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Autore: Blooming    10/08/2013    1 recensioni
Sarah, dopo aver superato il Labirinto di Jareth si trova faccia a faccia con lui, il Re di Goblin.
“Dammi il bambino.” Disse Sarah cercando di mantenere la foce ferma, lo fissava dritto negli occhi.
Lui mosse un passo nella sua direzione
“Sarah bada a te.” Un altro passo e le fu accanto “Sono stato generoso fino a questo momento ma so essere crudele.”
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jareth, Nuovo personaggio, Sarah
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Quelle ferite al cuore non rimarginabili



 

Passarono sei mesi da quella piccola e insignificante bugia ma ogni giorno Sarah si sentiva debole, sempre più prosciugata e febbrile ma cercava di nascondere tutto al Sidhe.
Quella mattina Sarah si alzò presto.
Dentro si sentiva a pezzi. Non che da quando avesse fatto scambio con Toby fosse tutto normale.
Sentiva ogni organo distrutto, lo stomaco contratto, il cuore trafitto da mille frecce come se quella pantera, quell’Amlach, l’avesse strappato dal petto e ci avesse giocato un po’ e poi l’avesse rimesso a posto.
Jareth dormiva ancora, lo guardò un secondo.
Il viso pallido, i capelli spettinati sul cuscino, il petto scoperto. Brillava sotto i flebili raggi del sole.
Sarah prese la vestaglia e con un sorriso amaro e gli occhi tristi si chiuse la porta della camera dietro sé.
Appena fu nel corridoio tirò fuori dalla tasca di seta una foto, quella foto sbiadita, troppo sbiadita nella quale doveva esserci suo padre ma c’era solo un’ombra che la teneva tra le braccia.
Dai Sarah chiama l’Elfo
Non poteva farlo. Avrebbe fatto del male a Jareth.
I sentimenti in lei erano contrastanti. Da una parte l’amore per il suo Re, l’unico che l’avesse amata veramente, dall’altra parte la sua famiglia, quella umana, quella che ormai non si ricordava niente di lei.
Percorse il corridoio dalle molte porte, probabilmente inutili e provò ad aprirle ma molte erano chiuse e alcune vuote.
Si avvicinò a una porta blu. Non era mai stata in quella parte del Castello, Jareth non lo permetteva. Ma tutti stavano dormendo e lei aveva bisogno di distrarsi dai suoi stessi pensieri e abbandonarli un attimo.
Si avvicinò curiosa a quella porta mai vista e che sembrava nuova con un piccolo uccellino, un pettirosso intarsiato sopra, un pomello dorato. Non c’era serratura ne niente.
Spinse con tutta la forza possibile la porta che dopo un po’ di attrito si aprì per quel poco che bastava a Sarah per infilarsi dentro alla stanza.
Non c’era luce. L’unica luce che entrava era quella del corridoio, pallida e sostanzialmente inutilizzabile.
Ormai la ragazza sapeva che se avesse avuto bisogno di qualcosa sarebbe bastato chiederlo al Castello e così fece. Chiese una candela e dei fiammiferi.
Dopo alcuni secondi sentì qualcosa rotolare verso di lei e fermarsi accanto al suo piede poi un rumorio di legnetti e la scatola di fiammiferi le cadde addosso.
Si piegò a raccogliere entrambi e con le mani un po’ tremanti accese la candela.
Faceva poca luce, si avvicinò alle cose. Un mucchio di cose inutile. Scarpe, vestiti, un letto.
Non aveva finestre, l’unica era stata murata, c’era una piccola porta con un piccolo bagno.
La porta blu si chiuse di colpo facendo sobbalzare Sarah, si guardò alle spalle cercando di farsi luce ma non vide granché.
Camminò un po’ per la piccola stanza scontrandosi con varie cose. Si avvicinò a uno specchio.
Era ovale e con una cornice dorata piena di intarsi.
Poteva chiamare adesso l’Elfo e nessuno mai l’avrebbe scoperto.
Riusciva a guardarsi allo specchio. Era una figura triste, pallida. I capelli neri le ricadevano sulle spalle. Gli occhi verdi non brillavano più come un tempo.
Stare con Jareth ti sta uccidendo
Non riusciva a crederci. Jareth era la cosa più bella che le era capitata
Torna dai tuoi genitori
Lo voleva veramente ma non poteva spezzare così il cuore di Jareth, senza dire una parola.
Si guardò allo specchio. Sembrava invecchiata più del dovuto.
Non era neanche un anno che era via di casa ma era come se ne fossero trascorsi due in una volta sola. Forse il tempo era diverso nel Sottomondo e infatti così era.
Per gli umani passare nove mesi nel Sottomondo equivaleva a passarne due.
Sarah non poteva saperlo e non lo sapeva neanche Jareth ne nessun altro, poiché mai nessun essere umano era stato così a lungo nel regno magico.
Sarah si spostò di lato i capelli con la mano e portò alcune ciocche dietro l’orecchio. Gli orecchini tintinnarono e lei continuò a fissare vacuamente lo specchio e la piccola fiammella che tremolava come se stesse parlando con l’altra riflessa.
Sarah era lì, in piedi. Non riusciva a muoversi. Non sapeva cosa fare. Poteva stare lì. A morire lentamente, obbligata in un amore che le piaceva ma che sembrava soffocarla o poteva fare un patto con Amlach.
Era una donna forte Sarah, lo era sempre stata e lo sapeva anche lei ma Amlach la rendeva impotente, più di quanto potesse farlo il Re di Goblin quando la stringeva tra le braccia.  
Le piaceva quando le baciava il collo e le faceva sentire il petto bruciante sul proprio. E adorava quelle dita affusolate che le scorrevano sulla schiena.
Sorrise arrossendo pensando a quando faceva l’amore con Jareth.
Non poteva lasciarlo. Non l’avrebbe mai lasciato. Mai. Lo amava troppo per spezzargli il cuore e avrebbe spezzato anche il suo piccolo cuore umano se l’avesse fatto.
Si guardò un’ultima volta allo specchio e rise.
Voltò la schiena e sentì un brivido percorrerle la schiena e tutto il corpo, una sensazione di freddo inquietante.
Sarah cosa fai?! Chiama Amlach
Sarah alzò gli occhi al soffitto e spalancò le braccia
“Ma tu da che parte stai? Con Jareth o con l’Elfo pazzo?” parlò al Labirinto
Io amo Jareth ma mi piace dare fastidio
Il Dedalo rise.
“Questo posto è impossibile, non lo capirò mai.” Scosse la testa divertita
Aprì piano la porta. Lasciò la candela spenta a terra, richiuse la porta dietro di se e tornò piano dal suo Jareth.
Lo amava troppo per lasciarlo e non l’avrebbe fatto solo per un capriccio.
Almeno credeva.


 
Amlach batté un pugno contro il marmo freddo della scrivania con specchiera.
Aveva aspettato mesi per quell’incontro. Per vederla triste e sconfortata in una stanza buia e invocare il suo aiuto. Ma quella ragazza era troppo forte per cadere nei suoi tranelli.
Si alzò da quella sedia di quercia e con uno schiocco di dita cambiò lo specchio da portale a normale specchio riflettente.
Si guardò con gli occhi socchiusi pieni d’odio e risentimento.
Urlò alla sua immagine
“Ti odio!” poi cominciò a ridere
Rideva di gusto e tutto a un tratto smise.
Si guardò di nuovo e con odio tirò una scatola di porcellana contro il vetro
“Non riesco neanche a vederti.” Parlava da solo “Sei veramente ripugnante.” Le tante piccole facce che comparivano sullo specchio a pezzi ridevano “Guardati. Con quella pelle olivastra, sembri malato. I tuoi terribili capelli. L’unica cosa bella che hai sono gli occhi. Oh si che sono belli vecchio mio.”
Diede le spalle allo specchio e cominciò a camminare cambiando il suo aspetto, prima divenne fuoco, poi aria, poi acqua, neve, terra… si fermò e rise di nuovo.
Si voltò verso il letto sfatto. Aveva passato una delle notti più interessanti della sua vita con due Elfe dell’Acqua e il suo amico Sistas. Quasi l’Elfo e le Elfe non si distruggevano a vicenda ma aver partecipato a un’orgia così divertente l’aveva, almeno un po’, distratto dai suoi pensieri verso Sarah.
Ma ripensare a quelle due Elfe gli fece tornare in mente i lunghi capelli corvini della donna, le labbra rosse carnose, gli occhi verdi che brillavano.
Se la immaginò nuda davanti a sé, lei che si sedeva sulle sue gambe e lui che piano le mordeva la spalla, il collo e le leccava il mento e le baciava le labbra quasi strappandole con i denti e lei inclinava la testa e lo lasciava fare, lo lasciava assaggiare la sua carne e toccarla con le sue dita fredde in ogni parte del suo corpo. Immaginò di trascinarla con sé in quell’abisso carnale e senza fine, un baratro di sesso e puro piacere e immaginò che lo facesse godere muovendo dolcemente quei fianchi umani di carne morbida e giovane.
Immaginò di baciarle i seni e arrivare all’apice del piacere, senza guardarla negli occhi, trattarla come chiunque altra e poi sussurrarle “Ti amo”, un ‘ti amo’ che non era vero ma che lei avrebbe pensato tale, un ‘ti amo’ detto per illuderla e per lasciarla come si lascia una puttana.
Avrebbe passato ore a pensare a lei in quella maniera, e avrebbe passato vite e vite a fare sesso con quella umana che apparteneva ad un altro, un altro che la amava veramente.
Si guardò di nuovo riflesso nei cocci di specchio
“Sei orribile Amlach. Non sei degno dell’umana.”
Una guardia entrò correndo nella stanza
“Mio signore!”
Amlach piegò il viso guardandolo con odio per aver interrotto la sua pazzia. La pupilla diventò una fessura verticale
“Come osi! Tu sciocco…” si avvicinò per colpirlo ma la guardia parlò subito
“È  qui.”
Amlach si bloccò
“Chi è qui?” la mente vagò, sperava fosse Sarah ma sapeva che non era possibile
La guardia si inginocchiò ancora di più, la testa quasi toccava il pavimento
“Lady Celil. Vuole parlarti.”
Amlach rise e mandò via la guardia.
Si guardò a quel che rimaneva dello specchio
“Vecchio mio, la fortuna sta girando. Rimani comunque orribile. Magari se diventi blu…” cambiò il suo aspetto e diventò blu con delle strisce di azzurro/celeste sul petto
Prese una fascia di seta dorata e se la strinse intorno alla vita lasciando il petto nudo, indossò solo una collana di piccole corna di cervo e andò ad accogliere Lady Celil.



 
La Lady era nel grande salone. Alcune Elfe la guardavano ma avevano paura di avvicinarsi. Lei canticchiava tra sé e sé. I boccoli biondi le ricadevano sul petto e sulle spalle. Arricciava le labbra e sorrideva e guardava un po’ tutto con disprezzo e altezzosità.
Amlach comparve da dietro un broccato rosso baciando e scostando con forza da sé una giovane Elfa del Fuoco che ridacchiò e corse via bruciando.
Amlach si diresse verso Lady Celil e la accolse baciandole la mano, lei lo guardò un secondo
“Parliamo subito di cose serie Re degli Elfi.”
L’Elfo rise
“Ma certo. Non qui. Prego Milady…” le indicò una porta
Entrarono in una stanza completamente insonorizzata e ricoperta d’oro e argento, di pietre preziose, rubini, smeraldi ed enormi opali.
Lady Celil li guardò stregata e Amlach notò divertito l’espressione della donna al suo fianco
“Belli vero? Ci ho messo una vita a trovarli. O a farli trovare, dipende da come si vuol vedere la cosa.”
Celil sorrise
“So che sei interessato alla donna di mio figlio.” Tagliò subito corto
“Prego, sedetevi.” L’Elfo indicò la poltrona più vicina alla donna “Faccio portare qualcosa, del thè magari…” disse sarcastico
“Smettila Elfo.” Celil si stava adirando
Non era certo una donna da prendere in giro o che si facesse prende in giro.
Odiava tutti. Odiava se stessa, odiava il marito, odiava Sarah e l’unica cosa che amava era il figlio. Il figlio che per anni non era riuscita a vedere, il figlio che era stata obbligata a esiliare per salvare le apparenze, il figlio a cui non aveva mai detto ‘ti voglio bene’ né gliel’aveva mai fatto capire.
La sua misantropia era nata quando la famiglia l’aveva obbligata a sposarsi con il Re del Sottomondo, Lord Urér. Aveva solo 1200 anni –dodici anni-.
Non che lui la trattasse male o le facesse violenza, ma Celil aveva sempre desiderato essere libera e quando era nato quel bambino così simile e allo stesso tempo diverso da lei, si era promessa di proteggerlo con tutte le sue forze da quel mondo corrotto nel quale vivevano.
Guardò Amlach per un secondo
“Ti propongo un patto.” Disse seria e fissando gli occhi vacui e malvagi del suo interlocutore
“Parla pure.” Disse lui lasciando da parte le buone maniere
Appoggiò con il gomito sulla coscia e mise il mento sul pugno chiuso.
Adorava i patti. I patti che portavano più vantaggi a lui che agli altri e questo sembrava proprio piacergli.
Parlarono a lungo. Amlach fissava le labbra carnose di Lady Celil e lei sorrideva a ogni nuovo accordo che trovavano.
Sigillarono il patto con una stretta di mano e poi Amlach accompagnò Celil fino alla grande porta di quercia del suo palazzo
“Allora mia signora, come nei piani. Tra un mese…”
“Alle 13 in punto del pomeriggio.”
“Sarò libero di vagare nel Castello del Labirinto.”
“Senza Jareth.”
L’Elfo ridacchiò
“Portati via la ragazza. Fanne quello che vuoi… mangiala, stuprala, vendila. Non mi importa. Ma ricordati, deve sembrare che lei lo abbia lasciato di sua spontanea volontà.” La voce dura e incurante
“Tranquilla Lady Celil.”
“Lo spero.”
La donna sparì nel vento lasciando dietro di sé una scia di profumo intenso e eccitante.
Amlach aveva un suo patto e finalmente avrebbe avuto quello che voleva, lasciando a quella donna il piacere di consolare il figlio.
Si voltò e ritornando nel palazzo gridò
“Dov’è quell’Elfa del Fuoco che ho baciato poco fa?!” la ragazza comparve e lui sorrise maligno “Ho proprio voglia di divertirmi…” e la trascinò nella sua stanza



 
Un mese dopo, alle 12 si sentì un gran trambusto.
Sarah corse giù dalle scale urlando e ridendo. Ludo la stava inseguendo e Sir Didymus lo fronteggiava.
Sarah durante la corsa sbattè contro il petto di Jareth, alzò gli occhi e lo vide sorridere.
Si era abituato a quei giochi di ragazza che lo costringevano a prendere parte e piano i suoi sudditi si erano abituati alla sua presenza.
Sarah lo baciò.
Non aveva più pensato di mentirgli ne di andarsene da lui. E si sentiva più forte ogni giorno.
Lo baciò ancora
“Jareth gioca…” ruggì Ludo
Il Re di Goblin si avvicinò e gli accarezzò il muso peloso
“No. Oggi no bestione.” Si voltò verso Sarah che coccolava Ambrogio “Tra un’ora arriva mia madre.” Disse a bassa voce
Lei si alzò e lo fissò
“Non la voglio.” La odiava
“Lo so. Dai ti prego tesoro mio. Si fermerà solo un’ora, deve mostrarmi qualcosa e poi torno indietro subito. Puoi stare con i tuoi amici.” Le mise le mani sulle guance
“Così mi schiacci però.” Disse lei con la voce impastata
Le diede un bacio sulle labbra
“Va bene. Ma io non la voglio vedere.”
“Neanche un saluto Sarah?” la voce ferma e perentoria e eccitante che usava per convincerla era tornata
“Oh ma se me lo chiedi così allora accetto.” rise 
Alle 12.45 comparve Lady Celil accolta dal figlio con un abbraccio seppur freddo.
Sarah la guardò un secondo, un secondo di odio e le disse un freddo ‘Buongiorno’ poi scomparve nelle sue stanze.
Celil baciò sulle guance il figlio
“Ti mostro una cosa. Vieni con me.” Lo trascinò letteralmente via attraverso un portale
“Ma dove siamo?” chiese lui guardandosi indietro
“Nel bosco. So che ci sono delle bacche che possono uccidere solo toccandole, volevo mostrartele.” Si chinò su un roveto dalle quali spine crescevano piccole bacche blu-nero
Jareth sbuffò ma acconsentì al vaneggio della madre, per farle piacere e si piegò al suo fianco.



 
Sarah si distese sul letto guardando il soffitto.
Com’era stata stupida a pensare di lasciare quell’essere così perfetto e così… un brivido di eccitazione le percorse i lombi e le fece infiammare le orecchie.
Lo amava, lo amava davvero.
Non si erano mai detti ti amo ma appena sarebbe tornato gliel’avrebbe detto, l’avrebbe abbracciato e gliel’avrebbe detto.
Si stava quasi addormentando quando sentì un rumore di specchi rotti. Si alzò di scatto e lo vide.
Una figura alta, i riccioli di vite sulla schiena, si voltò e la guardò. Sorrise. La fila di denti spuntarono dalle labbra sottili
“Cosa vuoi! Cosa ci fai qui?” lei si spostò verso l’angolo del letto, finendo così in trappola
“Sono qui per te.” Disse lui avvicinandosi
“Non ti ho chiamato. E non lo farò mai. Vattene!” lo fissava tremando
“Urla se vuoi. Nessuno ti sentirà.”
Lei riuscì a scansarsi prima che la potesse afferrare, corse fuori dalla stanza camminando a piedi nudi sui vetri.
Doveva salvarsi in qualche modo, non le importava di farsi male. Se avesse raggiunto Ludo nell’atrio del Castello, l’avrebbe protetta.
Scivolò sul suo stesso sangue e cadde. Tentò di rialzarsi e sentì quella voce proprio dietro di lei.
Una mano la afferrò per i capelli e la costrinse a piegare indietro la testa. Si piegò su di lei e le leccò il collo
“Mmh… hai proprio un buon sapore piccola umana.”
“Lasciami!” urlò  e si dimenò con tutta la sua forza
Il Labirinto rideva. Rideva forte quasi da sfondare i timpani.
Finalmente ci divertiamo
“Lasciami! Maledetto!” Sarah stava per piangere
“Mai. Sarai mia, questa notte. E per sempre.” Rise forte
Sarah e Amlach sparirono in uno schianto.



Il Castello rimase in silenzio. Un silenzio tetro. Privo di vita.



Quando Jareth tornò, senza sua madre, sentì che qualcosa era successo. Sentì una parte di sé morire.
Se né andata
Non era possibile, non l’avrebbe mai lasciato così. Non l’avrebbe mai lasciato e basta.
Si amavano.
Doveva esserci una spiegazione.
Salì di corsa in camera, notò il sangue sulle scale. Era sangue umano.
Arrivò nella stanza. Tutto era rotto. Come se ci fosse stata una lotta. Lo specchio era rotto. Tutti i pezzi erano a terra, insanguinati.
Si inginocchiò sui cocci e li raccolse tra le mani
“No. Sarah. No…” il suo cervello stava per esplodere
Non se né andata di sua volontà
Jareth fissò lo specchio rotto, il legno dietro al vetro visibile e tutto graffiato
Respirò profondamente e odorò l’aria, non c’era l’odore di Sarah, un altro. Un essere del Sottomondo, un essere privo di coscienza. Elfo.
Jareth si alzò pieno d’ira.
Capì tutto, sua madre, la trappola per attirarlo fuori dal castello, l’Elfo che si era introdotto e l’aveva rapita…
Finalmente ci sei arrivato Jareth
La sua Sarah. Nelle mani di quel pazzo Re degli Elfi. Chissà cosa le avrebbe fatto, non poteva pensarci.
E lui, così stupido da pensare che sua madre fosse una madre come tutte le altre, che vuole passare del tempo con suo figlio.  Invece voleva solo portargli via Sarah. Portargliela via per poter avere il suo figlio adorato tutto per sé.
Lei ti ama
Jareth ripercorse la strada fino alla porta del Castello che affacciava al Labirinto, guardò il cielo coperto da nuvole vermiglie e urlò il nome della sua amata. Urlò così tanto da farsi male alla gola.
Sentiva dentro di sé di essere morto. Almeno un po’.
Deve essere guerra Jareth, per Sarah
   
 
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