Pioggia
Ritmica
picchiava sul tetto di legno, e piano piano
scivolava nella sua anima e la puliva
Un
lieve ghigno si formò sul suo volto bianco, tanto bianco da sembrare
traslucido…..
Sapeva
fin troppo bene che nulla poteva rendere la sua anima di nuovo immacolata,
ormai era troppo tardi e
l’unica cosa che gli restava da fare era proseguire. Andare avanti come aveva
sempre fatto in questi lunghi anni, tanto lunghi
che ormai si erano trasformati in secoli.
Percorreva
le strade della Parigi che conosceva da tanto tempo che ormai era diventata
parte di lui, ogni piccolo vicolo, strada, quartiere era parte di lui, da
quelli più benestanti a quelli più infimi.
Questi
gli amava più degli altri,
ormai era inutile mentire. Mentire a se stesso….che cosa stupida. Lo aveva capito anni fa che era inutile e dannoso. Quei
quartieri costituivano la parte più profonda della sua anima.
Avvolto
nei suoi pensieri si lasciava
trasportare dalla carrozza nelle vie buie e desolate. Ubriachi e prostitute avevano preso possesso della città,
abbandonata dai gentiluomini e dalle dame fuggiti nelle loro case. Per lui
erano tutti uguali. Cos’erano in fondo? Mere inutili esistenze che si spegnevano
silenziose senza lasciare traccia. Lui, invece, continuava ad
esistere. Esisteva, solo. Da solo.
La
carrozza si arrestò. Sbirciò il vecchio palazzo dal piccolo finestrino.
Il solito ghigno riapparve sul viso innaturalmente bello. Era arrivato. Scivolò
silenzioso sul marciapiede, i cavalli si allontanavano nel buio.
Restò fermo nella notte fredda. Non aveva fretta, il
tempo non era mai stato un suo problema.
La
casa non era rischiarata da nessuna luce. Sarà nella biblioteca, sempre sui suoi amati libri. L’immagine
di un giovane dai morbidi capelli bruni gli balenò nella mente e un lieve sorriso increspò le sue labbra.
A
passo lento iniziò a percorrere la strada verso il piccolo vicolo che
costeggiava il palazzo. Quanti
anni erano passati? Aveva smesso tanto tempo fa di contare il tempo. Era una cosa superflua per lui. Il tempo, come ripeteva
spesso, non era un problema per lui.
Un
lieve cigolio segnalò la sua intrusione e si diresse
silenzioso verso la biblioteca. Le sue supposizioni erano corrette. Era nella biblioteca, come al solito. Di nuovo le sue labbra si incresparono. Sbirciò dentro e lo vide chino sul
tavolo alla fioca luce di una candela. I morbidi capelli gli coprivano il viso
e ricadevano lievi sulle sue spalle. Era più basso di lui ma possedeva una
figura slanciata e longilinea, le mani dalle lunghe dita candide, le labbra
sottili, perfette. La cosa che, però, meglio ricordava
di lui, che gli era penetrata
nell’anima erano gli occhi. Neri. Scuri come la notte. Non riuscivi a scorgere
nulla al di là di quegli occhi,
tutto era celato, tenuto nascosto e segreto nel profondo della sua anima.
“Louis….” quel dolce nome gli era salito alle labbra senza volerlo ed ora fluttuava nell’aria.
“Sapevo
che saresti tornato”
Da
quanto tempo non sentiva quella voce? Troppo, ma non poteva permettersi di
tornare prima. Lui aveva rifiutato, aveva rifiutato
ciò che lui gli offriva, aveva rifiutato ciò che lui rappresentava. Aveva
rifiutato lui.
Avanzò
sulla soglia e si lasciò bagnare dalla calda luce. Louis sollevò lo sguardo,
gli occhi neri si puntarono su di lui. Buio che lo
inghiottiva e penetrava a fondo nella sua anima.
Non si
era mai abituato a quegli occhi e non voleva perderli, voleva capirli, voleva che fossero suoi.
Suoi per
sempre.