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Autore: monnezzakun    08/08/2013    2 recensioni
Alla fine un principe è meno di niente senza la sua Fata Madrina.
Genere: Comico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Axel, Roxas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
- Questa storia fa parte della serie 'Sleeping Beauty'
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Sleeping Beauty ~
di fate madrine, desideri e pennichelle


 

#It can only do good, dear,
to bring joy and happiness.


 

Il principe Roxas, secondogenito della eccelsa casata reale del regno delle Destiny Island, secondo in successione al trono e ospite d'onore da sette anni consecutivi alla nobilissima fiera del gelato al sale marino svoltasi ogni anno nel regno attiguo di Crepuscopoli, scostò le sottili coperte di seta dal suo letto e si preparò per l'imminente inizio della sua principesca giornata.
Indossate vesti più idonee alla vita pubblica e pettinata la chioma d'oro brillante, chiamò nella camera il suo servo privato perché gli elencasse con la regolare perfezione – tipica dei servitori della sua così blasonata dinastia – le mansioni che lo aspettavano nel pomeriggio.
Fu con una piccata punta di fastidio, però, che venne a sapere da Demyx, accorso al suo richiamo trafelato e maldestramente intento a darsi un'aria rispettabile, che Zexion purtroppo era accorso in un incidente di dubbia natura e per questo era relegato a letto in malattia.
Roxas sospirò, lisciandosi le vesti. Il suo aristocratico nasino venne arricciato dal disappunto quando lo scudiero iniziò ad annunciargli con confusione il discorso probabilmente scritto dal suo valletto personale, ma ben presto si ritrovò a sorridere quando Demyx disse che non credeva ci fosse alcun compito prefissato per Vossignoria. Pomeriggio libero. Aveva il pomeriggio libero.
Aspettò che Demyx s'inchinasse goffamente ed uscisse dalla stanza, prima di scaraventarsi sul letto a baldacchino e iniziare a saltare a più non posso sul materasso di squisita manifattura.
Il pomeriggio libero significava niente odiosi pomeriggi con gente barbosa, nessuna lezione a cui attendere insieme al principe Sora, nessuno stupido dovere a cui applicarsi – sul serio, che razza di principesco dovere era “prendere il tè con la principessa Naminé”, lo faceva ogni volta! Perché renderlo un dovere, costringendoli dunque a passare l'intero pomeriggio al tavolino da tè invece che lasciarli poi liberi di fare una passeggiata nei giardini?
Si liberò subito degli stupidi vestiti pieni di bottoni e ghirigori, scomodi da morire, per infilarsi i pantaloni di grezza tela marrone e la casacca color panna – entrambi con il giusto numero di bottoni e una profusione di tasche, alcune della quali grandi come una grossa, grossa pigna.
Rincorse Demyx lungo il corridoio, sorridendogli allegro. Lui capì subito che no, non era più in modalità aristocratico e che poteva comportarsi normalmente, quindi ricambiò subito il sorriso e corse insieme a lui giù per le numerose scale. Passarono le stanze piene di quadri e sfarzosi ghirigori, le biblioteche infinite e i dedali di corridoi. Il palazzo era sempre quieto, sfarzoso e ripiegato con cura come un abito da cerimonia, nascosto sul fondo della valle come i gioielli più preziosi e cari di una regina. Non accadeva mai nulla che non fosse anticipato da settimane di accordi, inviti ripetuti, gesti pianificati nell'evenienza anche più lontana.
A Roxas non era mai piaciuto, vivere così. Ogni mattina si svegliava e si preparava ad essere il Principino, non Roxas, mai Rox, solo il Principino. Non erano consentite le cavalcate selvagge in cui poteva lanciarsi solo il giorno del suo compleanno, la compagnia dei servitori – dei suoi amici – era severamente proibita e considerata inopportuna per il suo rango.
Sbuffò, aiutando Demyx a tenere fermo il cavallo in modo che lui potesse sellarlo. Gli sarebbe piaciuto, essere uno stalliere. Demyx era sempre così contento, così sorridente. Aveva il suo angolino di pace, nella residenza poco lontana dalle stalle che si dividevano i servi – un letto di paglia, coperte ruvide, quel tanto per vivere e quel gruzzolo di soldi sotto l'asse che gli sarebbero serviti, un giorno, per riparare quel suo vecchio sitar scolorito, ereditato da chissà chi nella sua confusa linea genealogica. Era strano che non sapesse nemmeno il nome di suo nonno, lui aveva un intero arazzo nella galleria della famiglia cucito solo per decantare con quanto ardore solesse parlare del vino e delle sue eccelse qualità.
Roxas montò a cavallo, salutando Demyx con un cenno prima di muoversi al trotto lungo il sentiero acciottolato che l'avrebbe condotto attraverso il giardino fino al limitare del boschetto che era stato fatto crescere lungo la facciata interna delle mura.
Gli zoccoli del cavallo smisero di fare rumore quando passarono dal viottolo all'erba morbida e umida che ricopriva il terreno della boscaglia. Continuò a cavalcare in silenzio per diversi minuti, respirando l'aria fresca che spirava attraverso i rami degli alberi, carezzandogli la nuca e scompigliandogli i capelli. Da poche settimane l'aria era diventata più calda ed i prati verdeggianti dopo la primavera avevano iniziato a richiedere più acqua, così come le piante disposte con cura nelle grandi aiuole disposte in circolo attorno alla fontana.
Stava arrivando la stagione dei grandi balli all'aperto, della caccia nei campi non coltivati dove gli animali trascorrevano le loro vite lontano dall'uomo, delle lunghe serate in cima alla torre in compagnia della Fata Madrina. Perché come ogni principino che si rispetti anche Roxas aveva la sua Fata Protettrice, la creatura sovrannaturale invisibile ad occhi estranei che lo accompagnava e consigliava nella sua crescita. Ne parlava con suo fratello il principe Sora, ogni tanto, e lui arrossiva e rimaneva sul vago, alludendo alla presenza di una sua personale Fata ma senza mai parlarne esplicitamente. Anche Roxas, dopotutto, non amava molto parlare della sua protettrice. Forse perché non era proprio una fata madrina. Non era nemmeno davvero una fata e di sicuro non era una donna, ma-
Il cavallo sbuffò e si fermò, scuotendo infastidito il capo. Roxas lo guardò sorpreso – era raro che Albatros s'agitasse così – ma poi scorse la figura distesa sotto un albero ed un sorriso divertito gli nacque sulle labbra. Scese da cavallo, assicurandolo ad uno dei rami più bassi di un albero poco lontano, agganciando gli stivali alla sella per potersi avvicinare a piedi nudi senza fare troppo rumore. Si mosse lentamente, le piante dei piedi che sfioravano l'erba prima di schiacciarla morbidamente, modellandola nella forma di ogni suo passo, ogni più piccola curva delle sue dita.
Gli angoli della sua bocca si piegarono ancora di più verso l'alto quando si ritrovò accucciato a meno di venti centimetri dalla sua preda, senza che questa avesse smesso per un secondo di russare beatamente.
Addormentata, inerte, ignara e vulnerabile stava la causa di tutti i guai, le marachelle, le avventure, i suicidi non pianificati dell'intera sua esistenza: Axel.
Axel, la Fata Madrina meno saggia del secolo, l'uomo i cui consigli erano noti per gli assoluti disastri che portavano, l'essere malefico che sgattaiolava in camera sua di notte in piena estate perché sapeva che lui avrebbe dormito con solo le mutande indosso: Axel.
Roxas sospirò, sentendo l'odore dolcissimo della vendetta scendergli nei polmoni come il più invitante dei profumi, iniziando a valutare le migliaia di opzioni fra le quali poteva scegliere, una più deliziosamente bastarda dell'altra. Avrebbe potuto lasciarlo appeso ad un albero a testa in giù per ore, stordirlo ed infilarlo nel vaso da notte di qualche dama, spogliarlo e lanciarlo nudo come un verme in mezzo al lago dove si riunivano le altre fate nei giorni liberi.
Avrebbe potuto fare tutto questo, ma Axel ebbe il cattivo gusto di non essere affatto addormentato e di stritolarlo, sorridendo beota come tutte le volte che Roxas lo beccava a fare una pennichella e perdeva tempo a pensare invece che lanciarsi subito alla sua giugulare. Un'altra occasione sprecata.
Si divincolò, cercando di liberarsi dalla morsa. «Lasciami, lasciami!».
«Oh, suvvia principessina» disse Axel, languido e stronzo. «Lasciatevi coccolare un poco dalla vostra adorata Fata Madrina».
Roxas sbuffò, gattonando via non appena ne ebbe la possibilità. Si sedette a distanza di sicurezza e incrociò le braccia, stizzito. «Penso che al momento tu sia più come la Bella Addormentata, cialtrone che non sei altro» brontolò, la guancia ancora umida per lo stupido bacio che Axel gli aveva lasciato sulla gota.
«Ah sì? E allora perché non mi hai svegliato con un bacio?» chiese, guardandolo malizioso. Quanto odiava quel suo sorriso da Fata Pervertita. Lo vide stiracchiare braccia e gambe, schiudendo pigramente le lunghe ali da libellula che si ritrovava sulla schiena. Erano tutte rattrappite perché le aveva schiacciate contro il tronco dell'albero, ma lui non sembrava farci tanto caso, visto che sicuramente preferiva avere i piedi per terra.
Roxas lo fissò con l'usuale curiosità, studiando i movimenti veloci e silenziosi delle membrane trasparenti che componevano le sue ali. Le osservava ogni volta rapito, sin da bambino, quando Axel era ancora un ragazzetto sfacciato e fin troppo giovane per fargli da Fata. Adesso era un uomo, stupido e altezzoso come sempre, ma il cambiamento era inequivocabile e al compimento dei diciott'anni sarebbe svanito in una nuvola di fumo per comparire in aiuto ad un nuovo principe.
Una farfalla gli svolazzò davanti al naso, facendo una piroetta aggraziata verso l'altro per posarsi in mezzo alla sua fronte. Roxas rise piano, sforzandosi per guardarla e rimanendo tranquillo perché così forse si sarebbe fidata e avrebbe accettato di farsi cullare nella conca delle sue mani.
Axel sbadigliò, disinteressato ed ancora un po' sonnolento. Il sonnellino era la sua parte preferita dei giorni di primavera, lontano dal castello e sicuro che Roxas fosse da qualche parte in compagnia di qualcuno a svolgere le sue principesche mansioni senza che lui dovesse intervenire.
Era in vita da quasi ottocentododici anni – presto tredici, in effetti – e mai gli era capitato un incarico così semplice come quello di crescere Roxas. Era stato un bambino tranquillo, un ragazzino timido, un adolescente cinico. Adesso era la crisalide acerba di un giovane uomo, ancora troppo piccolo per iniziare ad esserlo veramente. Il suo corpo cambiava, i lineamenti del viso sembravano scolpirsi ogni giorno in tratti più decisi, concreti.
Sarebbe bello se lui avesse potuto rimaner bambino per sempre, quando le dame di corte impazzivano nel sentirlo parlar da solo – parlare con lui – e temevano che il più giovane rampollo di corte fosse completamente pazzo. Ma il tempo passava e quello rimanente era sempre meno.
«Sai, prima parlando con Demyx mi è venuta in mente una cosa» disse Roxas, ancora indaffarato a socializzare con la farfalla colorata. «Mi piacerebbe essere come lui. Una persona comune, sempre felice, senza troppi stupidi impegni da principe».
«Ti piacerebbe davvero?» chiese, studiandolo con gli occhi socchiusi, il verde dei suoi occhi stretto in una fessura affilata. «Demyx è un po' tonto, lo sai, e sorride sempre, ma la sua vita non è certo rose e fiori come la tua».
Roxas s'imbronciò di botto, scacciando la farfalla con un gesto stizzito. «Rose e fiori? È un inferno, Axel! Sai quanto odi tutte quelle stupide manfrine sull'essere buono, gentile, cortese, elegante, finto».
«Allora potrei trasformarti» rispose Axel, secco e pratico come sempre. «Ti posso rendere uno stalliere, un figlio di nessuno: spalerai fieno sin dalla mattina presto per nutrire ogni cavallo di Sua Maestà, laverai il manto di ogni destriero e tre volte quello degli stalloni più costosi, spazzerai e darai lo straccio e be', immagino che sia il sogno della tua vita sguazzare nello sterco di cavallo».
Ci fu un attimo di silenzio rancoroso durante il quale Roxas strappò un po' d'erba, sminuzzandola accuratamente per cercare di calmarsi almeno un po'. Axel aveva ragione, era chiaro, però non riusciva a rassegnarsi all'idea che la sua vita fosse veramente meglio di quella di chiunque altro.
Non poteva essere così. Essere un burattino nelle mani di un gruppo di nobili altezzosi non poteva davvero essere la miglior vita possibile. Sospirò.
«Davvero potesti trasformarmi?» chiese in un sussurro. Alzò lo sguardo su Axel e si ritrovò ad annaspare per lo sguardo che gli stava rivolgendo, freddo e diretto come mai prima d'ora.
«Certo che posso, Roxas, sono la Fata Madrina. Posso esaudire ogni tuo desiderio a patto che non violi la tua morale da principino, ma sappi che quello è uno di quei desideri che una volta espressi non hanno via di ritorno» disse, continuando a fissarlo glaciale. «Uno stalliere non ha una Fata Madrina. Quindi addio, Roxas, preparati per la tua vita da cittadino qualunque».
Schioccò le dita, facendo comparire la sua bacchetta ridicolmente lunga e rossa e puntuta. Rimase però fermo, senza eseguire il consueto movimento di polso secco e perfettamente calcolato. Roxas rimase immobile, rimuginando fra sé e sé. Non avrebbe mai voluto lasciar andare Sora, Riku, Demyx, nemmeno Zexion, per quanto fosse insopportabilmente severo e acido.
Ma se c'era una cosa che lo spaventava, quella era perdere Axel. Nessuna Fata da cui piagnucolare, nessuno con cui cavalcare lontano dalle regole rigide del castello, ridendo a gran voce e usando parole altrimenti ben poco adatte al suo status. Nessuno da prendere a calci quando s'intrufolava nel suo letto nelle sere d'estate e contro cui accoccolarsi perché la sua pelle era sempre della perfetta temperatura, fresca come acqua d'estate e bollente d'inverno.
Gli sorrise, mettendoci ogni briciola di dispiacere e senso di colpa. Axel sbuffò e scosse il capo come se sapesse che non c'era niente da dire, nulla da aggiungere al loro scambio di sguardi, chinò il capo e tornò a dormicchiare, il sole che sgusciava dal tetto di rami e gli illuminava il viso.
«Vedi, Roxas, è per questo che io sono la Fata Madrina» biascicò in uno sbadiglio, con quel tono insolente che assumeva sempre dopo un litigio. «Io sono quello intelligente, tu sei quello che si lamenta. Siamo perfetti, non trovi?». E poi rise, scuotendo la testa. «Oh, Roxas, adesso mi sento una vera Fata Madrina. Penso che il discorso che ti ho fatto prima sia la prima cosa seria che ho fatto in questi ottocento anni di servizio. Ahhhh, che gioia portare la felicità!»
Roxas gattonò fino a lui con una risata, sedendosi precisamente nel nido delle sue gambe incrociate, troppo basso per superare l'altezza delle spalle con la testa. Ma il petto di Axel era sempre stato il cuscino più comodo su cui dormire, come in ogni stupida favola che si rispetti.
C'erano favole che duravano in eterno, altre che non avevano mai fine e si ripetevano ogni giorno in qualche angolo del mondo, favole che finivano male e lasciavano l'amaro in bocca. La loro era una favola strana, indicibilmente stupida per certo, e per quanto Roxas potesse odiare alcuni lati della sua vita principesca lì per lui c'era sempre Axel pronto a portarci un po' di magia.







Note incoerenti e di dubbia utilità:
Ciao. Questa è una storia stupida e sì, è la seconda delle Sleeping Beauty. Qua si dorme ben poco, in realtà, ma mi piaceva così e allora non ho cambiato la storia, anche perché sono stata troppo impegnata a finire il poema epico per l'AkuRoku Day.
In sintesi questa è una storia stupida pubblicata oggi solo perché è l'anniversario di quando io ed Ella ci siamo conosciute; ho preferito non mettere dediche o altro semplicemente perché sarebbe stato ridondante: insomma, è un anno che ci conosciamo, non serve che io lo scriva perché lei sappia che 'sta schifezzuola è stata scritta solo per questo XDDDD
In sintesi: grazie per aver letto, non so se vi sia piaciuto ma spero di sì, se vorrete lasciare una recensione sarò molto lusingata ma vi voglio bene anche se non recensite. 
Ci vediamo il 13, gente!


 

   
 
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