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Autore: BlackSwan Whites    08/08/2013    3 recensioni
Tour della vittoria, Distretto 11. I pensieri del vecchio che ha fischiato dopo il discorso di Katniss.
E' la mia seconda storia, quindi sono benaccetti commenti di ogni tipo!
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Martyrs'
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Four Notes

 

Tour della vittoria- Distretto 11

Stiamo tutti guardando verso il palco, dove a breve i Vincitori terranno il loro discorso alla popolazione. Oggi è una giornata speciale: i pacificatori, pur di fare in modo che ogni singolo abitante assistesse alla cerimonia, hanno sospeso il lavoro nei campi e la raccolta fino a domani. Poco male, sarà solo una scusa per farci sputare sangue il doppio.

 Eccoli, stanno salendo adesso, scortati dalle guardie di Capitol City, dal loro mentore e da quella ridicola accompagnatrice dai capelli assurdi. Comincia il ragazzo. Lo ascolto e non posso fare a meno di notare quanto sia abile nella parola: è sicuro di sé, non incespica nelle parole, non ha mai un attimo di incertezza; sembra nato per intrattenere la gente, difatti tutti pendono dalle sue labbra. Come all’epoca dell’intervista con Caesar Flickerman, a Capitol City, prima che tutti entrassero in quella maledetta arena; prima che i due come li hanno chiamati?, ah, sì, gli “sfortunati innamorati del Distretto Dodici” tornassero a casa. Vivi. Certo, anche Thresh e Rue sono ritornati, ma in due casse di legno. E per quanto quel ragazzo cerchi di aiutarci a superare il momento, di rassicurarci, i coperchi delle loro bare non si solleveranno mai più.

Ma non è per questo che sono qui. Non è il discorso di Peeta Mellark che voglio sentire. È vero, anche lui ha partecipato ai giochi, anche lui ha conosciuto Rue e Thresh, ma non li ha mai incontrati direttamente, non ha mai avuto l’occasione di scambiare qualche parola con loro.

 La ragazza, Katniss Everdeen, lei sì. Magari non con Thresh, ma con Rue è stata esemplare. L’ha trattata come una sorella, l’ha protetta, ha condiviso con lei tutto quello che aveva, ha tentato disperatamente di salvarla, l’ha accudita anche quando le braccia della morte la avvolgevano lentamente, ha cantato per lei, esaudendo il suo ultimo desiderio. Poi, quando il cannone ha sparato, si è allontanata; l’ho osservata raccogliere dei fiori, poi gli strateghi hanno spostato di colpo l’inquadratura sui tributi del Distretto Due. Non ho avuto modo di vedere cosa abbia fatto di quei fiori, ma posso immaginarlo. Li ha raccolti per lei. Che motivo aveva di farlo? Non la conosceva nemmeno, eppure le ha reso onore come noi troppi anni fa ne offrimmo ai nostri fratelli caduti in guerra, nella ribellione contro la capitale. Quei poveri illusi che pensavano di poter migliorare la nostra vita, invece non hanno fatto altro che rovinare irrimediabilmente quella dei nostri figli e dei loro discendenti, distruggendo la loro stessa. Ma non potevano sapere a cosa sarebbero andati incontro: tutte le opere che hanno compiuto erano a fin di bene.

 Solo ora mi accorgo che la ragazza, Katniss, sta parlando. Smetto di annegare nei meandri del passato e torno a cercare di non affondare qui nel presente. Ascolto attentamente tutto il suo discorso: è un semplice ricordo di Thresh e Rue, ma non come quello che abbiamo sentito prima. Quello non era altro che un elenco di ciò che hanno fatto nell’arena; in questo, invece, si percepisce il sentimento. Katniss sta rievocando quello che era lo spirito dei nostri ragazzi, la loro essenza. Questo vale molto più di una semplice commemorazione.

Rue ...

Thresh ...

Per un attimo mi sembra di rivederli qui, proprio davanti ai miei occhi. Sul palco non ci sono più gli innamorati sventurati, ma loro due.

Lei, piccola, innocente, col sorriso a fior di labbra, che si libra tra le fronde dei frutteti come una di quelle ghiandaie imitatrici che le piacevano tanto; lui, un po’ scontroso, ma incapace di fare del male ad una mosca, che trascina l’aratro a mani nude e lascia profondi solchi nel terreno, mentre il sudore gli cola lungo la schiena, come un toro costretto a contenere a forza la sua rabbia che si sfoga nel lavoro.

L’ho fatto di nuovo, mi sono isolato nei ricordi alienandomi dal presente. Colgo solo di sfuggita le ultime parole che la Ragazza di Fuoco pronuncia. «E grazie a tutti voi per il pane». E di colpo, quello che prima era stato solo un mio pensiero diventa una consapevolezza: quando era nell’arena, quei fiori che aveva raccolto li ha donati a Rue. Ha fatto in modo che l’ultima immagine rimasta della piccola, indifesa Rue non fosse quella del tributo massacrato per lo spettacolo, ma quella del martire morto per il divertimento Capitol City. È un pensiero proibito questo, un atto di ribellione nella mia testa. Io ero ancora giovane ai tempi della guerra, ma sono rimasto a guardare impotente i miei cari che combattevano per la libertà, che sono diventati martiri tanto quanto Rue. E di colpo capisco.

Non ho fatto niente allora, ma posso riscattarmi adesso.

E senza che nessuno mi dica niente, socchiudo le labbra e fischio quel motivo di quattro note con cui Rue, con un coro di ghiandaie imitatrici che la seguiva, ci allietava durante il lavoro.

Il ragazzo in piedi vicino a me mi guarda allibito: questo è un puro atto di ribellione, in pieno giorno, in mezzo alla folla. Io gli sorrido dolcemente. Di colpo, anche la sua espressione cambia: ha lasciato posto ad una determinazione senza pari. L’ho contagiato. Lo guardo mentre mima il gesto che Katniss fece nell’arena, per dire addio a Rue; ma il mio stupore non è niente in confronto a ciò che mi colpisce quando mi rendo conto che ogni singolo uomo e donna, anziano e bambino, in questa piazza sta compiendo lo stesso movimento.

L’ho fatto. Mi sono ribellato a Capitol City. È questa l’unica cosa che riesco a pensare mentre i Pacificatori mi prendono per le braccia e mi trascinano in cima alla scalinata. «Inginocchiati, vecchio» mi dice freddamente uno, e io obbedisco. Trovo che, se da giovane non ho fatto nulla per impedire che la capitale trionfasse, oggi, da anziano, mi sono riscattato. Mi volto un attimo verso il palazzo, ed oltre il muro so che Katniss sta pensando al mio gesto. Riesco quasi a vedere lei e Peeta voltarsi verso di me, nonostante la spessa parete che ci separa. A lei dedico il mio ultimo pensiero.

Vai, Ragazza in Fiamme. Sii forte e combatti per tutti i martiri di questa guerra. Per i ribelli. Per Thresh. Per Rue. E, da oggi, anche per me.



Angolo dell’autrice

Buonsalve a tutti! Allora, premetto (anzi, postmetto, ormai) che questa è la mia seconda fic su questo sito e ne sono soddisfatta, come spero sarete anche voi, anime gentili e ardimentose che siete arrivati in fondo a questo obbrobrio capitolo e spero lascerete un parere (anche negativo, che nel caso mi aiuterà a capire meglio i miei errori).

Ci tengo però a precisare una cosa, perché altrimenti non mi sentirei in pace con me stessa.

Ho notato che di recente è stata pubblicata un’altra one-shot che tratta lo stesso identico argomento di quella che avete appena letto. Ora, capisco che io abbia pubblicato in seguito, ma avevo cominciato a scrivere questa storia circa una settimana fa, perciò vi voglio chiedere di non accusarmi di plagio di idee originali altrui, poiché avevo già pensato alla fic ma purtroppo non avevo avuto tempo di pubblicarla.

Comunque, detto questo, ringrazio le gentili persone che (spero) passeranno a lasciare una recensione.

Un bacio a tutti voi,

Swan

  
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