Capitolo tre
Di
incontri
segreti, monologhi interiori e nuovi arrivi
Shuu
amava andare
sul suo skateboard.
Era stato il regalo
di Shirou per il suo undicesimo compleanno, le rotelle erano viola come
lo
strano disegno, probabilmente un drago (non stava mai particolarmente
attento
ai dettagli), sulla tavola nera.
Lo adoperava ogni pomeriggio
per sfrecciare
veloce tra le affolate strade di Tokio, il vento che gli scompigliava i
capelli
e la leggera brezza sul viso gli dava una fantastica sensazione di libertà. La stessa di cui era
stato
privato fin dalla nascita.
Sorrise nello
scorgere, appena fuori dal centro cittadino, la vecchia villa
abbandonata.
Spinse il vecchio e
arruginito cancello di ferro battuto, la serratura era rotta da anni;
con lo
skate in mano percorse la stradella di ghiaia che portava
all’entrata
dell’abitazione. Doveva essere stata bella ed elegante in
passato, mentre ora
ciò che ne rimaneva erano solamente delle mura scrostate e
dei vetri rotti.
Tuttavia quello era
il luogo perfetto per nascondersi dalle orecchie fastidiose dei
soldati.
Infatti era già da qualche anno che Shuu e i suoi amici si
ritrovavano lì per
parlare liberamente.
Appena spinta la
pesante porta d’entrata, vide i suoi amici seduti in cerchio
sul polveroso
pavimento di quello che, anticamente, era il corridoio che portava alla
sala da
ballo. La compagnia era composta da ragazzi tra i dodici e i sedici
anni.
-Ciao Shuu! Vieni a
sederti, stavamo parlando di quello che è accaduto questo
pomeriggio ad Aoi!-
esordì Tenma, con quel tono entusiasta che lo caratterizzava e che stonava leggermente
in quel contesto e,
in generale, nella vita a Tokio.
Dopo aver
ricambiato il saluto si sedette tra Hakuryuu e Kyosuke, di fronte vi si
trovava
Aoi, alla quale chiese:- Stai bene?-.
La ragazzina si
limitò ad annuire, tutti sapevano che era molto sensibile e
aveva paura che
quell’avvenimento l’avesse sconvolta.
-Sono cose che
succedono.- mormorò, la voce bassa e supplichevole che
faceva capire il suo
vero stato d’animo; però quello appena detto era
vero: molestie e strupi erano
avvenimenti molto frequenti in città, Aoi era stata
fortunata ad essere stata
salvata da un eroe misterioso.
-Certo che anche tu
potevi stare un po’ più attenta!- la
rimproverò Midori, il tono deciso ma allo
stesso tempo dolce.
-Tsk, non è stata
colpa sua. Quei bastardi hanno occhi e orecchie dappertutto.-
Tra tutti Masaki
Kariya era quello che più odiava i soldati, in giro si
diceva che alcuni di
loro gli avessero amazzato la famiglia. Aveva frequantato
l’orfanotrofio Sun
Garden per un anno e dopo la sua chiusura era stato accolto da Hiroto e
Midorikawa.
Shuu volse lo
sguardo verso Hakuryuu che aveva assunto un’espressione
pensante.
C’è qualcosa che
non va Haku-chan?-
Soltanto Shuu
poteva chiamarlo in quel modo, nessuno, eccetto loro due, ne sapeva il
motivo,
ma si pensava che fosse a causa della loro amicizia cominciata
nell’infanzia.
All’improvisso
tutti cessarono di parlare e guardarono l’albino, eletto come
una specie di
“capo”. Era il più grande del gruppo,
aveva più esperienza su ciò che
riguardava la vita cittadina e conosceva quasi tutti i segreti del
furto. Il
suo passato e tutto ciò riguardante la sua famiglia era
celato a tutti, eccetto
Shuu, che comunque era restio a parlarne.
Hakuryuu rimase per
qualche secondo in silenzio, gli occhi persi nel vuoto. Poi emise un
lieve
sussuro, come se stesse parlando tra sé e non ad altre sei
persone.
-Mi chiedo chi sia
stato ad uccidere i soldati.-
Posò lo sguardo
sugli occhi attenti dei compagni e continuò il suo discorso.
-Anch’io ero in
Piazza quando è successo, quelle frecce sono state lanciate
con molta
precisione, solo un professionista può fare una cosa del
genere.-
Era proibito dal
governo tenere ogni tipo di armi in casa o praticare sport ritenuti
“pericolosi”, tra questi c’era il tiro
con l’arco, per cui era strano che un
cittadino fosse molto abile in quello sport.
-L’eroe ha scoccato
le frecce dal tetto del palazzo dove abito, ho provato a scattargli
qualche
foto, ma non sono venute molto bene.-
Taiyou passò la sua
Canon, probabilmente scambiata al Mercato Nero in cambio del suo
giornale, agli
altri: le immagini, leggermente sfocate, ritraevano una persona
incappucciata,
in modo da celarne il volto, indossava un mantello nero e nella mano
destra
teneva l’arco. Quando la macchina fotografica fu nella mani
di Hakuryuu,
osservò attentamente le foto, poi si alzò in
piedi e, con un espressione seria
in volto, disse:- Grazie a questa persona presto inizierà
una rivolta e, forse,
noi assaporeremo la libertà.-
Chiuse gli occhi e distese le gambe sul pavimento,
probabilmente si sarebbe sporcato i pantaloni, siccome il pavimento
delle
ex-prigioni del castello veniva pulito di rado, ma non
gli importava molto. Il suo sospiro rimbombò
leggermente e riaprì gli occhi guardando il cielo stellato
tramite la piccola
finestrella posta in alto, quasi al livello del soffitto. Le chiavi che
aprivano le porte delle celle giacevano abbandonate vicino ai suoi
piedi.
Nella sua testa si
stavano accumalando pensieri, ricordi e insegnamenti in un groviglio
complesso
che lo stavano lentamente portando alla pazzia. Il volto terrorizzato
di quella
bambina gli passò davanti agli occhi, come se fosse un breve
cortometraggio.
Aveva sempre ammirato i soldati del Sommo Imperatore, suo padre Kuduo
perdeva
interi pomeriggi a parlargli del loro coraggio e della loro devozione a
Kageyama, eppure gli erano sembrati tanto sbagliati
nella piazza di Tokio, soprattutto con quella creatura innocente. E
quando una
persona misteriosa aveva ucciso quei quattro soldati, una sensazione di
sollievo e felicità aveva invaso il suo animo.
Chiuse nuovamente
gli occhi e respirò profondamente appoggiando il capo
all’umida parete.
Doveva
assolutamente fare qualcosa.
Hiroto
Kiyama e
Midorikawa Ryuuji convivevano da un paio d’anni, ma si
conosceva da più di
dodici, da quando un bambino con i capelli verdi e gli occhi come la
notte era
stato portato all’orfanotrofio Sun Garden.
Per questo si
capivano subito, a volte bastava un semplice sguardo per comprendere i
pensieri
dell’altro. Tuttavia quella sera, dove stavano entrambi
cenando, con qualche
verdura e il pane di Shirou, sul kotatsu, Ryuuji non riusciva a capire
il
silenzio del suo fidanzato. Solitamente a cena Hiroto parlava un
po’ di tutto o
faceva lo scemo per farlo ridere, ma in quel momento si limitava a
tenere gli
occhi acquamarina fissi sul piatto immerso nei suoi pensieri.
-C’è qualcosa che
non va?- gli chiese allora.
Il rosso sussultò
lievemente sorpreso e, mantenendo la stessa posizione, gli rispose con
un
sussurato no.
-Non
mentirmi.-
A
quelle parole
l’altro ragazzo posò, finalmente,
lo
sguardo nel suo.
-La missione di
oggi è stata pericolosa.- gli rispose semplicemente.
E Midorikawa capì.
Così esibì uno dei
suoi, rari, dolci sorrisi.
-Non mi succederà
niente Hiro-chan.-
Poi gattonò aggirando
il kotatsu e trovandosi di fronte al fidanzato.
Intanto Hiroto
sorrise leggermente nel sentirsi chiamare con quel nomignolo che si
davano da
piccoli, ma ritornò subito serio.
-Non voglio
perderti.-
Abbracciò il verde
e inspirò l’odore gradevole della pelle di
Midorikawa.
-Non mi perderai.-
il tono con cui lo pronunciò era sicuro e deciso.
-Me lo prometti?-
-Te lo prometto.-
Si diedero un altro
bacio a fior i labbra e fu in quel momento che Hiroto si
ricordò di una cosa.
-Kariya torna a
casa fra un’ora.- un sorrisetto malizioso sul volto.
-Perfetto.-
E subito finiro
entrambi sdraiati sul pavimento, coinvolti in un bacio che di casto
aveva poco.
Per diciasette anni aveva creduto che tutto il Giappone stesse bene come lui, ma in realtà si trattava solo di una fiaba narrata da suo padre e da tutte le persone che gli stavano intorno. Perché il Sommo Imperatore era al corrente di tutto quello che succedeva a Tokio e lo accettava. Lo aveva scoperto sentendo, per sbaglio, una conversazione fra Kageyama e il consigliere Kuduo, padre di Atsuya.
-Se
togliessimo qualche tassa, i
cittadini non si rivolterebbero più.-
-No
Kuduo. Se accontentiamo i cittadini
adesso, vorrano sempre di più in futuro. Aumenteremo i
soldati a Tokio e a
Sopporro, bisogna incutere timore al popolo se vuoi che ti obbediscano.-
Non
riusciva a
credere che l’uomo che gli aveva sempre donato affetto e
amore fosse lo stesso
che aveva impoverito lo stato e reso un inferno la vita del popolo.
Una lacrima gli
scese lungo la guancia, affilata come un rasorio, piena di tristezza,
dolore e
delusione.
Afuro aveva sempre
pensato che suo padre fosse il migliore del mondo, aveva sempre creduto
a tutte
le storie che gli dicevano.
Tokio
è ricca.
I cittadini sono felici.
Tutte
bugie, usate
per imprigionarli in una gabbia d’oro.
Perché?
Non
riusciva a
capirne il motivo: che senso aveva far soffrire migliaia di persone?
La risposta gli
arrivò subito, secca e gelida.
Non
vivi più nelle fiabe Afuro, il
bene non sempre vince sul male.
A
Shirou non era
ancora chiaro come ci fosse finito in quella situazione, seduto sul suo
letto di
fronte all’eterno rivale Nagumo Haruya. Quando questo aveva
bussato alla
vecchia porta del suo appartamento per parlare,
aveva creduto che fosse ubriaco. Perché loro litigavano, si
minacciavano a
vicenda o, nei casi più estremi, facevano
volare le sedie, ma non avevano mai
parlato serenamente.
-So che Hitomiko ha
chiamato un ragazzo dall’Hokkaido affinchè si
unisca ai Ribelli e ci aiuti.-
La voce del rosso
lo risvegliò da quei pensieri appena avuti, notando che il
suo noto di voce era
un misto tra l’irritato e il preoccupato.
-Lo so, lo chiamano
Il Vento del Nord. Sembra sia stato
lui a dare inizio alle Rivolte a Sopporro.- rispose semplicemente
l’altro.
-Tutto questo mi
sembra strano. Che bisogno c’è di reclutare
qualcun’altro? Bastiamo noi.-
Shirou si aspettava
una reazione simile, Nagumo non aveva mai amato le novità.
E non si fidava di Hitomiko, come molti tra i Ribelli,
poiché lei era il capo delle industrie Kira, la sua era una
vita agiata, niente
a che vedere con quella dei comuni cittadini. Per questo non si
riusciva a
capire la motivazione della creazione dei Ribelli.
Pochi sapevano il
suo segreto, tra cui Shirou.
-No, se noi domani
affrontassimo il Sommo Imperatore e i suoi soldati, verremmo
massacrati. Più
persone si uniscono a noi, più aumentano le
possibilità di vincere, per tanto
non voglio più sentire cose del genere sui nuovi arrivati.-
Haruya, sotto lo
sguardo gelido e deciso dell’albino, si limitò a
sbuffare contrariato, lo
sguardo a vagare per la stanza. Il pavimento era in legno e
scricchiolava ad
ogni passo, l’intonaco bianco delle mura si era sgretolato in
alcuni punti, su
una parete c’era persino un buco, i letti, un matrimoniale e
uno singolo, si
trovavano in fondo alla stanza, opposti alla porta d’entrata,
sulla destra una
piccola finestrella e alla sua sinistra un vecchio comodino impolverato
(Shirou
non aveva molto tempo per fare le pulizie). Tutto sommato la camera non
era
male, c’erano abitazioni più decadenti a Tokio, e
sicuramente era meglio della
sua, una misera stanza di un motel.
Si alzò dal letto
del collega e, quando fu sulla soglia della stanza,
precisò:-Non tratterò male
il nuovo arrivato, ma non lo considererò mai
un mio compagno e alleato.-
Angolo dell'autrice sclerata
Salve gente!
Prima i tutto mi scuso per l'immenso ritardo, il capitolo era
pronto due settimane fa', ma ho avuto problemi di connessione.
Questo è un capitolo di "passaggio", per cui è un
po' più corto degli altri e, se devo essere onesta, non mi
soddisfa molto. Ditemi cosa ne pensate voi!
Inoltre volevo precisare i salti temporali presenti: la prima parte
è ambientata qualche ora dopo l'assasinio dei soldati (a
proposito, per chi non l'avesse capito, è stato Midorikawa a
provocarlo), nel tardo pomeriggio; i monologhi interiori di Atsuya e
Afuro di notte, più o meno verso le undici, mentre la parte
riguardante Hiroto e Midorikawa si svolge un paio di ore dopo della
prima, alle sette/ sette e mezza all'incirca; infine quella di
Shirou avviene la sera, intorno alle nove.
Sarete felici di sapere che ho già cominciato a scrivere il
prossimo capitolo, quindi spero di aggironare in fretta ^-^
Un abbraccio abbraccioso a tutti i miei pazienti lettori!
Ice Angel