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Autore: Kirara_Kiwisa    11/08/2013    1 recensioni
Se cercate una storia in cui i protagonisti sconfiggono il male, questa storia non fa per voi. Qui si parla di una ragazza in parte strega e in parte angelo che tenta di sconfiggere il bene, a tutti i costi. Una ragazza con sangue misto, Victoria, temuta dalla sua specie ma che presto l'intero mondo temerà. O almeno questo è ciò a cui lei aspira. Ma qualcosa interferisce sulla sua strada della vendetta, un demone. Nolan, un sangue misto come lei, che la trascina nella sua battaglia per la conquista della corona del Regno dei Demoni. Due destini si incrociano, un mezzo angelo e un mezzo diavolo che collaborano per diventare più forti insieme. Lei serve a lui, lui serve a lei. Un piano che potrebbe funzionare, basterebbe solo riuscire a non annientarsi a vicenda per raggiungere ognuno la propria vendetta...
La paura di essere uccisa da Nolan, spinge Victoria ad allontanarsi, a cadere nelle grinfie di qualcuno di ancor più pericoloso. Abrahel, il fratellastro di Nolan, che aspira al trono dei Demoni altrettanto se non più del mezzo demone.
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Victoria's Memories'
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Lo aspettai a lungo, senza riuscire a pensare ad altro se non a lui. Ogni minuto fissavo il marchio sul mio polso, consapevole che fosse ancora vivo per il solo fatto che esso non scomparisse.
Sospiravo continuamente, domandandomi dove diamine fosse andato a finire in compagnia di Isaac.
Neanche quel pazzo di uno stregone tornava indietro ad uccidermi, i due erano semplicemente spariti senza lasciare traccia. Tentai di non essere amareggiata della scomparsa del demone, in fondo non lo avevo mai voluto al mio fianco. Senza lui avrei potuto dedicarmi completamente alla riuscita del mio piano B, senza preoccuparmi di una sua intromissione. Molto probabilmente avrebbe considerato le mie azioni folli e sconsiderate, rimproverandomi per tutto il tempo. Non che avessi molta scelta, Nolan non mi avrebbe mai dato il siero ed io non ero in grado di averlo da sola.
Se volevo ottenere il potere, quello era l’unico modo.
Stringevo i pugni dalla rabbia mentre pensavo a lui e alla sua maledettissima fiala. Quello stupido demone non portava a termine mai niente. Iniziai a truccarmi, riflettendo su uno sciocco principe viziato che intraprendeva una battaglia senza mai vederne la fine. Per noia o per diletto aveva dato inizio ad un esperimento che non intendeva concludere. Aveva ucciso, ingannato e fattomi assaggiare il potere per nulla.
Fusi il rossetto mentre lo stringevo e ne dovetti scegliere un altro, gettandolo nella pattumiera. Sapendolo in anticipo, avrei accettato di aiutarlo quando ancora voleva provare la pozione su di me. Avrei dovuto sconfiggere quel codardo di Abrahel, quel pazzo di Isaac e portare a compimento la mia vendetta quando ne avevo avuto l’occasione.
Fusi anche la cipria, buttandola via come il rossetto prima di lei.
Invece adesso mi trovavo al punto di partenza, senza niente in mano e con un paio di nemici in più che volevano la mia testa. Avevo perso tempo, costretta ad allenarmi di notte senza sigillo con il mio controllo del sangue. Quello che mi serviva era maggior potere, giusto per controllare meglio quello che già possedevo.

Attesi un attimo prima di toccare l’ombretto, avendo dovuto gettare anche la spazzola. Socchiusi gli occhi innanzi allo specchio, cercando di calmarmi. Quella notte, avrei ottenuto finalmente il potere, dipingendo di rosso sangue le strade di Bordeaux. 

Sorrisi, allietata da quel pensiero e riuscendo finalmente a truccarmi e a pettinarmi i capelli, già incredibilmente cresciuti. Si allungavano sempre con grande fretta, fin da quando ero bambina. Cadevano sulle spalle, corvini e terribilmente lisci.
Li spazzolavo, avvolgendoli in una intricata capigliatura, mentre riflettevo sulla serata.
Avrei trovato sfogo nel sterminare quelle creature che tanto odiavo, a bruciare quei fragili corpi fatati che si disintegravano non appena li sfioravo. Come anni prima, “il mostro delle fate” sarebbe tornato sui titoli di tutti i giornali e, come esattamente le scorse volte, avrebbero pagato per essere nate così deboli. Per un attimo mi persi nel ricordo di una notte della mia infanzia quando, in una delle tante fughe da casa, uccisi per la prima volta una fata.
Le mie mani divennero gelate, toccando la lunga collana di perle comperata con i soldi che Nolan aveva lasciato in camera. La indossai, specchiandomi con solo essa in dosso, truccata, con i capelli raccolti e i bendaggi alla spalla. Quella donna, quella sciocca fata che aveva fatto l’enorme sbaglio di essere tanto buona con un mostro, era morta a causa dalla fragilità della sua stupida razza. Dopo di lei, avrei voluto vedere morte qualunque creatura portasse un paio di insulse ali colorate dietro la schiena.
Mi diressi verso il guardaroba, terminando di prepararmi per la grande notte.
Prestando attenzione alla ferita infertomi da Isaac, indossai l’elegante e costosissimo abito blu.
Mi specchiai ancora una volta prima di uscire, chiedendomi quanto lo avrei macchiato di sangue da lì all’indomani.
 
Chiamai una carrozza, per attraversare l’intera città sino all’evento che tanto avevo aspettato.
Il lento mezzo impiegò quasi un’ora per fare il giro della città, mostrandomi dall’interno del cocchio ogni suo dettaglio. Potei osservare meglio le case delle creature fatate, notando che fossero divise in tre tipi. Gli insetti alati vivevano in abitazioni costruite con foglie e rami di alberi, in dimore scavate nella roccia e oppure costruite in alberi enormi. Queste ultime erano situate in arbusti, talmente alti da toccare il cielo e talmente larghi da catturare l’intera visuale. Come appartamenti, vi erano migliaia di case nelle quali abitava la classe più agiata delle fate. Più le case si trovavano verso i rami alti, più le famiglie che vi risiedevano erano importanti.
Quasi tutto il quartiere nobiliare era composto da questi soli alberi.
In periferia potei scorgere casette scavate nella roccia e abbellite da fiori e piante di ogni tipo, ovviamente. Ognuna di esse possedeva un grande giardino e appartenevano alla classe benestante. Le fate più modeste invece dimoravano nelle piccole casette costruite con rami e foglie, che si trovavano verso i confini della capitale.
Per i turisti, gli edifici e i negozi delle strade centrali erano costruiti nello stile degli umani. Alti palazzi di mattoni rompevano lo scenario della città costruita nella pietra e negli alberi, illuminate dalla sola luce naturale delle creature fatate, che si riversava in tutta Bordeaux come elettricità.  Pochi stregoni e umani in visita accettavano di dormire sopra un letto di foglie o di risiedere in un albero. Per la salvezza della economia dunque, che si basava completamente sul turismo, avevano accettato di annullare la loro cultura per abbracciare lo stile architettonico umano.  
Continuai ad osservare fuori dalla finestrella del cocchio, come le loro case, anche il loro aspetto si distingueva a seconda della classe sociale di appartenenza. I tre ceti non si riconoscevano per i modi di vestire, per il loro linguaggio o per il loro aspetto ben curato. Ricchi e poveri erano esattamente uguali, in tutto. Tutte le fate erano alte praticamente quanto me, avevano delle orecchie a punta orizzontali che spuntavano dai lunghi capelli blu, rosa o verdi e indossavano gli stessi vestitini di foglie colorate. L’unica differenza visibile erano le ali, per forma e grandezza.
Quelle allungate verso l’alto, con un taglio a zig zag e con il colore omogeneo appartenevano alle fate più semplici e modeste. Le fate invece con le ali dalla stessa forma delle farfalle, quasi come se avessero più strati, e dal colore sfumato appartenevano a quelle benestanti che abitavano all’interno delle case nella roccia. In fine vi erano le ali più eleganti e sfavillanti di tutte, dalla forma unica e irripetibile. Non vi era una coppia di ali uguale all’altra, ad accumunarle erano solo le diramazioni di un colore dominante che prevaleva su tutte le ali. Chiazze di un colore altrettanto forte era presente sulle estremità di ogni ala, con lo sfondo formato solitamente da decine di colori diversi. 
Le trovavo buffissime e assurde, il modo in cui interagivano fra loro poi mi faceva ancora più ridere. Quando trovavano una loro conoscente muovevano le ali felici, quasi fossero state cani. Parlavano tranquillamente anche con gente che non conoscevano e che apparteneva alla classe inferiore a loro, senza alcun problema.
Le fate si comportavano da membri del loro ceto solo una volta all’anno, durante la Festa del Sole, che veniva festeggiato durante il solstizio d’estate. In quell’occasione veniva dato un grande ballo a cui tutti partecipavano, a cui, quell’anno anch’io avrei presenziato.
Accorsero da ogni parte del regno centinaia di fate, che si riunirono all’interno di un’immensa quercia cava, utilizzata come palazzo per le cerimonie. Dato l’evento, le famiglie nobiliari portavano il proprio stemma sopra le loro vesti eleganti. Quasi tutte indossavano una bellissima corona, sopra i loro capelli delicati come la seta e, gli uomini, sfoggiavano un bastone d’oro da passeggio. Le fate benestanti indossavano vestiti luminosi e intricati, portando una dolce coroncina di fiori sopra il capo. I membri appartenenti all’ultima classe parteciparono vestiti come tutti i giorni ma non per questo meno eleganti o sciatti.
 
Finalmente giungemmo dall’altra parte della città, in coda per accedere all’entrata dell’albero cavo.
Feci un sospiro di sollievo, la mia permanenza nel cocchio fiorito stava per terminare.
Presi lo specchietto dalla borsetta, controllando per un ultima volta il trucco. Sistemai la collana, stringendola forte mentre osservavo il riflesso dei miei capelli raccolti. Raramente mi vestivo così elegantemente, pensandoci bene forse non mi ero mai conciata in un modo simile.
La ricerca del potere faceva fare cose pazze, come impiegare ore per prepararsi e poi rovinare un costosissimo vestito da cerimonia con il sangue d’oro della Regina delle Fate.
Sorrisi, giochicchiando con la collana. Sperai almeno che le sfumature dorate si intonassero ai tacchi che indossavo sotto all’abito blu, lungo fino alle caviglie. Li avevo scelti placcati pensando a quel momento, l’attimo in cui finalmente avrei ottenuto il potere contenuto nel sangue della regina, non solo per riprendere il colore delle mie iridi fuori dal comune.
Riposi lo specchietto nella borsa, lieta di portare a compimento perlomeno il mio piano B.
Ricordavo di aver letto su un qualche libro la leggenda di alcune creature definite “potenzianti”.
Il sangue di esse avrebbe dovuto donare poteri incredibili a coloro che lo bevano, una di queste era la Regina delle Fate. Il suo sangue color oro offriva enormi capacità, permanenti.
Continuai a sorridere, pensando che fosse persino meglio del siero temporaneo di Nolan.
Secondo la leggenda ci sarebbero state altre creature di cui poter bere il sangue, come gli unicorni, gli arcangeli, la prima principessa delle sirene, la fenicie morta almeno per mille volte e il grifone dalle ali d’argento. Mi parve più facile trovare la Regina delle Fate, visto che mi trovavo già nel suo regno. Sapevo bene che si poteva trattare di una semplice leggenda, un’antica storia che si sarebbe potuta rivelare falsa. Ritenevo comunque che valesse la pena tentare, nel caso peggiore avrei ucciso un bel po’ di fate.
 
La carrozza mi condusse esattamente davanti all’ingresso del grande albero cavo. Un valletto dalle ali blu si propose di aiutarmi a scendere, ponendomi pericolosamente la sua mano. La scrutai per qualche attimo, desiderando stringerla e poterne osservare le conseguenze. Mi contenni, rifiutando con garbo e scendendo da sola. Sfilai sul tappeto rosso che portava fino all’entrata, aperta nella corteccia. Quando fu il mio turno, mi presentai davanti ai soldati che presiedevano la porta. La loro presenza mi sorprese, le fate infatti non erano solite necessitare delle guardie duranti eventi pubblici. Si fidavano di tutti, anche quando doveva presenziare la loro carissima Regina.
Giunsi fino a loro con tutta tranquillità, per niente preoccupata da quegli stupidi insetti corazzati.
La guardia personale della sovrana mi fermò innanzi all’ingresso, domandando il mio nome, il mio rango e la mia provenienza. Fissai le tre donne per qualche istante, notando che appartenevano alla classe sociale più alta. Non indossavano le armature nonostante fossero delle guerriere, piuttosto erano molto più eleganti di qualunque altra donna presente alla festa. I loro abiti luccicavano alle luci dei lampioni e le loro grandi ali venivano ammirate da chiunque posasse per sbaglio lo sguardo su di loro.
Non avevo mai visto ali tanto grandi e tanto belle, anche il loro portamento era estremamente diverso da quello degli altri soldati sparsi un po’ ovunque.
- Van Liard-
Pronunciai, sfoggiando il cognome nobiliare che mio padre non aveva voluto tramandarmi.
Una delle fate segnò il mio nome sulla lista dei presenti, incitandomi con voce decisa a rispondere anche alle altre domande.
- Da dove ha detto che viene?-
Continuò, a volto duro e sbattendo le lunghe ali che emanavano una luce violacea.
- Dalla nazione delle streghe-
Risposi, come se una ragazza senza ali potesse giungere da altri luoghi.
- E cosa sareste? Una strega o un’umana?-
Chiese un’altra, vestita di un abito pieno di perle e circondata da una luce azzurra. Pareva avere uno sguardo leggermente più dolce rispetto alla prima, nonostante mi scrutasse con diffidenza.
- Una strega-
Dichiarai, accontentandole. La prima fata continuò ad appuntare il tutto sul suo enorme registro, così lentamente da spazientirmi.
- Perché tutto questo?-
Domandai infine.
- Non posso semplicemente entrare per il Ballo del Sole?-
- E’ la procedura-
Affermò la terza, il cui vestito era circondato da migliaia di fiori ed emanava una strana luce verde dalle ali.
- E da quando?-
Domandai sarcastica. Le tre donne si guardarono fra loro, dopodiché tornarono a fissarmi. Per la prima volta notai le splendide corone che portavano, su di esso vi era lo stemma della famiglia reale.
- Dallo sterminio del mostro delle fate-
Spiegò la fata con il registro in mano, rispondendo con ovvietà. Continuarono a fissarmi stranamente, come se non avessi saputo rispondere alla domanda più facile del mondo, come se provenissi da un altro pianeta.
- Voglia scusarci Signorina Van Liard-
Iniziò dicendo la guardia vestita di fiori.
- Non ne ha mai sentito parlare?-
Sorrisi istintivamente, stringendo la borsetta.
- Certo che sì-
Sbottai, sbattendo le ciglia.
- Me ne ero solo dimenticata-
Le tre donne mossero le ali contemporaneamente, mettendo via il registro delle presenze.
- Da quanto tempo è qui, Signorina?
- Da questa mattina, sono venuta per partecipare alla festa. Non è troppo tardi per il buffet, non è vero?-
Si lanciarono delle occhiate di sfuggita, prima di scusarsi per la perdita di tempo e liberandomi il passo.
- Il nostro paese è ancora sconvolto dagli eventi avvenuti quattro anni fa-
Ammise la fata piene di perle sull’abito.
- Quando numerose delle nostre sorelle sono state uccise carbonizzate-
Cercai di fare l’espressione inorridita, ponendomi una mano sul petto raccapricciata.
- Me lo ricordo bene-
Mormorai malinconia.
- Una vera tragedia. State svolgendo un ottimo lavoro ma non penserete certo che il mostro appartenga ad una famiglia nobile di streghe, non è vero?-
- Certo che no-
Sbottò la fata dalle ali violacee, ponendo il registro dietro la schiena.
- Prego, si accomodi-
- Si diverta-
Augurò la guardia vestita di fiori, aprendomi le porte per l’albero cavo.  


I raggi lunari risplendevano sulle ali scintillanti delle fate che ballavano, accompagnate dalla dolce musica dei violini. Rimasi abbagliata, domandandomi a che servissero i lampioni.
Avanzai lentamente nella folla, osservando le pareti dell’enorme albero cavo in cui mi trovavo.
In confronto ad esso mi sentivo minuscola, un insetto in una gigantesca quercia.
Il pavimento era composto dallo stesso legno del tronco, il soffitto dalle stelle del firmamento. Proseguì come una formichina, seguita da centinaia di coccinelle danzanti intorno a me. Al ballo del Sole erano accorse erano moltissime fate, eppure lo spazio sembrava non mancare mai all’interno di quel bizzarro palazzo delle feste.
Al lato sinistro erano stati costruiti i bagni in pietra, dall’altro, nel mezzo la pista da ballo, vi era il ristorante e, in fondo, l’orchestra.
Lo spazio vicino alle pareti pareva riservato alle fate lasciate sole, che aspettavano di essere invitate per le danze. Io rimasi per un po’ vicino al muro di corteccia, non volendo però essere invitata.
Stavo scrutando la situazione, cercando di vedere bene anche ciò che non doveva essere visto.
Fingendo di alzare lo sguardo verso il cielo, notai numerose guardie appostate nel buio presso la cima dell’albero. Ci stavano osservando e volevano essere sicure che non ci fossero incidenti.
Sopra la pista da ballo scorsi un grande balcone, su di esso vi erano alcuni soldati che pareva facessero da scorta ad una elegante fata con una bambina.
Non fu difficile capire che, la fata allontanata da tutti, fosse la loro regina.
Osservai bene la sua figura, mentre ella sorrideva fissando il suo popolo che festeggiava.
Sul capo portava una bellissima corona di rubini rossi, che splendevano alle luci della festa.
Il suo abito rosa era più semplice di tutti quelli delle signore presenti al solstizio, persino più semplice delle guardie. Le sue ali gialle si intonavano perfettamente alle scarpette.
Notai che teneva un bambina stretta per mano, intenta ad osservare le danze. La sua piccola e fragile figura mi incuriosì, scrutava i partecipanti piena di malinconia, colma di una tristezza ben visibile. Mi concentrai su altro, stringendo i pugni e domandandomi come raggiungerla.
 
Dovetti creare un po’ di confusione fra le fate, giusto per distrarre le guardie e per sfogarmi.
Avevo dato inizio ad uno splendido gioco, divertente e dal premio succulento. Se vincevo, mi aggiudicavo la splendida signora che si trovava in cima a quel balcone.
Attesi un’ora prima di agire, aspettando che le fate avessero il tempo di bere le bevande che avevo incantato.
Dovetti resistere a lungo, prima che perdessero le proprie inibizioni.
Le osservai spazientita, attendendo il momento in cui le guardie dall’alto avrebbero dovuto dedicarsi ai rumorosi ospiti. Successivamente mi interessai ai soldati che presiedevano la pista da ballo, necessitando che anch’essi si sciogliessero un po’. Dopodiché uccidere loro e gli invitati, sarebbe stato ancora più divertente.
Sorrisi istintivamente, capendo perché il Concilio si fosse sempre opposto ad insegnarmi la magia. Effettivamente, era pericoloso.
- Notato qualcuno di sospetto?-
Chiesi ad una guardia, posizionandomi accanto a lui con le spalle contro la parete.
L’uomo si stupì che gli rivolgessi la parola e prese a battere nervosamente le ali.
- N-No Signorina. Nessuno per ora-
- Allora, posso dire di essere al sicuro?-
Continuai a chiedere, avvicinandomi.
- Certo Signorina. Con noi voi siete assolutamente al sicuro!-
- Mi rincuora-
Risposi sorridendo.
- Sta facendo uno splendido lavoro questa sera. Posso offrirle da bere?-
- No…veramente…non sarebbe permesso-
Sbuffai, andandogli davanti.
- Faccia un piccolo strappo alle regole. Deve essere stancante stare in piedi tutta la notte. Deve avere la gola secca, non è così?-
- Sì…un pochino…-
Rispose, vedendo il vino che gli stavo agitando sotto il naso.
- E’ giusto un goccio. Non credo che possa farle male-
Dopo qualche secondo di fatica, convinsi tutte le guardie presenti nella sala.
Stupidamente, bevvero la pozione avvelenata senza pensare minimamente alle conseguenze, solo una di loro mostrò resistenza.
- Non è facile essere una ragazza senza ali a questa festa, sa?-
- Ma davvero-
- Sì, nessuno mi invita a ballare. Non ho nessuno con cui brindare…-
Continuai, avvicinandomi alla spalla della guardia.
- Sono sicuro che troverà qualcuno, in mezzo alla pista da ballo-
Rispose, senza neanche degnarmi di uno sguardo.
Digrignai i denti, infuriata per essere stata rifiutata. Volsi gli occhi in alto, cercando la figura delle guardie armate sopra le nostre teste. Ci trovavamo in un angolo vicino ai servizi, coperti da una piccola tettoia che ci proteggeva dalla vista dei soldati. Fissai fugacemente gli ospiti a pochi metri da noi, notando che erano troppo impegnati a festeggiare per osservarci.
Bevvi velocemente dal bicchiere che stavo porgendo al soldato, cercando di non ingoiare.
Libera dal sigillo, applicai l’incantesimo di contenimento per la mia temperatura, abbassandola giusto per qualche secondo. Dopodiché mi alzai sulle punte, gettando il calice vuoto a terra con rabbia. Afferrai la testa della guardia e lo baciai, senza che questo poté fare niente. Gli feci bere la pozione dalla mia bocca, facendolo stramazzare a terra prima che si potesse vendicare.
- Ci voleva tanto?-
Bofonchiai, asciugandomi le labbra e il petto sul quale era caduto del vino.
- Desideravo solo fartelo assaggiare-
Me ne andai lasciando l’ultima guardia sul pavimento, che presto si rialzò con l’unico desiderio di potersi divertire. I soldati del piano terra erano sistemati, adesso potevo creare un po’ di panico fra gli invitati.
 
Attesi in bagno le prime fatine con i sintomi del mio veleno.
Arrivavano tutte con i vestiti sporchi di alcol, colpite da forti mal di testa oppure con conati di vomito.
- Hai bisogno di aiuto?-
Chiesi alla prima che sopraggiunse. Aveva sporcato il suo bellissimo abito e non faceva che esilararsi per questo. Rideva, dicendo che il suo ragazzo aveva voluto leccarle tutto il vino che le era caduto addosso e che adesso aveva fatto peggio, rovinandolo del tutto.
Io sorrisi e mi avvicinai.
- Aspetta-
Dissi.
- Ti do una mano-
L’afferrai con forza per il collo, bloccandola. La delicata creatura non riuscì ad urlare, le corde vocali furono le prime a bruciare. Le cadde il fazzoletto che stringeva fra le mani, iniziando a sbattere nevriticamente le ali. Strinsi più forte, non facendo altro che toccarla. Presto le mancò il respiro e la sua pelle iniziò a bruciare, diffondendosi per tutto il volto e il corpo. I capelli di seta si tramutarono in cenere, le ali rosse si staccarono dalla schiena mentre tutto il resto diveniva polvere.
Mi allontanai, stringendo i pugni. L’avevo solo toccata, semplicemente questo.
Odiavo la loro fragilità, odiavo la loro delicatezza. L’avevo solo toccata e lei era morta, come accadde alla prima fata che uccisi. Rabbrividì ancora una volta al suo ricordo.
Farle del male mi aveva provocato una profonda ferita al cuore, che mai avrebbe potuto risanarsi. Strinsi la collana di perle furiosamente, fissando i resti della fata. Il Concilio aveva ragione, ero solo un mostro che si divertiva ad uccidere, per rabbia.
Il Mostro delle Fate nacque per vendetta contro quell’unica e stupida creatura che osò volermi bene, proteggendomi quando tutti mi davano la caccia. Le avevo detto di non toccarmi, glielo avevo detto ma lei non aveva ascoltato. La odiavo per avermi abbracciata. L’avevo uccisa e la odiavo per averla uccisa. Rivedevo il suo volto in tutte le fate che incenerivo, finendo per arrabbiarmi terribilmente. Fusi il costoso collier di perle che stavo toccando, gettandolo a terra.
Lo sostituì con un altro gioiello, che avevo portato per precauzione. Un bellissimo zaffiro blu a forma di cuore che avevo acquistato con i soldi di Nolan, pagandolo più dell’abito. Cercai di calmarmi, non desiderando distruggere anche quello.  
Mi dedicai alle decine di fate ubriache che si diressero in bagno, prendendole per il collo anche due alla volta. Avvelenate, non facevano altro che sbattere stupidamente le ali.  
Nemmeno cercavano di difendersi, di salvarsi. Rimanevano inermi, a morire, fino a che di loro non rimaneva altro se non le ali e gli abiti. In massa, chiudevo i resti nello sgabuzzino con le scope, poi aspettavo altre vittime.
Dopo un’ora, stufa del bagno delle donne, passai a quello degli uomini. Fu più divertente ucciderli, con un lungo bacio, il loro ultimo bacio di morte.
Anche le loro ali e i loro vestiti li gettai dentro lo sgabuzzino e aspettai. Aspettai che qualcuno si accorgesse che la sala si fosse dimezzata.
Finalmente le guardie del piano superiore iniziarono ad avere i primi sospetti, esattamente dopo aver ucciso tutti soldati presenti sulla pista da ballo. Uno ad uno li avevo convinti a seguirmi in bagno, per poi carbonizzarli come il resto della loro razza. Solo allora gli uomini armati scesero dalla cima del tronco, abbandonando le loro posizioni e cercando invano i loro compagni d’armi.  
Iniziarono a vagare stupidamente per la pista da ballo, allarmati. Qualcuno provò a cercare i disertori in bagno, finendo nella mia trappola.
 
Volli creare ancora più scompiglio, usando un incantesimo che Nolan mi aveva insegnato durante i nostri esercizi.
- Velo bianco-
Sussurrai, prima di uscire allo scoperto. Una luce impercettibile scaturì dal mio corpo, colpendo in pieno lo sguardo di chiunque mi circondasse. Nessuno riusciva a vedermi, permettendomi di attraversare la folla indisturbata. Non era un vero incantesimo della invisibilità, quella magia velava semplicemente gli occhi di chiunque ne venisse investito, impedendogli di vedere la persona che aveva proferito l’incantesimo.
Risi, camminando fra le coppie danzanti e toccandole, una ad una. Passavo tranquillamente e stringevo un braccio, un collo o una mano a piacimento. Questo non le uccideva ma le faceva urlare dal dolore. Tutti coloro che colpivo si accasciavano a terra, con la parte del corpo in questione bruciata. Presto la musica cessò e molti ospiti scapparono, accalcandosi verso l’unica uscita.
Il resto dei soldati che ancora osservavano dall’alto, finalmente scesero, cercando fra la folla impazzita il colpevole impossibile da vedere.  
Le vittime urlavano e si accasciavano a terra da sole, senza che nessuno apparentemente le toccasse. Le guardie iniziarono a correre per la sala, giungendo nelle mie grinfie.  
Appena mi erano abbastanza vicine le bloccavo con il mio corpo, stringendole forte.
Toccavo i punti scoperti dalle armature, pronunciando sempre la solita frase.
- Muori per la tua regina-
Sussurravo alle loro orecchie a punta, prima che esalassero l’ultimo respiro.
Questi si dimenavano, contro un nemico invisibile del quale potevano udire solo la voce.
Sconcertati giunsero ancora più soldati, cercando di salvare i compagni feriti ma seguendone atrocemente il destino.  
- Andate anche voi! Cosa aspettate?!-
Urlò la regina alla propria guardia personale, vedendo il popolo che moriva sotto i suoi occhi.
I soldati con un balzo scesero a terra cercando, con le spade sguainate, il mostro che stava mietendo così tante vittime. Li ignorai, scrutando la figura della regina in piedi sul balcone, intenta a stringere la mano della figlia.
Osservava la scena con orrore, tremando per la paura.  
Presi a ridere, avanzando verso la donna rimasta indifesa. Procedetti lentamente, gustandomi il momento in cui l’avessi uccisa. Giunsi sotto la balconata, dopo aver colpito o ucciso chiunque mi avesse intralciato il cammino. Con agilità, colmai l’altezza che ci separava, riuscendo a raggiungerla con un semplice balzo. Ella riuscì a sentirmi, pur non vedendomi. Sussultò spaventata, puntando lo sguardo verso di me.
- Dove sei?!-
Domandò tremante.
Spesi qualche minuto a fissarla, notando quanto fosse bella ed elegante. I capelli biondi le cadevano sulle spalle, le labbra rosse tremolavano mentre cercava di parlare e i grandi occhi, blu come zaffiri, scrutavano il vuoto spaventati. Ansimante, prese in braccio la bambina ancor prima che io sciogliessi l’incantesimo.
- Chi…Chi sei?!-
Continuò, allontanandosi da me. Scesi dalla balaustra iniziando ad avanzare, poteva udire i miei tacchi procedere verso di lei.
- Chi sei?!-
Ripeté, quasi morendo dal terrore.
- Non sono obbligata a presentarmi-
Sbottai, seccata dalla sua codardia.
- Cosa vuoi?-
- Il sangue della Regina delle Fate, ovviamente-
La donna strinse maggiormente la bambina che teneva in collo, quasi stritolandola.
- Vuol dire…che non tenti di rovesciare il regno?-
Domandò incredula la creatura, indietreggiando. Aggrottò le sopracciglia mentre il suo sguardo vagava nel vuoto, alla ricerca di colei che la stava minacciando. Io continuai a ridere, ritenendole creature veramente sciocche. Avevano dato un’identità tutta sua al “mostro delle fate”, definendolo un sovversivo, un ribelle dalle ali fragili che desiderava l’anarchia.
- Lei non è una fata-
Affermò improvvisamente la bambina, facendomi sussultare. Mi stava fissando, nonostante io fossi ancora invisibile ai suoi occhi.  
- C-Come?-
Chiese la madre.
- Non ha le ali. Viene dal paese delle streghe ma non è una strega-
- E tu come…piccola…-
Strinsi i pugni, digrignando i denti veramente infastidita. Mi mostrai con il mio aspetto, con l’abito lungo blu e i capelli raccolti, sorprendendo la donna innanzi a me.
- Sei…sei così giovane…-
Sussurrò la sovrana, quasi con compassione.  
- Eppure ho già incenerito un centinaio dei tuoi sudditi-
Ella sussultò, rinsavendo e nascondendo la bambina dietro la sua schiena.
- Cosa vuoi da noi?-
Tornò a chiedere, pallida e tremante.
- Il sangue della sovrana, te l’ho detto-
- E perché lo vuoi?-
Le sorrisi, avvicinandomi. Non aveva più posto per indietreggiare, era mia.
- E’ semplice. Voglio il potere del suo sangue d’oro-
- E’ solo una leggenda, non lo sapevi?-
Ribatté la fata, ansimante.  
- Davvero? Lo scopriremo subito-
Mi avventai sulla donna dai lunghi capelli biondi, cercando di colpirla ma qualcosa mi fermò. Fui respinta da una barriera elettrica, eretta intorno a loro come un campo magnetico.
Tornai a sfiorarla, provocando un’intensa scossa che mi colpì attraversandomi il corpo intero.
I capelli raccolti divennero elettrostatici, innervosendomi.
- Non sarà certo questo a fermarmi-
Gridai arrabbiata, afferrando la barriera a mani nude. Delle scariche di elettricità mi colpirono nuovamente, avvolgendo tutto il mio corpo, facendolo diventare ancora più caldo.
Io vivevo nel calore, quello non mi avrebbe certo bruciato.
Strinsi più forte la barriera e la strappai, come si fa con un sacchetto di plastica.
Non era certo più potente della magia di Nolan.
- Voi fate siete troppo deboli-
Dichiarai, avventandomi finalmente sul corpo della sovrana e graffiandole una spalla.
Conficcai le unghie nella carne, facendone sgorgare il sangue e verificando se fosse una leggenda o meno. Il sorriso dal mio volto scomparve, quando scorsi del sangue rosso fuoriuscirle dal corpo.
Era una leggenda.
La creatura crollò a terra dal dolore, con la pelle ustionata, tuttavia continuando a stringere la figlia fra le braccia. Le urla attirarono presto le guardie rimaste, fra cui le tre donne che avevo conosciuto all’entrata. Circondarono da terra il terrazzo in pochi attimi, togliendomi ogni via di fuga.
- Regina!-
Urlarono le guardie reali, cercando di alzarsi in volo per raggiungerci.
- Ferme o l’ammazzo!-
Gridai, facendole bloccare all’istante. Le soldatesse mi fissarono con rabbia dal basso, continuando perlomeno ad urlare il nome della sovrana.
- Sorella!-
- Sì-
Rispose la fata, se pur sofferente.  
- Sto bene-
- Col cavolo-
Sbottai io, ripensandoci.
- Dopo tutta questa fatica, almeno devo ucciderti-
Affermai, estremamente delusa che il mio piano B fosse fallito. Alzai una mano furiosa, per colpire il bellissimo e delicato volto della donna. Desideravo bruciarla viva, vendicarmi di tutto quel tempo perso per niente.
- No!-
Protestò la bambina, mettendosi temerariamente fra me e la fata. Per un attimo mi bloccai, sconcertata dal suo coraggio.
- Non credi di aver già ucciso abbastanza?-
Continuò la piccola dai capelli biondi, alta poco più di mezzo metro.  
- Non ti sei già vendicata?-
- Cosa ne vuoi sapere tu, mocciosa?-
- Ti prego, basta uccidere-
Proseguì con voce ferma, fissandomi negli occhi senza un solo accenno di terrore.
La scrutai indecisa, non riuscendo a riflettere con la madre che piagnucolava e le guardie reali che urlavano sotto il balcone.
- Ros! Ros!-
- Sì!-
Rispose finalmente la donna a terra.
- Sto bene Pearl!-
Mi stufai di quella situazione di stallo, afferrando l’unica che mi stava dando sui nervi.
Acchiappai la bambina per il vestitino, facendola urlare dalla sorpresa.
Con un salto sulla balaustra riuscì a trovare la spinta necessaria per salire sulla cima dell’albero cavo, per poi scappare.
- La regina!-
Udì gridare.
- Il Mostro!-
- Ha preso Sua Maestà!-
 
Corsi attraverso la foresta notturna, soddisfatta di aver almeno ucciso molte di quelle noiose creature. La bambina fra le mie braccia non faceva che blaterare, affermando che tutti mi avrebbero considerato malvagia. Mi fece ridere, sembrava quasi una battuta. Cosa ne sapeva lei della malvagità o di come la gente mi considerava?
Io ero stata ritenuta un mostro ancor prima di venire al mondo.
Malvagia, un angelo con le ali macchiate di sangue, più crudele dei demoni, ecco cosa ero.
Sorrisi, chiedendomi se la causa fosse il sangue umano e celeste, incompatibile fra di loro, che scorreva nelle mie vene.
Se così fosse stato, la malvagità sarebbe stata sicuramente una caratteristica di famiglia.
Iniziai a tremare a quel pensiero, rievocando un terribile ricordo legato ad una persona altrettanto orribile. Divenni gelida, ripensando a mia sorella e alla sua crudeltà.
Cercai di calmarmi, rammentando che era morta.
- Hai fatto male alla mia mamma-
Mugolò la bambina, facendomi rinsavire.
- Volevo ucciderla-
Ammisi, rallentando.
- Ringrazia tutti gli Dei che vuoi perché l’ho risparmiata-
- Le zie saranno arrabbiate-
Disse lamentandosi.
- Quelle tre? La guardia reale?-
La bambina annuì.
- Fanno parte delle quattro principesse reali-
- Quattro?-
Chiesi, non tornandomi i conti. Continuai a correre, fino a giungere talmente lontano che non seppi più dove mi trovavo.
- La mamma era solo spaventata-
Giustificò la fatina chiacchierona.
- Proprio come tu temi Blanche-
Mi bloccai, mollando la bambina e facendola cadere a terra. Questa bofonchiò qualcosa, rotolando con il suo piccolo e goffo corpicino sino a tornare in piedi.
- Come conosci il suo nome?-
Domandai, indietreggiando.
- Come sai di mia sorella?-
- Io leggo la mente degli altri-
Affermò la creatura, continuando a guardarmi con i suoi grandi occhi zaffiro.
- Ah sì? E cosa sto pensando ora?-
La piccola tacque, fissandomi un momento più intensamente.
- Chissà se Nolan sta bene-
Indietreggiai ancora. Quel mostriciattolo davvero mi leggeva nella mente.
- Come fai a farlo?-
- Ci riesco e basta-
Rimasi un attimo in silenzio, riflettendo su un dettaglio a cui non riuscivo a trovar spiegazione.
- Ma…se tu leggi la mente…sapevi fin dall’inizio che il “mostro” ero io-
La bambina annuì, spiazzandomi.
- Tu sapevi quello che volevo fare…fin da quando sono entrata da quella porta-
Ripeté lo stesso cenno del capo.
- Allora perché non hai detto niente? Hai lasciato morire…-
- Non sta a me fermarti, Victoria-
Sbottò la bambina, facendomi sobbalzare ancora.
- Nonostante sperassi con tutto il cuore che ti arrestassi-
Iniziai a ridere istericamente, sciogliendomi la capigliatura e strappandomi la collana dal collo.
- Voi fate siete incredibilmente deboli e stupide-
Proferì, camminando avanti e indietro.
- Per una volta che potete evitare un massacro, lasciate che accada. Meritereste di morire tutte-
- Tu non sei malvagia come credi-
Continuò la fatina, facendomi ridere ancora di più.
- Ah no? Sai che potrei ucciderti con un dito?-
Affermai con sguardo minaccioso, avvicinandomi al volto della piccola fata.
- Però non lo stai facendo. Tu non sei cattiva, hai solo ricevuto tanta cattiveria-
- Zitta!-
Urlai nel cuore della notte.
- Solo perché mi leggi nella mente non vuol dire che tu mi conosca-
- Tu uccidi le fate per vendetta-
Dichiarò la creatura alta sessanta centimetri, esibendo tutte le sue conoscenze.
- Da quando hai ucciso una tua amica, una fata di nome Daphne-
Cercai di toccarla per bruciarla ma, repentinamente, la creatura mosse le sue aluccie per scansarsi. Caddi nel vuoto, osservando il suo bel faccino con odio.
- Lei ti voleva bene-
Continuò.
- Anche quando l’hai uccisa, ti sorrideva-
- BASTA!-
Sbraitai, riuscendo a stringerle le sue piccole braccia. La piccola urlò a malapena, mentre la sua pelle stava bruciando velocemente. Mi bloccai solo quando scorsi per caso il colore del suo sangue.  
- Oro-
Sussurrai, lasciandola andare.
- Sangue d’oro…-
- Che ne dici di lasciare la Regina delle Fate?-
Sussultai, riconoscendo la voce. Mi volsi repentinamente, fissandolo incredula e, stupidamente, cercando anche Nolan insieme a lui.  
- Isaac. Lui dov’è?-
- E’ morto-
Sbottò lo stregone, provocandomi una fitta al cuore. Fissai velocemente il marchio impresso sul mio polso, calmandomi.
- Bastardo-
Feci un respiro profondo, socchiudendo gli occhi per lo spavento.
- Stai mentendo-
- E’ vero-
Il ragazzo dagli occhi verdi sorrise, senza cercare di negare. Avanzò verso di me, mostrandomi la sua figura malconcia alla luce della luna. Presentava diverse ferite, lividi e contusioni. L’elegante abito bianco era sporco e stracciato, come se avesse combattuto sino ad un attimo prima. Sembrava appena tornato da chissà dove, stremato da una lunga battaglia di cui non doveva essere il vincitore.
- Adesso lascia la Regina-
- Dov’è Nolan, dove siete…la Regina?!-
Mi volsi verso la bambina, fissando i suoi occhi sagaci e il suo sangue d’oro.
- La Regina l’ho lasciata al ballo…-
Bofonchiai mentre Isaac avanzava, blaterando qualcosa sullo scoppio di un caso internazionale.
- Non ti bastano le guerre che hai già causato?-
Proferì.
- Adesso attacchi anche il paese delle Fate? E’ stato il demone ad ordinartelo? Vuole una guerra?-
- Cosa?! No!-
- Cosa sta cercando di fare il tuo cavaliere infernale? Vuole mettere i regni alleati l’uno contro l’altro per indebolirli e poi attaccarli?-
- Nolan non sa niente di tutto questo-
Affermai, indietreggiando innanzi alla figura di Isaac.
- Ho fatto tutto da sola-
- E perché mai avresti dovuto attaccare e rapire la Regina delle Fate se non per provocare una guerra?-
- Per il potere, stupido-
Spiegai, bloccandomi.
- Ma parlarne è inutile perché la leggenda era falsa e la Regina l’ho mollata al ballo-
Isaac si bloccò, fissando dapprima me e successivamente la fatina dietro la mia schiena.
- Victoria, la Regina è proprio dietro di te-
Mi voltai di scatto, fissando gli occhi azzurri della bambina. Sulla testa aveva una piccola coroncina di fiori, le sue piccole ali colorate non avevano ancora raggiunto la maturità e al massimo erano visibili le sue ramificazioni. Il vestitino corto aveva giusto qualche gemma colorata, per il resto poteva passare come una popolana. Viva la semplicità.
- Non è possibile…-
Sussurrai, scioccata.
- Le fate hanno delle strane regole Victoria. La loro regina è sempre la figlia della principessa primogenita. Diciamo che saltano una generazione-
Non avrà avuto più di cinque anni ed era già regina. I suoi occhi erano profondi come se avesse vissuto per centinaia di anni e la sua calma era impressionante.
Mi fissava, senza proferire una parola. La Regina delle Fate.
- Perché?-
Domandai io, sconcertata
- Perché non hai salvato il tuo popolo?
Sbottai.
- Sei la loro regina…e hai lasciato morire i tuoi sudditi! Non li hai neanche protetti. Sei una codarda!-
Urlai, contro una bambina.
Tremai al pensiero di aver agito per tutta la notte sotto il suo controllo.
Lei era lì, a fissarmi e non aveva fatto niente. Non mi sentivo soddisfatta, né realizzata nella mia impresa. Non mi sentivo affatto vincitrice. Mi infastidiva il fatto che avesse saputo di me fin dal principio. Non ero stata io ad ingannare la regina, era stata lei ad ingannare me.
- Dovevi ucciderle per renderti conto di sbagliare-
Pronunciò la fatina.
- Come ti senti dopo averle uccise? E’ cambiato qualcosa?-
Scossi la testa, sentendomi sempre male.
- Tu non sei cattiva, Victoria-
Affermò la piccola Regina delle Fate.
- Ma la vendetta fa parte di te. La vendetta è nel tuo futuro, per questo ho lasciato che tu la portassi a termine-
Tacqui, osservando quegli occhi azzurri. Non sapevo fin dove stesse scrutando nella mia anima. Strano però che affermasse la mia bontà, visto che io non riuscivo a vederla affatto dentro di me.
Avrei potuto rifare ancora ciò che avevo appena fatto, lo avrei evitato solo per il fastidio di essere stata scoperta.
- Victoria, restituisci la Regina-
- Cosa te ne importa?-
Pronunciai, ancora fuori di me.
- Il Concilio ti ha cacciato per il tuo tradimento, no? Stai cercando di farti riammettere?-
Lo stregone non rispose, tuttavia continuò ad attendere che io obbedissi.
Feci un cenno alla creatura, intimandole di andarsene. La bambina sussultò, accostandosi a me.
- Non volevi assaggiare il mio sangue?-
- Sono tutte leggende, no?-
La Regina delle Fate sorrise, avanzando verso Isaac che le tendeva le mani. Sospirai, nel cuore della foresta illuminata solo dai raggi della luna. Questa battaglia, l’avevo proprio persa. 
Daphne morì in una notte di luna calante proprio come quella, in una piccola città sul confine occidentale. La fata dai capelli blu mi accolse in un momento in cui tutti mi temevano, facendomi sentire al sicuro per la prima volta. Mi diede un posto dove dormire e il cibo dalla sua tavola, trattandomi come una figlia. Scioccamente, iniziai a credere di poter restare, di poter ricominciare una nuova vita lontana da casa. L’illusione si infranse quando la ferì per la prima volta, accarezzandole una mano prima di andare a dormire.
Ricordai allora, solo allora, di essere un mostro.
Scappai spaventata in mezzo alla strada, non appena la fata urlò dal dolore. Nel buio di quella gelida notte, non mi accorsi della carrozza che stava sopraggiungendo, immobilizzandomi quando ormai scansarla mi era impossibile. Riaprì gli occhi sentendomi afferrare, spingere via dalla traiettoria dei cavalli.
Daphne era corsa in mio soccorso, abbracciandomi per allontanarmi dalla strada.
Si tramutò in cenere sotto i miei occhi, senza gemere, senza dire una parola. Continuò a sorridermi sino a che di lei non rimasero solamente le ali, congelandomi il cuore dal dolore. Fissai i suoi resti a lungo quella notte, sotto la neve che incessantemente cadeva dal cielo. Essa si scioglieva non appena si posava sulla mia pelle, proprio come era accaduto al corpo della creatura. Al sorgere del sole me ne andai, vagando per le strade innevate, uccidendo una fata che osò offrirmi aiuto. La toccai, come avevo fatto con Daphne.
Non provai tristezza per quella seconda vittima fatata, né per tutte le altre che seguirono.
Se la mia amica era morta, nessuno doveva più sorridere come lei.
- Non uccidere più-
Supplicò la bambina, avendo partecipato al mio ricordo che per tanti anni avevo tenuto celato.
Mi volsi verso di lei, osservando i suoi occhi.
- Non credo piccolina. Lo hai detto anche tu, la vendetta fa parte di me-
Sorrisi, tornando seria non appena mi sentì schiacciare da una strana pressione.
Era così forte da costringermi a terra, facendomi cadere pesantemente con la testa schiacciata al suolo. Con enorme fatica riuscì a scorgere un cerchio magico intorno a me, un incantesimo di costrizione.
- No!-
Sentì urlare Isaac.
  
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