CAPITOLO DICIOTTESIMO. LA LUNGA VIA PER LA REGGIA.
Pegasus stava combattendo contro Bronte del Tuono, uno
dei tre Ciclopi Celesti al servizio del sommo Zeus, di fronte al Cancello
dell’Olimpo, dopo aver permesso a Andromeda, Castalia e Tisifone di superarlo
ed iniziare a correre lungo il sentiero principale che portava alla Reggia di
Zeus. Il combattimento stava andando avanti da quaranta minuti ormai ed
entrambi i contendenti erano stanchi, e feriti. L’Armatura Divina di Pegasus
era scheggiata in più punti, così come l’Armatura Celeste del Ciclope, e sangue
usciva abbondante dalle loro ferite.
Pegasus
non era soltanto stanco, ma anche preoccupato per i suoi compagni, e
soprattutto per Isabel, stritolata dai fulmini di Zeus nella Torre Bianca
dell’Olimpo. Ancora una volta
abbiamo il tempo contro! Rifletté il ragazzo, ricordando tutte le
precedenti battaglie combattute per salvare la Dea. Al Grande Tempio, ad
Asgard, ai tempi di Apollo, Discordia e Lucifero, nel Regno Sottomarino,
nell’Elisio. E adesso qua, sull’Olimpo, dove mai avremmo pensato di arrivare!
Oh Atena, sento il tuo cosmo fremere, lacerato da mille folgori lucenti!
Resisti mia Dea, stiamo venendo da te!
Una sfera energetica lanciata da Bronte rubò il
ragazzo ai suoi pensieri, costringendolo a concentrarsi sulla battaglia. Il suo
avversario non sembrava intenzionato a cedere e, sebbene anch’egli stanco, più
di quanto avrebbe creduto, aveva il vantaggio di non aver alcun limite
temporale da rispettare. Non è mia
la Dea che sta languendo sul tetto dell’Olimpo! Rifletté Bronte, con un
sorriso beffardo. Una Dea che non sento proprio! Commentò, disprezzando
l’irresponsabile carattere di Atena, che aveva osato ribellarsi al Padre, il
Sommo Zeus, per difendere un’umanità che neppure la conosceva. Bronte non era
stato presente al colloquio tra Atena e Zeus, ma Arge e Sterope lo avevano
informato appena era rientrato sull’Olimpo, e per quanto Flegias avesse
ingigantito i fatti, per fomentare gli animi dei Cavalieri Celesti e delle
altre Divinità contro Atena, Bronte era perfettamente d’accordo col suo
Signore. Punire una Divinità eretica era l’atto migliore, soprattutto in un
momento in cui strane voci giravano sull’Olimpo. Era l’atto necessario per
re-imporre la Divina Volontà di Zeus, l’unico Padre di tutti gli Dei!
“Fulmineee
di Pegasus!”– Urlò Pegasus, scattando
avanti.
Centinaia di sfere energetiche partirono dal suo
pugno destro, dirette verso Bronte, il quale, muovendosi alla velocità della
luce, le evitò con destrezza, prima di contrattaccare con il Vortice
impetuoso dei Ciclopi Celesti. Il
turbine energetico, per quanto non riuscisse a sollevare Pegasus,
scaraventandolo in alto, per la resistenza del ragazzo, fu abbastanza potente
da spingerlo indietro, facendolo barcollare un istante. Bronte approfittò di
quel momento, per balzare in alto, sopra di lui, e lanciargli contro una sfera
energetica, così potente da atterrare il ragazzo.
Il
Ciclope gli fu sopra, scatenando tutta la possanza del Tuono dell’Olimpo,
la cui onda d’urto fu talmente grande da spingere Pegasus a terra e poi
risollevarlo, prima che un violento calcio di Bronte lo scagliasse lontano,
danneggiando ulteriormente la sua Armatura Divina.Pegasus rantolò sul terreno
per qualche istante, stordito e piuttosto debole. La sua spavalderia iniziale
se ne era andata, riconoscendo che il
Ciclope era avversario di gran lunga superiore a quel che aveva immaginato.
Superiore a tutti i nemici che aveva affrontato fino a quel momento, Divinità
escluse.
Pegasus! Lo chiamò improvvisamente una voce maschile,
parlando al suo cosmo. Pegasus, alzati!
Pegasus boccheggiò un po’, facendo fatica a riconoscere
il cosmo del suo lontano interlocutore. Alzati, Cavaliere di Pegasus! Non
hai forse giurato che avresti protetto Atena, sempre e comunque, anche a costo
della tua vita? Incalzò la voce dell’uomo. Non ho forse affidato a te,
giovane Cavaliere della Speranza, la salvezza della Dea Atena?! Un caldo cosmo, lucente come il sole, invase
per un attimo l’intera radura, riconfortando Pegasus dagli affanni del
combattimento e lenendo in parte le sue ferite. Alzati adesso, e
sconfiggi l’insidioso nemico che ti si è posto di fronte! Egli è forte e
risoluto, indubbiamente, ma quale nemico hai mai incontrato che lo fosse meno?
La salvezza di Atena dipende anche da te, come da tutti i tuoi compagni che
stanno correndo adesso verso la Reggia di Zeus! Alzati e raggiungili, io ti
aiuterò, donandoti le mie ali!
E improvvisamente Pegasus trovò un’inaspettata forza per
rimettersi in piedi, come se un nuovo cosmo fosse confluito nel suo. Poi tutto
si oscurò nuovamente, lasciando soltanto il ragazzo e il Ciclope Celeste in
piedi uno davanti all’altro. Pegasus sollevò lo sguardo verso la volta
stellata, e gli parve che la costellazione del Sagittario gli sorridesse da
lontano. Micene! Non ti deluderò!
Vincerò anche per te, il primo tra i Cavalieri! Mormorò Pegasus, stringendo i pugni e
bruciando al massimo il proprio cosmo.
“Ancora
non ti arrendi, eh, ragazzino?” – Esclamò Bronte.
“Non
finché avrò qualcosa in cui credere, Ciclope Celeste, qualcosa che mi darà la
forza per rialzarmi e non far sì che sia vinto!” –Rispose Pegasus, caricando il
pugno destro di lucente energia. – “Fulmine di Pegasus!” –Urlò,
scattando avanti.
Centinaia di sfere lucenti partirono dal suo pugno, dirette
contro Bronte, a una velocità elevatissima, che sorprese lo stesso Ciclope
Celeste, il quale si scansò più volte per evitarle, ma non poté fare a meno di
essere colpito in vari punti. Sull’addome e su una spalla. Il Groviglio di
Fulmini, la barriera difensiva che aveva ricreato, non aveva funzionato
perfettamente. Con un balzo Pegasus fu
di fronte a Bronte, con il pugno destro carico di energia cosmica. Lo sollevò
di scatto, colpendo Bronte in pieno viso, dal basso verso l’alto, e
scagliandolo in aria, ma il Ciclope, seppur ferito, fu svelto ad afferrare il
braccio di Pegasus e portarlo con sé, centrandolo con un calcio in pieno petto.
Pegasus rotolò sul terreno per parecchi metri, sputando sangue, mentre Bronte
ricadde a terra sulle proprie gambe, massaggiandosi il viso dolorante. Con
orrore si accorse che l’elmo celeste della sua Armatura era stato distrutto.
“Cos’è?
Non ridi più adesso?” – Ironizzò Pegasus, rimettendosi in piedi.
“Taci!”
–Lo zittì Bronte, puntando l’indice contro di lui. Dal dito si sprigionarono
centinaia di scariche energetiche, guizzanti fulmini che, come serpenti,
strisciarono sul terreno fino a raggiungere Pegasus e ad aggrovigliarsi intorno
a lui, stringendolo. –“Ti piace? Una variante del Groviglio di Fulmini!”
–Ironizzò Bronte, dando nuova forza ai suoi fulmini.
Pegasus urlò per
il dolore, sentendo le folgori del Ciclope stridere sulla sua Armatura Divina,
che si stava schiantando in più punti. Fu quasi tentato di buttarsi a terra,
schiacciato da quell’immenso potere, ma si impose di reagire, come fece Micene
a suo tempo, quando Capricorn lo massacrò.
“Non
sei felice? Morirai come la tua Dea, stritolato dai fulmini dei Ciclopi, gli
stessi che donammo al nostro Signore per ricompensarlo di averci liberato!”
–Esclamò Bronte, sicuro della vittoria.
“Nooo!”
– Urlò Pegasus, espandendo al massimo il proprio cosmo lucente. Il grande
potere della costellazione di Pegasus esplose poco dopo, rischiarando l’intero
spiazzo con la sua luce, obbligando persino Bronte a tapparsi gli occhi. Le
folgori incandescenti parvero quietarsi, spazzate via dall’energia del
Cavaliere.
“Incredibile!”
– Esclamò Bronte, osservando Pegasus liberarsi dalla stretta morsa dei suoi
Fulmini, e scagliare contro di lui un nuovo attacco.
“Fulmine
di Pegasus!” – Gridò ancora il
ragazzo, lanciando centinaia di pugni lucenti.
Molti di essi raggiunsero il bersaglio, colpendo Bronte in pieno petto o sugli arti, senza che il Ciclope riuscisse ad evitarli. Bronte tentò di rilanciare il Tuono dell’Olimpo, ma Pegasus lo fermò portando le mani avanti e rispendendolo indietro. Il colpo travolse Bronte come un treno in corsa, sollevandolo da terra, e spingendolo indietro, mentre Pegasus caricava nuovamente la Cometa Lucente, lanciandola sul Ciclope.
Il Ciclope
Celeste fu travolto in pieno, trapassato dall’esplosione energetica del cosmo
di Pegasus, ricadendo a terra parecchi metri avanti, tra i frammenti della sua
Armatura Celeste. Tentò di rialzarsi, sputando sangue, ma fu afferrato da
Pegasus dal dietro e lanciato fino a schiantarsi un'altra volta contro il muro
di confine, avvolto da un globo di luce che esplose immediatamente.
“No!
No!” – Urlò Bronte, in preda al panico, tentando di rimettersi in piedi.
Aveva
la corazza distrutta e sangue grondava da tutto il suo corpo, dal suo viso
sfregiato e ferito. Barcollò sul terreno per qualche passo, prima di crollare
avanti, morto. E vinto. Pegasus ansimò per lo sforzo, cadendo a terra a sua
volta, nella fresca notte di primavera.
***
Dopo
aver lasciato Pegasus al Cancello dell’Olimpo, Andromeda, Castalia e Tisifone
corsero lungo il sentiero principale della montagna, passando in mezzo a un
grande bosco, dove alberi maestosi sembravano rendere il giusto onore alla
massima Divinità della Terra.
“Che
strano!” –Esclamò Andromeda. –“Nonostante sia quasi l’una di notte, l’aria è
luminosa come fosse giorno!”
“Il
tempo scorre diversamente sull’Olimpo!” –Intervenne Castalia. –“Me lo spiegò
Ermes questo pomeriggio… Sull’Olimpo non tramonta mai il sole, mai viene la
notte!”
E
sollevò lo sguardo, osservando l’aria sopra di loro, ricoperta da un sottile
strato di nuvole intrise di luce. Una misteriosa fonte di luminosità che
impediva alla notte di scendere sull’Olimpo.
“Conosci
la strada?” – Chiese Tisifone a Castalia.
“Purtroppo
no, Tisifone! Ermes ci condusse direttamente nel giardino della Reggia di Zeus,
ma temo che sarà lunga e irta di ostacoli!”
I tre Cavalieri erano angosciati, soprattutto Castalia, e dispiaciuti per aver abbandonato Pegasus da solo contro quel colosso, ma erano anche fiduciosi che l’amico sarebbe riuscito a sconfiggerlo, raggiungendoli in un secondo momento.
Improvvisamente, non se ne resero neppure conto, si ritrovarono nella nebbia. In una nebbia strana, umida, e piena di voci. Rumori disturbanti che stordivano i loro sensi, rendendo difficoltoso procedere nel cammino. Sibili sottili sferzarono l’aria, mentre Andromeda liberò la Catena per proteggerli da un attacco che non tardò ad arrivare. Una fitta pioggia di frecce li investì poco dopo.
“Attenti!”
– Urlo Castalia, scattando di lato.
“Catena,
disponiti a difesa!” –Esclamò Andromeda, mentre la Catena di Difesa
iniziò a roteare vorticosamente attorno a lui per proteggerlo.
Andromeda poté vedere decine e decine di frecce, che rimbalzavano nella sua difesa, ricadere a terra, ai suoi piedi. Frecce di legno, dalla sottile punta di pietra. Un’arma quasi preistorica! Osservò il ragazzo, prima di lanciare la Catena di Offesa avanti.
Tisifone e
Castalia intanto stavano cercando di evitare le frecce che provenivano da ogni
lato, ma si resero conto che erano veramente tante e loro troppo scoperte.
Alcune frecce raggiunsero i corpi delle due Sacerdotesse, infrangendosi
fortunatamente sulle loro Armature.
“Artigli
del Cobra!” –Urlò Tisifone,
lanciandosi nella direzione da cui provenivano le frecce.
Castalia
fece lo stesso in un’altra direzione, lanciando la Cometa Pungente, che
si schiantò contro un albero, facendo cadere alcuni guerrieri armati di archi
rustici. Ma non ebbe il tempo di rivolgere loro parola che dovette evitare un
nuovo assalto da un altro lato, un’altra fitta pioggia di frecce. I tre
Cavalieri, avvolti dalla nebbia, si stavano involontariamente perdendo,
separandosi l’uno dall’altro, proprio come i loro avversari avevano comandato.
La
Catena di Andromeda sfrecciò tra le nebbie, raggiungendo la cima di un
albero e colpendo un paio di guerrieri; si arrotolò al loro corpo, liberando
violente scariche energetiche, e li tirò di sotto, portandoli davanti a Andromeda,
il quale fu piuttosto sorpreso nel trovarsi di fronte dei soldati del genere.
Immaginava che i Cavalieri Celesti fossero tutti come Bronte, o come Phantom,
ricoperti da lucenti corazze, invece questi erano mezzi nudi, coperti soltanto
di pelli e di vesti di corteccia, e avevano il viso dipinto con tinte colorate.
Andromeda continuò a stringere i due guerrieri, chiedendo loro chi fossero, ma questi non erano intenzionati a parlare. Tirarono fuori due piccoli pugnali e si lanciarono avanti, ma furono travolti dalla Catena di Andromeda e passati da parte a parte. Ricaddero a terra morti, e Andromeda non poté fare a meno di sentirsi in colpa, come si sentiva ogni volta che doveva combattere, ogni volta che doveva ferire qualcuno. Gli parve che la pioggia di frecce fosse cessata, e chiamò a gran voce le due Sacerdotesse, ma nessuna di loro rispose. Maledizione! Ci siamo persi! Commentò, e poi, facendosi forza, liberò nuovamente la Catena di Andromeda, che saettò nella nebbia, facendo strada al ragazzo.
Dopo
qualche minuto Andromeda poté notare le nebbie che si diradavano leggermente,
ritrovandosi in un’ampia radura, circondata da alberi. Si guardò intorno,
cercando di ritrovare il sentiero principale, ma si sentì completamente
disorientato.
“Inutile
che tu cerchi la strada, Cavaliere di Atena!” – Esclamò una voce, proveniente dalla foresta.
“Tanto
è qua che si fermerà la tua corsa!” –Concluse un’altra voce maschile, simile
alla precedente.
“Chi
siete? Mostratevi!” –Esclamò Andromeda, lanciando la sua Catena, che come un
fulmine fendette l’aria, dirigendosi verso i due nuovi nemici.
Con un balzo, due Cavalieri Celesti lasciarono l’albero
su cui erano saliti, per osservare il ragazzo, giungendo nella radura, di
fronte a Andromeda. Erano giovani, molto simili tra loro, e indossavano
un’identica armatura. Anzi no, non è
identica! Osservò Andromeda,
guardandoli con maggiore attenzione. È simmetrica! Quasi complementare! I
due erano alti e ben fatti, con un viso maschile, capelli castani mossi e occhi
marroni, ed erano così simili che Andromeda intuì fossero fratelli.
“Benvenuto
sull’Olimpo, mortale!” –Esclamò uno dei due. –“Pensavamo che sareste morti
tutti nella nebbia!”
“I
cacciatori di Artemide non fanno mai fuggire nessuno!” – Intervenne l’altro.
“I
cacciatori di Artemide?” – Balbettò Andromeda. E subito si ricordò di Castalia
e Tisifone, ancora intrappolate nella nebbia, non avendo un’arma utile, come la
Catena, per uscirne.
“Non
preoccuparti per le tue amiche! Vi rivedrete presto nell’Elisio!” – Ironizzò
uno dei due.
“Ci
prenderemo noi, cura di te!” – Esclamò l’altro, mentre entrambi bruciavano il
loro cosmo. – “Noi siamo i Dioscuri, i figli di Zeus! Castore è il mio
nome, il domatore di Cavalli!”
“Ed
io sono Polluce, il pugile!” –Terminò l’altro. – “Noi siamo i tuoi
avversari, Cavaliere di Atena! I primi e gli unici Cavalieri Celesti di Zeus
che affronterai su questo sacro Monte!”
Nel
frattempo, mentre Andromeda cercava la strada per uscire dalla nebbia, Tisifone
e Castalia erano impegnate in efferati corpo a corpo con questi strani
guerrieri che avevano teso loro un’imboscata nella foresta. Uomini e donne
seminudi, ricoperti di vesti di corteccia e di pelle, armati solo di pugnali,
archi e frecce.
Inizialmente
Castalia mostrò un certo remore nel doverli affrontare, ritenendosi quasi superiore,
poiché dotata dei poteri del cosmo; ma vista l’efferatezza che questi
dimostrarono, non esitando ad aggredirla alle spalle, o ad assalirla in più
d’uno, armati di lame e frecce, mise da parte i propri scrupoli e bruciò il suo
cosmo.
Una
Cometa Pungente travolse una decina di guerrieri dei boschi, mentre
anche Tisifone affondava i propri Artigli del Cobra nel collo di altri,
facendo sempre attenzione a non essere colpita dalle frecce. Un dardo però ferì
Castalia sul collo, in una zona non protetta dalla sua armatura, mentre stava
combattendo contro un gruppo di guerrieri. La Sacerdotessa accusò il colpo,
barcollando e iniziando ad accasciarsi al suolo, perdendo i sensi.
“Castaliaaa!”
–Urlò Tisifone, liberandosi dei suoi nemici con un violento Cobra
Incantatore.
La scarica energetica del
Cavaliere dell’Ofiuco spinse una decina di guerrieri indietro, permettendo alla
donna di correre in aiuto dell’amica. Ma un fendente luminoso le sbarrò la
strada, tagliando in due il terreno e obbligandola a fermarsi.
“Non
curarti di lei! Pensa a me piuttosto, al tuo avversario!” – Esclamò una voce
maschile, mentre una sagoma indistinta prendeva forma nella nebbia.
“Chi
sei?” – Urlò Tisifone, lanciando gli Artigli del Cobra. Ma le sue
scariche energetiche si persero nella nebbia, troppo imprecise per colpire il
suo avversario, che si mostrò poco dopo, presentandosi come Atteone,
Cacciatore Celeste di Artemide.
“Atteone?!”
– Ripeté Tisifone, osservando il giovane.
Era
alto, muscoloso, con folti riccioli mori e barba incolta, ricoperto in parte da
un’Armatura Celeste, dal colore che tendeva al verde, e ornata con pelli e
frammenti di corteccia, come i guerrieri che aveva affrontato prima. Intorno
alla vita, appesa a una cintura di cuoio, portava una lama e una frusta
arrotolata, non dissimile da quella che anche Tisifone aveva in dotazione.
“In
persona!” –Esclamò, uscendo dalle nebbie, che parevano aprirsi al suo
passaggio. –“Figlio di Aristeo e Autonome, fui addestrato all’arte della caccia
da Chirone, il centauro immortale, e fui sbranato vivo dai cani di Artemide per
aver osato guardarla mentre si bagnava! Ma Zeus, impressionato dalle mie
imprese, mi richiamò a nuova vita, e da allora servo Artemide, figlia di Zeus!
Tu, donna, sei nel territorio della Dea della Caccia, ma io fermerò qua il tuo
cammino!”
“Tsè..”
–Lo schernì Tisifone, con spavalderia, bruciando il proprio cosmo. –“Non mi
farò certo fermare da un selvaggio!” –E scattò avanti, liberando scintille
energetiche dal proprio braccio.
Atteone
evitò l’affondo della donna, balzando in alto, si aggrappò a un ramo, vi
volteggiò sopra e ritornò indietro, colpendola in pieno petto, mentre Tisifone
si voltava per cercarlo. La spinse indietro fino a farla cadere, poi srotolò la
frusta, afferrando la donna per il collo, come un cappio, che strinse sempre
più, prima di sbatterla con forza contro un albero.
“Arrgh!”
–Urlò Tisifone, portandosi le mani al collo, per liberarsi da quel nodo che la
stava facendo soffocare. Ma appena afferrò la frusta, una violenta scarica
energetica la fece vibrare e urlare di dolore.
“Non
sono così primitivo!” –Commentò Atteone, con un sorriso ironico. Quindi il
ragazzo fece un fischio, chiamando a sé un gruppetto dei suoi guerrieri degli
alberi. -“Portatela da Artemide!” – Ordinò loro, indicando il corpo inerme di
Castalia, non molto distante. – “Se ne occuperà lei! Uccido questa e vi
raggiungo!”
Detto
questo i guerrieri degli alberi sollevarono senza molta cura il corpo ferito di
Castalia e la portarono via, scomparendo con lei tra le nebbie.
“Cosa
le hai fatto? Dove la portano, maledetto?” –Urlò Tisifone, dimenandosi ancora.
“La
freccia che ha colpito la Sacerdotessa tua compagna era intrisa di un mortale
veleno, come tutte le altre che vi abbiamo diretto contro! Siete state abili, non
l’avrei mai creduto! Ma forse è tutto merito delle dorate vestigia che indossi,
donna! Ti hanno protetto la pelle, ma la tua amica non è stata altrettanto
fortunata!” –Commentò Atteone, liberando una nuova scarica energetica che
percorse l’intera frusta, avvolgendo Tisifone e facendola urlare nuovamente di
dolore. –“Muori adesso, invasore dell’Olimpo!”
E
la scaraventò contro un albero, facendole sbattere la testa con forza. Tisifone
perse l’elmo dorato dell’Armatura del Cancro, vomitando saliva e perdendo
sangue dal naso. Afferrò nuovamente la frusta, cercando di sopportare il dolore
della scarica energetica, ed espanse il proprio cosmo. Potenziato dal caldo
potere del Cancro Dorato.
“Sciocca!”
– Urlò Atteone, strattonando la frusta.
Ma Tisifone puntò saldamente i piedi al terreno,
impedendogli di sballottarla ancora. Concentrò il cosmo sulla mano destra,
mentre con la sinistra stringeva la frusta e poi liberò i proprio Artigli
del Cobra, trinciando in più punti la sferza di Atteone, svincolandosi così
dalla soffocante presa. Poi si lanciò
avanti, più a casaccio che realmente convinta di cosa fare, ma il suo attacco
fu troppo lento per avere effetto. Atteone lo evitò e la colpì con un violento
calcio in pieno petto, che spinse la donna indietro di parecchi metri, fino a
farla sbatacchiare contro un albero. Tisifone
sputò sangue per un momento, ansimando per lo sforzo, prima di sollevare gli
occhi verso il suo avversario. Tremò, chiedendosi cosa ne sarebbe stato di
Castalia.
Mentre
i combattimenti ai piani bassi dell’Olimpo avevano luogo, la Reggia di Zeus era
immersa in un sepolcrale silenzio. Il Dio dell’Olimpo si era rifugiato nelle
sue stanze, dando ordine di non essere disturbato per alcun motivo, affidando a
Flegias, suo Consigliere Privato, il compito di curare la difesa del Sacro
Monte. E Flegias, figlio di Ares, non si era certamente tirato indietro,
desiderando ardentemente sgominare i Cavalieri di Atena. Un gruppo di
fanatici idealisti che rappresentano soltanto un ostacolo ai miei piani di dominio!
Aveva riflettuto, ordinando ai Ciclopi di radunare i Cavalieri Celesti e
prepararli per difendere l’Olimpo.
“Dubito
che riusciranno ad arrivare fin qua! Ci sono troppi Cavalieri e Divinità sulla
loro strada!” – Aveva commentato, con Sterope. –“Ma è un’eventualità che
dobbiamo assolutamente impedire, ne va della reputazione del Sommo Zeus!”
Sterope
del Fulmine aveva convocato
immediatamente i Cavalieri Celesti, dando disposizioni a loro e alle altre
Divinità presenti sull’Olimpo, per contrastare l’avanzata dei Cavalieri di
Atena. Tutti avevano annuito, anche se molti di loro avrebbero preferito
evitare uno scontro con loro; ragazzi che, in passato, avevano combattuto
nemici come Lucifero e Ade, con cui lo stesso Zeus più volte aveva avuto
occasione di scontrarsi.
“Sia
chiaro! Nessun favoritismo!” –Ordinò Flegias. –“Nessun Cavaliere di Atena deve
raggiungere la Reggia degli Dei!” –E nel dir questo incontrò lo sguardo
preoccupato di Phantom dell’Eridano Celeste, il Luogotenente
dell’Olimpo. –“A tal riguardo…” -Aggiunse a bassa voce, rivolgendosi solamente
a lui. –“Sono piuttosto dispiaciuto per il fallimento dell’attacco di questo
pomeriggio, Cavaliere dell’Eridano! E sono certo che anche il Sommo Zeus non
abbia piacere nell’apprendere che il Grande Tempio non è stato raso al suolo
come aveva ordinato, e che molti Cavalieri Celesti, e una Divinità, sono
caduti!”
“Sono
mortificato, mio Signore!” –Si scusò il Luogotenente, inginocchiandosi.
–“Eravamo tutti convinti di avere facile vittoria, che non vi fosse sufficiente
resistenza! Ma avevamo sottovalutato i Cavalieri di Atena!”
“Zeus
ti ha dato fiducia, Phantom!” –Lo brontolò Flegias. –“Nominandoti Luogotenente
e affidandoti il supremo incarico di sgominare le forze della sua nemica! È un
vero peccato che tu l’abbia deluso! Voglio sperare che eventi simili non si
ripeteranno!” –Sibilò, allontanandosi.
No! Mormorò Phantom, rialzandosi e indossando nuovamente
l’elmo della sua Armatura Celeste. Non si ripeteranno!
In
quel mentre un cosmo parlò alla sua mente, costringendolo a voltarsi e a
incontrare lo sguardo preoccupato di un vecchio uomo, avvolto da una semplice
tunica marrone. Morfeo, il Dio dei Sogni. Senza dire niente, Morfeo si
incamminò lungo i corridoi di marmo, diretto verso le sue stanze, e Phantom lo
seguì, immaginando che volesse parlargli. Quando il Luogotenente entrò nella
stanza di Morfeo, fu afferrato di scatto e spinto lontano dalla porta, che il
Dio richiuse subito alle sue spalle.
“Che
succede?” –Domandò agitatamente Phantom. Ma Morfeo gli fece cenno di tacere,
con due occhi pieni di terrore.
“Senti
questi cosmi che si accendono, Nobile Eridano?” –Chiese Morfeo, concentrando i
propri sensi. – “Li conosci?” –Phantom fece altrettanto, riconoscendo il cosmo
argenteo di Castalia, ed altri sei che aveva già sentito ma non riusciva a
focalizzare.
“Ne
conosco uno soltanto, mio Signore! Di una Sacerdotessa!”
“Perfetto!”
–Rispose Morfeo, sussurrando. –“Portala qua! Adesso!”