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Autore: Espen    12/08/2013    6 recensioni
Anno 2060.
Dopo la Terza Guerra Mondiale il Giappone è sotto una rigidissima dittatura.
Ogni libertà di pensiero e parola viene soppressa.
La popolazione vive nella povertà e soffre la fame, mentre il Sommo Imperatore e i suoi soldati nel lusso e ricchezza.
Tutti sono contro di lui, ma tacciono per paura della morte.
Il Giappone è avvolto dall’oscurità, ma una nuova luce sconvolgerà la vita di tutti.
Questa è la storia dei Ribelli.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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                                                                                Capitolo tre

                                                         Di incontri segreti, monologhi interiori e nuovi arrivi

Shuu amava andare sul suo skateboard.
Era stato il regalo di Shirou per il suo undicesimo compleanno, le rotelle erano viola come lo strano disegno, probabilmente un drago (non stava mai particolarmente attento ai dettagli), sulla tavola nera.
Lo adoperava ogni pomeriggio per sfrecciare veloce tra le affolate strade di Tokio, il vento che gli scompigliava i capelli e la leggera brezza sul viso gli dava una fantastica sensazione di libertà. La stessa di cui era stato privato fin dalla nascita.
Sorrise nello scorgere, appena fuori dal centro cittadino, la vecchia villa abbandonata.
Spinse il vecchio e arruginito cancello di ferro battuto, la serratura era rotta da anni; con lo skate in mano percorse la stradella di ghiaia che portava all’entrata dell’abitazione. Doveva essere stata bella ed elegante in passato, mentre ora ciò che ne rimaneva erano solamente delle mura scrostate e dei vetri rotti.
Tuttavia quello era il luogo perfetto per nascondersi dalle orecchie fastidiose dei soldati. Infatti era già da qualche anno che Shuu e i suoi amici si ritrovavano lì per parlare liberamente.
Appena spinta la pesante porta d’entrata, vide i suoi amici seduti in cerchio sul polveroso pavimento di quello che, anticamente, era il corridoio che portava alla sala da ballo. La compagnia era composta da ragazzi tra i dodici e i sedici anni.
-Ciao Shuu! Vieni a sederti, stavamo parlando di quello che è accaduto questo pomeriggio ad Aoi!- esordì Tenma, con quel tono entusiasta che lo caratterizzava  e che stonava leggermente in quel contesto e, in generale, nella vita a Tokio.
Dopo aver ricambiato il saluto si sedette tra Hakuryuu e Kyosuke, di fronte vi si trovava Aoi, alla quale chiese:- Stai bene?-.
La ragazzina si limitò ad annuire, tutti sapevano che era molto sensibile e aveva paura che quell’avvenimento l’avesse sconvolta.
-Sono cose che succedono.- mormorò, la voce bassa e supplichevole che faceva capire il suo vero stato d’animo; però quello appena detto era vero: molestie e strupi erano avvenimenti molto frequenti in città, Aoi era stata fortunata ad essere stata salvata da un eroe misterioso.
-Certo che anche tu potevi stare un po’ più attenta!- la rimproverò Midori, il tono deciso ma allo stesso tempo dolce.
-Tsk, non è stata colpa sua. Quei bastardi hanno occhi e orecchie dappertutto.-
Tra tutti Masaki Kariya era quello che più odiava i soldati, in giro si diceva che alcuni di loro gli avessero amazzato la famiglia. Aveva frequantato l’orfanotrofio Sun Garden per un anno e dopo la sua chiusura era stato accolto da Hiroto e Midorikawa.
Shuu volse lo sguardo verso Hakuryuu che aveva assunto un’espressione pensante.
C’è qualcosa che non va Haku-chan?-
Soltanto Shuu poteva chiamarlo in quel modo, nessuno, eccetto loro due, ne sapeva il motivo, ma si pensava che fosse a causa della loro amicizia cominciata nell’infanzia.
All’improvisso tutti cessarono di parlare e guardarono l’albino, eletto come una specie di “capo”. Era il più grande del gruppo, aveva più esperienza su ciò che riguardava la vita cittadina e conosceva quasi tutti i segreti del furto. Il suo passato e tutto ciò riguardante la sua famiglia era celato a tutti, eccetto Shuu, che comunque era restio a parlarne.
Hakuryuu rimase per qualche secondo in silenzio, gli occhi persi nel vuoto. Poi emise un lieve sussuro, come se stesse parlando tra sé e non ad altre sei persone.
-Mi chiedo chi sia stato ad uccidere i soldati.-
Posò lo sguardo sugli occhi attenti dei compagni e continuò il suo discorso.
-Anch’io ero in Piazza quando è successo, quelle frecce sono state lanciate con molta precisione, solo un professionista può fare una cosa del genere.-
Era proibito dal governo tenere ogni tipo di armi in casa o praticare sport ritenuti “pericolosi”, tra questi c’era il tiro con l’arco, per cui era strano che un cittadino fosse molto abile in quello sport.
-L’eroe ha scoccato le frecce dal tetto del palazzo dove abito, ho provato a scattargli qualche foto, ma non sono venute molto bene.-
Taiyou passò la sua Canon, probabilmente scambiata al Mercato Nero in cambio del suo giornale, agli altri: le immagini, leggermente sfocate, ritraevano una persona incappucciata, in modo da celarne il volto, indossava un mantello nero e nella mano destra teneva l’arco. Quando la macchina fotografica fu nella mani di Hakuryuu, osservò attentamente le foto, poi si alzò in piedi e, con un espressione seria in volto, disse:- Grazie a questa persona presto inizierà una rivolta e, forse, noi assaporeremo la libertà.-

 

 La sua schiena scivolò lentamente sulla fredda parete di terra della cella, Atsuya amava quel posto, il silenzio era sovrano e gli permetteva di schiarisi le idee quando era confuso o arrabbiato.
Chiuse gli occhi e distese le gambe sul pavimento, probabilmente si sarebbe sporcato i pantaloni, siccome il pavimento delle ex-prigioni del castello veniva pulito di rado, ma non  gli importava molto. Il suo sospiro rimbombò leggermente e riaprì gli occhi guardando il cielo stellato tramite la piccola finestrella posta in alto, quasi al livello del soffitto. Le chiavi che aprivano le porte delle celle giacevano abbandonate vicino ai suoi piedi.
Nella sua testa si stavano accumalando pensieri, ricordi e insegnamenti in un groviglio complesso che lo stavano lentamente portando alla pazzia. Il volto terrorizzato di quella bambina gli passò davanti agli occhi, come se fosse un breve cortometraggio. Aveva sempre ammirato i soldati del Sommo Imperatore, suo padre Kuduo perdeva interi pomeriggi a parlargli del loro coraggio e della loro devozione a Kageyama, eppure gli erano sembrati tanto sbagliati nella piazza di Tokio, soprattutto con quella creatura innocente. E quando una persona misteriosa aveva ucciso quei quattro soldati, una sensazione di sollievo e felicità aveva invaso il suo animo.
Chiuse nuovamente gli occhi e respirò profondamente appoggiando il capo all’umida parete.

Doveva assolutamente fare qualcosa.

 

Hiroto Kiyama e Midorikawa Ryuuji convivevano da un paio d’anni, ma si conosceva da più di dodici, da quando un bambino con i capelli verdi e gli occhi come la notte era stato portato all’orfanotrofio Sun Garden.
Per questo si capivano subito, a volte bastava un semplice sguardo per comprendere i pensieri dell’altro. Tuttavia quella sera, dove stavano entrambi cenando, con qualche verdura e il pane di Shirou, sul kotatsu, Ryuuji non riusciva a capire il silenzio del suo fidanzato. Solitamente a cena Hiroto parlava un po’ di tutto o faceva lo scemo per farlo ridere, ma in quel momento si limitava a tenere gli occhi acquamarina fissi sul piatto immerso nei suoi pensieri.
-C’è qualcosa che non va?- gli chiese allora.
Il rosso sussultò lievemente sorpreso e, mantenendo la stessa posizione, gli rispose con un sussurato no.

-Non mentirmi.-
A quelle parole l’altro ragazzo posò, finalmente, lo sguardo nel suo.
-La missione di oggi è stata pericolosa.- gli rispose semplicemente.
E Midorikawa capì.
Così esibì uno dei suoi, rari, dolci sorrisi.
-Non mi succederà niente Hiro-chan.-
Poi gattonò aggirando il kotatsu e trovandosi di fronte al fidanzato.
Intanto Hiroto sorrise leggermente nel sentirsi chiamare con quel nomignolo che si davano da piccoli, ma ritornò subito serio.
-Non voglio perderti.-
Abbracciò il verde e inspirò l’odore gradevole della pelle di Midorikawa.
-Non mi perderai.- il tono con cui lo pronunciò era sicuro e deciso.
-Me lo prometti?-
-Te lo prometto.-
Si diedero un altro bacio a fior i labbra e fu in quel momento che Hiroto si ricordò di una cosa.
-Kariya torna a casa fra un’ora.- un sorrisetto malizioso sul volto.
-Perfetto.-
E subito finiro entrambi sdraiati sul pavimento, coinvolti in un bacio che di casto aveva poco.

 

 

Da piccolo Afuro credeva che il castello in cui viveva fosse quello delle storielle che gli raccontava la sua nutrice prima di addormentarsi, dove si trovavano la bellissima principessa e il suo principe. In quel momento, sdraiato sull’enorme letto della sua stanza, si rese conto che tutta la sua vita era una fiaba: bella e terribilmente finta.
Per diciasette anni aveva creduto che tutto il Giappone stesse bene come lui, ma in realtà si trattava solo di una fiaba narrata da suo padre e da tutte le persone che gli stavano intorno. Perché il Sommo Imperatore era al corrente di tutto quello che succedeva a Tokio e lo accettava. Lo aveva scoperto sentendo, per sbaglio, una conversazione fra Kageyama e il consigliere Kuduo, padre di Atsuya.

-Se togliessimo qualche tassa, i cittadini non si rivolterebbero più.-

-No Kuduo. Se accontentiamo i cittadini adesso, vorrano sempre di più in futuro. Aumenteremo i soldati a Tokio e a Sopporro, bisogna incutere timore al popolo se vuoi che ti obbediscano.-

Non riusciva a credere che l’uomo che gli aveva sempre donato affetto e amore fosse lo stesso che aveva impoverito lo stato e reso un inferno la vita del popolo.
Una lacrima gli scese lungo la guancia, affilata come un rasorio, piena di tristezza, dolore e delusione.
Afuro aveva sempre pensato che suo padre fosse il migliore del mondo, aveva sempre creduto a tutte le storie che gli dicevano.

Tokio è ricca.
I cittadini sono felici.

Tutte bugie, usate per imprigionarli in una gabbia d’oro.
Perché?
Non riusciva a capirne il motivo: che senso aveva far soffrire migliaia di persone?
La risposta gli arrivò subito, secca e gelida.

Non vivi più nelle fiabe Afuro, il bene non sempre vince sul male.

 

A Shirou non era ancora chiaro come ci fosse finito in quella situazione, seduto sul suo letto di fronte all’eterno rivale Nagumo Haruya. Quando questo aveva bussato alla vecchia porta del suo appartamento per parlare, aveva creduto che fosse ubriaco. Perché loro litigavano, si minacciavano a vicenda o, nei casi più estremi, facevano volare le sedie, ma non avevano mai parlato serenamente.
-So che Hitomiko ha chiamato un ragazzo dall’Hokkaido affinchè si unisca ai Ribelli e ci aiuti.-
La voce del rosso lo risvegliò da quei pensieri appena avuti, notando che il suo noto di voce era un misto tra l’irritato e il preoccupato.
-Lo so, lo chiamano Il Vento del Nord. Sembra sia stato lui a dare inizio alle Rivolte a Sopporro.- rispose semplicemente l’altro.
-Tutto questo mi sembra strano. Che bisogno c’è di reclutare qualcun’altro? Bastiamo noi.-
Shirou si aspettava una reazione simile, Nagumo non aveva mai amato le novità. E non si fidava di Hitomiko, come molti tra i Ribelli, poiché lei era il capo delle industrie Kira, la sua era una vita agiata, niente a che vedere con quella dei comuni cittadini. Per questo non si riusciva a capire la motivazione della creazione dei Ribelli.
Pochi sapevano il suo segreto, tra cui Shirou.
-No, se noi domani affrontassimo il Sommo Imperatore e i suoi soldati, verremmo massacrati. Più persone si uniscono a noi, più aumentano le possibilità di vincere, per tanto non voglio più sentire cose del genere sui nuovi arrivati.-
Haruya, sotto lo sguardo gelido e deciso dell’albino, si limitò a sbuffare contrariato, lo sguardo a vagare per la stanza. Il pavimento era in legno e scricchiolava ad ogni passo, l’intonaco bianco delle mura si era sgretolato in alcuni punti, su una parete c’era persino un buco, i letti, un matrimoniale e uno singolo, si trovavano in fondo alla stanza, opposti alla porta d’entrata, sulla destra una piccola finestrella e alla sua sinistra un vecchio comodino impolverato (Shirou non aveva molto tempo per fare le pulizie). Tutto sommato la camera non era male, c’erano abitazioni più decadenti a Tokio, e sicuramente era meglio della sua, una misera stanza di un motel.
Si alzò dal letto del collega e, quando fu sulla soglia della stanza, precisò:-Non tratterò male il nuovo arrivato, ma non lo considererò mai un mio compagno e alleato.-

Angolo dell'autrice sclerata

Salve gente!
Prima i tutto mi scuso per l'immenso ritardo, il capitolo era pronto due settimane fa', ma ho avuto problemi di connessione.
Questo è un capitolo di "passaggio", per cui è un po' più corto degli altri e, se devo essere onesta, non mi soddisfa molto. Ditemi cosa ne pensate voi!
Inoltre volevo precisare i salti temporali presenti: la prima parte è ambientata qualche ora dopo l'assasinio dei soldati (a proposito, per chi non l'avesse capito, è stato Midorikawa a provocarlo), nel tardo pomeriggio; i monologhi interiori di Atsuya e Afuro di notte, più o meno verso le undici, mentre la parte riguardante Hiroto e Midorikawa si svolge un paio di ore dopo della prima, alle sette/ sette e mezza all'incirca; infine quella di Shirou  avviene la sera, intorno alle nove.
Sarete felici di sapere che ho già cominciato a scrivere il prossimo capitolo, quindi spero di aggironare in fretta ^-^
Un abbraccio abbraccioso a tutti i miei pazienti lettori!
Ice Angel

  
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