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Autore: Marti Lestrange    31/07/2013    1 recensioni
OS introspettiva, leggermente nonsense, forse, e anche un pochino malinconica. Dedicata agli amori travagliati.
Dal testo:
{- Vattene – ripeto, a voce più bassa, più roca, più stanca.
Sì, sono stanca. Sono stanca di mandarti via, perché ogni volta è sempre peggio, ogni volta è sempre più difficile. Eppure lo faccio, e lo rifaccio, in questa altalena di entrate ed uscite che siamo noi – tu e io, sbagliati eppure involontariamente giusti.}
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Nonsense | Avvertimenti: nessuno
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Piccola premessa: non so bene cosa sia. Sul serio. Ieri sera è uscita così, di getto, dopo aver letto la citazione. Penso sia dedicata a tutti gli amori travagliati e tormentati, quelli che ci tolgono il sonno e la fame, che ci fanno sostare sull'orlo del baratro, sempre in attesa della caduta.
Buona lettura!



 


Non sento niente {ti sento}
 
 
 

“Urlo “vattene" ogni volta che litighiamo
e ogni volta spero che tu non mi prenda sul serio.”
— Giulia Carcasi

 
 
 
Una porta sbatte. Il suo “sbam” è assordante. Rimbomba nella mia testa, dilaga nelle mie orecchie – mi invade. Si ripercuote nella mia memoria, forte ed echeggiante di parole non dette. Parole che premono per uscire, battono contro la cassa toracica, insistenti, ma non raggiungono il cervello – non raggiungono la bocca. Sto zitta, come al solito. Stare zitta è la cosa che so fare meglio, dopo averti gridato addosso tutto il mio odio, dopo averti urlato tutto il male – dopo averti guardato raccogliere le tue cose, diretto alla porta. La porta – come sempre – è lì, solida e testimone delle nostre tempeste. Sempiterna.
 
 
- Vattene – ti urlo.
- Cosa? – mi chiedi, guardandomi sorpreso. I tuoi occhi scuri hanno sempre avuto un certo potere, su di me, ma in questo momento mi sento stranamente indifferente, come sospesa in un limbo desolato e arido, con il sole battente sulla testa – e nonostante tutto, non sento niente. Non sento il caldo, non sento il fuoco della sabbia sotto i piedi, non sento il sole a picco e i raggi roventi sulla pelle – non sento niente.
 
 
- Vattene – ripeto, a voce più bassa, più roca, più stanca.
Sì, sono stanca. Sono stanca di mandarti via, perché ogni volta è sempre peggio, ogni volta è sempre più difficile. Eppure lo faccio, e lo rifaccio, in questa altalena di entrate ed uscite che siamo noi – tu e io, sbagliati eppure involontariamente giusti. E forse lo siamo davvero – giusti. Lo siamo senza saperlo e, quando ce ne accorgeremo, sarà ormai tardi, perché tu un giorno uscirai da quella porta senza tornare indietro. Mai più.
 
 
Lo faccio ogni volta, ti grido di andartene - una, due, tre, dieci volte. E tu te ne vai, in silenzio, senza aggiungere altre parole, forse perché ne hai già spese troppe. Ogni volta ritorni, però. Passo tre giorni raggomitolata sul letto, aspiro il tuo profumo che sa di mancanza, stringo un cuscino e aspetto – ti aspetto. Lascio il mondo fuori e mi rintano dentro - dentro la mia anima scassata - e sento il cuore battere fievole, in attesa.
 

Sento la chiave girare nella serratura e quel suono mi sa di te, mi ricorda un preciso momento del passato: la prima volta in cui sei uscito da quella porta, e la prima volta in cui sei tornato indietro, e mi hai stretto a te, così forte da farmi male. E ogni volta è sempre uguale. Entri in casa, sento i tuoi passi veloci, come se fossi inseguito da un demone, poi ti fermi sulla soglia della stanza e mi osservi. Io non ti guardo, ma sento i tuoi occhi addosso, e in quel momento sento tutto il caldo. Sento la profondità di quelle iridi, la loro insistenza, tenacia, forza. Ti sento sulla pelle prima ancora di sentire le tue braccia intorno a me, forti e calde. Mi stringi, mi abbracci, il tuo petto contro la mia schiena, il tuo viso tra i miei capelli. Aspiri il mio profumo così come io aspiro il tuo – e all’improvviso tutto torna apposto.
 
 
Mi rigiro tra le tue braccia, il mio naso sfiora il tuo, premo le mie labbra sulle tue, e rispondi al mio bacio con impeto, e il respiro diventa irregolare, come se il bisogno primario di ossigeno passi in secondo piano. Tutto il resto diventa irrilevante. Mi baci e immergi una mano tra i miei capelli, e ti sento vicino - tutto intorno a me, su di me, dentro di me. Facciamo l’amore mentre fuori piove e non mi interessa quello che c’è stato prima, non ricordo più i litigi e le tempeste, né i silenzi tesi e gli sguardi spenti. Ci sei solo tu – ci siamo solo noi. Una porta sbatte in lontananza, ma io non la sento. 

   
 
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