Catnip.
Dritto nella sua trappola.
Sorrise, ringraziando il cielo per quella preda tanto al di sopra delle
sue
aspettative e uscendo finalmente da quell’intrico di rami che
era stato il suo
nascondiglio. Quella cerbiatta era molto più di quanto
avesse potuto sperare:
con quella, lui e la sua famiglia avrebbero potuto tirare avanti per un
bel
po’, senza doversi preoccupare troppo di cosa avrebbero
potuto mangiare il
giorno dopo.
Iniziò a sciogliere i nodi
che legavano le zampe anteriori dell’animale. Era ferito in
maniera piuttosto
grave, e non sarebbe andato lontano. Le sue mani, però,
fremevano
d’eccitazione, e dovette tirare fuori il coltello e tagliare
i lacci, facendo
attenzione a non rovinare la morbida pelliccia color nocciola. Avrebbe
potuto
farne una coperta, o rivenderla al Forno.
Decise che avrebbe tenuto la
carne per sé, e si sarebbe limitato a barattare lo
scoiattolo che era riuscito
a colpire. Se la cavava, con arco e frecce.
Uccise la cerbiatta,
infilando la carcassa nel sacco di iuta che si portava dietro e che
rimaneva
vuoto troppo spesso.
Attraversò la radura a grandi
passi, fiero e orgoglioso, trattenendosi a stento dal mettersi a
correre. Aveva
piazzato un’altra trappola poco lontano, e non aveva motivo
di non sperare in
una preda altrettanto entusiasmante.
Ci mise meno di un paio di
minuti a rintracciare l’albero a cui aveva assicurato i
lacci, e il suo sorriso
si allargò quando intravide una macchia bianca tra il
muschio. Certo, un coniglio
non era molto, ma pur sempre qualcosa, e sommato allo scoiattolo e alla
cerbiatta, non aveva di che lamentarsi.
Al suo orecchio di cacciatore
non sfuggì quel fruscio, per quanto lieve.
Un’altra possibile preda. Incoccò
una freccia e attese, paziente e silenzioso. Qualsiasi tipo di animale
fosse,
sapeva come muoversi nel bosco. Immaginò che fosse un cane
selvatico, o un
cervo. I passi si facevano sempre più vicini, e Gale tese
l’arco, pronto a
colpire. Rimase piuttosto sorpreso, però, quando, invece di
una lince, vide
saltar fuori una ragazzina. La freccia che aveva preparato si
conficcò nel
terreno umido ai suoi piedi, e lei non se lo lasciò
sfuggire. Evidentemente, il suo
udito non era tanto peggiore del suo.
Esitò un attimo prima di
uscire allo scoperto e avvicinarsi al coniglio, al suo
coniglio. Tirò fuori un coltello dal vecchio giubbotto di
pelle
e iniziò a segare i lacci, freneticamente.
No. Non avrebbe permesso ad
una bambina di portargli via la
preda. Mai.
–
Ehi! – urlò. La ragazzina sussultò, ma
probabilmente aspettava che il
proprietario della trappola venisse fuori, prima o poi. Strinse un
po’
di più il coltello nella mano destra e portò la
sinistra all’arco, pronta ad
attaccare. Di certo il fegato non le mancava, dato che Gale era molto
più grosso
di lei, e, a giudicare dalle ferite del coniglio, aveva anche una mira
nettamente migliore.
–
Cosa pensavi di fare con il mio coniglio?
–
Il tuo coniglio?! –
chiese lei,
indignata. – Cosa ti fa pensare che questo sia il tuo coniglio?
–
Innanzi tutto, il fatto che sia nella mia
trappola! – le fece notare, stizzito.
–
Be’, non ci sarebbe mai finito se non lo avessi colpito.
–
E dovrei ringraziarti? – la rimbrottò, ironico.
–
Voglio il mio coniglio – ringhiò la ragazzina.
Gale
si concesse un attimo per osservarla meglio: doveva avere qualche anno
meno di
lui, ma era piuttosto esile e non troppo alta. Indossava dei pantaloni
color
tortora, un paio di stivali nuovi di zecca e una giacca di pelle di
almeno
quattro taglie più grande. Sarebbe potuta entrarci due
volte. Teneva i lunghi
capelli castani raccolti in una treccia, che le cadeva sulla spalla
destra.
Aveva gli occhi grigi, proprio come i suoi. Anche lei veniva dal
Giacimento,
pensò.
Le
avrebbe risposto per le rime, se non avessero udito il ringhio. La
ragazzina
drizzò la schiena, in allerta. I passi, troppo pesanti per
un cervo, non promettevano
nulla di buono.
–
Corri! – le urlò, afferrandola per un braccio.
Volavano nel sottobosco,
scavalcando le radici ed evitando le rocce più grandi. La
cosa migliore da fare
sarebbe stata quella di arrampicarsi su un albero, ma
l’animale - una lince, a
giudicare dal ruggito e dal ritmo dei suoi passi - era troppo veloce, e
non era
sicuro che lei sarebbe stata capace di stargli dietro.
La
sentì gemere debolmente alle sue spalle. Zoppicava. Non ci
pensò due volte e se
la caricò in spalla, riprendendo a correre.
–
Reggiti – mormorò, nonostante il fiato grosso, e
sentì la stretta delle braccia
esili di lei stringersi attorno al suo collo.
Percorsero
un altro tratto, andando a finire in una zona che risultava nuova agli
occhi di
Gale. Non si era mai spinto così lontano, ma non era il
momento giusto per
pensarci troppo su: lui era stanco, e l’animale era sempre
più vicino. Provò ad
accelerare, per quanto la stanchezza potesse permettergli, rischiando
di
inciampare un paio di volte.
–
Stai bene? – gli chiese lei, aggiustandosi meglio sulla sua
schiena per
imporgli meno possibile il suo già esiguo peso.
–
Sì, non preoccuparti – rispose, aumentando ancora
l’andatura. Non era sicuro di
reggere ancora a lungo. – Quanto è distante?
–
Un centinaio di metri – valutò. – Pensi
di riuscire a reggermi se lascio andare
la braccia?
Per
tutta risposta, il ragazzo strinse più che poteva le sue
gambe, assicurandola
ai suoi fianchi. Sentì la presa intorno al suo collo
allentarsi, fino a
svanire.
–
Che hai intenzione di...
Riuscì
ad udire solo il rumore secco della corda che scattava, libera, oltre
al suono
dei suoi passi, sempre più pesanti. I ruggiti si fecero
sempre più fiochi, fino
a trasformarsi in gemiti.
–
Puoi fermarti – lo informò la ragazzina.
– Voglio scendere.
Gale
ubbidì, confuso, finché non notò che
teneva in mano l’arco, e che la sua
faretra era vuota.
–
L’hai preso? – domandò, incredulo. Per
tutta risposta lei annuì, soddisfatta.
Si
avvicinarono al corpo ormai esanime dell’animale, e Gale se
la caricò in spalla
mentre la ragazzina raccoglieva le sue frecce, sparse lì
intorno.
Era
una lince, come aveva immaginato. Ed era piuttosto grossa.
–
Dove pensi di andare con la mia preda?
– gli chiese lei, stizzita.
Lui
le sorrise, divertito. – Come speri di portarla fino al
Giacimento?
Lei
sbuffò contrariata, ma annuì, borbottando
qualcosa che Gale non riuscì a
comprendere.
Gale
non aveva la benché minima idea di dove fossero andati a
finire, ed era troppo
stanco per rimettersi in marcia così, alla cieca.
–
Ti va se ci fermiamo un attimo? – propose quindi, e lei
sembrò sollevata.
–
Stavo per chiedertelo io – mormorò, imbarazzata.
Camminarono
un po’, finché non fu chiaro ad entrambi, senza
troppi giri di parole, che
quello era il posto perfetto per una sosta: un enorme sperone di roccia
che si
apriva sulla vallata, circondato da cespugli di more. Si infilarono in
una
cavità, felici di potersi finalmente riposare.
La
ragazzina si offrì di raccogliere qualche mora,
rassicurandolo sulla sua
caviglia.
–
Sto bene, davvero – disse, prima di allontanarsi.
Gale
aprì il sacco di iuta ed estrasse lo scoiattolo, iniziando a
rimuovere la
pelliccia con cura, aiutandosi con il coltello. Aveva appena iniziato a
spellare la sua cerbiatta, quando lei tornò con il giubbotto
carico di frutti maturi.
–
E hai fatto tutte quelle storie per un coniglio? – gli
chiese, puntando il dito
contro l’animale.
–
Devo sfamare cinque persone – la informò, ancora
stizzito per la preda che
aveva perso. – Quel coniglio avrebbe potuto fare la
differenza.
Rifletté
per un po’. – Voglio un quarto della tua lince.
–
Cosa?! – esclamò, incredula. – Non se ne
parla! È la mia preda.
–
Se non ti avessi salvata, probabilmente saresti stata tu,
la preda – le fece notare, alludendo alla sua caviglia
malferma.
Lei
aprì la bocca per ribattere, ma la non emise alcun suono.
Gale sapeva di aver
colpito nel segno.
–
Hai fegato, ragazzina, questo te lo concedo – disse,
sorridendo. – Come ti
chiami?
Sembrava
che l’avesse presa in contropiede, perché la sua
risposta fu un sussurro appena
udibile: – Katniss...
–
Catnip? – chiese.
– Che nome
insolito!
–
Katniss – ripeté lei, scandendo chiaramente ogni
singola sillaba, rossa in
viso. – Mi chiamo Katniss.
–
Be’, non è certo un nome comune, comunque
– constatò. – Io sono Gale.
–
Sei del Giacimento? – gli chiese lei, più per
conferma che per altro.
Lui
annuì. – Vivo con mia madre e miei fratellini, ma
da quando è morto mio padre
non ce la passiamo troppo bene.
Gale
non sapeva perché stava raccontando tutto questo ad una
sconosciuta. Ma non
poteva farne davvero a meno.
Non
aveva mai parlato con nessuno di suo padre, di quanto gli mancasse,
nemmeno con
Hazelle, sua madre. Con Katniss era diverso, però.
–
È morto tre mesi fa,
nell’incidente
della miniera. Non abbiamo potuto fare niente. – La sua voce
lasciò trapelare
una nota di rabbia e frustrazione, che mascherò subito con
la sua consueta
indifferenza.
–
Lo so – mormorò lei, abbassando lo sguardo.
– C’era anche mio padre, laggiù.
–
È stato lui a insegnarti a tirare?
Katniss
annuì. – Quando ero piccola, andavo a caccia con
lui, non mi sarei mai sognata
di venirci da sola. Diceva sempre che i boschi sono un luogo
pericoloso. –
Sorrise, amara. – Ma dopo l’incidente, ho dovuto
farlo. Mia madre è una
guaritrice, ma non guadagna abbastanza per sfamare me e mia sorella.
Spesso non
si fa pagare, perché la gente è troppo povera per
farlo.
Rimasero
in silenzio, lui a spellare la sua cerbiatta, lei a smangiucchiare
qualche
mora.
–
Potremmo... – Esitò. Gale non era del tutto sicuro
che quello che stava per
dire tornasse effettivamente a suo vantaggio. Certo, la ragazzina era
abile e
sapeva tirare con l’arco, ma avrebbe potuto risultare una
palla al piede...
Che
aveva coraggio da vendere, però, bisognava riconoscerglielo:
se era riuscita a
oltrepassare la rete, ad addentrarsi nei boschi, ad avvicinarsi ad una
trappola
non sua, non era un caso.
–
Sì? – chiese lei, incuriosita da quella pausa.
–
Ecco... pensavo che potremmo cacciare insieme, da oggi in poi. Insomma,
come
una squadra. Divideremo le prede, ovviamente.
–
A partire da oggi? – domandò Katniss, facendo un
cenno verso la cerbiatta.
Gale
sbuffò, ma dare metà della sua preziosa preda
significava avere metà della
lince, che era molto più grossa e appetitosa del suo misero
erbivoro.
–
A partire da oggi – confermò, ed entrambi si
sciolsero in un sorriso.
Raggiunsero
la falla nella rete che avrebbe permesso loro di rientrare nel
Distretto. Ce
n’erano più di una, lungo tutto il perimetro, ma
quella era la più comoda per
entrambi, visto che non era troppo lontana dal Giacimento.
Si
avviarono insieme lungo la strada polverosa - cosa non lo era, al
Distretto 12?
Arrivati circa a metà strada, Katniss si fermò.
–
Io... sarà meglio che vada – borbottò.
– Mia sorella sarà affamata.
–
Certo. – Le sorrise. – Ci vediamo domani, Catnip.
La
ragazzina fece una smorfia a quel soprannome, ma non si scompose.
–
A domani, Gale.
–
Al solito posto – le ricordò. Avevano fatto dello
sperone di roccia il loro
quartier generale, quando avevano scoperto che, in fondo, non era poi
così
lontano dal margine del bosco. – Non fare tardi, mi
raccomando.
–
Figurati! – sbottò, iniziando a ridere, prima di
sparire in un vicolo alla sua
sinistra.
Gale
si sistemò il sacco in spalla e
s’incamminò verso il Forno: avrebbe fatto
ottimi affari, ne era certo, e lui e i suoi fratelli avrebbero mangiato
da re.
Forse
non era stata poi una cattiva idea chiedere alla ragazzina di fare
squadra.
Katniss non era male, ed era un’ottima arciera. Che il loro
incontro fosse
stato una coincidenza, Gale stentava a crederlo. Avevano bisogno
l’uno
dell’altra, e lui se n’era reso conto solo in quel
momento.
Quella
sera, quando s’infilò nel suo letto, si sorprese
impaziente di veder spuntare
il sole, per poter incontrare di nuovo quella strana ragazzina. E si
addormentò
con il sorriso sulle labbra.
Be’,
devo ammettere che sono un po’ emozionata, visto che
è la prima storia che
pubblico qui, in questo Fandom.
Ma,
da una parte, sono contenta che il mio biglietto da visita sia una
GalexKatniss, per quanto priva di Fluff o quant’altro.
Ho
notato, con mio enorme dispiacere, che molti odiano il
personaggio di Gale, per via di quello che è successo in
“Mockingjay”, ma io lo preferisco di gran lunga a
Peeta - e per affermazioni
come questa mi hanno già dato della pazza un paio di volte.
E
spero che questa Shot vi sia piaciuta.
Alla
prossima, allora.