Storie originali > Soprannaturale
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Autore: fredsasche    24/07/2013    7 recensioni
Lance Van Hower è un uomo insonne che si aggira dietro dei ricordi aridi, a malapena appigliati a delle certezze, la sua storia è un punto interrogativo che lo fa svegliare inspiegabilmente di notte, che gli fa porre delle domande, che lo richiama costantemente allo stesso posto: Los Angeles, il Brome Theatre. Un teatro decadente e polveroso, che sembra richiamare degli annali di gloria terribilmente decaduti nella miseria. Alla ricerca delle sue origini, alla ricerca del motivo di quel vuoto di memoria lungo cinque anni, si ritrova coinvolto in un turbine di emozioni e colpi di scena, persone che giurano di conoscerlo ma di cui lui non ricorda il nome. In giro di poco i caratteri dei personaggi incredibilmente contrastanti si mischiano in un racconto colmo di significati, nell'intreccio di legami di sangue, tradimenti, profonda amicizia e passione. Lance, appena trentenne, dovrà affrontare il crudele mondo del soprannaturale ed il passato che lo rende vittima e carnefice di eventi fuori dal suo stesso controllo.
L'alone di mistero che permea la storia conduce in giro di pochi capitoli alla conclusione di un thriller avvincente e senza sosta.
Genere: Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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"Con l'insonnia nulla è reale.
Tutto è lontano.
Tutto è una copia di una copia di una copia..."
[ cit. Fight Club ]


Insomnia



Non c'era nulla di sensato in quello che mi capitava. Il fatto che ogni notte, puntualmente, dovessi svegliarmi stava iniziando a rendere il mio corpo ogni giorno più debole. Accusavo ogni ora di sonno mancata, ogni attimo di vita rubato da quegli incubi che mi trascinavano in un soffocante uragano di agonia. Sotto i miei occhi c'erano due pesanti occhiaie. A lavoro le domande si ripetevano nella loro superficialità. Chiedevano se qualcuno mi avesse preso a pugni. Che idioti. Se avessi potuto, se avessi avuto un briciolo di libertà nell'agire senza farmi licenziare, li avrei distrutti io per fargli capire cosa significasse essere davvero picchiati. Io lo sapevo.

Ero nel mio letto matrimoniale, troppo largo per farmi sentire troppo in solitudine. I miei occhi verdi fissi sopra il soffitto ed il respiro veloce, con il sudore che viscido mi scivolava dalle tempie andando a macchiare il cuscino. Succedeva in continuazione. Sempre il solito stramaledettissimo incubo: io davanti a quell'enorme portone con sopra quella dannata insegna, "Brome Theatre", ed i grattacieli di Los Angeles spenti in uno scenario post-apocalittico, con quegli occhi di ghiaccio che mi fissavano per l'ultima volta prima di tagliarmi definitivamente la gola. Il sangue cadeva a fiotti, una cascata rossastra dal sapore e dall'odore ferroso che mi tappava le narici, mischiato all'acre puzza di zolfo.
Scossi il cranio sul cuscino per levarmi quell'immagine tremenda dalla testa e mi alzai per andare a prendermi il mio latte fresco delle due del mattino. Guardai l'orologio distrattamente ed intercettai più in là la mia immagine riflessa nello specchio. Sto invecchiando e si vede. Ero un uomo e non più un ragazzo. La barbetta incolta che sempre mi rasavo era uno scarso motivo per definirmi ancora un ventenne, i tatuaggi che mi tappezzavano interamente le braccia facevano ridere quando mi abbigliavo da persona normale, da persona monotona, sottomessa alle regole rigide di una società costrittiva. Le mie occhiaie sempre più marcate e la magrezza, nei due metri della mia altezza, mi facevano sembrare anoressico, un cadavere, uno scheletro che camminava e si trascinava dietro l'aria di chi ne aveva viste abbastanza, eppure non se le ricordava. Tornai a guardare la mia schiena come facevo da due anni a questa parte, come sempre non trovai nessun accenno agli unici ricordi che possedevo e stringevo con gelosia addosso a me. Nessuna cicatrice, nessun marchio che mi ricordasse Berlino e mio nonno Herne. Ero immacolato e perfetto come il culo di un neonato. Preso il latte lo bevvi in un sorso, alla ricerca di quelle energie che mi avevano abbandonato da tempo immemore ormai, consapevole però che non sarebbe servito a nulla.
Per curiosità accesi il computer e cercai di seguire le tracce che mi suggerivano i sogni, alla ricerca di me stesso. Trovai degli articoli che parlavano del Brome Theatre. Lo descrivono tutti come un teatro glorioso e pieno di luci, che nella sua arte gotica si contrapponeva nella lucentezza di vetrate fatte di mosaico brillante e colorato. Non parlavano nient'altro che di cose superflue... Chi lo gestisse, chi ci lavorasse, dove spedire i curriculum, era tutto incredibilmente velato da un alone di mistero che mi convinse dopo un anno di meditazione ad andare a verificare io stesso di cosa si trattasse.


Mi svegliai alle dieci di mattina, colmo di speranze. Forse era davvero l'ora di riprendere in mano la mia vita e rivendicare quei cinque anni certamente smarriti. Al solito bar a Norimberga, con i soliti stupidi colleghi. Mi guardavano come se fossi un mostro. Ero un emarginato, ero quello strano, quello comparso dal nulla che si è aggiudicato la scrivania migliore grazie a non si sà bene cosa. Io lo sapevo. Il capo era un amico di famiglia, era la persona che tutelava me e mio nonno dopo la scomparsa di Marlene, mia nonna. Si era preso cura di noi fin da subito, al mio trasferimento in America s'era offeso come non mai, ma al mio inspiegabile ritorno si era sciolto come burro in un caldo giorno d'estate. Lo smog mi entrava nei polmoni mentre camminavo in direzione del suo ufficio... Abraham mi aspettava sull'uscio, aveva ricevuto il mio messaggio scritto durante la notte.

< Voglio sapere cosa fai sveglio la notte se sai benissimo che in ufficio devi arrivare per le otto, sveglio e pronto per le pratiche che ti ho assegnato >
Il suo tono di voce era talmente duro che sentii chiaramente le sue parole trapassarmi come lame affilate. Nell'ultimo periodo i miei flashbacks erano aumentati a dismisura, lui s'era accorto che c'era qualcosa in me che non andava, che mi ero inceppato. Esitai prima di rispondere e mi sedetti senza alcun rispetto sulla sua poltrona comoda, afferrando il suo croissant alla crema. Lo mangiai senza pensarci due secondi per due bocconi di caldo zucchero e forze, mentre le mie pupille incrociarono le sue iraconde. Avevo un po' di briciole sulle labbra, lui non me lo disse.
< Perchè ne avevo voglia. Comunque domani parto per Los Angeles, affida i miei compiti a qualcunaltro, sono tutti pronti a servirti > ridacchiai con sarcasmo, lo faceva impazzire il mio atteggiamento ma io approfittavo dell'affetto insito che provava nei miei confronti.
< Non se ne parla, Lance, fottuto stronzo! Non puoi lasciarmi adesso, io mi fido di te >
< Ed io di te, quindi mi aspetto che tu capisca, non sei così scemo da non aver notato che mi serve una vacanza, lontano da qui. Sono più pericoloso qui in ufficio che là fuori in questo momento >
Le mie parole erano fredde ed affilate, adesso ero io ad impugnare il coltello, ed anche se un po' mi sentivo in colpa nei suoi confronti non ebbi alcuna esitazione.
< Va bene, ma ti voglio qui entro due mesi. Mi servi >
Calcò l'ultimo imperativo con un tono di voce che non mi andò giù, e dopo averlo guardato a lungo profondamente contrariato, ruotai il corpo fuori dal suo ufficio e sparii diretto a casa, pronto per fare le valigie.


Mentre piegavo con scarsa attenzione i vestiti, ebbi la netta sensazione che seguire quelle orme in direzione di un passato dimenticato mi avrebbe condotto irrimediabilmente al patibolo. Non mi interessò e comprai i biglietti dell'aereo. Addio Germania.

 

  
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