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Autore: reb    12/08/2013    2 recensioni
La storia ha partecipato al contest "Dalla vecchia alla nuovissima generazione, per tutti i gusti" indetto da Alistel e si è classificata seconda.
Dal primo capitolo [...] Il ragazzo rimase un attimo immobile a osservarla, per poi realizzare quello che gli aveva appena detto e, una volta che il messaggio arrivò al suo cervello, rischiò di cadere a terra dallo stupore.
-Vuoi che ti inviti a pranzo?- chiese allibito, giusto per assicurarsene.
La vide storcere il naso infastidita da quell’uscita indelicata.
-Non l’avrei messa in questo modo. Ma si, riassumendo, il concetto è quello.- concesse infastidita come una giovane lady costretta a rapportarsi col volgo.
Harry, in quale modo l’avrebbe messa, non riusciva a capirlo, visto che per quanto lo riguardava quello era l’unico modo in cui riassumere l’intera conversazione, e per questo rimase nuovamente in silenzio.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, Harry Potter, Pansy Parkinson | Coppie: Harry/Pansy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Il mio bellissimo imprevisto.





-Amico, andiamo!-
L’incredulo urlo maschile si propagò per tutta Diagon Alley, facendo voltare anche le poche teste che già non l’avevano fatto quando un tornado vestito di rosso era sfrecciato loro accanto, rischiando di travolgere molti di loro a causa dell’alta velocità.
Il gigante dai capelli rossi che aveva urlato l’avvertimento rimase inascoltato dall’altro ragazzo, mentre questi continuava a correre, senza perdere d’occhio l’uomo che stava inseguendo. A Ronald Weasley non rimase che guardarlo sparire, indeciso se mostrarsi offeso per essere stato ignorato dopo che era andato a cercarlo fino all’Accademia Auror per passare la pausa pranzo insieme o il divertimento, per l’ennesima dimostrazione, che l’amico avesse scelto la strada giusta nella vita.
Harry Potter, d’altra parte, sperava che il rosso non si fosse offeso troppo quando, appena un paio di minuti prima, l’aveva abbandonato nel mezzo alla strada per rispondere al richiamo di aiuto di uno dei tanti negozianti della Londra magica.
Evitando l’ennesimo passante che era stato spintonato senza attenzione dall’altro uomo, Potter scartò di lato solo grazie ad anni e anni di allenamenti sotto la rigida e psicotica guida di Oliver Baston, per poi riprendere a correre il più veloce possibile, ben deciso a raggiungere il ladro prima che si perdesse nella folla.
Il ragazzo ringraziò mentalmente anche gli estenuanti allenamenti dell’Accademia, cui era costretto a sottostare ogni giorno, perché era solo grazie a quelli che poteva dirsi abbastanza in forma da continuare a correre, invece di stramazzare al suolo senza fiato implorando pietà.
Il mondo intorno a lui, che probabilmente si fermava vedendoli sfrecciare come due pazzi lungo la strada frequentata dell’ora di pranzo, si poteva riassumere semplicemente come una girandola di colori a largo spettro, che impedivano di mettere a fuoco singole immagini, ma soltanto il loro disarticolato insieme. L’unico punto fermo al suo sguardo, il centro perfetto di quella girandola che teneva insieme tutto quanto, era il ladro che stava inseguendo.
E così Harry correva e correva ancora, ignorando il sudore che gli colava dietro gli occhiali, decidendo anzi di spingere ulteriormente sulle gambe prima che l’altro uomo sparisse senza lasciare alcuna traccia dietro di sé.
“Dannazione! Ron avrebbe anche potuto lanciarsi all’inseguimento a sua volta!” pensò irritato il ragazzo, ben sapendo che, nonostante l’amico avesse messo in pausa la propria carriera di Auror un paio di anni prima per aiutare George al negozio di scherzi, sarebbe stato un utile alleato in quel momento. Le sue gambe lunghe, certamente, lo sarebbero stato.
Harry scartò l’ennesima persona, rischiando di strozzare il povero ignaro nel suo stesso mantello quando il braccio vi rimase impigliato, e maledì l’uomo davanti che ancora non accennava a fermarsi. Diagon Alley non era il luogo migliore, in effetti, per decidere di lanciarsi in una corsa folle dietro a un criminale, ma l’istinto di una vita, che si era soltanto affinato negli ultimi anni, l’aveva spinto a muoversi prima ancora di rendersene conto. Dopotutto quel criminale era uscito da una famosa gioielleria magica, una delle poche che, anche anni dopo la guerra, poteva vantarsi di fare affari con i folletti e la refurtiva, pur piccola che fosse, doveva valere una mezza fortuna. O almeno era quello che diceva il viso stravolto del povero commesso che aveva gridato al ladro con voce isterica.
Osservandolo con occhio attento, nonostante il fiato che iniziava a mancare per lo sforzo prolungato, Harry capì che, con ogni probabilità, l’uomo che stava inseguendo era un mezzosangue. Era stato coinvolto in troppe situazioni del genere per sbagliare. E, come ogni volta, si trovò a detestare quella determinata categoria umana che, nei momenti di stress, sembrava dimenticare di possedere una bacchetta e di potersi chiamare mago in favore della metà babbana della loro anima.
Iniziavano a correre in preda al panico, dimenticandosi di potersi smaterializzare in ogni momento con una semplice giravolta, scassinavano le porte alla maniera babbana invece che con un incantesimo ben eseguito e, ogni volta, complicavano solamente la sua vita.
Perché a lui, recluta Auror per propria scelta, toccava inseguirli e farsi prendere a pugni. Ancora a lui toccava ricercare prove inesistenti sui luoghi dei delitti quando mancavano segni di magie. Sempre lui, alla fine, ci andava di mezzo.
Era in quelle occasioni che rimpiangeva la scelta di rinunciare, dopo quasi un anno, alla carica di Auror ad Honorem che gli era stata offerta dopo la guerra, decidendo invece di fare un passo indietro a terminare la scuola, prendere i M.A.G.O., sebbene con due anni di ritardo, e diplomarsi all’Accademia Auror.
Svoltando a sinistra e saltando una sedia che era stata lanciata a terra al solo scopo di rallentarlo, Harry ripensò a quando, cinque anni prima, aveva capito quanto la vita che stava vivendo fosse sì, quella che aveva scelto, ma che non l’aveva ottenuta come invece aveva programmato.
Non c’era stato bisogno di nient’altro che un breve addestramento, per lui e per Ron, giusto un mese prima di iniziare a prestare servizio effettivo. Allora gli era sembrava una cosa fantastica. Dopotutto non era mai stato uno studente modello e la sua voglia di studiare scarseggiava già prima di vedere quanto male, un solo uomo, fosse in grado di fare e il desiderio di aiutare per quanto possibile diventasse così forte. Ma poi, ritrovandosi improvvisamente circondato da Auror fatti, veterani che avevano combattuto al suo fianco contro i Mangiamorte ma che, allo stesso tempo, avevano raggiunto la loro posizione con sacrificio e fatica, che lo guardavano con sospetto e ammirazione insieme, perché da solo era riuscito a sconfiggere il mago più temibile di sempre, si era sentito soffocare.
Tutto quanto gli impediva di respirare.
Essere chiamato eroe. La propria fama. Le aspettative che tutti nutrivano in lui.
Perfino il proprio nome, e non per la prima volta.
Sentiva che aveva ottenuto il mantello rosso che aveva sognato, lo stesso che i suoi genitori avevano indossato con orgoglio e cognizione di causa, senza meritarlo davvero.
Perché, quel mantello, era stato consegnato a Harry Potter.
Perché era stato consegnato al ragazzo che è sopravvissuto.
Perché era stato consegnato al Prescelto.
Ma mai, era stato consegnato a Harry. Harry e basta.
E, accettandolo, lui aveva acconsentito che mai sarebbe successo.
La carriera che voleva, l’unica che avesse mai contemplato come possibile nel proprio futuro, era diventata una gabbia quanto il suo nome stesso.
Harry ricordava lo stupore della comunità magica, quando aveva rinunciato alla carica e agli onori, scegliendo invece una vita normale. Per quanto possibile.
Aveva ripreso in mano i libri, sotto lo sguardo fiero di Hermione che, come lui, aveva terminato la scuola l’anno precedente, e quello sbigottito di Ron che non aveva mai nemmeno contemplato un pensiero del genere. La vita fuori dalla scuola, all’amico, andava più che bene, anche se alla lunga perfino lui aveva smesso l’immagine pubblica in favore di una più tranquilla quotidianità domestica nel negozio del fratello.
Così, a ventitré anni, con dei M.A.G.O. di tutto rispetto alle spalle e due anni di Accademia ancora davanti, si sentiva finalmente a posto. Certo che il futuro che lo aspettava lo aveva costruito interamente con le proprie mani e che avrebbe potuto esserne fiero.
Potter svoltò per l’ennesima volta lanciando un’imprecazione particolarmente scurrile ad alta voce, retaggio, quello, dei tre anni di Accademia che aveva già completato.
Quel bastardo aveva scelto la traversa migliore per la propria fuga. Nessuno, lì dentro, avrebbe mai contemplato l’ipotesi di aiutarlo. Anzi, il contrario.
Non erano benvenuti, gli Auror, a Nocturn Alley.Nemmeno quelli che ancora erano all’Accademia. 
Harry lo sapeva perché altre volte, durante quell’anno di servizio, si era ritrovato costretto a passare per quella via, cercando informazioni per i più svariati casi. Ogni volta, solo una costante. Nessun risultato e nessun aiuto. Semplicemente, i maghi che frequentavano Nocturn Alley, per affari o per diletto non importava, erano poco propensi a raccontare i fatti loro, figurarsi quelli degli altri avventori. Fare la spia era pericoloso, perfino di quei tempi, per quella strada.
E lui vi si stava dirigendo perfettamente consapevole delle conseguenze.
-Odio i mezzosangue!- bofonchiò tra sé il ragazzo, avvicinando la mano alla bacchetta sperando di riuscire finalmente a schiantarlo, adesso che non c’era più il rischio di colpire un passante, addentrandosi sempre più nel malfamato vicolo, ma non ce ne fu bisogno visto che il mantello dell’altro era a portata di braccio.
Così lo tirò verso sé quel tanto necessario a sbilanciarlo fino a farlo cadere riuscendo finalmente a fermare la loro corsa forsennata.
Da quel momento, esattamente come Harry aveva preventivato, non ci fu più tempo per pensieri logici per quanto risentiti, tutte le sue energie erano volte solamente allo schivare i colpi dell’avversario e restituirne a sua volta, rotolandosi per la strada.
L’altro uomo, adesso Potter poteva vederlo in viso per la prima volta, era biondo e intorno ai trentacinque anni. Forse meno, sebbene le precoci rughe intorno agli occhi lo facessero apparire più vecchio. Perdeva sangue da un sopracciglio, segno che uno dei suoi tanti colpi era stato più efficace di altri, sebbene anche lui ne avesse incassati alcuni. Al naso, ad esempio, che bruciava come se vi avesse avvicinato una fiamma arroventata.
-Odio i mezzosangue.- ringhiò di nuovo frustrato, schivando l’ennesimo colpo.
Harry gli lanciò un altro pugno, in pieno petto, abbastanza forte da fargli uscire una buona dose di ossigeno dai polmoni e costringerlo a fermarsi per riprendere fiato. Il ragazzo già sentiva la bacchetta, sotto le dita della mano destra, e si preparava a schiantarlo e finirla lì, quando tutti i suoi peggiori pronostici si avverarono.
Non erano benvenuti, gli Auror, a Nocturn Alley. Nemmeno quelli che ancora erano all’Accademia.
Si sentì scagliare all’indietro da un’improvvisa onda magica, abbastanza forte da farlo cozzare contro il muro opposto e lasciarlo senza respiro. La bacchetta era volata chissà dove. Del suo assalitore, chiunque fosse, nemmeno l’ombra. Sicuramente ritenendo di aver fatto il proprio dovere verso la comunità, atterrando un esponente della giustizia, si era dileguato in uno dei tanti vicoletti secondari in cui un estraneo avrebbe potuto perdersi.
-Odio i mezzosangue.- ripeté in un sibilo mettendosi in piedi.
Con un ringhio, Potter, si scostò dal solido appoggio per avvicinarsi di nuovo al suo fuggitivo, che si era rialzato in piedi e stava cercando di raggiungere il piccolo fagotto che gli era caduto di tasca poco prima, probabilmente contenente la refurtiva, quando la luce rossa di uno shiantesimo gli passò vicino all’orecchio sinistro, tanto vicino da sentire i capelli sfrigolare al contatto, fino a cozzare contro l’uomo, che cadde atterra in un lieve tonfo.
-Non è sicuro esternare certe idee in pubblico, Potter. Tra tutti, tu più di altri, dovresti saperlo.- gli fece notare divertita una donna alle sue spalle, sicuramente quella che aveva lanciato l’incantesimo poco prima togliendolo dai guai.
-E considerando che sei tu, a dire una cosa del genere, si scatenerebbe il caos. Immagino già i giornali, “Harry Potter si schiera nelle file nemiche. La guerra incombe”.- continuò con tono drammatico la donna avvicinandosi a lui per allungargli la bacchetta da sopra la spalla.
Il ragazzo, irritato, si voltò per prenderla e guardare finalmente in faccia la sua salvatrice e dirle il fatto suo. Per qualche strana ragione, sentendola parlare, aveva la sensazione di conoscere la sua identità, senza però non riuscire a dare un volto alla voce udita.
-Parkinson?- chiese stupito, appena mise a fuoco il viso della vecchia compagna di scuola.
Probabilmente la sua faccia doveva esprimere tutto lo sbigottimento che provava perché la ragazza ridacchiò sarcastica, prima di rispondere.
-Non credevo che l’avrei mai detto, Potter. Ma ti ho appena salvato la vita.- e rise di nuovo.
Il ragazzo non poté impedirsi una smorfia indispettita, ma non ribatté, osservandola poi curioso. Tanto per la sua presenza in quella strada, quando per quella risata divertita che mai, da ragazzini, le aveva sentito emettere. Scherno e insulti erano decisamente più congeniali a Pansy Parkinson che non un sincero divertimento.
Guardandola notò che ricordava poco la ragazza che era stata, forse solo il caschetto nero di capelli che seguiva ogni movimento della testa e l’atteggiamento superiore che, nonostante il divertimento, non svaniva comunque.
Il viso appuntito per il quale era sempre stata sbeffeggiata si era ammorbidito e così anche la figura, rendendola piacevole da guardare. Era addirittura bella, di una bellezza aristocratica e lontana, che ben si addiceva all’espressione altezzosa che mise su non appena il suo sguardo si posò, per caso, sull’uomo che aveva schiantato pochi secondi prima.
-Hai delle belle compagnie, Potter.- commentò poi, avvicinandosi al pacco che l’altro aveva cercato di recuperare con tanta cura, e aprirlo senza farsi problemi.
-Accidenti!- commentò deliziata, osservando il gioiello che si era ritrovata inaspettatamente tra le mani.
Harry si avvicinò a lei, guardando così per la prima volta il motivo di tutto quel correre, e rimase quasi a bocca aperta di fronte a tanta bellezza. Una delicata collana di argento e rubini scintillava sulla pelle diafana della ragazza, ma fu solo un attimo, prima che lei richiudesse il fagotto con ogni cura e prendesse il ragazzo per un braccio aprendogli poi il mantello e nascondendo al suo interno il prezioso oggetto.
-Ehi!- si lamentò Harry, imbarazzato.
Gli anni l’avevano cambiato, smussando lati del suo carattere e affilandone altri, ma l’imbarazzo che provava ogni volta che si ritrovava, improvvisamente, vicino a una ragazza non era mai svanito.
Ginny lo aveva sempre preso in giro, per quella caratteristica. Gli diceva che non sapeva mai fino a che punto poteva avvicinarsi, prima di sentirlo scattare, ma poi ci rideva sopra e lo baciava come a farsi perdonare. Il ragazzo non aveva mai potuto obbiettare niente, al riguardo, perfettamente consapevole di quanto, di fatto, fosseimpedito in certi aspetti della vita.
-Non è sicuro portare un oggetto di un tale valore da queste parti. Controllala fino a che non sei fuori di qui.- gli disse la ragazza adesso seria, distaccandosi ulteriormente dall’immagine che Harry aveva sempre avuto di lei.
La ringraziò con un cenno del capo, osservando attento le sue mani fino a che non lo ebbe lasciato andare, tanto che lei se ne accorse e mise su quell’espressione snob che, invece, ricordava esserle propria negli anni di scuola.
-Non è di me che devi preoccuparti, Potter. Sono troppo ricca per abbassarmi a rubare qualcosa.- gli disse sarcastica, ma comunque gelida.
-Non è questo. E’ che…- Harry si bloccò di botto, arrossendo incredulo di stare per ammettere la verità. E cioè che sentirsi le sue mani sul corpo, perfino in un contatto così innocente, lo aveva imbarazzato a tal punto da non sapere cosa fare.
Ci sarebbe andata a nozze, riusciva perfino a immaginarsi le sue risate incredule. Era pur sempre una Serpeverde, dopotutto.
-Grazie.- le disse alla fine, sperando così di riuscire a cambiare discorso.
Pansy per tutta risposta scrollò le spalle con indifferenza, Harry non riuscì, però, a capire se perché non ritenesse di meritare il ringraziamento o per il commento di poco prima.
Continuò a osservarla con la coda dell’occhio, mentre lui si avvicinava al biondo svenuto per controllare che l’effetto dell’incantesimo non svanisse prima del tempo e lanciò velocemente delle scintille rosse in cielo, predisponendosi ad aspettare la pattuglia di Auror di stanza a Diagon Alley quel giorno, per consegnare loro ladro e refurtiva, prima di tornare indietro sperando di non aver completamente perso la sua pausa pranzo. Stava morendo di fame, in effetti.
-Se vuoi posso accompagnarti…ecco…ovunque tu stia andando.- si ritrovò a dire alla Parkinson prima ancora di rendersene conto.
Lei lo guardò incredula per alcuni secondi, prima di scuotere la testa sorridendo. Non era l’unico, evidentemente, a essere stato colto alla sprovvista da quell’invito.
-Non preoccuparti per me, Potter. Come ti ho appena dimostrato, sono perfettamente in grado di prendermi cura di me stessa.-
Harry si irritò sentendo quel commento, come quella risatina trattenuta che l’aveva preceduto, vedendo ignorare così tranquillamente i suoi tentativi di ringraziarla. O di portarla fuori da quel maledetto vicolo sana e salva, invece che andarsene a lasciarla da sola a guardarsi le spalle dai malfamati avventori di Nocturn Alley. Hermione gli aveva sempre detto che aveva la sindrome dell’eroe, e forse non aveva tutti i torti.
-D’accordo, allora. Immagino ci vedremo in giro, allora.- commentò con falsa indifferenza, accordandosi all’umore della ragazza e controllando per l’ennesima volta,inutilmente vista l’efficacia della magia della Parkinson, il suo prigioniero.
-Se dici ancora una volta allora, Potter, finirò per credere che te la sei presa.- e vedendo il vecchio compagno di scuola sempre più indignato, riprese a parlare –Comunque ci vediamo in giro, Potter. Vedi di non farti ammazzare nel frattempo.-
E con quell’ultima dolcissima carineria, Pansy si sistemò il mantello sulle spalle per poi andarsene con un’aggraziata giravolta su se stessa. Ennesima conferma, quella, che solo un mezzosangue si sarebbe messo a correre come un ossesso per Diagon Alley, in qualunque strada del mondo, invece di svanire, semplicemente.
A Harry non rimase che appoggiare le spalle al muro e fare l’inventario dei danni, non molti nel complesso e probabilmente grazie, doveva ammetterlo, all’intervento della Parkinson, e aspettare l’arrivo degli Auror. Della sua pausa pranzo, lo sapeva, rimanevano solo poche briciole.
 












 

*




 













Nocturn Alley, di nuovo.
Harry iniziava a trovare irritante quel necessario recarsi nel lato oscuro della Londra magica così spesso.
Non era passato nemmeno un mese da quando era finito nella stessa strada e vi aveva incontrato Pansy Parkinson e adesso ne stava di nuovo varcando i confini.
Vestito di un anonimo mantello nero tirato fino sul naso, proteggendo al meglio la sua privacy e quella della sua missione, camminava tranquillo verso uno dei negozi più noti del vicolo.
Gli ci vollero altri cinque minuti di cammino per ritrovarsi davanti alla sua meta, il 13b di Nocturn Alley, dove una vecchia e a tratti scrostata insegna sui toni del verde e del nero recava la scritta “Magie Sinister, dal 1863 a oggi”.
Entrando nel negozio, come ogni volta precedente, la prima cosa che lo colpì fu l’aspro odore di muffa che copriva ogni angolo della stanza e, subito dopo, l’immobile silenzio.
Di Avidius Sinister, che aveva preso il posto del genitore da un paio di anni a quella parte, dopo che l’uomo si era ammalato improvvisamente rendendogli impossibile dirigere il negozio, Harry aveva appreso poco e la maggior parte erano dicerie. Alcuni pensavano addirittura che fosse stato lui ad avvelenare il padre per poter acquisire il controllo della società di famiglia quando il genitore aveva minacciato di diseredarlo. Qualunque fosse la verità, il ragazzo sapeva che trattare con lui era un incubo per ogni Auror, tanto l’uomo era restio a fornire loro informazioni e tradire, così, la fiducia che i suoi clienti riponevano in lui. Soprattutto senza riceverne niente in cambio.
Per quello già immaginava l’immane mal di testa che quel colloquio gli avrebbe procurato, così come l’inutilità del viaggio stesso.
Se avesse ricevuto anche solo un piccolo indizio, si sarebbe potuto dire fortunato.
Se, invece, avesse ottenuto qualche informazione veramente utile, avrebbe potuto urlare al miracolo.
Nessuno era in vista, in quel momento. Gli affari più importanti di Sinister, infatti, si svolgevano nel retro e poco e niente avevano a che fare con gli oggetti oscuri di più o meno grande valore che esponeva nella sala principale del negozio. L’uomo, a differenza dei predecessori, era famoso per la grande cultura che possedeva e in molti, maghi oscuri e non, preferivano rivolgersi a lui piuttosto che a chiunque altro antiquario se si presentava il bisogno di far valutare un manufatto potenzialmente prezioso, sebbene la disonestà di Avidius fosse un importante aspetto della contrattazione da tenere sempre in considerazione. Come i suoi predecessori, Sinister Senior e Mr Burke, non era noto per la sua integrità. Da quando era lui a dirigere l’attività, di fatto, gli affari avevano preso a fiorire e i conti erano tornati quelli di un tempo, quando Olconio Sinister insieme all’amico d’infanzia Caractacus Burke aveva aperto il negozio nel lontano 1863.
Harry si guardò intorno senza fretta, osservando la merce esposta con curiosità, sebbene la loro natura non propriamente legale, prima di decidersi a suonare il campanello posto in un angolo del bancone, come anni prima aveva visto fare a Lucius Malfoy, ma venne anticipato.
-Non si preoccupi, signorina, conosco un abile artigiano in grado di riportare il ciondolo al suo originale splendore. Il prezzo ovviamente salirà, ma posso assicurarle che ne varrà la pena. Il ciondolo sembrerà un altro, quando lo verrà a ritirare.- spiegò Avidius Sinister con tono accomodante, senza i viscidi ed equivoci modi del genitore che portavano molti ad abbassare maldestramente la guardia, mentre scostava la tenda che divideva il negozio dal retro per far passare la cliente.
-Spero per te, Avidius, che quando dici che il ciondolo sembrerà un altro tu intenda che sarà perfettamente restaurato e non che cercherai di affibbiarle una copia.- gli rispose un’annoiata voce maschile strascicata, che Harry conosceva fin troppo bene.
Lo sapeva, che quella giornata non poteva che peggiorare.
La visita a Nocturn Alley non poteva essere abbastanza per la sua sfortuna, gli serviva anche un piacevole intermezzo, per concludere al meglio la sua gita di piacere.
-No, certamente no, signor Malfoy. Non mi permetterei mai. Sapete quanto io sia degno della vostra stima più sincera.- rispose velocemente l’uomo, con tono irritato e accondiscendente insieme.
Harry avrebbe voluto ridere, perfino a lui, un cliente tutt’altro che abituale del negozio, era evidente la bugia appena pronunciata, e dubitava che Malfoy si sarebbe fatto raggirare così facilmente. Anche a sedici anni era riuscito ad avere ragione di un Sinister, per quanto con scopi tutt’altro che onesti.
Il loro chiacchiericcio fu interrotto da una voce di donna, dolce come il veleno e forse irritata per essere stata ignorata fino a quel momento, che decise di inserirsi nella conversazione.
-Draco, tesoro, sono sicura che il signor Sinister non pensi certo a ingannarmi. Dico bene signore?-
L’uomo annuì febbrilmente con il capo, prima di farsi ancora più da parte per permettere alla ragazza di uscire a sua volta.
A Potter venne da ridere nuovamente, quando incontrò lo sguardo di Pansy Parkinson, per l’ennesima volta nel giro di un mese e quasi nello stesso luogo.
Nient’altro, però, uscì dalle loro labbra appena intravidero l’imprevista figura che trovarono ad attenderli nel negozio e non dettero segno di averlo riconosciuto. Harry, ancora nascosto sotto il suo cappuccio, sorrise divertito notando la faccia risentita del proprietario per essere stato interrotto proprio nel momento cruciale della trattativa, e le occhiate caute che Draco Malfoy gli stava lanciando.
-Posso aiutarla, signore?-
-Cerco solo qualche informazione, signor Sinister, circa questo manufatto. Lo ha mai visto?- chiese fingendo di ignorare il silente invito che l’uomo gli stava lanciando affinché si togliesse il cappuccio ed esponesse il viso al suo sguardo perché potesse osservarlo con agio.
-Mai visto niente del genere.- rispose lui rigido, senza nemmeno guardare il foglio che Harry gli stava porgendo.
Sapeva che sarebbe stato un buco nell’acqua, accidenti!, pensò irritato il ragazzo.
Nel frattempo, Draco Malfoy insieme alla compagna, aggirarono il bancone con il loro prezioso manufatto, e il ragazzo, passando accanto al proprietario, diede un’occhiata distratta alla foto che Harry porgeva.
Un fugace ghigno divertito gli attraversò il viso, segno che lo aveva già visto, con ogni probabilità proprio dentro al negozio in cui stavano al momento, ma non una parola uscì dalla sua bocca. Fu la ragazza, invece, che dopo aver imitato l’amico decise di parlare.
-Oh, signor Sinister, non è per caso la stessa scatola di legno di pino finemente intagliata che era esposta fino alla settimana scorsa? Ricordo che ero rimasta ammirata, di fronte alle eleganti rifiniture in quercia rossa egizia.- commentò deliziata, con lo stesso tono frivolo che aveva al quarto anno, quando andava vantandosi per ogni corridoio della scuola che Draco Malfoy l’aveva invitata al Ballo del Ceppo.
Draco represse malamente una risata divertita, mentre la ragazza, senza fare una piega, intascò il proprio ciondolo segno che anche a lei, le occhiate cupide di Avidius, non erano passate inosservate e che, come il compagno, conosceva l’alta percentuale di ritrovarsi tra le mani un manufatto contraffatto, per quanto realistico.
Perfino un’anima Grifondoro come la sua, Harry fu costretto ad ammetterlo, si ritrovò ad apprezzare la sottile vendetta della ragazza che, con apparente inconsapevolezza, lo aveva smentito e si dirigeva, in quel momento, tranquilla verso la porta senza aver concluso nessun affare. Il ragazzo non sapeva cosa fosse, esattamente, quel ciondolo tanto prezioso, ma di certo Sinister si sarebbe mangiato le mani, non appena avesse lasciato sbollire la rabbia e avesse recepito di aver perso una tale occasione di guadagno.
Gli ci vollero solo alcuni minuti per farsi dire dall’uomo più di quanto avesse mai immaginato e, il tutto, senza dover ricorrere a minacce di perquisizione o altro, visto che il cappuccio non aveva mai abbandonato il suo viso. Si limitò semplicemente a esprimere il grande desiderio di entrarne in possesso, qualunque fosse la cifra che il nuovo proprietario avrebbe richiesto, e comportandosi esattamente come avrebbe fatto il biondo Serpeverde appena uscito. Alla fine, incontrare Malfoy e la Parkinson, si era rivelato non un fastidioso contrattempo come aveva temuto, ma anzi una fortuita coincidenza.
Aveva chiesto un miracolo, dopotutto, e questo si era palesato nel più improbabile dei modi. Due serpi!
Annotati quindi il nome del compratore e quello della donna che lo aveva venduto, promettendo a Sinister una sostanziosa quanto fittizia donazione qualora fosse riuscito a metterlo in contatto con uno dei due, Harry se n’era andato soddisfatto nella speranza di non dover rimettere piede in quel luogo per parecchio tempo a venire. L’odore di muffa, infatti, ancora non accennava ad andarsene dal suo naso e, ci avrebbe scommesso, i suoi vestiti avrebbero avuto bisogno di almeno tre lavaggi a opera di nientemeno che Molly Weasley o avrebbe potuto buttarli direttamente, se si fosse affidato alle sue scarse doti come mago di casa. Perfino la signora Flora, la dolce donna che due volte la settimana andava a pulire il caos che riusciva, da solo, a creare senza nemmeno accorgersene, aveva rinunciato all’impresa, definendola ben al di sopra delle sue capacità, ma soprattutto un’incombenza troppo complicata per lo stipendio che percepiva. Proporle di raddoppiarlo, triplicarlo se necessario, non era servito ad altro che a farla ridere, perché nemmeno se glielo avesse centuplicato avrebbe accettato di combattere con le macchie che l’Accademia portava con sé, aveva detto la donna. La signora Weasley era, quindi, rimasta la sua ultima speranza.
Harry stava percorrendo a ritroso i vari vicoli di Nocturn Alley, scansando vecchie fattucchiere che cercavano di vendergli unghie o denti dalla dubbia origine, e si era ormai lasciato alle spalle il negozio, quando si ritrovò davanti Malfoy e la Parkinson.
-Sembri un Mangiamorte, Potter, lasciatelo dire.- lo apostrofò il ragazzo divertito, segno che entrambi lo avevano riconosciuto senza problemi poco prima.
-Oh, Draco tesoro, non dire certe cose. Giusto l’altro giorno elaborava la consapevolezza di odiare i mezzosangue, adesso questo. Potresti spaventarlo prima che i tempi siano maturi.- lo prese in giro la ragazza, rievocando quell’inopportuno flusso di coscienza cui aveva assistito settimane prima.
Harry voleva schiantarli. Entrambi.
-Divertente. Molto divertente.- si limitò, però, a commentare sarcastico il ragazzo, fingendo di ignorare lo sguardo divertito di Draco.
-Sono colpito, san Potter, davvero, davvero colpito. Chi avrebbe mai pensato che alla fine saresti passato al Lato Oscuro?- continuò impietoso il biondo, trovando la situazione troppo esilarante per lasciarla svanire senza colpo ferire.
 -Che la forza sia con te, allora, Malfoy.- ribatté acido Harry, citando senza sapere perché quel grande capolavoro che era Star Wars. Qualcosa, nel commento ironico del biondo, glielo aveva fatto venire in mente. Osservando le facce perplesse dei due Serpeverde, però, ricordò che non erano la compagnia ideale per apprezzare certe citazioni da cinefilo.
-Lascia perdere, vecchia citazione babbana. A cosa devo l’onore?- chiese poi, memore delle estenuanti spiegazioni che Ron aveva preteso quando lui e Hermione avevano provato a spiegargli il significato della stessa frase.
Fu la ragazza, stranamente, a rispondere.
-Mi mancavi, Potter, non è ovvio?- il tono frivolo che aveva usato qualche minuto prima con Sinister si presentò di nuovo insieme a uno sfarfallio di ciglia, facendo inarcare scettico il sopracciglio al Grifondoro, anche se lievemente divertito dall’ironia corrosiva della ragazza.
-In realtà ammetto che ero curiosa. Non capita spesso di vederti da queste parti, Potter, e questa è la seconda volta nel giro di poco.- ammise alla fine, lanciando poi un’occhiata disgustata a un piccolo mago che le si stava avvicinando furtivo con intenti piuttosto chiari.
Nessuno disse una parola al riguardo, bastò, infatti, uno sguardo minaccioso da parte di Draco perché l’uomo decidesse di rinunciare ai propri propositi criminali, sicuramente ritenendolo più saggio che non inimicarsi l’ultimo dei Malfoy, per poi defilarsi in un angolo buio e sparire alla vista. Erano proprio quelle pozze di ombra e per i vicoli nascosti che Harry odiava passeggiare per Nocturn Alley. Non era mai possibile stabilire da dove, o quando, sarebbe arrivato il primo tentativo di furto o abbordaggio.
-Solo lavoro. Cerchiamo di metterci in contatto con la vecchia proprietaria del cofanetto.- si limitò a rispondere, senza scendere nei particolari.
-In ogni caso, quale che sia il motivo del tuo ficcanasare, Potter, ci hai dato modo di liberarci di Avidius senza eccessive noie.- ammise Draco non completando però la frase. Erano pur sempre loro due che stavano parlando, sebbene con toni tranquilli che durante gli anni di scuola erano solamente un’utopia, e non si sarebbe mai abbassato a ringraziare il vecchio rivale.
-Andiamo, Pansy.- ordinò poi rivolto alla ragazza, accomiatandosi da Harry con un silente cenno del capo.
La ragazza sembrò innervosirsi per il tono, che spesso le era stato rivolto durante l’adolescenza e che Draco usava ancora per abitudine quasi senza accorgersene, e approfittò bassamente della presenza del Grifondoro per vendicarsi di quel comportamento orribile.
-Oh, Draco caro, non vorrai già tornare da quella noia della tua fidanzata, mi avevi promesso un invito a pranzo e non concedo deroghe. Sai, Harry –e qui, calcò sul nome dell’altro ragazzo, così come prima aveva calcato il dolce complimento rivolto ad Astoria Greengrass – sembra che Astoria, ultimamente, non riesca a vivere più di due ore lontano da Draco. Ha paura che lui torni in sé e decida di scappare a gambe levate.- osservando poi soddisfatta l’improvvisa rigidità che le spalle del biondo avevano assunto, diede la stoccata finale, grondante di femminile divertimento -Voglio dire, io, lo farei senza pensare!-
Pansy non aspettò che Harry le rispondesse, tutti e tre sapevano che da lui era stata richiesta soltanto la presenza, certamente non una replica, prima di raggiungere il fianco dell’amico e appendersi al suo braccio come i vecchi tempi continuando ad argomentare la sua tesi.
-Andiamo, tesorino, perfino Millicent trova la tua fidanzata irritante fino al parossismo. Quando è presente anche lei, non sappiamo mai se possiamo parlarti o se finiremo avvelenate anche solo guardando nella tua direzione.- e continuando a elencare le innumerevoli, a suo dire, nevrosi della ragazza, Pansy si voltò per alcuni attimi verso Harry, per un frivolo svolazzo di mano come saluto e trovandolo a ghignare divertito decise di infierire impietosa anche su di lui.
-Te l’ho già detto, Potter. Cerca di non farti ammazzare, prima della prossima volta. Ma cosa faresti, senza di me, mi chiedo.-
Potter scosse la testa adesso nuovamente infastidito, di fronte a quella strana irritante donna, per una volta in sintonia con Malfoy e la sorte che lo attendeva. Aveva il vago sospetto che, come il biondo, nemmeno lui sarebbe riuscito ad avere l’ultima parola con Pansy. Lo dimostrava la facilità con cui lanciava sale sulle ferite.
Nel loro caso, suo e di Malfoy, l’orgoglio maschile ferito, era decisamente quella che aveva scelto di colpire.
 












 

*

 













Il secondo livello del Ministero della Magia era in fermento. Come a ogni ora del giorno, a essere sinceri.
Auror, orgogliosi nei loro mantelli color porpora, si aggiravano da una scrivania all’altra, lavorando febbrili ai loro incartamenti prima che la nuova ora scattasse, segnando così l’inizio della loro pausa pranzo. Per tutti, perfino i più dediti al lavoro, quell’ora era sacra e avrebbero preferito far tardi la sera, peggio tutte le sere della settimana, piuttosto che essere costretti a rinunciare anche solo a dieci minuti di quell’intervallo per qualche contrattempo nella loro tabella di marcia.
Come ogni anno durante l’autunno, a ogni squadra erano affiancati due allievi Auror, perché imparassero sul campo quello che, fino ad allora avevano solamente studiato a livello teorico. Quella specie di tirocinio sarebbe durato un paio di mesi ancora, fino all’inizio dell’inverno, e tutti i giovani dell’Accademia accoglievano quel piacevole ed eccitante cambio della loro routine come un regalo di Natale anticipato. Non importava loro che, quasi ogni sera, tornassero a casa malconci e con gli abiti a brandelli, feriti addirittura. Non erano rare nemmeno le visite al San Mungo, ma era un prezzo che tutti pagavano volentieri, perfino i più piantagrane sembravano acquietarsi in quel periodo.
Harry ascoltava attentamente quello che Marcus, il suo Caposquadra, stava spiegando loro circa l’ultima missione appena compiuta, dividendo poi tra i sottoposti i vari rapporti da compilare prima di poter archiviare finalmente la pratica. Tutto, come però aveva tenuto a specificare e che aveva fatto sospirare di sollievo gli Auror,dopo pranzo.
La squadra, quindi, si divise, ognuno diretto verso la propria scrivania per controllare eventuali post-it volanti arrivati nel frattempo e sistemare le ultime pergamene prima di scendere a mensa. Harry stava giusto per rispondere a una nota di Ron, che lo invitava quella sera a cena alla Tana, dove ancora avrebbe abitato fino al matrimonio quando, lui e Hermione, si sarebbero trasferiti nella villetta a sud di Londra che avevano comprato un paio di mesi prima e che stavano ancora finendo di sistemare, quando una voce ormai nota lo interruppe, facendogli macchiare d’inchiostro la pergamena.
-Perdi tempo durante l’orario di lavoro? Fortuna che non lavori per me, Potter, o ti avrei già licenziato in tronco.- lo informò Pansy Parkinson, sedendosi senza essere invitata sulla sedia davanti alla scrivania del ragazzo, aspettando tranquilla la sua replica come rispettando una vecchia e ormai collaudata routine.
Lui la guardò in silenzio per alcuni secondi, prima di riprendere a scrivere borbottando –Fortuna che non lavoro per te, allora.-
-Beh, sai, in realtà, non avrei accettato nemmeno il tuo curriculum, se tu ti fossi presentato al colloquio con quel mantello che tutti sembrate trovare tanto elegante.- gli disse civettuola, occhieggiando però disgustata il mantello rosso d’ordinanza, appeso a un piolo alle sue spalle.
-E’ la nostra divisa, Parkinson.- rispose colpito, di nuovo, nell’orgoglio sentendole insultare con tanta tranquillità il simbolo del suo status.
Ancora, a quel mantello, mancava lo stemma del Ministero, che avrebbe fatto bella mostra di sé, a sinistra sul suo petto, non appena fosse diventato a tutti gli effetti un Auror, ma questo non glielo rendeva meno caro. Anzi, forse, era ancora più prezioso. Quando, a diciotto anni, aveva indossato quella divisa, non ne aveva mai avuto uno senza. Era stato immediatamente assunto come Auror effettivo, pronto al servizio attivo sul campo, e in quanto tale gli era stata offerta una cappa con lo stemma.
-Che lo indossino tutti, Potter, non lo rende un esempio di eleganza. Quest’anno, quel rosso, proprio non va di moda e credimi, di queste cose me ne intendo.- ribatté di nuovo con occhio clinico.
Pansy Parkinson, da tre anni a quella parte, infatti, era diventata in mezza Europa simbolo di stile e guru della moda per tutte le giovani streghe e non solo. Harry non si interessava a quel genere di attività, per quanto lo riguardava i maglioni che la signora Weasley ancora gli regalava ogni Natale erano il massimo dell’eleganza, ma aveva suo malgrado seguito l’ascesa nel mondo magico della sua vecchia compagna di scuola.
Ginny, inizialmente, non aveva risparmiato commenti al vetriolo verso la ragazza, sicura che fossero solo i soldi di famiglia e qualche vecchio favore finalmente riscosso, i motivi che avevano reso il marchio Parkinson sinonimo di eleganza e stile. Con il tempo era stata poi costretta ad ammettere che la ragazza sapesse il fatto suo e aveva perfino ingoiato l’orgoglio per comprare una delle borse che erano diventate un must per la società bene di Londra.
Tutto quello avveniva due anni prima e la posizione della stilista si era consolidata tanto da imporsi anche fuori dall’Inghilterra. Di tutto quel successo, per quanto in un ambito di cui Harry non capiva niente, c’era da esserne davvero fieri.
-Comunque, non mi chiedi perché sono qua, Potter?- riprese poi a parlare la donna, con quella tipica prerogativa femminile che era l’incapacità di rimanere in silenzio quando ignorate.
-Perché sei qua, Parkinson?- chiese accomodante il ragazzo, arrendendosi all’impossibilità di scrivere anche solo un’altra riga con davanti quella rompiscatole e riponendo perciò la piuma.
Dallo scintillio soddisfatto dei suoi occhi scuri, il ragazzo lo avrebbe giurato, concederle tutta la sua attenzione era stata la mossa giusta da fare. O meglio, era esattamente quello che la ragazza voleva.
Per la prima volta da che era arrivata, svariati minuti prima, Harry si ritrovò a guardarla.
Come già aveva pensato al loro primo incontro a Nocturn Alley, era diventata bella, Pansy, di una bellezza che, da ragazzina, non le avrebbe mai attribuito. Bella ed elegante, con quel completo pantalone da lavoro a vita alta e la camicetta verde chiaro che esaltava il biancore della pelle.
Abituato fin da ragazzo alla pelle candida di Ginny cosparsa di lentiggini, ritrovarsi davanti quella perfezione di alabastro lo fece deglutire a vuoto, nella speranza di scacciare quell’inopportuna sensazione al petto.
-Visto che mi devi un favore, due in realtà se consideriamo anche l’imbeccata da Sinister, invitarmi a pranzo mi sembra il minimo, non credi? Dopotutto ti ho salvato la vita.- gli disse tranquilla, accavallando le gambe e inclinando la testa di lato, con il caschetto scuro che le sfiorò una spalla e la guancia opposta, in una posa sbarazzina che sembrava essere stata inventata apposta per lei.
Il ragazzo rimase un attimo immobile a osservarla, per poi realizzare quello che gli aveva appena detto e, una volta che il messaggio arrivò al suo cervello, rischiò di cadere a terra dallo stupore.
-Vuoi che ti inviti a pranzo?- chiese allibito, giusto per assicurarsene.
La vide storcere il naso infastidita da quell’uscita indelicata.
-Non l’avrei messa in questo modo. Ma si, riassumendo, il concetto è quello.- concesse infastidita come una giovane lady costretta a rapportarsi col volgo.
Harry, in quale modo l’avrebbe messa, non riusciva a capirlo, visto che per quanto lo riguardava quello era l’unico modo in cui riassumere l’intera conversazione, escludendo ovviamente i suoi commenti assurdi sul rosso dei loro mantelli, e per questo rimase nuovamente in silenzio.
-Se il Signore Oscuro potesse sapere che bastava farsi invitare a pranzo per farti fuori, Potter, si mangerebbe le mani, credimi.- sibilò irritata da quel silenzio imbarazzante che, improvvisamente li avvolgeva.
-Cosa? Ehm, ecco…io credo che si, insomma…- balbettò Harry senza avere anche la sola, minima, idea di cosa volesse dire davvero.
La ragazza sbuffò infastidita, muovendosi a disagio sulla sedia per alcuni secondi, prima di chinarsi a prendere la borsa e alzarsi senza poi fare una piega.
-Fingi che non abbia detto niente, Potter.- gli aveva già voltato le spalle quando sibilò quella frase e si avviò a passo svelto verso l’ascensore che collegava tutti i livelli del Ministero.
Il ragazzo rimase immobile a fissarle la schiena che si allontanava sempre più senza riuscire a capire in che modo, esattamente, fosse riuscito a farla arrabbiare a tal punto in così poco tempo.
Un secondo prima gli diceva di portarla a pranzo, quello dopo se ne andava ticchettando su quei tacchi assurdamente alti che la facevano ancheggiare in un modo da far girare la testa a ogni uomo.
La dimostrazione di quello che aveva appena pensato, così poco da lui, venne da Charlie, l’altra recluta che era stata assegnata alla squadra di Marcus insieme a lui.
-Lasciatelo dire amico, non dovresti far arrabbiare così la tua ragazza. Te la potrebbero rubare in un attimo, se non stai attento.-  ammiccò ammirato verso la mora, lasciandogli una pacca cameratesca sulla spalla come a complimentarsi della conquista.
-No, lei non…ecco non è la mia ragazza.- alitò Harry, allibito dalla presupposizione dell’amico.
Cosa gli aveva fatto pensare che stessero insieme? Erano pur sempre Harry Potter e Pansy Parkinson, per Merlino! Avevano passato l’adolescenza a insultarsi ed evitarsi il più possibile!
-Beh, in questo caso, Potter, faresti meglio a correrle dietro prima che cambi idea e vada io a invitarla a pranzo. Ammettilo, è una vera bomba.- e, saputo che non stava invadendo campo amico, non si fece più scrupoli a osservarle il sedere fino a che la ragazza non fu sparita dietro l’angolo.
-Ehi!- commentò Harry infastidito notando dove, cosa, l’occhio del collega fosse caduto, esattamente dove fino a pochi secondi prima era anche il suo.
Senza capire perché si ritrovò ad alzarsi e andarle dietro svelto, con nelle orecchie la risata divertita dell’amico di fronte a quello scatto inconsueto, sperando di riuscire a fermarla prima che sparisse dietro le porte dell’ascensore.
-Ehi ehmm…ehi Pansy, aspetta! Aspetta, ho detto, per la miseria!- le urlò dietro appena fu vicino abbastanza, per poi afferrarle il polso e costringerla ad ascoltarlo. Non sembrava intenzionata a farlo volontariamente, in effetti, e urgevano misure d’emergenza.
-Andiamo a pranzo insieme.- le disse in imbarazzo.
Sentiva il viso andare a fuoco perfettamente consapevole della propria inappropriatezza in certe situazioni.
-No, grazie.- disse lei concisa.
-Ma…ma hai detto che…- balbettò incredulo Harry, senza saper raccapezzarsi con quella ragazza.
Non aveva mai conosciuto una donna lunatica come la Parkinson.
-Beh, ho cambiato idea, non si può?- rispose lei acida con uno sguardo che gli intimava di non replicare.
-Cosa? Si, certo che puoi, ma pensavo che…-
-Allora è il caso che smetti di farlo. Pensare, intendo.-
Ormai era abituato a sentir montare il fastidio ogni volta che si ritrovava a scambiare anche le più brevi delle conversazioni con la Serpeverde e quella volta non fece differenza.
-Ma io non capisco cosa ti prende, adesso! Sei venuta qua apposta e poi te la prendi per niente. E ora che ti chiedo di pranzare insieme dici di no?- la perfetta conclusione sarebbe stata un “vorrei sapere cosa ti passa per la testa”, ma il ragazzo teneva ancora abbastanza alla vita per decidere di tacere quella parte.
-Non voglio pranzare con te perché ti senti in colpa.- il tono acido continuava a persistere, ma sfumava più verso il fastidio che non il gelo di poco prima.
-Non mi sento affatto in colpa!- replicò indignato il ragazzo, alzando la voce sull’ultima parola, forse troppo in fretta per risultare davvero credibile.
-Davvero?- lo scetticismo nella voce di lei gli fece capire che non si era sbagliato.
-No! Voglio dire, un pochino, ma davvero mi fa piacere se pranziamo insieme.- cercò di placarla il ragazzo immediatamente.
Hermione era da sempre un tipetto autoritario che lui e Ron cercavano di tranquillizzare ogni volta che era loro possibile, memori di quello sciame di uccellini cannibali che la ragazza, in un momento di particolare stress, aveva lanciato addosso al rosso. Ginny, d’altra parte, a causa delle temibili fatture che con gli anni erano soltanto andate migliorando, era sempre stato meglio non portarla al punto di rottura per evitare una visita fuori orario al San Mungo. Eppure, sebbene con esempi di cotanta imponenza, Harry non aveva idea di come rapportarsi con la giovane donna che gli stava davanti per farle passare quell’arrabbiatura ancora inconcepibile.
Certo, aveva capito che il motivo scatenante era stata la sua lentezza nell’acconsentire a quel bizzarro pranzo insieme, eppure non riusciva proprio a capacitarsi di averla fatta andare fuori di testa in così breve tempo.
-Non sembri molto convinto.- replicò lei ancora cauta.
-Certo che lo sono! Non ti sarei corso dietro, altrimenti, no?- esasperato, Harry, non sapeva più che corde tirare per risolvere quella spinosa situazione.
E quel brancolare nel buio doveva essere piuttosto evidente, viste le risatine sadiche che i colleghi gli indirizzavano, uscendo per la tanto agognata pausa. Quella scena,che stava velocemente prosciugando tutte le sue energie, doveva risultare parecchio comica, vista dal di fuori.
-Ne sei sicuro, Potter? Vuoi davvero pranzare insieme?- chiese per sicurezza Pansy ancora sulle sue.
Il ragazzo si ritrovò ad annuire convinto, senza dover fingere, quella volta.
-E ti fa piacere?- chiese ancora lei.
-Si, te l’ho già detto.-
-Non ti senti costretto in alcun modo, allora.- riprese il suo interrogatorio d’intenti.
-No, Pansy, no! Ti sto invitando a pranzare insieme perché lo voglio e mi farebbe realmente piacere. Sono sincero, davvero.- le disse alla fine.
-D’accordo, allora. Posso scegliere io dove, vero?- acconsentì alla fine la ragazza, sorridendogli senza più nessuna traccia di irritazione nella voce.
-Aspetta un attimo qui, vuoi? Vado a prendere il mantello.- vedendola aggrottare un sopracciglio, però, decisedi rettificare quanto appena detto –Ehm, il cappotto. Vado a prendere il cappotto.- e senza ulteriori indugi, prima che quella squinternata si mettesse a disquisire anche sui cappotti e sul loro essere assolutamente inappropriati per la loro estrema babbanosità, Harry corse veloce alla scrivania, recuperando il cappotto che indossava quella mattina quando era uscito di casa per poi tornare da lei, nel minor tempo possibile.
Per qualche recondita ragione, che certamente il suo cervello non era in grado di razionalizzare, si ritrovò a sospirare di sollievo vedendola annuire in direzione del suo cappotto nero preferito, regalo di Fleur e Bill per il Natale precedente.
Fu solo una volta in strada, camminando affiancati per Diagon Alley, mentre lei raccontava meraviglie del locale verso cui si stavano dirigendo, che Harry si ritrovò a realizzare una cosa.
Non aveva idea di come o perché, ma alla fine l’aveva invitata a pranzo.
Anzi, l’aveva quasi supplicata. Forse poteva perfino togliere il quasi.
Come fossero arrivati a quel punto, lui che pregava perché accettasse e lei che ogni volta rifiutava sdegnosa, Harry non se ne capacitava. Di certo c’era solo una cosa.
Quelle suppliche erano sembrate maledettamente sincere. Perfino alle proprie orecchie.
E così, Harry Potter, aveva supplicato Pansy Parkinson per accettare un invito a pranzo.
 














 

*

 











La sera, alla Tana, era stata invitata tutta la famiglia Weasley, compagni compresi e il clima di allegra convivialità era il solito di sempre.
Solo Harry sembrava fuori fase. La signora Weasley, una volta individuato il ragazzo in quel mare di teste rosse che, in ogni caso, erano la maggioranza, aveva immediatamente dato la colpa di quel comportamento ai barbari allenamenti cui il ragazzo era costretto giornalmente e, cercando di risollevargli il morale, si era prodigata affinché il ragazzo avesse il piatto sempre pieno. Aveva assoldato perfino Ginny, che in quelle occasioni si teneva il più lontano possibile dal ragazzo per l’ancora relativamente fresca rottura, perché sopperisse qualora uno spazietto vuoto di piatto fosse sfuggito alla sua rapace attenzione.
-Harry, stai bene?- chiese alla fine Hermione, spazientita di dover ripetere all’amico tre volte ogni frase prima che lui si degnasse di prestarle attenzione.
La cena, infinita nelle sue nove portate come ogni cena di Molly Weasley che si rispetti, era finalmente finita e tutti gli invitati si erano sparpagliati per tutta la casa.
Alcuni aiutavano Molly nelle faccende domestiche, altri si erano concessi un cordiale dopo cena e altri ancora si erano accampati in salotto fino a riempire ogni superficie piana disponibile e combattere, o sopperire nel tentativo, la sonnolenza che quella cena luculliana aveva portato con sé.
Harry, Ron e Hermione, come nella migliore tradizione, stavano vicini in un angolo, apparentemente a chiacchierare tra loro, in realtà era solo la scusa per avere la privacy necessaria a interrogare Potter circa il suo strano comportamento.
Quella sera non aveva nemmeno rivolto una delle sue patetiche occhiate da cucciolo a Ginny che la seguivano ogni volta che si incontravano da che si erano lasciati,incolpandosi totalmente della rottura quando la colpa, invece, proveniva da entrambe le parti, tanto era stato con la testa altrove.
-Perché?- chiese lui sulla difensiva.
-Oh, andiamo, Harry! È tutta la sera che ti comporti in modo strano. Hai perfino mangiato la torta di carote e tu non la sopporti!- lo riprese Hermione con quel tono da maestrina che le era proprio.
-Davvero? Io…pensavo…- rispose alla fine evasivo.
-Harry, seriamente, cosa succede? Problemi sul lavoro?- chiese Ron pratico, pronto ad aiutare l’amico nonostante avesse appeso al chiodo il mantello rosso da un paio di anni, se se ne fosse presentata la necessità.
-No, certo che no. L’internato è fantastico e Marcus è un grande. Tratta me e Charlie come se fossimo già parte della squadra, ed è grandioso.- si affrettò a smentire Harry.
Il silenzio cadde ancora su di loro, Harry di nuovo libero di pensare a quell’assurdo pranzo di poche ore prima si perse la comunicazione silenziosa che avvenne tra i suoi due amici che portò Ron ad allontanarsi per lasciare campo libero alla fidanzata.
-Sai che puoi parlami di ogni cosa, vero Harry? Se anche tu avessi incontrato una ragazza, nessuno ti giudicherebbe male. Voglio dire, tu e Ginny avete rotto da quasi sei mesi, è normale che tu abbia cominciato a guardati intorno. Nemmeno Ron si aspetta che tu rimanga single per sempre solo perché hai lasciato sua sorella.- gli disse comprensiva la ragazza, accarezzandogli dolcemente una mano.
-Sai perché ho rotto con Ginny. Ho solo fatto quello che rimandavamo da mesi e che lei sembrava non avere il coraggio di fare.- le disse risentito.
In una rottura, il chi-ha-lasciato-chi, era sempre un argomento spinoso, soprattutto quando consideri la famiglia della ragazza come tua e quando la tua migliore amica è anche la sua. All’inizio c’erano stati attriti su tutti i fronti e stare nella stessa stanza con entrambi i ragazzi era stato imbarazzante per tutti, perfino per Ron che aveva, notoriamente, la profondità emotiva di un cucchiaino da caffè.
Ma Potter aveva detto la verità. Avevano rimandato quella decisione per mesi, prima che lui prendesse a due mani il coraggio e ammettere con Ginny di non riuscire più a trovare un senso alla loro storia. La ragazza, alcune settimane dopo, aveva ammesso di provare lo stesso, sebbene certamente non l’avesse fatto con l’ormai ex ragazzo.
-E’ successa una cosa strana, oggi. Ho pranzato con Pansy Parkinson.- ammise alla fine Harry, dopo l’ennesima attenta riflessione.
Il ragazzo vide l’amica lanciargli uno sguardo incredulo, dopotutto non aveva detto a nessuno di quei due strani incontri che aveva avuto con la ragazza e forse era arrivato il momento di parlarne, anche se non sapeva cosa ci fosse, esattamente, da dire al riguardo.
-L’ho incontrata per caso un mesetto fa, a Nocturn Alley e…insomma oggi è venuta in ufficio e siamo finiti a pranzo insieme. – iniziò in difficoltà Harry –Comunque dopo avermi detto che voleva pranzare con me, se n’è andata arrabbiata per non so quale motivo e le sono corso dietro per…non so nemmeno io per quale ragione. Lo volevo fare, semplicemente. Diamine, mi ha quasi costretto a invitarla a pranzo e poi ha voluto scegliere dove andare e…è una tiranna, Hermione! Riesce a irritarmi anche con solo una frase e non so mai cosa sta per succedere, se quello che ho detto la farà ridere o andare via. Non capisci quanto è stressante, starle accanto anche solo due minuti. E quel pranzo…- Harry fermò il suo assurdo sproloquiare sotto lo sguardo sempre più stupito della ragazza che non riusciva a credere alle proprie orecchie.
-Ecco…si insomma, avete pranzato insieme. Ma perché l’hai portata a pranzo se ti irrita così tanto?- chiese Hermione, cercando di trovare un punto, uno qualsiasi, a quel discorso. Tutto si sarebbe immaginata, tranne quello.
-Perché…perché…non lo so. E’ che lei se ne stava andando e io sapevo di aver fatto qualcosa di male, anche se lei è talmente assurda che probabilmente il problema è tutto nella sua testa, e mi sono ritrovato a invitarla.-
-In questo caso, Harry, d’accordo; hai pranzato con la Parkinson, ma sei sopravvissuto, no? Voglio dire, per quanto ti abbia innervosito e tutto il resto l’hai superata e puoi passare oltre. Giusto?
-No! Tu non capisci! Quella donna è completamente fuori di testa! E’ acida e snob da morire, ha insultato il mio mantello da Auror solo perché il rosso non va di moda, quest’anno, e lei se ne intende – disse facendole il verso con una smorfia – e poi ha qualcosa da ridire su ogni cosa. E’ sarcastica, ma con toni corrosivi che potrebbero uccidere. Fosse per lei chiuderebbe la maggior parte dei negozi, perché portatori di degrado sociale e ride nei momenti peggiori. Probabilmente riderebbe perfino durante un funerale. Certo, a volte, quei commenti sono divertenti e ti ritrovi a ridere senza accorgertene, ed è intelligente, non sarebbe riuscita a farsi un nome nel suo settore altrimenti. Lo capisci anche parlandole che non è più l’oca degli anni di scuola, ma…- e a quel punto si interruppe, con i pensieri talmente confusi da non trovare le parole adatte per srotolarli.
Inaspettatamente, Hermione si mise a ridere, sinceramente divertita dall’assurda situazione che si era vista dipanare davanti agli occhi. Tutto quell’arruffare le penne, da parte di Harry, era quanto meno inusuale, lui sempre così tranquillo e pacifico, e vederlo in quello stato per una ragazza aveva del miracoloso. Letteralmente. Nemmeno Ginny era mai riuscita a sconvolgerlo tanto.
-Questa sì che è una bella sventura. Trovare simpatica la persona che si è prefissi detestare.- disse Hermione sibillina, trattenendo un sorriso senza, peraltro, riuscirci per niente.
-Che stai dicendo?-
-Oh, andiamo, Harry, lei ti piace. Certo, non ho ben capito in quale modo contorto e perché, visto che hai elencato forse giusto un paio di pregi in tutto il tuo allucinante monologo, ma è ovvio che ti piaccia.- gli rispose lei con il tono orgoglioso da mamma di fronte alle prime parole del figlio.
-A me non piace affatto!- si risentì Harry, facendo sobbalzare entrambi per quella smentita sentita.
-Davvero?- il dubbio, nella voce della sua amica, era troppo profondo perché potesse accettarlo senza problemi.
Di solito, quando Hermione usava quel tono, significava solamente una cosa. Che sapeva perfettamente di avere ragione, nonostante il suo interlocutore non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, e aspettava solo il momento in cui la verità l’avrebbe avvalorata, per poter sorridere vittoriosa, con chiaramente scritto in fronte la frase “Io te l’avevo detto, ma tu sei troppo stupido per credermi”.
Ma non quella volta. Com’era vero che si chiamava Harry, quella volta Hermione aveva torto. Torto marcio.
-Certo, che è vero! Come potrebbe piacermi una persona del genere? D’accordo, è diventata molto bella e il pranzo non è stato poi così male, ma ti ho detto quanto è irritante? Perfino Malfoy non è indenne a quella lingua biforcuta e anche lui ne possiede una!-
-Ma se la Parkinson ha sempre baciato la terra su cui quel ragazzo metteva i piedi, fammi il favore!-
-No, non capisci. Voglio dire, sì, prima era esattamente così. Ma ora…non lo so, sono amici, credo. E si vogliono bene, in quel modo contorto e incomprensibile in cui si vogliono bene i Serpeverde. Lui le ha permesso di insultare la sua ragazza senza dire una parola per fermarla…-
-Magari solo perché quel matrimonio è stato pianificato a tavolino e non per amore.- commentò acida la ragazza.
-…e si è lasciato prendere in giro senza desiderare di ucciderla. E non è che lei ci sia andata poi così leggera, credimi.- continuò Potter infervorato, ignorando l’interruzione come stava ignorando tutti i logici commenti dell’amica.
-Ma dov’è che tu avresti visto quei due insieme?- chiese alla fine lei, sinceramente curiosa.
-Eh? Oh! A Noctunr Alley, ero in ricognizione per un caso, la settimana scorsa, e li ho trovati là. E comunque perché stiamo parlando di Malfoy, adesso?-
Harry, effettivamente, non capiva come fossero arrivati a quel punto. Malfoy, dopotutto, non era mai stato il suo argomento di conversazione preferito.
-Perché tu non vuoi ammettere che la Parkinson ti piace, tesoro!- gli disse allegra la Granger, per poi ridere apertamente quando Harry si alzò indispettito dichiarando a chiara voce che stava andando ad aiutare Molly in cucina.
Quella frase stava a significare solo una cosa. Considerava l’argomento concluso.
Ma ancora, Harry, non sapeva quanto si sbagliava.
 


















 
 
 
ANGOLO AUTRICE.
Allora partiamo col dire che non ho mai scritto niente del genere. Io, i Serpeverde non li so gestire e se Scorpius Malfoy è sempre stato l’eccezione che confermava la regola, visto quanto ne ho scritto e continuo a fare, magari senza pubblicare, ma Pansy è stata un altro paio di maniche. E l’ho adorata, letteralmente. Mi ha fatto sudare, ma ho amato questa donna.
Come avete visto nella presentazione questa storia partecipa al contest “Dalla vecchia alla nuovissima generazione, per tutti i gusti” indetto da Alistel. Era un concorso a pacchetti e, come potete immaginare mi sono toccati Harry e Pansy. Non amo particolarmente il genere, non mi dispiace nemmeno in realtà, ma quei tre pacchetti combinati mi hanno fatto prudere le mani e questo è il risultato. Almeno la prima metà. Ventisei pagine mi sembravano davvero troppe tutte insieme e non volevo indurre nessuno a tagliarsi le vene dalla disperazione!
Giusto un paio di precisazioni su questo primo capitolo perché ne sono ossessionata.
La storia, ovviamente, è ambientata cinque anni dopo la fine della battaglia con Voldemort e tiene conto di tutto quello che è successo quindi non troverete un AU nelle note.
Al 13b di Nocturn Alley si trova Magie Sinister che, come Lexicon tiene a precisare, il negozio è stato aperto nel 1863 da Sinister Senior e Caractacus Burke, sparito poi improvvisamente dalla circolazione. Sinister Senior è l’uomo che lo gestisce nella saga, qua ha fatto la stessa fine dell’amico. Come vedete è una tara familiare!
Ovviamente “che la forza sia con te” è una citazione blasfema per la quale potrete lapidarmi, come quasi tutte quelle che faccio, ma Malfoy aveva la faccia giusta in quel momento.
Che Harry sia un impedito con le ragazze, poi, è un dato di fatto, quindi non prendetevela troppo se sembra ancora più rincoglionito del solito. È con Pansy Parkinson che deve vedersela, mica boccini, insomma!
Infine, la citazione “Questa sì che è una bella sventura. Trovare simpatica la persona che si è prefissi detestare.” arriva dritta dritta da Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen. E anche se non c’era quasi bisogno di scrivervelo, vista la notorietà dell’opera, lo faccio comunque perché è uno dei pacchetti.
Ancora non sono usciti i risultati, quindi incrociate le dita per me!
Grazie a chi vorrà dare un’occhiata a questo ennesimo delirio dovuto alla mia febbre da contest ancora non curata. Probabilmente vi colerò un calco di bronzo se mi lasciate una recensioncina. Spero di avervi strappato almeno un sorriso.
A giorni la seconda parte, ovviamente già scritta!
Nel caso qualche lettore di “A modern myth” incappi in questa storia non disperate! Il nuovo capitolo è praticamente scritto, mancano giusto un paio di pagine e poi pubblico anche quello. Finalmente, oserei aggiungere!
 

Un abbraccio ai coraggiosi che hanno aperto il documento. Un plauso ancora maggiore a chi è arrivato fino a qua.
Rebecca.




P.S. (28 gennaio 2015) La storia è stata modificata per inserire l'immagine, ma non è stato cambiato niente del testo. Tra l'altro è il mio primo banner, quindi abbiate pietà, soprattutto perchè Harry non ha gli occhiali, ma Pansy meritava e pretendeva un volto!
Un abbraccio, Rebecca.
   
 
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