.
“Va bene, va bene”, Mormorò accigliato, “Che bambinetta petulante.”
“COSA? Io non sono una bambinetta signor miscredente, ho diciannove anni!”
“Sì, ma hai l’altezza di una di quindici.”
Finn lo trascinò via prima che venisse spedito dritto nell’Oltretomba.
 

 
Il tempio era buio, illuminato solo da qualche fiaccola adiacente alle pareti. Delle donne intonavano un canto dai toni malinconici, simile a una nenia, mentre una piccola folla di persone, a un angolo della stanza, pregavano e bisbigliavano educatamente.
Per un momento, quell’atmosfera di solennità, di raccolta e di devozione lo lasciarono esterrefatto. Non era mai stato credente, ma chiunque sarebbe rimasto impressionato, perfino un animo scettico e cinico come lui. Cominciò a capire quanto quel mondo fosse diverso dal suo.
Si soffermò a osservare una scultura al centro del tempio: arrivava fino al soffitto e raffigurava un uomo, la tunica lunga, un cappello che non riuscì a identificare, un bastone alto quasi quanto lui stretto tra le dita. Rachel arrivò al suo fianco qualche secondo dopo, sussurrando con voce emozionata: “Sono passati dieci anni da quando Richard Anderson diventò il Grand’invocatore. Finalmente abbiamo la sua statua per il tempio.”
Non avvertì la stessa commozione sua. Proprio per niente. Gli sembrava soltanto un modo molto megalomane per elogiare un membro della loro comunità.
“E che sarebbe questo Grand’invocatore?”
Tutti i presenti del templio si portarono una mano alla bocca allibiti, con Rachel che roteava gli occhi al cielo a dir poco incredula.
“Ehm... non è colpa mia. Sono stato intossicato da Sin.”
Una bambina scoppiò a piangere e andò dalla mamma; bene, forse non era stata la migliore delle scuse.
“Gli invocatori usano un’arte segreta per proteggere il popolo di Yevon.” Sam e Finn li raggiunsero in quel momento, allarmati da quel panico generale. “Alcuni eletti possono evocare dei protettori sacri: gli Eoni.”
“Un cosa?” Sbottò Sebastian, cominciando seriamente a stancarsi di tutti quei culti paradossali. Da quando in qua la gente comune poteva evocare cose?
“A proposito...” I tre ragazzi si guardarono come leggendosi nel pensiero, e assumendo un’espressione preoccupata: “L’apprendista è ancora nel chiostro della prova. L’apprendista dell’arte invocativa”, Spiegarono a Sebastian, guardando con la coda dell’occhio quel portone in cima alla scalinatra in pietra.
“Oltre quella porta c’è una sala, detta il Chiostro della prova, in cui gli apprendisti pregano. E se hanno successo, e le loro preghiere vengono accolte, diventano invocatori.”
“Bene.” Tagliò corto, astenendosi dal commentare con qualche risposta delle sue; “Quindi qual è il problema? Dovete solo aspettare che esca, no?”
Sam scosse la testa, diventava sempre più preoccupato: “È lì dentro da un giorno.”
“... Quindi?” Ripetè. Non riusciva proprio a seguire il filo del loro discorso, sembrava semplicemente una dimensione sin troppo lontana da lui.
“È un brutto segno, ed è molto pericoloso. Finn, forse noi dovremmo-“
“No Sam. Lo sai che è proibito. Dobbiamo solo aspettare.”
“Altri hanno provato prima di lui”, Gli fece notare l’amico, “E hanno fallito. Tutti quanti.”
“In che senso?” Chiese Sebastian, e quando Sam lo guardò rammaricato scuotendo lievemente la testa, il suo stomaco si contorse più volte su se stesso. Rachel afferrò la mano di Finn tra la sua, come per ottenere sostentamento: “Finn... e se fosse in pericolo?”
“Ma che diavolo state facendo?”
Ormai Sebastian ci aveva rinunciato a parlare a bassa voce, o con un tono vagamente comprensivo, perchè era completamente ridicolo e lui non avrebbe tollerato quelle idiozie un secondo di più. “Sacrificate delle persone innocenti per via di uno stupido credo?”
“Non bestemmiare dentro al tempio di Yevon!” Lo ammonì un sacerdote poco distante, avvicinandosi a lui e additandolo come un peccatore.
“Faccio quello che mi pare, vecchio.” Senza nemmeno dargli troppa considerazione, tornò a parlare ai tre ragazzi: “Lì dentro c’è un vostro amico, no? E se succede qualcosa? E se dovesse morire?”
“Non possiamo entrare”, Tentò di controbattere Rachel con voce flebile. Il sacerdote fece un passo in avanti, voleva afferrarlo per un braccio e trascinarlo via dalla scalinata: “I precetti vanno rispettati.” Proferì austero.
Sebastian si staccò dalla sua presa totalmente infastidito, e in un paio di secondi era già in cima alle scale. “Come se me ne fregasse qualcosa.”
Tutto ciò che sapeva, era che un povero innocente rischiava la vita per colpa di una religione senza senso, e nessuno tentava di salvarlo. Se c’era una cosa che non sopportava, in vita sua, era il fanatismo dettato da quei culti sconclusionati.
Si aspettava una stanza senza porte o corridoi, circolare, con un ragazzo in mezzo a migliaia di candele intento a canticchiare chissà quale litania; invece, davanti a sè si presentò un vero e proprio labirinto. Forse non era stata una buona idea, dopotutto: non aveva la più pallida idea di dove dovesse andare.
“Amico, sei impazzito per caso?”
La voce di Finn giunse alle sue spalle, insieme al suono della porta che si chiudeva pesantemente. “Stavi quasi per far venire un infarto a Rachel.”
“Quasi? Che peccato, ci ero andato vicino.”
“Stai parlando della mia ragazza”, Gli ricordò serrando le labbra in una smorfia. Sebastian non si sentì in colpa nemmeno un po’, ma si limitò a cambiare argomento: “Insomma che ci fai qui? Non era proibito o cose del genere, della serie che adesso un fulmine squarcia il soffitto e ci prende in pieno petto?”
“Non scherzare. Quello che hai fatto è gravissimo. Soltanto i sacerdoti, gli invocatori e i Guardiani possono venire fin qui. Sono le nostre tradizioni: non ti chiedo di capirle, ma quanto meno di rispettarle.”
“Io non rispetto nemmeno il semaforo rosso.”
Finn inclinò la testa, non riuscendo a cogliere quella battuta, e Sebastian resistette all’impulso di passarsi una mano sulla fronte perchè, ah, giusto, loro non avevano i semafori. Era assurdo.
“... Lasciamo stare. Insomma adesso hai trasgredito alle regole e devi fare dieci Ave Maria?”
“No. Io posso stare qui, sono un Guardiano”, Commentò con una certa sicurezza nella voce, che andò affievolendosi man mano che continuava: “E se qualcuno te lo chiede lo sei anche tu, intesi?”
“Non posso semplicemente dire che sono tutti idioti?”
“Sebastian, per favore.”
“Va bene, va bene.” Che seccatura. “Quindi, un Guardiano. E che dovrei fare, esattamente?”
Il pavimento sotto ai loro piedi cominciò a scendere, come un ascensore privo di fili; Sebastian restò alquanto stupito da quella strana stregoneria, tanto da rischiare di non cogliere affatto la spiegazione di Finn.
“Gli invocatori partono per un pellegrinaggio, per pregare nei templi di tutta Spira. E i Guardiani li proteggono.”
Proteggere? “E da cosa?”
Ma non ricevette alcuna risposta.
La stanza in cui si trovavano adesso era quella che si era aspettato di vedere all’inizio. Ma c’era un’altra scalinata, in fondo, e un’altra porta, che rendeva tutto assolutamente stancante. Stava per esprimere le sue lamentele ad alta voce, quando udì qualcosa, proveniva da oltre quelle mura.
Un canto: una voce. Dolce e, allo stesso tempo, piena di sfumature. Un brivido lungo gli attraversò tutta la schiena, mentre faceva un passo in avanti, come per ascoltare meglio. Con la testa alta, le mani distese lungo i fianchi, chiese di chi fosse quella voce.
Furono interrotti dal suono della porta che si apriva lentamente, dal basso verso l’alto, dei raggi che filtravano attraverso l’insediatura e la voce che aveva cessato di cantare.
Con la testa china, il corpo stanco, un ragazzo si protese in avanti reggendosi malamente sulle sue gambe; aveva un corpo compatto, esile, i capelli riccioli che coprivano un volto che non riusciva a intravedere. Non fino a quando rischiò di scivolare a terra con un sospiro, erano troppo lontani per impedirlo, troppo lenti per afferrarlo al volo.
“Blaine!” L’urlo di Finn riecheggiò per tutta la stanza, e fu come se il ragazzo si fosse risvegliato da una trance misteriosa; si rimise in piedi, con forza, fatica.  Si asciugò il sudore con la manica di quella sua tunica lunga e così particolare, i ricami dell’orlo sovrastavano quelli dei pantaloni leggeri.
Dopo un ultimo secondo, finalmente, alzò la testa. Sul suo volto affaticato, dai lineamenti mascolini e morbidi, comparve un piccolo e concitato sorriso.
“Ce l’ho fatta”, Balbettò un paio di volte. “Sono un invocatore.”
Agli occhi di Sebastian non sembrava affatto un invocatore: si era immaginato un uomo simile a quello della scultura, possente, maturo, con modi di fare forti e decisi. Lui, invece, sembrava soltanto un ragazzo ingenuo e timido.
Non disse niente, però. Pensò soltanto che avesse gli occhi più belli che avesse mai visto. Fu proprio mentre lo stava fissando che Blaine inclinò leggermente la testa da un lato: “Ci... ci conosciamo?”
“Non credo. Sebastian Smythe.” Nel momento in cui si strinsero la mano, provò una vera  e propria scarica di adrenalina.
“Blaine Anderson. Sei... un sacerdote del tempio?”
Esitò per un paio di secondi, inarcando le sopracciglia con un sorrisetto divertito: “Ti sembro un sacerdote del tempio?”
E sì, decisamente, vedere quel ragazzo arrossire per colpa di una sua frase era davvero appagante.
“No, Blaine.” Gli accarezzò velocemente il dorso della mano, prima di ritrarsi e posizionarla sul fianco: “Sono il tuo Guardiano.”
 


“Levatelo dalla testa”, Gli suggerì Sam, quando Blaine era in mezzo ai credenti intenti ad ammirare il suo primo Eone evocato. Si chiamava Valefor: era un misto tra una chimera e un’aquila, alto il doppio di Blaine; si ergeva sulle due zampe e dispiegava le ali grandi quanto due baracche messe insieme.
“Cosa? Di fare il Guardiano?”
“No, levati dalla testa l’idea di farti Blaine.”
Beh, allora non era così tonto come pensava.
“Non ti prometto niente, orso bianco.” Gli fece l’occhiolino continuando ad ammirare quello splendido fondoschiena nascosto dalla tunica: “E poi, se fossi io a piacere a lui? Non ci hai pensato?”
“Impossibile.”
“Gli piacciono le ragazze?” Domandò con una certa ironia perchè, davvero, non ci avrebbe creduto nemmeno se lo avesse visto con i suoi stessi occhi.
“No, ma è comunque impossibile.” Restò in silenzio per un paio di secondi, fissando il fuoco del falò che scoppiettava: “Te la cavi con la spada?”
Come gli era uscita quella domanda?
“Abbastanza. Ma non ne ho una”, Ammise.
“A questo posso rimediare io. E hai davvero intenzione di aiutare Finn con il Blitzball?”
“Sì, direi di sì. Gli devo un favore.”
Sam voltò le spalle al falò, guardando le poche stelle rimaste su quel cielo nero: “Blaine è come un fratello minore per noi. Lui, io, Rachel e Finn ci conosciamo da una vita. Domani partirà per il suo pellegrinaggio, per diventare il Grand’invocatore, e noi lo accompagneremo.”
“... Noi?” Sebastian aprì e chiuse un paio di volte gli occhi: stava dicendo sul serio?
“La meta del pellegrinaggio è Zanarkand.”
Oh.
“Puoi venire con noi. Ci servirà una spada in più.”
Non sapeva bene cosa dire; stava per partire per un viaggio spirituale, con delle persone che conosceva da appena un giorno, in un mondo che non gli apparteneva. Però, quel viaggio lo avrebbe riportato a casa.
“Dovresti dire a Blaine che vieni con noi.” Detto quello, se ne andò con l’amarezza delle sue parole che ancora aleggiava nell’aria, mentre Sebastian lo seguiva con lo sguardo. Nemmeno a farlo apposta, dopo qualche minuto Blaine era di fronte a lui, gli occhi ambrati che scintillavano sotto alla luce del fuoco, un sorriso gentile, accogliente.
“Mi hanno detto quello che hai fatto per me, al tempio.”
Perfetto, adesso quindi gli avrebbe detto che era un miscredente e che lo odiava.
“Ehm, sì, riguardo a questo, forse non dovevo andare contro alle vostre tradizioni entrando in un luogo vietato. O dicendo che sono tutte cavolate. O dando del pelatone al Sacerdote.”
“Tu cosa?” Esclamò Blaine, e la risata che uscì spontanea dalle sue labbra fece svanire tutta la tensione. “Beh, comunque, ti ringrazio.”
Stava già per dirgli “Arrivederci” e seguire il consiglio di Finn di lasciar perdere, quando quella frase lo fece trasalire: “Non sei arrabbiato?”
“No. So che dovrei, ma in realtà... mi ha fatto piacere. Sei stato gentile a preoccuparti per me.”
“Verrò con voi.” Le parole uscirono senza che potesse fare nulla per impedirlo. Prese Blaine in contropiede, per un momento non capì davvero, fino a quando non vide il suo volto illuminarsi e le spalle rilassarsi, sembrava sollevato, di buon umore.
“Sul serio? Sarai un mio Guardiano?” Era tanto esitante quanto meravigliato.
“Sì. Devo...” Come spiegarlo senza che risultasse uno squilibrato? Fece un gesto convesso con la mano, emettendo un breve sospiro: “Non importa, ti spiegherò tutto durante il viaggio.”
“Immagino di sì”, Annuì, con un gran sorriso. “Parleremo un sacco, voglio dire...” Si corresse, arrossendo un poco, “Avremo un sacco di tempo per... conoscerci.”
Lo disse come se fosse una cosa bellissima.
Quella bontà d’animo, insieme alla sua voce, al suo viso e a quel cuore che non accennava a smettere, lo facevano sentire molto a disagio; si guardò un po’ intorno, calciando la polvere del terreno sotto ai piedi, non sapeva bene come comportarsi. Blaine riusciva a farlo sentire un ragazzino alle prime armi.
“Comunque sei stato forte, quando hai evocato quel... il pennuto.”
“Valefor? L’Eone?”
“Sì, quello.”
“Non chiamarlo pennuto in sua presenza, potrebbe arrabbiarsi molto.” Ridacchio, prima di saltellare come un bambino e farsi un po’ più vicino a lui: “Dici che sono stato bravo?”
“Oh sì. Cioè, non me ne intendo, ma-“
“Davvero? Davvero davvero? Oh, sono così felice, dici che riuscirò a diventare il Grand’Invocatore?” Si poteva leggere la speranza, nei suoi occhi chiari, e tutta la gioia di chi avesse appena ricevuto il complimento più bello della sua vita.
Per questo motivo Sebastian gli disse che sì, lo sarebbe diventato, e che sarebbe stato perfetto.
Anche se non avesse la più pallida idea di cosa volesse dire, diventare il Grand’invocatore.
 
 
 
 
Sin aveva travolto ogni cosa.
Blaine aveva provato a fermarlo, insieme ai suoi amici: quando Sin era arrivato loro erano in mare, le sue scaglie si erano conficcate contro il legno del pontile, dei piccoli mostri che spaventavano e trucidavano i viaggiatori.
Le avevano sconfitte, una dopo l’altra, Valefor adesso sfrecciava nei cieli dando l’arrivederci al suo padrone, fino alla prossima battaglia. Erano arrivati troppo tardi per salvare Kilika. Di quel piccolo porto di pescatori restavano soltanto edifici distrutti a metà e i pianti dei superstiti mentre preparavano le tombe ai loro cari. Sebastian aveva sperato che, incontrando di nuovo Sin, potesse tornare alla sua Zanarkand tramite una sorta di processo inverso; non successe. Non era successo nulla, se non la morte di persone innocenti.
Fu allora, sotto al sole cocente, in mezzo al mare, che perse ogni speranza: non poteva tornare a casa. Era confinato in un mondo sconosciuto e quella era la sua nuova realtà. Lo sarebbe stata fino alla fine dei suoi giorni.
E avrebbe continuato a viaggiare insieme a Blaine, fin quando glielo avesse consentito. Durante quel periodo aveva finalmente capito il suo ruolo di Guardiano, i rischi che correva l’invocatore, le responsabilità che doveva affrontare. Una delle quali, scoprì quel giorno, era dover effettuare il rito del trapasso.
Le anime dei morti dovevano raggiungere l’Oltremondo, fu quello che apprese, e soltanto un invocatore poteva dornar loro la pace. Camminò sull’acqua senza affondarcisi, i piedi nudi che scivolavano sul filo dell’acqua. Dalle bare sotto di lui uscirono delle luci fluttuanti: i fuochi fatui che lo raggiunsero in fretta, come chiamandolo, implorando per il suo aiuto.
Blaine guidò quelle anime danzando. Danzava alle luci del tramonto, con il bastone che compiva gesti puliti ed eleganti. Sebastian non riusciva a smettere di fissarlo.
 
“Sconfiggerò Sin.”
Blaine guardò l’orizzonte colorato di rosso, gli occhi lucidi, ma che contenevano una volontà senza pari. “Devo riuscirci.”
Sebastian era seduto accanto a lui, i piedi che oscillavano sopra l’acqua. C’era un pallone da Blitzball, in mezzo alle assi di legno strappate via dalle loro case. Apparteneva a un bambino di otto anni.
Blaine appoggiò il viso contro la sua spalla, come se volesse piangere, ma non potesse farlo. Il Guardiano gli accarezzò dolcemente i capelli, gli sussurrò di essere forte.
“Anche se riuscissi a sconfiggerlo”, Sussurrò, “Sin rinascerà comunque.”
“Come?”
“Sin muore e nasce continuamente. Non c’è modo di ucciderlo del tutto. Una volta sconfitto scompare per un po’ di tempo, ma poi ritorna. A volte il periodo di pace dura dieci, quindici anni. A volte pochi mesi.”
“Cos... ma che significa? Allora che senso ha tutto questo pellegrinaggio?”
“Non dire così!” Si scostò da lui bruscamente, non lo aveva mai guardato con così tanta rabbia fino ad allora: “Non è inutile! Niente è inutile! Anche se per poco, anche se con un termine, permettere a queste persone di fare sogni tranquilli, senza incubi, è la cosa più preziosa di tutte. È l’unica cosa che posso fare”, Aggiunse con un filo di voce.
Sebastian si sentì terribilmente in colpa per averlo offeso in quel modo. Non doveva permettersi di giudicare inutile tutto lo sforzo che stava facendo Blaine.
“Lo sconfiggerai. E se rinascerà, lo sconfiggerai un’altra volta.”
“Magari potessi...”
“Certo che puoi. Sei il miglior evocatore di tutta Spira.”
Non riuscì ad aggiungere altro, mentre fissava le bare contornate di fiori che scendevano nelle profondità degli abissi. Nonostante l’immensa bellezza di quel rito, Sebastian sperò di non rivederlo mai più.
 
 



 
Erano a un passo dalle finali del torneo di Blitzball. L’enorme città di Luka era assediata da spettatori provenienti da tutta Spira. Sebastian, Finn e gli altri membri della squadra si stavano allenando da ore, avevano le braccia pesanti per tutte quelle bracciate. Avevano fatto una breve pausa per riposarsi; alcuni erano andati a mangiare qualcosa con Sam, mentre Finn era sparito chissà dove insieme a Rachel. Sebastian, era appena tornato dagli spogliatoi, stava camminando fuori dalla globo-sfera con un costume asciutto e pulito. Ancora non riusciva a credere che la sua squadra si chiamasse “Warbler”. Che razza di nome.
“Come si chiama quel tiro?”
Blaine gli sorrise dagli spalti e si avvicinò alla ringhiera: aveva guardato tutti gli allenamenti. In realtà, più che gli allenamenti, Sebastian lo aveva sorpreso più volte a guardare le sue spalle toniche e i suoi pettorali scolpiti.
“Questo, mio giovane Anderson,” Sentenziò Sebastian passandosi un asciugamano sui capelli: “È il fantastico e sensazionale tiro Smythe numero tre.”
“Wow. Un nome un po’ lungo da urlare per fare il tifo.” Sorrisero quasi contemporaneamente, e poi Sebastian incrociò le braccia alla sua stessa ringhiera dal basso, alzando la testa per poterlo guardare negli occhi: “Ti svelerò un segreto: non esistono i tiri uno e due.”
“Ah no?”
“No, è un’esca per i tifosi. Così tornano ogni sera per vedere quali siano il primo e il secondo.”
“Ma è terribile”, Commentò, ma non lo pensava seriamente. Sebastian si perse per un attimo ad ascoltare il suono della sua risata. “Lo so, è un’idea di mio padre.”
“Oh, quindi anche tuo padre era un famoso giocatore di Blitzball?”
“Puoi scommetterci.”
 Ci fu un momento di silenzio, durante il quale Blaine assunse un’espressione indecifrabile, e Sebastian restò a fissarlo.
“Anche io ho seguito le orme di mio padre. Spero di diventare Grand’invocatore, proprio come lui.”
“Lo diventerai. Conta su di me.”
I loro sguardi si incontrarono di nuovo, e Sebastian non capì: gli aveva fatto un complimento. Allora perchè sembrava triste?
“Blaine... io non sono molto bravo a consolare le persone. Ma quello che vorrei dirti è che, non devi preoccuparti. Devi essere più rilassato: lascia da parte i pensieri e concentrati solo a sconfiggere Sin, giusto?”
“Sì, giusto. Hai ragione.”
Non riusciva a capire se il suo sorriso fosse sincero.
“Farai il tifo per me stasera, vero?” Non lo chiese con il suo tipico modo strafottente: sperava sinceramente che Blaine lo supportasse. Ci teneva davvero.
“Urlerò finchè avrò fiato!” A rimarcare il concetto, battè entusiasticamente un pugno contro la ringhiera.
“Potresti. Ma da dove vengo io per acclamare un giocatore si fa così.” Portò l’indice e il pollice alla bocca, e un fischio assordante echeggiò per tutto lo stadio, tanto che Blaine fu costretto a coprirsi le orecchie a metà tra l’incredulo e l’incantato. Intuì immediatamente che non lo sapesse fare.
“Prova anche tu. Così, e poi soffia.” Ripetè il gesto, ma Blaine sbagliò la posizione delle dita.
“No Blaine, non in quel modo, devi unirle di più, vedi?”
“Ma non mi riesce! Non funziona!” Si lamentò come un bambino capriccioso, stavano facendo le smorfie più assurde e tutti e due erano talmente concentrati da non accorgersene nemmeno.
“Esercitati”, Gli suggerì alla fine, con un sorriso che andava da un occhio all’altro. Blaine aveva le labbra carnose e continuava a mordicchiarsele nervosamente. “E se ti perdi, fai un fischio. Correrò da te.”
Lo vide annuire velocemente con le guanche più rosse del suo bastone. Sembrò combattere contro delle parole, fino a quando non si sporse un po’ di più verso di lui e, timidamente, sussurrò: “Dici sul serio?”
“Sì. Te lo prometto.”
Erano a pochi centimetri l’uno dall’altro.
“E fino a quando non ho imparato a fischiare, come facciamo?”
“Vorrà dire che staremo sempre appiccicati”, Concluse l’altro, “Non ti perderò di vista nemmeno per un secondo.”
“Non farlo.”
Sebastian sentiva il suo cuore battere a una velocità mai provata prima. E gli occhi di Blaine erano troppo grandi, troppo luminosi, riusciva a sentire il suo respiro caldo lambirgli le labbra, voleva soltanto annullare quella minuscola distanza e-
“Ehi, Smythe! Se hai finito di cazzeggiare insegnami a fare quel tiro!”
Si erano allontanati in un battito di ciglia. Sebastian lo guardò un’ultima volta, e poi corse da Finn e gli altri, ricominciando a prenderli in giro per la loro scarsa abilità nel Blitzball.
 
 
 
Erano sopravvissuti un’altra volta a Sin. Ma, un’altra volta, erano morte tante persone.
Che senso aveva essere un Guardiano, se non si era in grado di proteggere i più innocenti? Che senso aveva essere lì?
Blaine aveva appena terminato il rito del trapasso, una lacrima gli rigò freddamente il viso. Non sarebbe mai riuscito ad abituarsi, nemmeno dopo tutte quelle volte.
“Tutto bene?” Sebastian appoggiò la spada al muretto su cui era appoggiato lui stesso, prima di scostarsi e raggiungere Blaine in pochi passi. “Sì, io... sto bene. Sebastian, sei ferito.” Fece cenno al suo braccio sanguinante, ma Sebastian lo abbassò lungo il fianco, afferrandogli una spalla con l’altro.
“È solo un graffio, sto bene.”
“Sei sicuro?”
In realtà, no. Non riusciva a capire il perché di tutta quella sofferenza. Non riusciva a capire il motivo per cui Sin facesse tutte quelle cose. Blaine questo lo sapeva, ormai, aveva imparato a decifrare ogni suo silenzio e ogni sua mancata espressione. Si voltò verso il bosco deserto, demolito dall’attacco, e richiamò la sua attenzione con un: “Guarda!”
Fece un fischio lungo e netto, così forte da far volare via gli ultimi uccellini rimasti sugli alberi. Un gesto che lo fece quasi sorridere.
“Vai alla grande.”
Blaine congiunse le mani come per applaudire, e si limitò ad osservare le nuvole nel cielo, finalmente privo di ombre. Sebastian lo guardava con la coda dell’occhio: “Mi spieghi come fai?”
“A fare cosa?”
“A essere così. Non ti viene mai voglia di... di abbandonare tutto? Di pensare solo a te stesso?”
Lo vide esitare per un tempo incalcolabile.
"Non posso permettermelo. Troppe vite dipendono da me. Da... noi. Sebastian, voglio che tu sorrida."
"... Che cosa?"
"Non un ghigno o un sorrisetto, un sorriso vero."
Il Guardiano scosse la testa in modo frenetico, mormorò senza riserve quanto fosse una pessima idea; ma Blaine lo prese per le guance e le tirò verso gli zigomi. Più che un sorriso, assomigliava a una cosa molto, molto idiota.
"Lasciami!" Esclamò Sebastian, con la voce impastata e la lingua trai denti. Blaine si lasciò andare a una risata leggera e poi allentò la presa, accarezzandolo per un secondo.
"Adesso ridi."
“Te lo chiedo per favore, risparmiamelo.”
“Fallo per me.”
Con quella frase fu messo con le mani al muro.
Così, all’inizio, si espose nella risata più finta e sguaiata che avesse mai fatto in tutta la sua vita. Si sentiva davvero idiota, voleva maledire Blaine in tutte le lingue conosciute e non. Ma poi quest’ultimo si posizionò al suo fianco: risero insieme e a squarciagola, di fronte al nulla più assoluto, con le mani sui fianchi e le bocce spalancate. Alla fine iniziarono a ridere veramente.
Sam, Finn e Rachel assistevano alla scena a braccia conserte, e solo quando i due ragazzi si asciugarono le lacrime li invitarono a proseguire il cammino.
 
 
L’invocazione Suprema era l’unico modo per sconfiggere Sin. Evocare l’Eone Supremo dopo aver evocato gli Eoni di tutti gli altri templi: era lo scopo ultimo del pellegrinaggio. L’intercessore aspettava gli invocatori che avessero concluso il viaggio a nord, ai confini del mondo: Zanarkand.
Blaine, come invocatore, doveva portare la pace. Ciò non significava soltanto sconfiggere Sin: doveva alleviare le pene di Spira. Doveva essere una luce per il popolo.
Ma era molto più di questo.
Avevano rapito Blaine. Un gruppo di ribelli lo aveva preso, nel cuore della notte, e adesso i Guardiani si trovavano nella loro base per riprenderselo. Sebastian non dormiva da giorni, a mala pena mangiava. Non riusciva a capire come fosse successo, gli aveva promesso che sarebbero stati sempre appiccicati, e adesso...
“Dov’è.” Intimò a uno dei ribelli, puntandogli la lama dritta alla gola. “Dimmelo. Adesso.”
“Ti prego, non mi uccidere, il tuo invocatore sta bene, te lo giuro!”
Aveva appena usato le parole sbagliate.
“Fermati”, Proferì Finn, bloccandogli l’elsa della spada e allontanandola dal suo proprietario. Ed era quella la cosa più incredibile di tutte: invece di essere furiosi, o increduli, o semplicemente sorpresi, nè Finn nè gli altri due Guardiani vedevano la situazione come una vera e propria minaccia. Ma Blaine era stato rapito, maledizione, perché nessuno sembrava capirlo?!
“Blaine sta bene.”
“Come fai a dirlo?”
“Perchè loro rapiscono gli invocatori per proteggerli dal pellegrinaggio.”
Che cosa?
Che voleva dire, proteggere gli invocatori?
“E capisco perchè lo fate.” Disse allora Finn avvicinandosi al ribelle, ma non troppo.
“Beh io invece no. Dite di voler proteggere gli invocatori? Ma che stronzata è? Senza di loro chi sconfiggerà Sin, eh? E poi, davvero, apprezzo il pensiero, ma Blaine ha i suoi Guardiani.” Ha me. “Lasciateci fare il nostro lavoro e sarà al sicuro.”
“Come puoi dire una cosa del genere?” Il ragazzo sembrava sconcertato da quelle parole, una cosa del tutto inconcepibile. “Come fai a dirlo con così tanta volontà d’animo?! Se ci tieni davvero a quel ragazzo, allora dovresti fermarlo, non accompagnarlo!”
Fu allora che cominciò a nutrire dei dubbi.
Fu allora che guardò per la prima volta le espressioni di Rachel, Finn e Sam, mentre diceva quelle parole. Di solito, quei discorsi li faceva con Blaine.
“Perché... non lasciano che i Guardiani proteggano gli Invocatori?” Chiese a loro. “Non hanno il diritto di interrompere il loro pellegrinaggio.”
“Dobbiamo farlo!” Il ragazzo si era alzato in piedi, stringeva i pugni fino a farsi sanguinare i palmi delle mani: “Non è giusto che si sacrifichino per il bene di molti, solo per qualche mese di pace! Poi Sin ritornerà, e allora loro saranno morti per niente!”
Saranno morti per niente.
Saranno morti.
“Che vuol dire?”
Non era vero. Non poteva essere vero. Non era così, giusto?
“Che significa? Blaine non muore. No, Blaine non muore.”
“Non lo sai?”
Finn cercò di fermare quel ragazzo, ma Sam pensò che fosse giunto il momento, che Sebastian dovesse sapere; lo placcò da dietro, mentre Rachel cominciava a piangere, attraverso silenziosi singhiozzi.
“L’obiettivo finale del pellegrinaggio è invocare l’Eone Supremo. Il tuo invocatore te l’avrà detto, no? Con quella riuscirà finalmente a sconfiggere Sin, ma l’invocazione chiede in pegno la sua vita. Moriranno entrambi!”
Rachel si accasciò a terra, non riuscendo più a trattenersi.
Soltanto lui non lo sapeva? Soltanto lui era stato tenuto all’oscuro?
“Dimmi perchè. Perchè non me l’avete detto!” Aveva afferrato Finn per il colletto della maglia, sbattendolo contro il muro e facendolo gemere di dolore. Non riusciva a ragionare. A pensare. A respirare. Tutto ciò che vedeva davanti ai suoi occhi era l’espressione di Blaine quando gli diceva che sarebbe diventato il Grand’invocatore, che lo avrebbe aiutato nell’impresa.
Sarai perfetto, gli aveva detto.
“Perchè non lo sapevo!”
Finn aprì gli occhi lentamente, velati dalle lacrime: “Non te l’abbiamo nascosto. Non sapevamo come dirtelo.”
“Non siete i suoi amici?” Urlò con la voce rotta e graffiata. “Non siete come fratelli? Come avete potuto? Come?”
“Credi che non abbiamo provato a fermarlo?! Lui non ci ha ascoltato, segue il suo cuore!” Intervenne allora Sam, cercando di annullare la sua presa su Finn, ma venne scaraventato a tre metri di distanza.
Fu il turno di Rachel per parlare. Si alzò di nuovo in piedi, abbassando il capo verso il terreno sotto di sè.
“Sapeva a cosa andava incontro diventando un invocatore. Affrontare Sin e morire combattendo.”
Ma non aveva senso. Blaine non poteva sacrificare la sua vita solo per far felice l’intera Spira.  
“Il sogno di tutti i bambini di questo pianeta è avere un mondo senza Sin. E Blaine vuole farlo avverare, anche a costo della sua stessa vita.”
Sebastian allora lasciò la presa, soltanto per accovacciarsi e battere i pugni contro il terreno, fino a farli sanguinare.
“E io che dicevo a Blaine- andiamo a Zanarkand, sconfiggiamo Sin!”
Un altro.
“Faremo un sacco di cose insieme.”
Un altro.
“Io non sapevo-”
Un altro, e poi un altro, e un altro ancora.
“Ma lui, lui...”
Sorrideva. Ogni singola volta.
No.
Non avrebbe fatto morire Blaine.
“Tu.” Fece al ragazzo. “Portami da lui.”
“Ma-“
“Ci alleeremo con questi ribelli”, Disse con voce fredda. “Ci alleeremo contro Yevon. Contro Spira. Contro chiunque si metterà contro di noi.”
Rachel si portò una mano alla bocca, non riuscendo a credere alle sue parole: “Saremo ricercati da Yevon. Vorranno ucciderci!”
“Così sia.”
Ma non avrebbero ucciso Blaine. Nè Sin, nè Yevon. Nessuno.
 
 



 
“La corte suprema di Yevon apre l’udienza. Il sacro tribunale vuole l’assoluta verità. Imputati, giurate in nome di Yevon di dire solo il vero.”
Il Sacro Tempio di Bevelle era il cuore del Credo di Yevon. Blaine, Sebastian, Finn, Sam e Rachel si trovavano di fronte al Maestro Kelk Ronso e agli altri presenti per il loro processo. Erano tutti incappucciati, in modo da non poter vedere il loro volto tranne che per un’ombra scura. Dopo aver preso Blaine, essersi alleati con gli Albhed, il gruppo ribelle, e aver combattuto facendo uso delle Macchine Proibite per tentare di sconfiggere Sin. Avevano combattuto contro Seymour, l’invocatore destinato a evocare l’Eone Supremo, perchè erano andati contro la volontà di Yevon e per questo dovevano essere puniti.
Alla fine erano stati chiamati a rispondere delle loro azioni.
“Invocatore Blaine.”
In silenzio, fece un passo in avanti. Giaceva su una piattaforma fluttuante a mezz’aria, isolato dagli altri.
“Giuraste di proteggere i figli di Yevon, vero?”
“Sì.”
“Rispondete dunque. Avete combattuto contro Seymour, cospirato con gli Albhed e abbracciato la loro rivolta. Crimini imperdonabili che disturbano l’ordine di Yevon. Spiegateci, cosa vi portò ad aderire a tanta violenza?”
“Vostra Grazia...” Esordì. “Il vero colpevole è Seymour. È un non-trapassato.”
“Davvero?” Non sembrava affatto impressionato.
“Sì. Lo so che è il vostro Invocatore diretto, destinato a diventare Grand’Invocatore, ma vi prego, cercate di comprendere. Seymour non ha ricevuto il rito del Trapasso, ed è diventato un’entità malvagia. Lasciate che lo trapassi, è compito mio.”
“Trapassare i defunti?”
Il Gran Maestro abbozzò un piccolo sorriso, assieme agli altri Sacerdoti. Blaine esitò per un momento, non capiva come mai il suo cuore aveva accelerato improvvisamente, e avesse iniziato a vedere quell’uomo con degli occhi diversi.
“Il vostro compito è di rispettare Yevon.”
“Lo faccio!” Replicò. “Io, io svolgo solo il mio compito-“
“Allora voi dovreste trapassare anche me.”
I Guardiani erano attoniti quasi più di lui. Dal corpo del Gran Maestro uscirono dei Fuochi Fatui, che rientrarono dentro al suo corpo in una danza concentrica.
“Ch-Che cosa?!” Esclamò Rachel sporgendosi in avanti, le labbra tremanti, gli occhi spalancati e increduli. Sebastian restò in silenzio, resistendo all’impulso di andare da Blaine e assicurarsi che stesse bene. Da dove si trovava, non riusciva a vedere la sua espressione.
“Il Gran Maestro Kelk Ronso è un uomo saggio”, Intervenne uno dei sacerdoti, “Spira ha bisogno di lui. Il senno dei morti è una guida migliore della miseria dei vivi.”
“La vita è un sogno fuggevole”, Proferì il Maestro, “Ma la morte è eterna. E solo il potere della morte comanda completamente Spira. È inutile resistergli.”
“E Sin allora?” Blaine portò una mano al petto, scandendo ogni sillaba: “Io sono un invocatore, come mio padre prima di me. Peregrino per fermare la morte che Sin semina. Mi state dicendo... che anche questo è inutile? Le battaglie, i sacrifici... è tutto invano?”
Sebastian fece un passo in avanti.
“Devo andare da lui.”
“Non puoi.”
“Ma ha bisogno di me!”
“Non è invano.”
Il tono pacato e soffuso del Gran Maestro sembrava così glaciale, ora.
“Gli invocatori non possono uccidere Sin.  La resurrezione è inarrestabile. Tuttavia, il loro coraggio investe di speranze il popolo. Non è vana la morte di un invocatore, ma nemmeno risolutiva. Questa è l’essenza di Yevon.”
Qualche volta, i sogni devono finire. Blaine, adesso, guardava il suo Maestro con occhi diversi.
“Non può essere vero.”
“Chi mette in discussione la verità è un traditore.”
“Gran Maestro!”
“Blaine!” Sebastian gli tese la mano, un attimo prima che la piattaforma cedesse sotto ai suoi piedi e finisse nel baratro. L’afferrò all’ultimo secondo, con Sebastian che lo attirava a lui: lo cinse in un abbraccio, prima di rimetterlo in piedi e sfoderare la spada. Così fecero anche Finn, Sam e Rachel.
Non c’era più tempo per le parole.
 
 



“È meglio se non torniamo a Bevelle per un po’.”
 Finn diede una pacca affettuosa sulla spalla di Sam e mormorò un “Concordo”, con i loro vestiti ancora stropicciati e sporchi per la lunga battaglia. Erano riusciti a fuggire, erano sani e salvi.
“Dov’è Blaine?” Domandò Sebastian quando si accorse di averlo perso di vista da più di un minuto, ed era un tempo troppo lungo, per stare tranquillo.
Rachel stava bevendo dal ruscello di quel bosco vasto e misterioso: “Ha detto che vuole stare un po’ da solo.”
Ma Sebastian colse quella frase come un invito e andò immediatamente a cercarlo, vagando tra i sentieri bui, gli alberi alti metri e metri sopra la sua testa che oscuravano perfino la luce della luna.
Trovò Blaine in mezzo a una piccola fonte d’acqua cristallina. Il suo corpo era immerso per metà nell’acqua, riusciva a vedere solo la tunica che galleggiava all’altezza delle sue spalle e la sua testa rivolta verso l’alto, a fissare un nido di lucciole racchiuse dentro al tronco dell’albero.
“Pensavo che sarebbe stato più semplice.”
Sebastian non riuscì a capire come avesse fatto a sentirlo, ma nemmeno gli interessò: fece un altro passo in avanti, fino a raggiungere il confine che lo separava dall’acqua fresca.
“Pensavo che mi avrebbero aiutato tutti, con gli amici sempre al mio fianco”, Lo sentì sussurrare. “Ce l’ho messa tutta.”
Quello fu il segnale che lo spinse a fare un ulteriore passo avanti, e poi un altro ancora, fino a trovarsi a mezzo metro da lui: il fondo della sorgente era basso, l’acqua gli arrivava alla vita.
“Forse troppo. Mi hanno detto tutto, Blaine.”
“... tutto?” Chiese lui, leggermente spaventato. Il silenzio che seguì fu una risposta più che eloquente.
“Quindi lo sai”, Commentò, e sembrò piuttosto dispiaciuto nel dirlo. Ma no, non era lui che doveva dispiacersi.
“Blaine, ti chiedo scusa. Tutte quelle cose che ti ho detto... non sapevo cosa significassero, non veramente. Ti prego, perdonami.”
Ma Blaine, il suo Blaine, scosse la testa e sorrise.
“Non hai niente di cui perdonarti. Non ero triste.”
“Blaine.” Sentì il bisogno di chiamare il suo nome, di avvicinarsi giusto un po’ di più, di sfiorare il suo braccio umido e morbido con la punta delle dita. Gli supplicò di non farlo; di dimenticarsi di Sin, degli invocatori, di tutto. Avrebbero girato il mondo con la loro aeronave, la nave che solcava i cieli, insieme a Rachel, Finn e Sam.
E per un momento, per un breve momento, Blaine considerò veramente quell’idea. Perchè era così bello pensare di rinunciare al pellegrinaggio, di festeggiare tutte le sere, di guardare Sebastian in tutte le sue partite di Blitzball, tutte quante. Avrebbe tifato così tanto per lui.
Ma non poteva.
Non poteva, non poteva e basta. Continuava a ripeterlo mentre le lacrime gli rigavano le guance e finivano per mescolarsi all’acqua, la testa china, scossa dai singhiozzi.
Sebastian gli prese dolcemente il viso tra le mani. “Blaine”, Disse soltanto, e quando lui lo guardò congiunse le loro labbra in un bacio, attirandolo dolcemente verso di sè.
Si baciarono a lungo, con calma, come se avessero tutto il tempo per farlo. Assaporando le labbra l’uno dell’altro e accarezzando le loro lingue. Blaine aveva smesso di piangere, ora inclinava la testa per approfondire quel bacio che gli faceva mancare l’aria, il cuore, la ragione.
Si baciarono come se fosse la cosa più giusta e possibile del mondo, e per tanto tempo non fecero altro.
 

 
 
Il giorno dopo sarebbero andati a sconfiggere Sin senza il rituale dell’evocazione Suprema; senza sacrifici. Soltanto loro e i loro Eoni, pronti a combattere insieme all’invocatore. Non sapevano se avrebbe funzionato, ma era la loro unica possibilità.
Sin voleva essere fermato, ma in un modo che andava contro le leggi di Yevon. Per quello Sebastian si trovava lì. Per quello il destino lo aveva fatto incontrare con Blaine.
Adesso, finalmente, aveva capito quale fosse il suo compito.
 
 
 
 
 
Fu una battaglia lunga, incredibilmente complicata, rischiosa, sofferta. Ci furono ferite e sacrifici, perfino dei momenti in cui credettero di non farcela; era un nemico forte. Troppo forte, per dei semplici umani, nonostante tutta la forza che avessero, quella vera, quella nascosta dentro ai loro cuori che li permetteva di alzarsi, di stringere i denti, di aiutarsi a vicenda nei momenti più difficili.
E per tutto quel lunghissimo tempo Blaine combattè senza la minima esistazione, restando in piedi di fronte a lui, facendo ricorso a tutte le sue arti magiche. Roteò ancora una volta il suo bastone, era fisicamente e psicologicamente provato; gli usciva del sangue dal naso, ma nessuno l’aveva sfiorato. Erano stati bravi i suoi guardiani, lo avevano protetto bene. Eppure, niente poteva proteggerlo dallo sforzo che comportava l’evocare nove Eoni tutti insieme: Valefor, Ifrit, Ixion, Shiva, le tre Magus, perfino Jojimbo rispose alla sua chiamata. Ma quando evocò Bahamuth, l’ultimo Eone, il buio non fece più paura. Il drago arrivò come un missile dall’alto fendendo l’aria come carta, con uno scatto repentino spalancò le possenti ali e andò ad affiancarsi a tutti gli altri Eoni, mentre i guardiani si reggevano alle loro armi per non accasciarsi al suolo. Erano esausti: non sapevano nemmeno da quanto tempo stessero combattendo, o se il tempo contasse veramente, in quella dimensione ignota. La loro vista era sfocata dalla stanchezza, ma ciò che videro fu l’arrendersi di quella macchia scura soggiogata dalla forza di uno, uno soltanto. Un ragazzo che veniva da un piccolo paese e possedeva soltanto un cuore semplice e puro: Blaine.
Non ci furono nè rumore nè lacrime su quel campo di battaglia: non erano materia di un elemento così vuoto quanto il peccato stesso. Semplicemente, così com’era nato, l’essenza di Sin morì, e quella fu l’ultima volta che Blaine e i suoi guardiani pronunciarono il suo nome.
Attraverso un’esplosione, il mostro Sin illuminò la notte, diventando un fascio di fiaccole calde che si estesero nel raggio di chilometri e chilometri. Gli abitanti della terra alzarono gli occhi al cielo, e fu come vedere l’alba per la prima volta, dopo dieci anni. Quando il bagliore si attenuò cominciarono a comparire le stelle, una ad una. Un segnale che venne captato senza esitazioni, Blaine ce l’aveva fatta, tutti stavano acclamando il suo nome, mentre lui, nel frattempo, continuava a far roteare il suo bastone in quella danza sciamanica. Benediva il lascito delle ultime perdite di quella guerra che, adesso, aveva terminato il suo percorso.
E gli Eoni, nei loro templi, diventarono pietra, uno ad uno. I loro spiriti sorrisero al padrone che li aveva finalmente resi liberi, un momento prima di unirsi a quelle piccole luci nell’aria. Avevano terminato il loro compito: non sarebbero più intervenuti in aiuto dell’uomo.
L’universo in cui Sin aveva confinato lui e i Guardiani scomparve qualche attimo dopo, riportandoli sul ponte della loro aeronave. Si trovavano sopra le nuvole, il cielo privo di stelle era dipinto di un azzurro verace.
Fu allora che la forma di Sebastian cominciò a vacillare, attraverso ologrammi senza contorni e senza colori.
Fu allora che Blaine lasciò andare il bastone a terra, lo guardò con occhi imploranti e scosse la testa, più e più volte. Sebastian, però, sorrise. Posò le mani sui fianchi, come faceva sempre lui, e disse: “Blaine, io devo andare.”
“No, no, ti prego no”, Continuava a ripetere lui, senza avere la forza di fare un passo, di prenderlo per la mano, di stringerlo a sè.
“Scusa se non ti ho portato a Zanarkand.”
Blaine spalancò gli occhi resistendo all’impulso di non piangere: Sebastian lo aveva sempre saputo. Non aveva mai pensato, nemmeno per una volta, che sarebbe uscito indenne da quell’impresa, perchè era proprio il portarla a termine che lo avrebbe fatto andare via. Aveva scelto Blaine a lui.
“Perchè non me l’hai detto?”
I fuochi fatui intorno a lui compivano dei piccoli cerchi concentrici, danzandogli intorno come creandogli un’aurea.
“Per proteggerti”, Rispose. Si perse nei suoi occhi, e il suo sorriso si addolcì giusto un po’ di più.
“Non è giusto”, Balbettò Blaine, non riuscendo più a trattenere le lacrime. “Non è giusto, fai sempre così, ma non dovevi questa volta, non dovevi.”
“Ho promesso di proteggerti”, Tentò di assumere un tono calmo, ma le sue mani tremavano, così come la sua voce: “Sono il tuo guardiano.”
“Non mi interessa. Non dovevi sacrificarti per me. Sono io che devo sacrificarmi Sebastian, sono io l’evocatore.”
“Lo so. Ma io ti amo.” Disse soltanto. Si allontanò da loro lentamente, sotto gli sguardi attoniti di Rachel, Finn e Sam, rimasti senza parole. A loro rivolse un saluto militare con l’indice e il medio e un semplice “Addio.”
“Ma tornerai, vero?” Urlò Rachel quando lui ormai era a metà del ponte, aggrappandosi a Finn e affondando il volto contro il suo petto. Sam fece a malapena in tempo a osservarli che, con la coda dell’occhio, vide Blaine correre verso di lui.
Lo chiamò a gran voce cercando di fermarlo ma Sebastian, sentendo pronunciare il suo nome, si voltò. Spalancò le braccia, lo cercò in un abbraccio, ma il suo corpo si smaterializzò al momento del contatto e Blaine gli passò attraverso cadendo in avanti, i palmi aperti contro un terreno freddo dopo aver abbracciato l’aria.
E per diverso tempo restò così, immobile. Accasciato al suolo a fissare il nulla, se non il cielo intorno all’aeronave. Le luci che prima giravano intorno a Sebastian adesso si stavano accumulando a un centinaio di metri sopra di loro.
Era giunta l’ora.
Con fatica, appoggiò un ginocchio, poi l’altro; Sebastian era a qualche metro da lui che gli dava le spalle, il suo corpo era trasparente, la postura eretta e fredda.
Blaine chiuse gli occhi. Prese un profondo respiro, il vento che gli scompigliava i capelli sopra la fronte.
“Ti amo anche io.”
Sentiva il vento freddo pungergli la pelle come aghi. Sentiva il pavimento sotto di lui, il motore dell’aeronave che rombava nel mezzo di quell’Eco.
Sentì un paio di labbra sfiorare le sue.
Durò un secondo, prima che Sebastian svanisse sotto ai suoi stessi occhi, con un sorriso felice e pieno. Di lui non restò altro che una piccola luce.
 
 
 
Blaine stava fischiando due ore.
Era in piedi sul pontile, il mare calmo che si estendeva oltre l’orizzonte, il sole placido, che contornava un clima sereno e rilassato.
Il fischio sovrastava completamente il canto gabbiani in lontananza e il fruscìo delle onde contro la scogliera; oltre quello, il silenzio.
“Dobbiamo andare” Annunciò Rachel, vestita in un elegante abito di seta, con una Gardenia rosa a ravvivarle i capelli. Blaine, invece, indossava la sua tipica tunica scura con lo strascico corto e le maniche larghe. Si era rifiutato di vestirsi diversamente.
 
 
“Tutti quanti abbiamo perso qualcosa di prezioso.” Disse di fronte a migliaia di persone, nel centro di uno stadio pieno di bambini, donne, anziani, speranze, inni. Un vecchio stadio di blitzball adibito per quel giorno di festa: era l’alba di un nuovo giorno, di una nuova epoca.
“Abbiamo perso case, sogni, e amici. Ma ora Sin è morto”, Commentò con tono fermo e diplomatico.
I suoi Guardiani erano dietro di lui, come sempre. Il portamento fiero di chi sta assistendo al discorso del salvatore del pianeta. Blaine passò in rassegna ogni angolo di quella struttura, soffermandosi su ogni volto possibile.
“Ora Spira è di nuovo nostra." Concluse sotto a un boato di applausi, di esclamazioni, di felicità manifestata in ogni forma possibile, abbracci, lacrime, urla e sorrisi. Il popolo si placò soltanto dopo un prolungato silenzio.
“Unendo le forze, adesso possiamo creare nuove case e nuovi sogni. Sarà un viaggio lungo, ma abbiamo tempo. Ricostruiremo Spira, lo faremo insieme. Creiamo il nostro futuro e cominciamo sin da oggi.”
Il ragazzo, non più un evocatore, si voltò verso i suoi compagni con fare timido: aveva le guance rosse per l’imbarazzo di ricevere quell’ovazione così grande da così tante persone, li interrogò con gli occhi, non sapendo assolutamente cos’altro dire o fare. Rachel, Sam e Finn applaudirono insieme a tutti gli altri, trattenendo a stento la commozione, i sospiri, la gioia repressa fino ad allora. Quello era Blaine, era il loro Blaine, aveva fatto tutta quella strada, e adesso era lì, a parlare all’intera umanità.
Aveva perso così tanto, per così tanti.
Blaine sorrise, sotto alla folla di persone che invocavano il suo nome, in canti e lodi diretti verso il futuro. Abbassò la testa solo per un secondo; il tempo di versare una piccola lacrima.
"Vorrei solo dire un'ultima cosa.” Concluse allora. “I compagni persi...” Disse, tenendo gli occhi rivolti verso il cielo.
“I sogni svaniti", Aggiunse, sussurrandolo a se stesso. Credeva di aver visto un fuoco fatuo salutarlo in lontananza.
"Non dimentichiamoli mai."
 
 
 

 

 








***

Angolo di Fra


Questa OS può essere presa in due modi:
Il primo: non ci ho capito un cazzo.
Il secondo: OH MIO DIO IO HO GIOCATO A QUESTO GIOCO è FANTASTICO FRANCESCA TI AMO TI RENDI CONTO FINAL FANTASY X E SIN E TIDUS COME SEBASTIAN AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA

Chiaramente, visto che non credo proprio che molti di voi giochino/abbiano giocato alla play, prevale il primo. Giusto?
Cerco di fare un paio di chiarimenti: questa OS è la rivisitazione di Final Fantasy X, un videogioco della Squaresoft. Dal momento che sono più di quaranta ore di gioco, sintentizzarle tutte in una OS era un'impresa impossibile. Ma ci sono riuscita. Il problema è che ho dovuto tagliare molte cose e dare per scontato molte spiegazioni. Cerchiamo di fare il punto della storia:

- Spira sarebbe la Terra, Zanarkand una città di Spira.
- Il blitzball è un minigioco del videogame, è davvero una specie di palla nuoto dentro all'acqua. Come fanno a respirare? Boh. 
- Gli EONI sono una specie di... animali, che l'evocatore, appunto, evoca. In sostanza servono per i combattimenti, però c'è tutta la storia dietro che è carina.
- Sin. Chi è Sin? Bella domanda. Non è spiegato molto bene nel gioco, comunque è questo.
- Yevon è il culto di Spira (tipo cristianesimo, ebraismo ecc) e Bevelle è la città Santa (tipo Gerusalemme)
- La parte del processo dovevo mettercela perchè altrimenti non si capisce come mai B e gli altri decidano di fare per contro proprio, ma immagino che non ci si capisca niente, no? Cerco di spiegarvelo qui: nell'originale per tutto il gioco c'è un personaggio, un altro invocatore, che ci prova con Yuna (Blaine), che se la sposa, che combatte a fianco a loro e continua a dire a Yuna che deve sconfiggere Sin (quindi sacrificare la propria vita, perchè chi sconfigge Sin muore evocando l'Eone supremo). In pratica però si scopre che è un non-trapassato. Avete presente il rito del trapasso che ho descritto? Se non si fa l'anima non ha pace e diventa una sottospecie di fantasma maledetto. E così quando lo scoprono chiaramente ci rimangono malissimo, e chiaramente lo trapassano. Visto che era il prediletto dei seguaci di Yevon, Yuna e gli altri vengono processati. E scopre che anche loro sono non-trapassati. Quindi la loro "Chiesa" si basa su non morti! Affascinante no? Chiaramente decidono di non seguire più il culto di Yevon, che diceva di evocare l'Eone supremo ecc, e di fare a modo loro.
- Che fine fa Seb? Non si sa. Non è spiegato nemmeno questo nel gioco.  Piangete e basta.



Spero che si capisca di più con queste note!

   
 
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