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Autore: fredsasche    28/07/2013    4 recensioni
Lance Van Hower è un uomo insonne che si aggira dietro dei ricordi aridi, a malapena appigliati a delle certezze, la sua storia è un punto interrogativo che lo fa svegliare inspiegabilmente di notte, che gli fa porre delle domande, che lo richiama costantemente allo stesso posto: Los Angeles, il Brome Theatre. Un teatro decadente e polveroso, che sembra richiamare degli annali di gloria terribilmente decaduti nella miseria. Alla ricerca delle sue origini, alla ricerca del motivo di quel vuoto di memoria lungo cinque anni, si ritrova coinvolto in un turbine di emozioni e colpi di scena, persone che giurano di conoscerlo ma di cui lui non ricorda il nome. In giro di poco i caratteri dei personaggi incredibilmente contrastanti si mischiano in un racconto colmo di significati, nell'intreccio di legami di sangue, tradimenti, profonda amicizia e passione. Lance, appena trentenne, dovrà affrontare il crudele mondo del soprannaturale ed il passato che lo rende vittima e carnefice di eventi fuori dal suo stesso controllo.
L'alone di mistero che permea la storia conduce in giro di pochi capitoli alla conclusione di un thriller avvincente e senza sosta.
Genere: Horror, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Onde e presentimenti


L'appartamento non era affatto grande e puzzava di piscio di gatti. Immaginai all'istante che prima di me ci fosse una gattara single da una vita, con i capelli bianchi, le rughe ed i vestiti sporchi. Magari nel corso della mia permanenza sarei riuscito a trovare qualche blatta pronta ad uccidermi, in ricordo di quel soggiorno sgradevole. Ero certo alla prima occhiata che quella casa avesse bisogno di un tocco di stile, di qualcosa di innovativo, con i mobili in legno e la cucina di plastica, con la cappa che scende dal soffitto... Come quelle nuove che adesso vanno tanto di moda. Appoggiai le valigie sul pavimento impolverato e mi feci spazio in quel posto tremendo. Il motivo per cui avevo deciso di prendere in affitto quella topaia era molto semplice: la vicinanza al mare mi dava sollievo. Avevo bisogno di respirare aria pulita, ed era l'unico posto che aveva un prezzo abbordabile. Mi affacciai sopra il balcone in direzione del mare e ne osservai le onde incresparsi ad ogni folata di vento. Tuttavia, su quelle spiaggie non c'era molta vita, anzi. Erano spiagge libere e un po' mal ridotte, nonostante ciò non mi importava. Mi bastava essere vicino a qualcosa che mi dasse un senso di libertà assoluta, e cosa se non il mare poteva regalarmi certe emozioni?

Andai a riprendere le valigie all'ingresso e le trascinai in quella che doveva essere la camera da letto. Le buttai su un letto abbandonato a sè stesso da chissà quanti anni che albergava nella stanza e le aprii. Dentro potevo distinguere gli affetti personali più importanti: schiuma da barba, la foto dei miei nonni materni e le sigarette, e poi a lato strusciai la mano al di sopra del contenitore della mia chitarra. Non avevo mai perso la passione per la musica nonostante il lavoro misero che a Norimberga mi ero trovato. Non amavo quel posto, sinceramente, non apprezzavo essere uno stupido scribacchino che continuava a sfogliare compiti, pratiche degli affari degli altri. Inseguire le mie orme si era anche trasformata in una scusa piacevole per staccare la spina.
Afferrai le sigarette e scesi dalle scale, chiudendo la porta di quella che doveva essere casa mia.

Il mare profumava di salsedine. Ogni ondata era piacevolmente un sospiro di sollievo. Notai ai lati un gruppo di ragazzi giovanissimi che litigavano tra loro, forse scherzosamente. Personalmente non mi interessava. Indisturbato andai a sedermi al di sopra degli scogli e mi accesi una sigaretta, una Chesterfield. Era da una vita che le fumavo, ma non so di preciso perchè d'un tratto ho cambiato colore... Prima fumavo le blu, ora le rosse. Uno dei tanti dettagli inspiegabili comparsi nella mia vita dopo il vuoto di memoria durato cinque anni. I miei polmoni si gonfiavano di catrame, potevo sentire le mie pareti interne incrinarsi sotto il peso del fumo. Amavo uccidermi, amavo annullarmi, avevo voglia di diventare trasparente. Mio nonno non era uno che la pensava come me, invece. Herne era duro e forte come un cinghiale, nazista fino al midollo. Lo odiavo quel vecchio, se avessi potuto ucciderlo penso l'avrei fatto. Mi aveva lasciato un sacco di ricordi spiacevoli, un sacco di terribili incostanze che mi avevano fatto ereditare un tratto caratteriale molto vicino a quello dei soldati. D'altronde è così che mi aveva cresciuto dopo la morte di mia madre. Un po' ce l'aveva con me, pensava fossi io la causa solo perchè ciò che l'aveva uccisa era il parto... Era più incazzato con me che con mio padre, americano e quindi nemico della Germania, a detta sua, sparito per non prendermi in cura lui stesso. Bastardo, bastardi tutti.

Di colpo accanto a me si sedette una ragazzina di quindici anni dai capelli color rame e occhi scuri. I miei occhi si rivolsero a lei annoiati ed anche un po' stupiti, come se la sua presenza frizzante mi avesse risvegliato da un incubo. Lei mi guardò e sorrise angelica, senza curarsi davvero della mia presenza e della vicinanza improvvisa che aveva con il mio corpo. Insomma, cazzo, non sapevo che ci fossero ragazzine così intraprendenti, quelle che conobbi io ai miei tempi non si permettevano di avvicinarsi ad un uomo nemmeno per ricatto. Mi rivolse il suo sguardo malizioso.
< Mi dai una sigaretta? >, il suo tono di voce era pretenzioso ed arrogante, come quello di qualsiasi adolescente.
< Scordatelo, avrai sì e no tredici anni. >, approssimai l'età apposta verso il difetto, sapevo che l'avrebbe irritata.
< Non rompere, non sei mica mia madre! > < No, ma se me la fai conoscere potrei farti vedere quanto potrei essere un bravo paparino. > ammetto che con questa frase mi resi ancora più pervertito di quanto potessi sembrare, ma la sua risposta mi stupì < Se vuoi fare il bravo paparino, io posso insegnartelo. >, alla sua affermazione digrignai i denti infastidito e mi alzai dagli scogli, avviandomi altrove solo dopo averle lanciato un'occhiataccia e "casualmente" dimenticato il pacchetto di sigarette vicino a lei. Sgradevoli incontri oggigiorno. Decisi di tornare a casa, casa mia. Era strano affibiare un possessivo a quel nome e tra me, risi.

Camminavo lungo il marciapiede e mi limitavo a guardarmi in giro. La gente di quel luogo era modesta, non se la tirava e nella via si potevano incontrare un sacco di belle ragazze, anche se la fica non era di certo il mio pallino fisso in quel periodo. Passai di fronte ad un negozio e mi soffermai a guardare la vetrina. Era un negozio di elettronica e c'erano dei televisori accesi che trasmettevano tutti la stessa notizia: "Altro cadavere ritrovato nei pressi del Fiume del Parco Naturale nell'est di Los Angeles. Come sempre la vittima riporta gli stessi danni delle sette precedenti: corpo dilaniato, cuore scoparso. Era soltanto una ragazza. Erika aveva diciannove anni e...", e io proseguì, disinteressato. Mi domandavo tra me perchè i telegiornali dovessero sempre far notizia sulla vita privata delle vittime di omicidi o incidenti, rendendo tutti partecipi del dolore dei genitori ed amici. Ma io la conoscevo? Chi diavolo è Erika? Ci saranno milioni di Erika al mondo e non tutte vengono elencate nei telegiornali narrando della loro morte, forse più atroce della - Erika diciannovenne -. Proseguì.

Per un attimo ebbi la netta sensazione di essere seguito, ma fu soltanto una percezione distante dalla realtà. Vidi la chioma bionda di una donna ma non il volto, era forse un'allucinazione delle solite, fatto sta che per qualche breve attimo sentii un'aria opprimente attorno a me, così dal nulla, tanto che dovetti trattenere un conato del vomito salito così d'improvviso. Non mi interessò, mi capitava di continuo. Tornai a casa.

Il giorno dopo sarei andato al Brome Theatre, ero deciso.

  
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