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Autore: L_Fy    13/08/2013    35 recensioni
...Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: "Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto."
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
Quindi, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 18
 
Paolo Bianchi prese coscienza di sé con lentezza subacquea e la prima cosa che recepì, infiltrato a tradimento tra la densa ovatta dei medicinali, fu un profumo di donna. Non era quello ben noto di sua madre, e nemmeno quello di borotalco di sua nonna. Meno che meno era quella roba caramellosa e stomachevole delle sue sorelle. Era piacevole, suadente, sottile, ma impossibile da ignorare. Il profumo di Gladi? No, Gladi era morta… evviva Gladi… Non era nemmeno quello pulito e frizzante di Serena, la sua Serena. Come una stilettata, una reminescenza del pensiero di lei tra le braccia di Tebaldo (“mi sono sbattuto la tua fidanzata”) infilzò l’ovatta dell’incoscienza e Paolo spalancò gli occhi. Subito ci vide sfocato, poi doppio, poi di nuovo sfocato.
“Sono cieco.” biascicò accorgendosi di avere la bocca piena di pasta dentifricia collosa e densa.
“Non sei cieco, sei solo drogato marcio.” ribatté una voce paziente e dolce, nonché vagamente divertita “E poi non hai addosso i tuoi fanaloni spessi un dito. Aspetta che ti aiuto a metterli.”
Due mani gentili armeggiarono per posargli qualcosa di duro e freddo sul naso, accentuando il profumo di femmina intenso e buono e chiarificandogli miracolosamente la vista. Il viso che si parò avanti a Paolo fu quello vagamente sorridente di Veronica Scarlini della Torre.
“Veronica” gorgogliò lui tra la pasta che aveva in bocca: Oddio, tra tutte le persone che non avrebbe voluto vedere aprendo gli occhi, proprio quella in pole position?  “Cosa ci fai qui?”
Era così palesemente scontento di vederla che il sorriso di Veronica si accentuò ancora di più: era un sorriso tra l’ironico e il triste, che rendeva i suoi occhi verdi limpidi e bellissimi. Diavolo, era tutta bellissima, Veronica: così davanti a lui, senza quasi trucco, coi capelli soffici e quel sorriso da monna Lisa, era così bella da prendersi a schiaffi. Se gli fosse importato qualcosa di lei. E se non avesse avuto un polso un po’ troppo rotto per schiaffeggiare qualsiasi cosa.
“Sono stata urgentemente convocata dalle tue sorelle” spiegò Veronica pazientemente “A quanto pare, prese dal panico del momento, hanno chiamato tutti i contatti della rubrica, dal 112 al salumiere passando per lo zio che abita in Canada. Il salumiere e lo zio hanno declinato l’invito a venire ad omaggiare la tua salma, mentre i carabinieri hanno sollecitato severamente i tuoi genitori a preparare l’isterica prole per futuri eventuali incidenti domestici. Io sono qui in veste di visitatrice estemporanea incastrata da tua madre che si è dovuta assentare.”
“Dov’è andata?” piagnucolò Bianchi: gli era venuto un inopportuno ma fortissimo, infantile bisogno della sua mamma.
“E’ andata a casa di volata a preparare qualcosa per cena al resto della famiglia Bianchi, che provata dall’esperienza non sa più nemmeno aprire una scatoletta di tonno in autonomia. Ma stai tranquillo, li raggiungerai per l’ora di cena: non ti trattengono in ospedale, la tua frattura al polso è minima ed ha richiesto un gesso leggero. Sei qui solo perché a quanto pare non ti decidevi a risvegliarti, dopo essere svenuto come una pera cotta.”
Bianchi decise di non soffermarsi sull’umiliante tono canzonatorio di Veronica, era già troppo impegnato a combattere il fortissimo senso di nausea e la voglia irresistibile di scoppiare a piangere come un neonato.
“Puoi chiamare per favore l’infermiera” borbottò iniziando a sudare “Sto per vomitare…”
Veronica, pazientemente, premette un pulsante e ronzando il letto si inclinò portando Bianchi in posizione quasi seduta: la nausea passò d’incanto, ma non la voglia di piangere.
“Puoi chiamare lo stesso l’infermiera, per favore? Io non…”
Ma le cateratte si aprirono prima che potesse finire la frase e, completando l’umiliazione a 360°, Paolo scoppiò in un pianto dirotto lasciando Veronica blandamente sorpresa a guardarlo con un sopracciglio alzato.
“Diamine, Bianchi, quel polso deve farti un male d’Inferno. Ti offrirei un antidolorifico, se non te ne avessero già dati circa due chili.”
Infatti il polso non gli faceva male. Per la verità, non sentiva niente da nessuna parte del corpo, come se gli si fossero spenti tutti i ricettori del dolore, tranne quello proveniente dal cuore che pungeva e pulsava oscurando tutto il suo orizzonte.
“Lo odio!” ragliò Paolo tra i singhiozzi tastando col braccio indenne sul comodino per cercare il pacchetto di fazzolettini di carta.
“Chi odi così tanto? Il polso, il dottore, l’antidolorifico…”
“Tebaldo!! E’ lui che mi ha fatto questo!” alzò la mano fasciata davanti a Veronica, come se invece di un gesso avesse un uncino montato su un moncherino putrescente “Quel porco! Schifoso! Merdoso!”
Il sopracciglio di Veronica si inarcò ancora di più, ma il tono di voce rimase freddo e quasi colloquiale: si avvicinò a Paolo fin quasi a sfiorargli il naso, fissandolo dritto negli occhi.
“Mio cugino Tebaldo? Che c’entra col tuo polso?”
“Lui è… è venuto a casa mia… quel maiale… è venuto a dirmi che era appena stato a letto con Serena!”
La faccia di Veronica, sublimemente ignorata da Paolo tutto preso dal proprio delirio piangereccio, divenne di colpo bianca e immobile come il marmo.
“Anzi… che se l’era sbattuta, come ha detto lui. Sbattuta! La mia Serena! Come se fosse… un dannato tappeto polveroso!! E me l’ha detto con una faccia… con quegli occhi da Lucifero che brillavano… come ci godeva a farmi sapere che si era… sbattuto… Serena!”
Ora che aveva buttato fuori il veleno che gli amareggiava l’anima, Paolo si sentì di colpo svuotato: crollò con la testa sulla spalla di Veronica piangendo tutta la sua rabbia e il suo dispiacere e Veronica gli posò una mano sulla spalla, immobile.
Fu così che li vide Tebaldo, inquadrati dal rettangolo della porta come immortalati in una foto d’epoca in bianco e nero. La testa bionda e la testa bruna vicine, due corpi abbracciati quasi con disperazione.
Il suo viso patrizio non si scalfì minimamente: i gelidi occhi verdognoli non emisero una sola fiammata, non vibrò un solo muscolo. Semplicemente, dopo alcuni immobili secondi densi come lava, Tebaldo si girò e se ne andò via in silenzio.
*          *          *
Serena era da sola in casa, quindi quando sentì suonare il campanello pensò che fosse meglio non rispondere. Dopotutto, non aveva staccato il telefono a caso: non voleva che qualcuno la chiamasse. Qualcuno… Tebaldo, più che altro. Il cellulare muto e chiuso nel cassetto era un sollievo. Ma aveva fatto i conti senza l’oste: il potenziale disturbatore si attaccò noiosamente al campanello finché sbuffando Serena non mollò il libro sul divano e ciabattò fino alla porta.
“Chi è?” ruggì rinunciando a sbirciare dallo spioncino della porta.
“La derattizzazione” rispose allegra una voce inconfondibile “A quanto pare ci sono milioni di scarafaggi che fuoriescono dalle sue tubature, una vera ecatombe… fossi in lei aprirei al più presto. Anche perché qua fuori fa un freddo cane, vorrà mica avere sulla coscienza la mia prossima polmonite.”
Tebaldo della Torre, senza nessun dubbio: il cuore di Serena schizzò così in alto che quasi rimbalzò in gola. E che diavolo! Erano giorni che lo aspettava, che lo sfuggiva, che agognava la sua presenza, che pregava perché lui la ignorasse… e lui niente nemmeno un fiato! Poi eccolo lì, bello e impudico come il sole. Quando ormai iniziava a rassegnarsi (con sollievo) all’idea di averlo del tutto e definitivamente stancato.
“Tebaldo!”
“Che nome meraviglioso per un derattizzatore, vero?”
Vorticosamente, Serena pensò all’orrore che dovevano risultare i suoi capelli, ai pantaloni sladronati del pigiama, alla casacca scoordinata con il colletto liso e fu tentata di correre a nascondersi sotto il letto.
“Inutile pensare di scappare” la precedette Tebaldo “Ho già fatto bloccare tutte le vie di fuga. Dai, aprimi.”
Fu il tono di quelle due ultime parole a convincerla: un tono suadente, da incantatore… irresistibile.
Aprì la porta.
Già prima ancora di guardarlo in faccia, Serena capì di essere nei guai. C’era qualcosa che irradiava da tutta la sua persona, una specie di fuoco invisibile, terribilmente caldo. E i suoi occhi, quando li incontrò, erano quasi fosforescenti, ammalianti.
“Ciao, colombella.” mormorò con un sorriso storto.
“Ciao Tebaldo” rispose lei con la voce più normale che riuscì a racimolare, che risultò tristemente simile al gracidare di un intero stagno “Che ci fai qui?”
“Ti sono venuto a trovare, come da accordi precedenti.” rispose lui con estrema ovvietà: senza chiedere il permesso entrò in casa, obbligandola a indietreggiare pur di non toccarlo.
“Il tuo look da casa non è proprio migliorato” sorrise disinvolto mentre Serena chiudeva nervosamente la porta e si allontanava il più possibile verso la cucina “Quella cosa lì sotto, al posto dei pantaloni… li indossano di solito i dervisci durante le loro esibizioni.”
Serena, non sapendo assolutamente cosa fosse un derviscio, glissò drasticamente.
“Stavo studiando” borbottò nascondendo le mani sotto le ascelle e stringendosi il corpo come se avesse paura di farselo scappare.
“Hai il cellulare staccato.” la informò Tebaldo noncurante e Serena rabbrividì al pensiero di Tebaldo che provava a telefonarle. Proprio a lei! Il festival del surreale, ecco cos’era.
“Stavo studiando.” ripeté come un mantra religioso.
Tebaldo, ignorando il suo tono scontroso, girellò per il salotto, sistemò il centrino sulla tavola e prese e ributtò subito sul divano il libro che lei stava leggendo: Serena stava quasi per rilassarsi quando lui le lanciò un breve sguardo che la fece di nuovo agitare come se avesse in corpo un milione di litri di caffè.
“Allora, non mi offri nemmeno un bicchier d’acqua?” la blandì sornione.
“Non credo tu sia venuto qui per bere” rispose coraggiosamente Serena “Che sei venuto a fare?”
Tebaldo le si avvicinò con disinvoltura: il cuore di Serena si mise a battere forte come un tamburo.
“Ogni volta che vengo q trovarti mi tratti malissimo e dici sempre le stesse cose, come un disco rotto. Perché sei qui, Tebaldo? Sono qui perché mi va di essere qui, ovviamente.”
“Tebaldo.”
“Uffa. La scusa del vestito per la festa l’ho già bruciata?”
“Si, mi pare di si.”
“Non mi resta che la dirti la verità.” disse Tebaldo con voce semiseria e gli occhi scintillanti.
Serena avrebbe voluto indietreggiare, ma era già praticamente contro il muro quindi non le restò altro che stringersi ancora più forte le braccia addosso.
“Forse sarebbe meglio.”
“Uhm… sei da sola in casa?”
“Si.”
Un lento sorriso da schiaffi stirò le labbra di Tebaldo mentre si avvicinava ancora di più.
“Bene. Anzi, ottimo, direi.”
Sembrava il lupo di Cappuccetto Rosso: Serena capì di aver sbagliato completamente strategia.
“C-cioè, i miei stanno per tornare…”
Tebaldo allungò una mano e con languida lentezza le scostò i capelli dalla guancia, aggiustandoglieli dietro l’orecchio.
“Non le sai proprio dire le bugie, agnellino” constatò quasi con tenerezza “Non devi inventarti fandonie perché hai paura di stare sola con me.”
Era a pochi centimetri dal suo viso: il cuore di Serena ora batteva come l’intera sezione percussioni di un’orchestra africana.
“Che cosa vuoi?” sfiatò iniziando a tremare.
Tebaldo attese un lungo attimo prima di risponderle, un tempo lunghissimo in cui le fissò le labbra così intensamente da fargliele bruciare.
“Voglio baciarti.” disse alla fine con disarmante sincerità.
Serena sussultò come se gli avesse detto “buh!”.
“Perché?” chiese con la bocca improvvisamente secchissima.
Lui sembrò meditare seriamente sulla risposta.
“Mi sembrava che lo volessi, l’ultima volta. Allora non ero pronto, ma ora lo sono.”
“Perché?” ripeté Serena ostinata.
“Perché sono stufo, infelice e arrabbiato e la tua bocca in questo momento mi sembra la cosa più dolce e piacevole con cui dimenticare come mi sento.”
Era una ragione ottima, pensò Serena nebulosamente.
“Oh.” rispose quindi a corto di argomenti.
“Posso?”
“Fare cosa?”
“Baciarti.”
“In teoria no… sarebbe meglio di no. Non dovremmo. Noi… non ha senso.”
“Nemmeno i tuoi centrini hanno senso, ma ne hai la casa piena. Posso?”
“No che non puoi. Ci abbiamo già provato e ho capito che tu non pensavi affatto a me… Voglio dire… non sei qui perché ti interesso, ma perché sono una distrazione abbastanza forte da distoglierti dal momento…”
“Vero. Gradirei che fossi però una distrazione più silenziosa e consenziente. Posso baciarti, adesso?”
Serena cercò un argomento qualsiasi per dire di no e ne trovò troppi, quindi annuì.
Tebaldo le posò le labbra sulle sue, con sorprendente gentilezza. Il respiro di lei era rapido e tiepido, quello di lui profondo e aromatico. Sapeva di caffè e di tabacco costoso, deliziosamente maschio: Serena non potè fare a meno di cercare un contatto più deciso e le labbra di lui la assecondarono, scorrendo pigre sulle sue. Serena sospirando si arrese e socchiuse la bocca, facendo timidamente guizzare la lingua sulle sue labbra. Tebaldo non ci mise molto a rispondere: la baciò profondamente, languidamente, con un’attenzione e una lentezza brucianti.
Baciava bene? Peggio. Baciava da Dio. Serena si ritrovò a circondargli il collo con le braccia attirandolo a sé, lasciandosi stringere dalle sue mani che sapevano esattamente quando e dove avvolgerla senza spaventarla. Con Paolo non era mai stato così: Paolo era timido, impacciato, disarmonico. Tebaldo invece era sicuro, seducente e fluido: aveva già infilato le mani sotto la sua maglia e le accarezzava con pigra perizia la schiena prima ancora che lei se ne accorgesse. Eppure, Serena non riusciva del tutto a spaventarsi: sentiva l’eccitazione sessuale montare dentro di lei come una improvvisa marea, ma non riusciva a trovarlo sbagliato… solo un po’ triste.
“Come sei dolce…” le sussurrò Tebaldo all’orecchio.
Serena rabbrividì. Era triste?
Perché triste? Perché mentre lui le faceva scivolare la maglia di dosso come se non avesse mai fatto altro nella sua vita, sentiva che c’era qualcosa che mancava?
Eppure, sembrava esserci tutto: c’era lei, bruciante e ansimante dopo appena qualche bacio e qualche strusciatina sopra i vestiti, c’era la casa vuota, c’era lui che sapeva bene come e cosa fare… maledettamente bene… troppo bene. Serena si concesse di guardarlo un attimo negli occhi e lo sorprese con la guardia abbassata, indifeso. C’era tutto quello che serviva sapere, lì. Era davvero stufo, infelice e arrabbiato. Oh si, era bravissimo a baciare, sapeva perfettamente come eccitarla e probabilmente avrebbe potuto anche portarsela a letto, lì, in quel momento. Ma lui non era realmente con lei, e ogni suo gesto perfetto, ogni suo bacio perfetto era assolutamente privo di anima.
Un semplice sguardo bastò a Serena per recuperare di colpo l’autocontrollo: fece cadere la braccia lungo i fianchi e Tebaldo smise subito di baciarla.
“Che c’è?” chiese rudemente.
“C’è che non serve più.” rispose Serena con semplicità, senza trovare il coraggio di guardarlo negli occhi.
“Cosa non serve?”
“Che ti impegni tanto. I tuoi baci…”
“Non ti piacciono?”
Serena respirò coraggiosamente.
“No. Non mi piacciono. Manca qualcosa.”
Tebaldo si allontanò da lei, immediatamente raffreddato.
“Strano. Di solito le ragazze mi dicono che non manca proprio niente.”
“Beh, io non sono le tue solite ragazze. Ho baciato a malapena due ragazzi nella mia vita, ed erano entrambi due perfetti imbranati, quindi la mia opinione non fa di sicuro testo rispetto alle tue conquiste che sono di certo consumate baciatrici. Io… non sono un’esperta, ma so capire quando qualcuno mi bacia perché mi vuole bene e ci tiene a me. E questo nei tuoi baci manca.”
Tebaldo alzò un sopracciglio altezzoso.
“Questo mi sembrava chiaro fin da subito.” sottolineò freddamente.
“Già. Scusami: era palese per te che mi stavi offrendo solo… come lo chiamiamo, sesso occasionale? Il fatto è che non era chiaro per me. Noi ragazze, noi ragazze inesperte intendo, tendiamo sempre a confondere le cose: sesso con sentimento… la solita vecchia storia. Beh, te ne sono molto grata, Tebaldo, ma ora che so cosa vuol dire a conti fatti, direi che possiamo anche chiudere qui.”
“Quindi non ti piace essere baciata da me?” chiese lui compunto: sembrava vagamente che la risposta lo avrebbe toccato più di quanto volesse far intendere.
“Certo che mi piace” rispose lei con sincerità “Se solo non fossi così… bravo. Accademico. Mi fa pensare che baceresti così anche un pezzo di merluzzo, visto che anche con lui non ci metteresti un filo di sentimento.”
Tebaldo sembrò per un attimo sorpreso dalla sua risposta: si riprese subito, però.
“Dipende. Se fosse cucinato all’acqua pazza, ci metterei moltissimo sentimento” ironizzò infilandosi le mani in tasca “Ora però sono un po’ confuso: l’altra volta sei stata tu a baciare me, e sono sempre stato molto onesto su quello che poteva esserci o non esserci tra di noi.”
“Lo so, Tebaldo. Mi dispiace. Sono una ragazzina molto sconclusionata e molto stupida, mi rendo conto che rischio di sbagliare tutto e di perdermi occasioni importanti, ma… non so, ci sono cose che valgono di più dell’occasione. Ci sono persone che non possono scegliere di essere diverse, e io sono una di queste. Vorrei poter fare sesso con te e riuscire a tenere il ricordo semplicemente in un cassetto e basta… ma non posso, ecco. Non sono io. Penserei sempre e solo al merluzzo di prima, al fatto che io o lui per te sarebbe stata la stessa cosa… e io voglio essere di più di un merluzzo.”
Tebaldo alzò un sopracciglio che diceva chiaro e tondo: qualcosa più? Illusa.
 “In realtà credo che nemmeno a te piaccia un gran che baciarmi. E’ che è quello che ci si aspetta da te, e tu lo fai. Anche se potresti fare di meglio.”
“Senti da che pulpito, o mia insospettabile psicologa.”
Ma si, che diritto aveva lei di dire certe cose a Reuccio Tebaldo? Serena arrossì e abbassò lo sguardo, sentendosi molto scema. Ma subito Tebaldo le alzò il mento, sorridendole senza cattiveria.
“Mi sembra un buon proposito per il futuro, in effetti. Quindi… non si farà sesso occasionale tra queste opportunamente vuote mura?”
Serena accennò un piccolo sorriso.
“Devo ancora iniziare a fare sesso stabile… magari lo faremo quando l’amore mi sarà venuto a noia, tra una decina d’anni… chissà.”
“Dieci anni… diamine, è un sacco di tempo per mantenere intatta un’erezione.”
Al vago pensiero che Tebaldo potesse avere davvero un’erezione per lei, la faccia di Serena diventò di bragia fino alla radice dei capelli.
“Oh, ah…” balbettò quasi spalmandosi contro il muro.
“Mamma mia, come sei prude” sorrise Tebaldo ironico “Con voi non si può proprio uscire di un millimetro dal seminato. E’ proprio questo a far venire ancora più voglia di stuzzicarvi, quando vi compare quella specie di imbarazzo negli occhi, e diventate tutte bianche e rosa come dolcetti glassati.”
“Voi chi?”
Tebaldo tornò bruscamente serio e anche vagamente infelice e arrabbiato.
“Voi donne, no?” rispose con forzata nonchalance.
“No, non credo” sfuggì a Serena, meravigliata “Tebaldo… non vorrei dire, ma insomma,… tu hai parlato di dolcetti glassati.”
“E allora?”
“Dolcetti bianchi e rosa, Tebaldo.”
“Al mondo esiste di peggio, no?”
“Esistono anche cose palesi che non vuoi vedere. Te l’ho già detto, Tebaldo, tu stai pensando a qualcun’altra. Non ti arrabbiare con me adesso, non è che sono così perspicace: è che c’è stato più fuoco nei tuoi occhi quando hai a malapena pensato a lei di quanto ce ne fosse mentre mi baciavi.”
“Non c’è nessun’altra.” rispose Tebaldo deciso e convincente, ma ormai era troppo tardi.
“Andiamo, Tebaldo… certo che c’è.”
Tebaldo alzò un impenetrabile muro così alto da oscurare qualsiasi luce.
“Non c’è nessuno, né per te né per me, piccolina.”
Il suo tono artico mise Serena in allarme.
“Cosa vorresti dire?”
“Che è palese che anche tu preferisci il biondo boccoluto a me, per chissà quale strana combinazione astrale. Il bello è che non riesco nemmeno più a incazzarmi per una così palese mancanza di buon gusto! Ma da quello che ho visto l’ultima volta in ospedale, a quanto pare lui ha preferito… ha preferito lei.”
Prima ancora di capire a chi si riferisse Tebaldo parlando di biondo boccoluto, per Serena fu lampante chi fosse “lei”: da come lo diceva, non poteva che essere Veronica Scarlini della Torre. La serpe con gli occhi verdi. La perfida Grimilde.
Allora il biondo boccoluto non poteva che essere Paolo Bianchi. Quello senza secondo cognome altisonante. Quello con gli arti disarticolati, con gli occhiali a fondo di bottiglia, con le braccia lunghe, impacciate, avvolgenti. Quello che la baciava maldestro e senza sapere dove mettere le mani, ma facendola sentire la ragazza più importante del Paradiso.
Paolo e Grimilde.
Un sacco di pensieri esplosero vorticando nella testa di Serena, rimbalzando impazziti uno contro l’altro e moltiplicandosi a ogni urto. Una parola di Tebaldo in particolare, però, sfuggì dalla confusione accendendosi come un faro al neon.
“Ospedale?” sfiatò Serena sentendo improvvisamente un freddo gelido attanagliarle le ossa.
“Si, ospedale. Non puoi saperlo perché hai il telefono molto opportunamente staccato, anche se so di per certo che i Bianchi hanno tentato in massa di contattarti, quando hanno visto che per risvegliare il bello addormentato ci voleva il bacio magico di una principessa. Ma è arrivata prima Grimilde, ed a lei è toccato l’ingrato compito di sbaciucchiare il cadaverino sul suo letto di morte.”
Serena, senza sapere bene come, comandò ai suoi piedi di fare dietrofront e marciare verso la porta di casa.
Paolo era in ospedale. Paolo era in ospedale. Paolo era in ospedale.
Nient’altro faceva presa nel suo cervello, né la voce divertita di Tebaldo che le chiedeva dove stesse andando con addosso le brache da derviscio e il reggiseno, né la fastidiosa idea di flagellarsi per la stupida ripicca per la quale aveva spento il cellulare, impedendosi di sapere che Paolo era in ospedale… Paolo era in ospedale…
Arrivò alla porta e la spalancò. Avrebbe proseguito la sua folle corsa verso l’ospedale e Paolo che là giaceva aspettando che lei arrivasse, se non avesse sbattuto con forza contro qualcuno che sostava sulla porta. Qualcuno che dal contraccolpo si allontanò di un passo, facendo risuonare cristallino il suono costoso di due autentici tacchi Laboutin. Qualcuno che aveva addosso un profumo costoso, femminile, prepotente ma raffinato. Qualcuno che possedeva due occhi verdognoli al momento ben fissi e stampati su Serena con blanda sorpresa.
*          *          *
D’un colpo, la mente di Serena si snebbiò provocando uno strillo acuto, come se sulla porta si fosse scontrata con un liocorno o qualche altra creatura inaspettata e ultraterrena.
Veronica Scarlini della Torre. Grimilde in persona, in tutta la sua profumata, costosa magnificenza.
“Oddio!” gridò Serena.
“Non ancora” sospirò Veronica con un guizzo di inaspettata ironia “Comunque che tempismo, non avevo ancora bussato…”
Le parole si smorzarono mentre alle spalle di Serena compariva la testa bruna e altera di Tebaldo.
Serena realizzò solo remotamente la sensazione di elettricità statica che pervase l’aria nel momento in cui gli occhi dei due cugini ci incontrarono al di sopra della sua testa arruffata. Le parve, solo per un momento, che Veronica trasalisse e… avrebbe giurato di vedere un lampo di dolore insopportabile attraversare le sue pupille verdi. Come se le fosse arrivata una fucilata al cuore… se ne avesse avuto uno. Era noto, dopotutto, che la Scarlini della Torre preservasse il proprio prezioso muscolo cardiaco in cassetta di sicurezza svizzera. Dopo un breve battito di ciglia, infatti, la sensazione passò: li occhi verdognoli di Grimilde passarono da Serena a Tebaldo al reggiseno in bella vista.
“Oddio!” vagheggiò di nuovo Serena, rendendosi conto di avere addosso non solo un reggiseno, ma addirittura un modello olimpionico della Coop, reso grigiastro dai lavaggi.
“Ciao Grimilde.” salutò Tebaldo con estrema disinvoltura.
Gli occhi di Veronica passarono di nuovo in rassegna la faccetta congestionata e tutta occhi di Serena, il viso impassibile di Tebaldo e il reggiseno di Serena.
“Nientemeno.” disse infine, non senza un certo sforzo.
Serena non provò nemmeno a pensare alla situazione, le premeva di più un’altra cosa.
“Come sta Paolo?” chiese con voce rotta mentre il mento cominciava a tremarle.
Tebaldo fece un passo avanti, prese con familiarità Serena per la vita e la strinse a sé, come se non avesse fatto altro da millenni.
“Già, come sta il povero piccolo piccione con l’ala spezzata?”
Veronica fissò lo sguardo sulla mano di Tebaldo posata con grazia sul fianco di Serena: se solo gli sguardi avessero davvero potuto emettere fiamme, avrebbe già polverizzato sia lui con quella faccia da stronzo che lei e il suo reggiseno dozzinale.
Dopo un secondo, sbatté le ciglia e alzò gli occhi verdi e stranamente opachi su Serena, che si trattenne a stento dal prendere un crocifisso e sparare a muzzo una qualche formula esorcistica.
“Sta bene” disse con voce atona “Ha solo una sospetta frattura al polso. E’già andato a casa.”
Il sollievo afflosciò il cumulo di spavento/angoscia/allarme che reggeva in piedi Serena: la ragazza si accasciò a sedere sul pianerottolo, ringraziando con una fervente preghiera Iddio e tutti gli angeli del Paradiso. Tebaldo e Veronica rimasero in piedi a guardarsi negli occhi. Quelli di Tebaldo erano fissi e cattivi, quelli di Veronica spenti, come se qualcosa li avesse asciugati e resi aridi.
“Che sei venuta a fare qui?” chiese lui bruscamente: non gli piaceva quell’espressione sul viso di Veronica. Non doveva sembrare così fragile. Doveva essere furiosa, combattiva, perfida e stronza come lo era lui. Che diamine, questo ci si aspettava da un della Torre. Così avrebbe potuto sputare veleno e ferirla e mordere… e provare un po’ di sollievo da quel tormento che lo stava mangiando vivo da quando aveva visto Veronica e Bianchi abbracciati su quel letto di ospedale.
Invece Veronica rimaneva innaturalmente immobile e passiva. Spenta.
“Allora? Che ci fai qui?” ripeté seccamente.
D’un tratto, senza nessun preavviso, gli occhi di Veronica si riempirono di lacrime. Una goccia opalescente si aggrappò alle lunghe ciglia nere e spiccò il salto sulla guancia, rigandola di luce.
“Proprio un bel niente.” rispose poi Veronica con voce rotta.
Prima che lui potesse anche solo cambiare espressione del viso, Veronica gli aveva girato le spalle ed era corsa via, lasciando dietro di sé solo un alito del suo meraviglioso profumo.
*          *          *
Passarono due giorni di domande senza risposte e cellulari staccati. Serena si affannava a chiamare quello di Paolo che rimaneva ostinatamente muto. Tebaldo ogni tanto cedeva alla rabbia e provava a chiamare Veronica per vomitarle addosso qualche bomba H, ma trovava sempre il suo numero irraggiungibile. Bianchi non veniva a scuola causa infortunio; Veronica, a detta delle tre Marie (alquanto confuse dalle ripetute e ingiustificate assenze della propria regina), era in giro per terme e/o shopping e/o qualcosa di certamente ludico e costoso. Tebaldo, dopo aver gelidamente congedato Serena sul pianerottolo ed essere marciato via a meditare sul perché si sentisse un tale schifo quando era piuttosto evidente la sua vittoria sociale sulla cugina, si era aspettato di vedere Veronica e l’eunuco ingessato veleggiare per la scuola mano nella mano, finalmente liberi di tubare come cinciallegre davanti alla plebe estasiata dalla presunta favola tra Grimilde e Cenerentolo.
E invece… spariti entrambi. Perché? Quel brusco cambio di programma non rientrava nei suoi piani. Nemmeno il sentirsi per la prima volta in vita sua una completa e gigantesca merda lo aiutava a superare la situazione.
Non solo, come i telefoni, anche le porte di casa divennero ostili: quella di Paolo Bianchi per Serena fu ripetutamente bloccata da un familiare sorridente e mortalmente imbarazzato che sussurrava “sta dormendo, non voglio disturbarlo..” mentre alle sue spalle Dante, cane e gatti schiamazzavano come durante un concerto di trash metal rendendo impossibile il sonno a un sordocieco, figurarsi a una persona sana come Paolo; le porte di casa Scarlini erano invece apertissime, e pertanto chiunque poteva godere della vista degli amplessi omosessuali dei due cani di casa. Ma in compenso la padrona era “in visita a el primo, tia, tatarabuela della Torre…” . Quale? Yo no lo sé, rispondeva Inocencia innocentemente. Oh, si che lo sé, piccola vipera colombiana, meditava Tebaldo ribollendo a fuoco lento.
Ma la bocca di Inocencia era chiusa ermeticamente e il suo sguardo identico a quello di un coguaro a cui minacciano i cuccioli spegneva sempre qualsiasi cosa Tebaldo intendesse minacciare.
Vedendo Serena che si trascinava per la scuola in stato vegetativo/catatonico e non provando per lei nient’altro che sublime irritazione, Tebaldo capì di doversi dare una scrollata. Anche perché aveva visto qualcosa di spaventosamente simile nello specchio, guadando se stesso, e il pensiero di risultare così invertebrato agli occhi della plebe lo riempiva di puro, orrorifico sgomento.
Ma che fare? Ovvio: chiedere aiuto alla famiglia, in puro stile mafioso popolare. Piombò quindi in casa della cugina Ramo Riccobono e bussò furiosamente alla sua porta finché Oleana non venne ad aprire con addosso una camicia evidentemente non sua, i capelli arruffati e nient’altro addosso.
“Che cazzo vuoi.” esordì costei senza dargli nemmeno il tempo di salutare.
 “Ti devo parlare.” rispose Tebaldo contrito: gli stava per sfuggire “ho bisogno di parlare”, ma un della Torre non ha mai bisogno di nessuno, quindi si corresse all’ultimo secondo.
“Ora no. Sto facendo sesso.” gli spiegò Oleana con estrema chiarezza e avrebbe chiuso lì il discorso se alle sue spalle non fosse apparso un vichingo biondo a torso nudo vestito di sole mutande che era il naturale possessore della camicia indossata da Oleana.
“Ehi, ciao.” salutò il tizio addentando una mela, completamente a suo agio come se non fosse mezzo nudo di fronte a uno sconosciuto, ma a un party in piscina.
“Buongiorno.” rispose di rimando Tebaldo: ultimamente aveva sviluppato una forte allergia per i biondi, ma quel tizio irradiava una sensazione di forza e di calma che, chissà perché, lo rendevano accettabile.
“Tebaldo stava per andarsene, così noi possiamo continuare a fare sesso.” cinguettò Oleana con un saccente tono da maestrina, ma l’affermazione non scosse apparentemente nessuno dei due giovani maschi.
“Tebaldo!” si illuminò il vichingo sorridendo e mettendo in mostra una più che notevole chiostra di denti “Il perfido cugino della Torre! Che piacere conoscerti. Io sono Marco, il fidanzato di Olena.”
“Oh, piacere…” rispose questi contrito, stringendo formalmente la mano tesa del biondo.
“Ok, presentazioni fatte, ora sciò, cugino, che devo…”
“Fare sesso, ho capito. Oleana, stai calma, sembri una assatanata.”
“E lo sono, diavolo! Hai visto con che po’ po’ di biondone devo copulare, no? Ti vuoi togliere dai piedi ora?”
“Amore mio, cuccia, fai entrare il perfido cugino.” sorrise Marco pacifico e Oleana sbuffando una comprensibilissima sequela di invettive, si scostò per far entrare Tebaldo, trascinato dentro dal fidanzato vichingo ancora bellamente quasi nudo.
“Era un pezzo che volevo conoscerti” dichiarò allegro Marco continuando ad addentare la mela “Il cuginato femminile della famiglia sparla di te in mille maniere perverse, lo sai? Ma è tutto vero?”
“Certo che no.” rispose Tebaldo compunto.
“Oh, si invece” sbuffò Oleana piombando sul divano e facendo così intuire piuttosto chiaramente di non portare né reggiseno né mutande sotto la camicia “Anzi, sono sicura che quello che si sa è solo la punta dell’iceberg.”
“Troppo buona, cugina. Ma credo invece sia tutto più fumo che arrosto. Se posso permettermi, ora, potreste gentilmente rivestirvi? Non mi sento a mio agio a parlare con due tizi quasi nudi che fino a due secondo prima stavano facendo sesso.”
“Perché non ti svesti tu?” lo apostrofò Oleana ancora evidentemente stizzita.
“Perché primo, le cose a tre o multipli di tre le faccio solo se i due terzi del gruppo sono femmine, secondo, sono una primadonna naturale e il fisico di questo bellimbusto mi metterebbe in ombra. Quindi per favore, cuginetta, mettiti almeno il tanga. E tu, cugino acquisito, almeno una canottierina, anche maranza. Grazie.”
Mentre Oleana sbuffando come una teiera andava a cercare qualche infrattato pezzo di biancheria intima, Marco si infilò fluidamente in una tuta da ginnastica senza smettere di addentare la mela e sparare domande a raffica.
“Senti, perfido cugino, ho sentito di quella volta con la parente tedesca… nel casino di caccia…”
“Per la caccia alla volpe o quella al fagiano?”
“Oh, è successo due volte?”
“Una volta con Algunde e una volta con Hildegunde, le gemelle della prozia Kunigunde. Ma non mi chiedere chi era con il fagiano e chi con la volpe.”
“Diamine, perfido cugino… sei proprio uno stronzo patentato!”
Ma lo disse con un tale tono di ammirazione che sembrava lo stesse incoronando. Oleana, tornando con la stessa camicia addosso, si ributtò sul divano imbronciata.
“Algunde era con la volpe” ricordò burbera “Da quel giorno la poveretta non mangia più carne.”
“Ma la volpe non si mangia.” obbiettò Marco aggrottato.
“Si, vallo a spiegare ad Algunde. Dunque, caro Tebaldo, dicevamo: che cazzo vuoi?”
“Le mutandine, avevamo detto…”
“Non le ho trovate. Ma non tergiversare!”
“Non è venuto qui per la Sistina?” chiese Marco piacevolmente, lasciando Tebaldo leggermente confuso.
“Per chi…?”
“La Cappella Sistina: quel mostro di piacevolezza che è il mio fidanzato si riferisce a Veronica.”
“Perché?”
Oleana provò a spiegarlo con una prolissa descrizione della cugina, confondendo ancora di più Tebaldo, poi Marco sintetizzò tutto con semplice chiarezza.
“Perché è un monumento alla gnocca.”
“Oh. Detto così si che è chiaro.”
“Veronica non è qui.” sottolineò Oleana evasiva.
“Ed è un gran peccato” ribadì Marco sorridendo “Quella faccenda dei due terzi con Oleana e lei sarebbe stata davvero una figata.”
“Marco!” strillò Oleana scandalizzata: il giovane le accarezzò la testa sogghignando.
“Dai che scherzo. Volevo provare a provocare il perfido cugino, ma sta sfoggiando un aplomb britannico davvero invidiabile. Mi stai simpatico, sai?”
“Lietissimo. Vorrei dire altrettanto, se solo non continuassi a chiamarmi perfido cugino. Se non è qui allora dov’è?”
“Magari in visita al Algunde e Hildegunde” ridacchiò Marco pescando da qualche parte una seconda mela e addentando pure quella “Ti direi di raggiungerla là, ma se non sbaglio pende una taglia sulla tua testa in tutta la Foresta Nera fino alle repubbliche baltiche.”
“Quindi proprio per questo Veronica potrebbe essersi nascosta là per davvero” borbottò Tebaldo scurendosi in volto “Quella carognetta farebbe di tutto per evitarmi.”
“Se mi spieghi cosa vorresti dirle di preciso vis à vis posso farle avere io il tuo messaggio.” propose Oleana finalmente ammansita: l’idea di riuscire a ficcanasare negli affari dei due cugini era abbastanza allettante da mettere in ombra l’idea di fare sesso. Ma Tebaldo si mise immediatamente sulla difensiva.
“Beh, no. Preferirei che i fatti nostri rimanessero in questo emisfero, grazie.”
“Almeno potresti riassumerci gli eventi che hanno portato la perfida cugina a fuggire in teutonia.” non mollò Oleana, disinvolta e suadente.
“Non sarà mica andata per davvero a Francoforte?”
“Chissà. Potrei lasciarmi sfuggire il suo rifugio… se mi convincessi che ciò che devi dirle è davvero importante.”
“Stronza.” ringhiò Tebaldo tra i denti, stringendo gli occhi in due fessure malvagie.
“Si, lasciatelo dire, dolcezza, sei perfida quasi quanto i tuoi perfidi cugini.” sospirò ammirato Marco che aveva finito la seconda mela e stava già addentando uno snack dietetico.
“Grazie, troppo buoni” sorrise con aria pudibonda Oleana abbassando lo sguardo “E’ solo una questione genetica. Allora, perfido cugino numero uno, mi spieghi perché la perfida cugina numero due si è così improvvisamente eclissata?”
“Avrà avuto le sue buone ragioni” rispose Tebaldo amabilmente “Vista la tua risaputa discrezione mi sorprende che non te le abbia confidate, perfida cugina numero tre.”
“Oh, ma lo ha fatto” ribatté Oleana godendo dell’espressione contrariata di Tebaldo “Ragioni abbastanza vaghe, a dire il vero. Allergia, mi pare di aver capito. Vero Marco? Non aveva detto che soffriva terribilmente di allergia, quando è venuta qui lacrimando come un cero pasquale?”
“Non saprei” ammise Marco con disarmante candore “Ero troppo distratto dal notare quanto fosse gnocca.”
“Piantala di dire che Veronica è gnocca.” scattò Tebaldo, pentendosi mortalmente subito dopo: gli aveva fatto abbassare la guardia il venire a sapere che Veronica aveva pianto… per lui? O per Bianchi?
“Oh, finalmente una reazione umana!” esultò Marco “Diamine, cominciavo a pensare che voi perfidi cugini foste davvero dei cyborg.”
“Veronica stava piangendo?” reagì Tebaldo: chissà perché non riusciva a sopportare quel semplice pensiero.
“Non far finta di non saperlo, cattivello: non sei stato come al solito proprio tu la causa di quella tremenda allergia?”
Certo che era stato lui: aveva voluto far piangere Veronica con tutte le sue forze. Eppure, se ripensava a quella lacrima piena di luce che si tuffava dalle ciglia nere e attraversava la sua guancia, invece che di esultare trionfante gli veniva voglia di prendersi a sberle. Ma forte forte.
“Certo che sono stato io” ammise rabbioso “Pensavo che si sarebbe subito consolata con l’eunuco albino…”
“Chi?” chiese Marco perplesso tornando dalla cucina in cui era sparito per andare a prendere un vasetto di Nutella e un cucchiaino.
“Lo sfigatello plebeo di Veronica” spiegò Oleana sottovoce, poi incoraggiò Tebaldo a continuare “Ma…?”
“Ma invece niente, è sparita. Senza l’eunuco albino, che si è barricato in casa con la nonna come sentinella alla porta.”
“Non puoi corrompere la sentinella, visto che pur essendo nonna è pur sempre femmina, pertanto non immune al tuo fascino virile?” domandò Marco con leggerezza.
“Io non piaccio alle nonne” rispose burbero Tebaldo “Nemmeno alle mamme, a dire il vero: mi salvo con le sorelle, purché non siano già delle universitarie. E hanno ragione, io non dovrei piacere: già che sono nato con la camicia, già che ho soldi a palate e che non sono esteticamente rivoltante, ci manca solo che sia anche fortunato in amore.”
“Ma sentilo” si schifò Oleana “Tebaldo Santandrea della Torre che si sdilinquisce in un banalissimo delirio autocommiserativo come un qualsiasi plebeo che soffre… se me l’avessero detto un anno fa, non ci avrei creduto.”
“Io non sto affatto soffrendo” protestò Tebaldo piccato “E di sicuro non mi sdilinquisco.”
“Certo che ti sdilinquisci. Sei querulo. Vero Marco?”
“Oh, quanto vi ammiro” confessò Marco “Vorrei provare a parlare come voi con mia madre. E’ finlandese, sai, perfido cugino: ci metterebbe un mesetto a coniugare il verbo “sdilinquire” in modo comprensibile, mentre tu lo hai buttato li come se dicessi “cacca”. Credo di amarti.”
“Marco”!” protestò Oleana con le labbra che tremavano per il sorriso.
“Tranquilla: dopo tu hai detto “querulo” e subito sono tornato ad amare te.”
“Ah ecco.”
“Se dovete propinarmi solo cazzate posso anche andare via, grazie.” sbuffò Tebaldo alzandosi in piedi poco convinto.
“Amore!” schiamazzò Marco in direzione di Oleana “Ha detto “cazzate!”, hai sentito?”
“Ho sentito, tesorino. Tebaldo, che pretendevi? Che ti dicessi dov’è Veronica?”
“Sarebbe stato un inizio.” rispose altero Tebaldo.
“Stai fresco, perfido cugino. Mi stai simpatico, lo sai, ma dopo che ho visto Veronica… dopo quello che le hai fatto… ti menerei, guarda. Se avessi addosso almeno un tanga a coprirmi le pudenda, ti prendere proprio a calci in culo.”
“Perché, cosa le avrei fatto?”
“Beh, tu…”
“Zitta, amore, è un tranello” la interruppe Marco “Scusami, perfido cugino, normalmente starei dalla tua parte… solite ragioni testosteroniche…”
“Ma c’è un limite anche all’essere stronzi” si riprese Oleana tornando seria “E stavolta l’hai superato.”
“Guarda che è lei che si è comportata da regina delle stronze!” sbottò Tebaldo, per la prima volta seriamente alterato “Far finta di essere… cioè, la notte più… mi guarda come se… cazzo, come se fosse vera, e poi bella come il sole dice che non vuole ferire i suoi sentimenti. I suoi! Ti rendi conto? Nemmeno mezza giornata dopo essere venuta a letto con me, si va a strusciare contro di lui come se fosse… e poi io sono lo stronzo di turno! Questa non la posso proprio sopportare!”
“Dieci euro!” sbottò Marco trionfante: Tebaldo lo fissò incredulo mentre Oleana gli rispondeva con un gestaccio.
“Scusa, perfido cugino” sogghignò Marco per niente scalfito “Avevamo fatto una scommessa: Oleana diceva che non eravate finiti a letto insieme, io invece ero per il si. E dalle tue farneticazioni, direi proprio che i dieci euro me li becco io!”
“Non riesco a credere che sei stato così merdosamente bastardo” sibilò Oleana, e stavolta il suo tono non aveva niente di leggero “L’hai portata a letto e poi l’hai mollata lì per andare con la plebea… praticamente davanti al suo naso?”
“Non è andata esattamente così.”
“Già. Però tu sei qui davanti a me, integro e incavolato, mentre Veronica è… a pezzi.”
“Già, immagino! Grimilde non si spezza. Certe cose non cambiano mai.”
Oleana si alzò in piedi: stranamente seria e dignitosa, lo guardò dall’alto in basso con una espressione di disgusto che lo ammutolì immediatamente.
“Credi quello che vuoi, Tebaldo. In fondo, non è quello che hai sempre fatto? Demolire la gente non è più il tuo hobby, ma il tuo mestiere. E non hai sempre voluto vedere Grimilde e mai Veronica? Hai fatto di tutto per schiacciarla, ma per farlo dovevi renderla umana e vera. Beh, adesso lo è. Vera e infelice. Tebaldo vince la battaglia e la guerra, viva Tebaldo! Bravissimo, ti arriverà a casa la medaglia. Ora, smetti di appestare con la tua perfidia l’aria che mi serve per respirare e vattene affanculo da qualche altra parte.”
Tebaldo aprì la bocca, ma Oleana marciò via senza nemmeno aspettare risposta. Marco, continuando imboccarsi di Nutella in silenzio, si alzò in piedi a sua volta: lo sguardo che si posò di lui era quasi di simpatia. A Tebaldo venne la pelle d’oca per il disgusto di se stesso.
“Immagino dalla tua faccia che non fosse quello che ti aspettavi” meditò Marco gentilmente “D’altronde, Oleana l’ha sempre detto: Tebaldo ha un ego talmente grande che copre tutta la visuale e non vede al di là delle proprie esclusive necessità.”
“Immagino che quel gioiello di mia cugina non l’abbia detto proprio così.”
“Infatti, ha detto che se il tuo pisello fosse grosso come il tuo ego avresti un luminoso futuro come pornodivo.”
“Ecco, questo si che mi sembra un discorso tipicamente da Oleana. La paternale su di me è tutta vera: ha ragione ovviamente.”
“Lo sappiamo tutti che lo ha detto per provocarti. Un po’ sarà anche vero, ma per quanto mi riguarda, conoscendoti da solo tre minuti, mi concedo l’ingenuità di credere che sia solo apparenza.”  
“E se non lo fosse?”
“Problema tuo. E di Veronica.”
“Lei dov’è?”
Marco sorrise ancora di più, sempre gentile ma quasi sornione.
“Cugino bello, se te lo dicessi non vedrei la mia focosa fidanzata nemmeno col binocolo per almeno un mese. E lo ammetto, anche a costo di sembrare il sessuomane che invece non sono, non posso resistere senza di lei così tanto. Oleana fa tanto la sborona, ma sta malissimo per questa situazione. Tiene molto ai suoi perfidi cugini. Faceva più progetti matrimoniali su di voi che su me e lei… Era divertente ascoltarla. Ma poi Veronica è venuta qui ed era… proprio giù. Non è stato più per niente divertente.”
Tebaldo strizzò forte gli occhi: improvvisamente stava male anche lui. Anzi, non era mai stato così male in vita sua, pur stando fisicamente benissimo. Si sentiva un perfetto escremento. Voleva urlare e menare qualcuno. Aveva voglia di piangere. Ma più di tutto, quello che lo faceva dolere fino a togliergli il fiato era in desiderio di avere Veronica davanti a sé  e chiederle scusa, scusa, scusa…
“Ok” disse asciutto: la sua voce sembrava venire da mille chilometri di distanza “Ok, vado. Però…”
“Non chiedermi niente, perfido cugino, sai che non posso rispondere.”
“Merda!”
“Sante parole. Non disperare, però. Se mi concedi l’ardire, vorrei darti una perla di saggezza tipicamente plebea: non tutto è perduto! So che tra voi nobilazzi le cose rotte siete abituati a buttarle via per comprarne delle nuove. Ma a volte, nel mondo reale, le cose rotte si aggiustano.”
“Mi sa che stavolta sono proprio irrecuperabili. Merda!”
“E due. Stai rapidamente scendendo la china delle plebeitudine, caro cugino. Non ti si addice. Coraggio!”
Si alzò in piedi gli circondò le spalle con un braccio e molto gentilmente ma con fermezza lo spinse verso la porta.
“E’ una velata allusione o vuoi sbattermi fuori a pedate?” chiese Tebaldo assecondandolo.
“Ma che dici! Non certo a pedate!”
“E va bene, me ne vado. Però puoi farmi un favore?”
“Se è nelle mi e plebeissime mani, certo che si.”
Tabaldo sembrò di colpo ancora più corrucciato, quasi in imbarazzo. Sentiva un bisogno immenso, quasi fisico, di vedere Veronica sorridere. O alzare quei maledetti altezzosi sopraccigli. O fare shopping. Insomma, vederla star bene… ma come dirlo senza sembrare un perfetto pirla? Come dire che avrebbe pagato tutto l’oro dei della Torre per cancellare quello che aveva fatto e rendere Veronica felice come si meritava?
“Dovunque essa sia… controlla che la perfida cugina numero uno abbia con sé la sua crema idratante” si limitò a dire neutro “Si sveglia di pessimo umore se non ce l’ha e poi le vengono un sacco di chiazze antiestetiche e… sarebbe molto alterata. Di conseguenza, lo sarebbe chiunque avesse la sfortuna di transitarle davanti. Senza contare che rovinerebbe il buon nome della famiglia.”
“Certo” sorrise Marco sotto i baffi “Ma tu stai allegro, perfido cugino numero due. Pensa a qualcosa di ludico per tirarti su… cos’è che diverte voi nobilazzi? Una partita di Polo col principe di Galles? Un bicchiere di Veuve Clicot bevuto in barca a vela sul Nilo?”
“Adesso come adesso, la cosa più ludica che mi viene in mente è portare un cane gay a farsi un bagno. E ciò la dovrebbe dire lunga sul mio stato d’animo.” borbottò scoraggiato Tebaldo mentre Marco apriva cerimoniosamente la porta.
“Ottima idea. E, uhm… posso darti un consiglio da uomo a uomo? Arriva un momento nella vita dove bisogna smettere di fare gli stronzi, comprare un mazzo di fiori e mettersi a novanta gradi davanti a una donna. Con tutta probabilità la prenderai molto profondamente e dolorosamente nel culo, ma è sempre meglio di dover passare la vita a chiederti come sarebbe stato, se l’avessi fatto. E ora, addio e tante belle cose.”
Prima ancora che Tebaldo potesse mitragliarlo di nuove domande, Marco lo spinse fuori e gli chiuse con decisione la porta  in faccia.
*          *          *
Nella stanza accanto, Oleana fissava sospettosa la cugina Veronica che se ne stava immobile con la fronte premuta contro la porta. Non aveva emesso un fiato da quando Tebaldo era entrato, ignaro che lei fosse lì ad origliare a meno di tre metri di distanza.
L’arrivo di Veronica era effettivamente stato la fotocopia sputata di quello di Tebaldo. La cugina aveva beccato Oleana proprio in procinto di fare sesso con Marco, con la differenza che appena il vichingo biondo si era presentato in mutande sgranocchiando un panino, Veronica era scoppiata in lacrime come le fontane di Versailles e Oleana non se l’era sentita di mandarla a fare in culo altrove. Dopo un bel po’ di tempo, tra lacrime e spiegazioni smozzicate, quando ormai Oleana pensava di riuscire a schiodare il nobile culo della cugina dal suo divano liberandolo così per le sue future copule, ecco che era squillato di nuovo il campanello. Marco sbirciando dallo spioncino della porta aveva sussurrato che un testimone di Geova molto snob e decorativo sembrava del tutto intenzionato a convertirli al Vangelo: in gergo fu subito chiaro ad Oleana di chi si trattasse effettivamente. Veronica era quindi stata sbattuta senza tante cerimonie in cucina e la scena dell’ingresso si era ripetuta, con sommo gaudio di Marco che in una botta sola aveva conosciuto finalmente entrambi i protagonisti dei divertenti pettegolezzi intrafamigliari di Oleana.
Quando Tebaldo se ne fu andato e il silenzio cadde sull’appartamento, Oleana scambiò con Marco un lungo sguardo complice.
“Così, questi sono i perfidi cugini della Torre” sentenziò Marco di ottimo umore “Ti dirò, non sono poi antipatici e snob come li avevi disegnati. Bellini si, eh: si vede che il ceppo è buono, telaio notevole anche se accompagnato dall’occhio verde catarro e dall’espressione sempre schifata.”
“Certo che lo sono” replicò burbera Oleana “Solo che oggi li hai beccati entrambi in una versione apocalittica. Non li ho mai visti così umani. Veronica che piange lacrime vere e non essenza pura di Chanel, e Tebaldo spettinato… ti giuro che questo momento rimarrà negli annali della storia dei della Torre.”
“Devo ammettere però che non ho ancora capito cosa cacchio sia successo tra quei due” sospirò Marco posando finalmente sul tavolo il vasetto di Nutella “Sono andati a letto insieme poi si sono cornificati subito dopo?”
“Che il cielo mi spari addosso un tanga se lo so. Come potrei saperlo? Sono talmente concentrati su loro stessi, talmente egocentrici, da pensare che il mondo esterno sappia i cazzi loro per osmosi.”
“Sarebbe carino se non sparlassi di me come se non fossi qui.” si decise a dire Veronica con voce dura ma flebile.
“No, sarebbe veramente carino se tu mi lasciassi sola col mio fidanzato a fare finalmente sesso.”
“Per me può restare e partecipare senza problema.” si offrì cavallerescamente Marco con un sorriso scintillante.
“Zitto tu, pervertito. L’avresti fatto anche con Tebaldo tra i piedi!”
“Amore mio, sono finlandese, sai che noi nordici siamo ragazzoni di compagnia.”
“Perché è venuto qui?” sbottò Veronica staccandosi dalla porta con aria esausta “Cosa diavolo vuole ancora da me? Devo davvero emigrare in Germania per togliermelo definitivamente dai piedi?”
“Veronica, sto cominciando a spazientirmi” rispose Oleana, insolitamente secca “Tu e Tebaldo avete un sacco di cose da risolvere, e non tutte sono problemi. Ma siete due tali teste di cazzo… si, caro, ho proprio detto teste di cazzo… che invece di disarmarvi e guardare avanti insieme e fidarvi l’uno dell’altra, continuate ad armarvi fino ai denti e a farvi la guerra. Così l’unica cosa che otterrete è farvi del male l’un l’altra, sempre di più. Se non riuscite a venire fuori da questo circolo vizioso, o qualcuno ci rimetterà il culo o la reputazione. Sai che ti dico? Cazzi vostri. Pensavo che bastasse darvi un colpetto leggero per farvi prendere la giusta direzione, e invece solo a sfiorarvi schizzate da una parte all’altra come le palle di un flipper… si, caro, ho detto palle di un flipper, lo so che le mie metafore non sempre sono comprensibili dalle masse… in ogni caso, ci ho perso il gusto, siete troppo ottusi persino per me. Quindi, come direbbe il conte di Montecristo, fanculo i cugini, e arrivederci.”
“Mi stai suggerendo di andare via?” chiese Veronica, leggermente scandalizzata.
“No, Veronica, ti sto proprio mandando via a calci.”
Veronica era esterrefatta.
“Ma… io.. dove vado? Come faccio con quello stronzo di Tebaldo? Quello è capace di aspettarmi fuori con una tanica di benzina pronto a darmi fuoco solo perché non gli rispondo al telefono!”
“Sciocchezze” tagliò corto Oleana lapidaria “In realtà io credo che, nel suo modo snob e tebaldocentrico, sia attanagliato dai sensi di colpa.”
“Attanagliato?” commentò Marco sorridendo divertito “Amore, ma tu conosci parole che voi umani non potreste mai immaginare…!”
“Non so cosa farmene dei suoi sensi di colpa” ringhiò Veronica incrociando battagliera le braccia sul petto “La crema idratante! Non gli viene in mente nient’altro che questo, quando pensa a me. Che io abbia la mia crema così non mi chiazzo la pelle e non divento isterica, fomentando la tranquillità emotiva della famiglia.”
“Affanculo!”
“Oleana!”
“No, basta! Sono stufa di sorbirmi queste inutili solfe. Non sai cosa fare, cugina cara? Non fare niente! Tebaldo vuole ridurti a essere una disperata plebea? E dagli una cazzo di disperatissima plebea!!”
“Oleana!”
Stranamente, Veronica non sembrava più quella scandalizzata: anzi, guardava Oleana con un misto di curiosità e interesse, quasi di ammirazione.
“Sai che non hai tutti i torti? Quella iena vuole una plebea… E una plebea avrà. Una plebea che per una volta gli infilerà quella sua stronza boria molto profondamente in…”
“Veronica!!”
“… gola! Che c’è, Oleana, fin’ora hai parlato come un taxista idrofobo e per una volta che posso sfogarmi come cazzo mi pare, non me lo lasci urlare ai quattro venti?”
“Certo, cara, urla quanto vuoi. Ma ti suggerisco di farlo mentre vai a fare un plebeissimo shopping ai grandi magazzini… o, ancora meglio, al mercato!”
“Mi stai sbattendo fuori come il tuo fidanzato ha sbattuto fuori Tebaldo.” le fece notare Veronica mentre Oleana, con fermezza, la spingeva verso la porta.
“Già, non è meraviglioso? Ora su, da brava, vai a fare un bel giro in centro, tra i negozi di frutta e verdura e l’arrotino, così sfoggi ben bene il tuo nuovo lessico da lavandaia e ti compri un paio di sandali infradito sul banchetto degli indiani. Che ne dici?”
“Dico che questa era la tua ultima possibilità per essere mia complice” sentenziò Veronica afferrando la borsetta e veleggiando verso la porta “Ma visto che vuoi essere neutrale come la Svizzera e preferisci un pomeriggio di sesso invece di sostenere la causa della tua cara cugina bisognosa, i nostri rapporti finiscono qui.”
“Ok. E tanti auguri per lo shopping, cugina bisognosa.” sorrise Oleana aprendo la porta.
“Tornerò.” promise Veronica minacciosa varcando la soglia.
“Non avevo dubbi. Non prima di tre ore, però.” rispose Oleana chiudendo la porta senza troppa grazia.
Poi, si voltò verso Marco che, appoggiato allo stipite della porta, le sorrideva con aria sorniona.
“Ancora sconvolto per il mio lessico triviale?” domandò allusiva.
“No, mi sono prontamente ripreso.”
“Quindi… pensi che alla Svizzera basteranno tre ore per demolire la Finlandia?” domandò lei iniziando a sbottonarsi al camicia.
“Non credo, ma ce li faremo bastare.” rispose Marco pragmatico, prendendola in braccio. 
  
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