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Autore: Eryca    01/08/2013    3 recensioni
Fu il cuore di Magnolia che parlò quando Tobia la strinse forte a sé, baciandola una, mille volte, lasciando che le loro pelli si scaldassero a vicenda, mentre la neve fredda gli faceva da coperta. Qualcuno disse di aver sentito il dolce suono di baci proibiti.
***
Magnolia cammina da così tanto tempo in strada che si è quasi dimenticata il profumo dei fiori e la morbidezza dell’erba primaverile. Ma non è sempre stato così. C’è stato un tempo in cui scorrazzava per le praterie insieme a lui.
È stato il suo stesso silenzio a portarla al Nulla.
***
Storia Vincitrice del Premio Speciale Ambientazione allo Spoon River Contest.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cronache del Nulla

 

***

 

 

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Non c’è sabbia che il vento possa alzare, in questa strada. L’asfalto ha soffocato il terreno e ora serpeggia tiranno per chilometri di lande desolate, senza che nulla lo possa fermare. Il panorama perfetto sarebbe costituito da una balla di fieno a rotolare e il sole a scaldare ogni cosa, a sciogliere. Ma non si può avere tutto dalla vita ed è per questo che Magnolia alza le spalle rassegnata, accettando come paesaggio il vento che non può alzare la sabbia e il demone di catrame. Chissà perché, poi, l’ambientazione è così importante: se si è tristi piove, se si è felici vi è il sole. Si potrebbe essere tristi mentre il bel tempo regna sovrano oppure avere una gioia incontenibile nonostante piova. Magnolia scrolla le spalle per la seconda volta nel giro di pochi minuti e continua a camminare sul serpente di asfalto, cercando di dimenticarsi che quella strada – sì, proprio quella – porti verso il Nulla. Attorno a lei vi è solo un’immensa distesa di bianco candido, non vi è un suolo, non vi è un cielo: solo bianco. Nulla. Nulla e l’asfalto. Che emozione suscita il Nulla, poi? Forse l’indifferenza o forse, molto più probabilmente, l’aridità emotiva. Alza le spalle, Magnolia. Per la terza volta. L’abitudine la porta a sollevare lo sguardo, in cerca di un cartello stradale che la possa aiutare a ritrovare la giusta via, ma subito si dà della stupida e torna a fissare il nero. Sono passati anni da quando aveva una rotta. Sono passati anni da quando guardava le segnalazioni. Sono passati anni, ormai. Eppure le vecchie abitudini la colgono ancora di sorpresa inducendola ad alzare quello sguardo, quello che rimane sempre abbassato, quello che non conosce più colore se non il nero dell’asfalto e il bianco del Nulla. Come si può andare avanti così? Magnolia non credeva fosse possibile, ma poi si è perduta. Prima sapeva quale strada avrebbe dovuto imboccare poi, così – questione di un solo impercettibile istante, un secondo solo, un minimo, minuscolo attimo – non lo sapeva più. Prima lo sapeva, dopo non lo sapeva. Ho perso la via. Prima sapevo dove andare e ora non più. Questione di un attimo e il Nulla prende il sopravvento.

Ma c’era un tempo – sono passati anni, ormai – in cui camminava sicura per le vie. Insieme a lui. Mano nella mano. Aveva una rotta, sapeva dove andare. Ma poi... poi si è ritrovata sola.

Ed è stato allora che si è persa.

 

 

 

«Ciao.»

Glielo aveva detto così, ancora se lo ricorda. L’aveva guardata, da lontano, e le aveva detto Ciao. Ciao, niente di più. Ciao come si dice al postino, ad un amico, ad un conoscente, ad un gelataio, ad un marinaio, al cane. Ciao.

Stava camminando su una stradina sterrata, intorno a lei vaste distese di erba e fiori. Poi, di fronte a lei, lontano qualche metro, vi era questa sagoma. Questa sagoma che le aveva urlato Ciao. Non le piacevano gli estranei, bisognava faticare per conoscerli e lei era troppo pigra per provare a parlare. Non le piaceva nemmeno parlare, no. E faticare. Faticare e parlare. Non le piaceva. Eppure quella figura prese ad avvicinarsi, sempre di più, sempre di più. Si fermò a qualche metro da lei, senza dire nulla. Se ne stava lì, impalato nel bel mezzo della strada sterrata, a fissarla. Ora che poteva vederlo con chiarezza, Magnolia constatò che si trattava di un ragazzo dagli occhi neri. Neri come la pece. Interamente neri. Nera la pupilla, nera l’iride, nera la sclera. Pensò che fossero belli.

«Ciao.»

Ma Magnolia non aveva alcuna voglia di rispondere al suo saluto, nonostante lo avesse replicato. Rimase in silenzio a guardare quegli occhi scuri, domandandosi da dove diavolo fosse spuntato fuori, quel tipo.

«Non ti va di parlare?» Fece di no con la testa e il ragazzo la guardò ancora più intensamente, avvicinandosi a lei a tal punto che avrebbe potuto toccarle il naso, se solo avesse voluto. Era un estraneo strambo, quello. I suoi occhi neri erano ancora più scuri, visti da vicino: due enormi pozze color pece dentro le quali potevi sguazzare per ore e ore, senza mai annoiarti. Le piacevano, quegli occhi.

«In questo caso, parlerò io per tutti e due.» Lo disse sorridendo, mentre la sua voce allenata riempiva l’aria come musica. Avrebbe ascoltato quel suono per ore e ore. Avrebbe parlato lui per entrambi, dopotutto.

Magnolia pensò che non era poi così male, quell’estraneo strambo.

 

*

E così camminarono.

Camminarono vicini, le braccia a sfiorarsi, mentre il ragazzo dagli occhi di pece continuava a riempire il silenzio di musica, raccontando di luoghi paradisiaci e animali inimmaginabili. Aveva percorso un’infinità di strade e Magnolia invidiava il suo senso dell’orientamento. Non aveva ancora parlato, ma in fondo non ce n’era il bisogno, si stava bene così. Non avrebbe avuto senso sprecare parole e sporcare la melodia della voce dell’estraneo.

«Mi chiamo Tobia» disse d’un tratto, fermandosi, smettendo di camminare e prendendola per un braccio, delicatamente, come si coglie uno di quei fiori stupendi e fragilissimi. Magnolia si sentì bene a contatto con la sua pelle. Bene. Guardò quegli occhi di pece e si disse che la parola bene si addiceva alla perfezione a quell’estraneo. Tobia la guardava in attesa, mentre la muta richiesta di sapere il nome della ragazza si faceva sempre più evidente.

«Io sono Magnolia.»

E allora lo fece. Tobia la guardò a lungo. Poi. Poi si avvicinò e posò le labbra sulle sue. Bacio di fata. Bacio innocente. Bacio che non si può male interpretare. Solo labbra. Labbra di fragola. Un contatto così impercettibile che Magnolia si chiese se non se lo fosse solamente immaginato.

Eppure lui se ne stava lì, davanti a lei, con quegli occhi neri.

Magnolia pensò di aver finalmente trovato la sua strada.

 

*

Per molto tempo camminarono fianco a fianco, le mani intrecciate, mentre il paesaggio mutava e le stagioni si alternavano. L’inverno portò con sé immense steppe di bianco candore che andavano a contrastare con le palle nere che erano gli occhi di Tobia. Il freddo non la toccava, a lei che adorava sentire il ghiaccio sotto i suoi piedi scalzi e lasciare che l’aria gelida le plasmasse la pelle a suo piacimento. Il suo compagno di viaggio, invece, sembrava seriamente scosso dalle basse temperature, così Magnolia si tolse lo spesso maglione di lana per donarlo a lui.

«Di solito questa scena è invertita» commentò divertito, mentre la ragazza lo imitava, senza però emettere alcun suono. Ormai Magnolia era convinta che Tobia avesse fatto l’abitudine al suo silenzio, ogni tanto commentava qualche sua frase, certo, ma in linea di massima non apriva bocca, lasciando che lui rallegrasse l’aria con la sua voce. Non si stancava mai di sentirlo parlare con quella su cadenza melodica e la erre pizzicata che lo distinguevano.

Magnolia stava bene accanto a lui. Le piaceva sentire la mano forte del ragazzo intrecciata alla sua, in quel modo tanto infantile quanto adulto. C’erano attimi in cui le sarebbe piaciuto stringerlo a sé e baciarlo ancora una volta, come quella volta in cui lui aveva posato le labbra sulle sue e poter entrare dentro a quei suoi occhi misteriosi, poter scoprire l’arcano che era Tobia. Avrebbe voluto parlare, raccontargli qualcosa, proprio come lui faceva con lei, fargli sentire il suono della sua voce e poter intonare una splendida canzone insieme a lui. Avrebbe voluto dirgli che mai, mai in tutta la sua vita, mai in tutti quegli anni in cui aveva camminato, mai aveva incontrato estranei come lui, mai aveva visto occhi come i suoi. Avrebbe voluto dirglielo, Magnolia.

Ma lui le rivolse uno di quei suoi sorrisi genuini e lei si disse che se solo avesse aperto bocca, lui sarebbe fuggito, sarebbe scappato via e lei non avrebbe più sentito quel tepore che la sua mano le donava. Rimase in silenzio, Magnolia. Ancora.

«E se uscissimo di strada?»
E se uscissimo di strada? Da sempre esistevano terribili leggende su chi aveva tentato di uscire dalla strada. Una in particolare aveva sconvolto l’animo di Magnolia: narrava di due giovani ribelli che, uniti da un sentimento di libertà, avevano messo piede al di fuori dell’asfalto; non appena avevano toccato l’erba verde delle rigogliose praterie, i loro occhi erano divenuti del colore del Nulla e i due avevano iniziato a camminare verso l’Orizzonte che, crudele, li aveva inghiottiti. Si diceva che vagassero ancora nell’Orizzonte in cerca della strada.

Magnolia, quindi, guardò con occhi terrorizzati Tobia, iniziando a scuotere la testa in modo frenetico, facendo segno di no.

«Magnolia, insomma, sono solo stupide leggende. Nessuno ci crede più.» Il ragazzo le appoggiò le mani sulle spalle – brividi. «Vuoi davvero continuare a camminare per la strada? Non hai la voglia disperata di coricarti su quella neve bianca? Guarda:» la fece voltare verso le interminabili praterie che circondavano il serpente d’asfalto «Vuoi dirmi che non ne varrebbe la pena?»

La ragazza lasciò che il suo sguardo si posasse su quella splendida coperta di fiocchi di neve che andava a scaldare il terreno fertile, quello che sarebbe tornato più smeraldino che mai, in qualche mese. Chiuse gli occhi e si immaginò sdraiata su quel dolce fresco, abbandonata alla morbidezza della neve, quella di cui aveva sempre sentito parlare, ma che mai aveva provato. Sulla strada vi era solo ghiaccio. E la neve era lì, a qualche metro, le sarebbero bastati pochi passi e avrebbe potuto toccarla, assaggiarla – libertà. Rivolse la sua attenzione a quel nero pece che erano gli occhi di Tobia ed infine una strana consapevolezza si impossessò di lei. Succede così, di improvviso, quando un minuto prima stai pensando che è una follia, il minuto stai correndo per le steppe. È fatta così, la consapevolezza: prima non c’è, dopo c’è. Circondò il viso tondeggiante del ragazzo, si impresse quel ricordo nella memoria obbligandosi a ricordarlo in eterno, poi lo baciò.

E quel bacio avrebbe dovuto dire tutte le cose che non aveva mai detto, tutti i racconti che non aveva raccontato, tutte le paure che non aveva esternato e ora la attanagliavano, impedendole di parlare. Quel bacio doveva dire Libertà.

«Era un sì?» le domandò Tobia, un sorrisino che gli increspava le labbra, non appena si separarono. Il rumore del silenzio, il freddo a gelarle le guance, gli occhi neri di lui, la consapevolezza che solo così, solo in quel modo avrebbe potuto dimostrargli qualcosa, quel qualcosa che non riusciva a fare a parole. E allora fu un niente annuire.

Mani nelle mani, occhi negli occhi. Si avvicinarono al bordo della strada, che ora sembrava così indistruttibile, così lunga ed infinita, il Serpente d’Asfalto ad ucciderli, ad opprimerli, a costringerli ad un esodo eterno. Mani nella mani, occhi negli occhi. Tobia sporse un piede. Solamente un piede si andò a posare sulla superficie candida, mentre il resto del suo corpo rimase nell’area dell’asfalto.

Un solo piccolo piede a ribaltare un’intera certezza. Un solo piccolo piede nella neve e gli occhi di Tobia ancora di un nero brillante. E allora nulla li trattenne più: si lanciarono con un salto nella neve, sprofondandovi dentro e ridendo, ridendo di gusto, ridendo gioia, ridendo come mai avevano riso. Perché succede così quando la Libertà sconfigge la Paura, non vi è più storia che regga, non vi è più leggenda che possa frenare gli spiriti, ormai in volo, in alto, sempre di più.

E fu il cuore di Magnolia che parlò, quel giorno, nonostante la sua voce continuasse a rimanere in gabbia. Fu il cuore di Magnolia che parlò quando Tobia la strinse forte a sé, baciandola una, mille volte, lasciando che le loro pelli si scaldassero a vicenda, mentre la neve fredda gli faceva da coperta. Qualcuno disse di aver sentito il dolce suono di baci proibiti. Ma c’era solo il vento come testimone, quando Tobia penetrò dolcemente Magnolia, entrando dentro la sua anima, scavandole il cuore e lo spirito.

 

*

La gente sostiene di aver visto, da quel giorno, due giovani vagare indisturbati per le praterie, fuori dalla strada. Alcuni dicono fossero demoni mandati dall’Orizzonte per tentare i più deboli, altri erano sicuri si trattasse di angeli. Forse erano davvero demoni. Forse erano davvero angeli. Forse erano entrambi. O forse, Magnolia e Tobia erano solo innamorati. Il tempo aveva smesso di infastidirli e loro, liberi dalla paura, giacevano nelle steppe amandosi senza limiti. La neve cedette il posto all’erba, che accolse benevola sul suo manto i due ragazzi. Gli occhi color pece di Tobia erano il paesaggio che Magnolia preferiva ed era solita baciarli: prima uno, poi l’altro – dolcemente. La strada e la sua gabbia erano un ricordo ormai lontano, così come il bisogno di parlare che Magnolia aveva sentito prima di mettere piede fuori dall’asfalto; la ragazza dimenticò tutto ciò che avrebbe voluto dire al suo amato e il silenzio tornò a fare ombra su di loro, senza che lei se ne accorgesse. Succede così, quando si sta bene: si danno per scontate le cose più banali. Come parlare. I lunghi racconti di Tobia andarono diminuendo: prima erano molti, poi pochi, poi di meno, ancora meno, sempre meno. Magnolia non diede troppa importanza a questo fatto, presa com’era a lasciare che la pelle del suo amato toccasse la sua. Ma Tobia lo sentiva. Sentiva che il silenzio lo stava soffocando, prendendosi non solo le parole della ragazza, ma anche le sue. Minaccia incombente rendeva insopportabile quell’amore. Le parole non dette tornarono a galla dal passato, pretendendo la loro vendetta, esigendo quel posto in prima classe che gli era stato sottratto. Crudeli e più forti che mai gravarono su Tobia, stufo di quella quiete forzata, stanco di un amore che non parlava.

E fu quando il silenzio si impossessò completamente di lui che, una mattina primaverile, guardò Magnolia che dormiva beata accanto a lui, i lunghi capelli a farle da corona, un sorriso sereno stampato sul suo viso, persa in chissà quale sogno muto. Muto come lei. Muto come il loro amore.

Osservò quelle sue splendide labbra – Dio, che labbra aveva – quelle a cui aveva rubato centinaia di baci, quelle che si erano posate nelle parti più intime del suo corpo. Osservò quelle labbra che conosceva tanto bene. Osservò quelle labbra sconosciute, belle ed inarrivabili, incapaci di pronunciare una sola parola. Una parola per lui.
Osservò quelle labbra, Tobia. Pianse una lacrima solitaria. Poi – perché così doveva essere – lasciò la mano del suo amore. E si allontanò solo.

In silenzio.

 

 

Non c’è sabbia che il vento possa alzare, in questa strada. Ma Magnolia non ci fa caso e continua il suo vagabondare senza meta, volgendo lo sguardo a quelle immense praterie che ancora oggi custodiscono il segreto di quell’amore proibito ormai sbiadito. Tornare in strada era stata l’unica soluzione possibile quando, quella mattina primaverile, si è svegliata sola, la mano del suo amore svanita, così come lui. Aveva ascoltato il suono di quel vento e così, senza dire nulla, aveva maledetto il silenzio e il suo non averle fatto udire i passi di Tobia che se ne andava.
Era tornata nel serpente d’asfalto, perché – ora lo sapeva – l’unica cosa che le aveva dato la forza di fuggire era stata quell’emozione insensata, quella che non si sa bene come chiamare. Alcuni la chiamano Amore. Magnolia la chiama Follia.

Chissà per quanto tempo ancora la vedrete girovagare per le strade, circondata dal Nulla. Forse per secoli. Forse di più. Una cosa, però, Magnolia l’ha capita: La lingua è magari un membro indisciplinato - 
ma il silenzio avvelena l'anima. 

 

 

***

 

 

 

 

Note

Questa storia partecipa allo Spoon River Contest, sul forum di Efp. Il concorso consiste nello scrivere una storia partendo da una citazione dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters.
Ho voluto creare un universo alternativo ed ipotetico per interpretare la citazione che mi era stata assegnata, ovvero:
La lingua è magari un membro indisciplinato - 
ma il silenzio avvelena l'anima.
 
La strada, la prateria e le vicende che si susseguono in questo piccolo testo sono un’allegoria della citazione e di ciò che significa per me. La morale è piuttosto esplicita, quindi non starò a farvi perdere tempo per spiegarla.
Il contest non è ancora terminato, ma non appena saprò i risultati non tarderò a pubblicarli sulla pagina di questa storia, quindi... stay tuned! :D

Questo breve racconto è un vero esperimento per me, quindi se mi lasciaste un commentino dicendomi il vostro parere ve ne sarei estremamente grata e sarebbe, inoltre, un vero piacere potervi rispondere.

Con affetto,
Eryca.

 

   
 
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