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Autore: Evilcassy    13/08/2013    3 recensioni
"I miei cognati non hanno lavori dozzinali. Stiamo parlando di un avvocato e del chirurgo plastico a cui devi l'assenza di
zampe di gallina attorno agli occhi!"
Bruce scoppia a ridere, Tony ringhia: "Quante volte te lo devo ripetere, Pepper: non davanti ai ragazzi. Ora Bruce manderà un messaggio a Barton e sarò lo zimbello dei Vendicatori!"

Sequela di OS sul TheSeventhUniverse, slegate tra di loro.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Loki, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Nuovo personaggio
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A Seven Heroes Army [The Seventh Saga]'
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The Seventh:

50 Shades of Grey(Raven)

 

 

 

 

  • PART: ORIGIN.

 

  • 4 – Shades of FlatMating.

 

 

Il privilegio di trovarsi dappertutto a casa propria appartiene solo ai re, alle puttane e ai ladri.

[Honoré de Balzac]

 

 

Da quel poco che ho capito di Natasha – lei non ama parlare del suo passato ed in genere preferisce definirsi un ‘punto e a capo’ – ha sempre vissuto nel più assoluto anonimato, preda e predatrice a sua volta di numerose fazioni.

Per la gente civile, per le persone comuni, Natasha Romanoff era solo un’ombra che sovente strisciava tra loro in occhiali scuri senza lasciare una minima traccia del suo passaggio. Indossava sempre guanti per non lasciare impronte digitali in pubblico e dopo aver bevuto da un qualsiasi contenitore passava la fiamma dell’accendino sul bordo, per cancellare tracce di saliva.

Nessuna interazione con estranei, se non strettamente necessaria o ordinata, nessun effetto personale, nessun documento a suo nome.

Prima di entrare nello S.H.I.E.L.D. non aveva neppure mai guardato un film al cinema, escludendo una volta in cui si era confusa tra la folla di un multisala per eliminare in tutta discrezione un obbiettivo durante la visione di Maid in Manhattan - decisamente uno di quei film che non puoi reggere sino alla fine uccidere qualcuno.

 

Il che la rende pressoché aliena a qualsiasi banale faccenda quotidiana che rientra nella sfera della normalità.

Insomma, potrebbe uccidere una persona decapitandola con lo sportello della lavatrice, peccato che non abbia la più pallida idea di come si faccia il bucato.

“ADDISON! Quest’affare è completamente rotto! Perde tintura rossa e mi ha rovinato tutto!”

“Sicura di aver tolto il cadavere all’interno?”

“Certo, per chi mi hai preso?” Aspetta, la mia era una battuta... “So riconoscere il sangue, e questo non lo è.”

Ispeziono il mucchio di vestiti umidi striati di rosa ed alzo una camicetta rossa: “Ed un capo che perde colore lo sai riconoscere?”

“Oh, è pure difettosa? Con quello che l’ho pagata!”

La studio passandomela tra le dita: questa è seta, andrebbe a malapena lavata a mano, che cavolo ci fa in lavatrice? “Nat… hai guardato l’etichetta?”

“Sì, costava 129 dollari, in saldo!”

…non quella.” Sbatte le palpebre cercando di dissimulare la perplessità. “L’etichetta cucita all’interno, quella che hai tagliato, a quanto vedo.”

Alza le spalle: “È scomoda, ingombrante ed esteticamente oscena, non capisco perché la mettano in tutti i vestiti. C’erano dei disegnini sopra, li ho trovati inutili e l’ho tagliata.”

“Sono le indicazioni per il lavaggio.”

“Oh.”

“Non preoccuparti, ci penso io a scrivere un reclamo alla casa produttrice: chiederò che sull’etichetta venga scritto ‘dallo alla tua coinquilina, lei sa come lavarlo’.

“Oppure ‘quando puzza gettala, che hai i soldi per comprarne uno nuovo’.

 

Decidere di condividere un appartamento con lei si è rivelata sin da subito una scelta abbastanza azzeccata quanto piena di insidie.

Anche solo a livello organizzativo, io e Nat siamo dovute andare incontro ad una serie di antipatici problemi logistici dati dal nostro lavoro.

Per esempio lo scoprire che la data di consegna del tanto agognato MegaDivano ExtraRelax coincideva con la data di partenza della sottoscritta per Puerto Quetzal, contemporanea a quella di Nat per l’Ucraina.

 

“E se chiedessi a Fury di farmi slittare la partenza di un giorno?” piagnucolo mentre cerca di chiudere il borsone delle attrezzature.

“Sono certa che accetterà: in genere i terroristi possono attendere di scaricare materiale radioattivo, se un divano deve essere consegnato.”

“Se sapessero quanto è comodo!”

“Ma non lo sanno. Hai visto il mio caricabatterie?”

“Cellulare o Morsi di Vedova?”

“Cellulare.” Ringrazia quando glielo porgo e poi suggerisce di cercare qualcuno che si faccia trovare da noi al momento della consegna: “Perché non chiedi a McKenzie?”

“Oh sì, ottima idea di dargli indirizzo e chiavi di casa: così al ritorno ce lo ritroviamo nudo nella vasca da bagno coperto solo di petali di rose rosse. Piuttosto, chiedilo a Barton, che muore dalla voglia di farti un favore!”

“Perché credi che si comporterebbe in modo diverso da McKenzie?”

“Qual è il problema di ritrovarsi Clint nudo nella vasca?”

Natasha apre la bocca per ribattere ma si rende subito conto che nessun argomento può essere considerato valido; perciò sbatte le palpebre, si gratta la testa, si massaggia una spalla e poi alla fine sospira un: “Evitiamo di comprometterci, d’accordo? Chiedilo alla Hill e basta, che di voci strane ne girano abbastanza su noi due.”

“D’accordo. Però Barton nudo sarebbe un ottimo complemento d’arredo. Davvero. Da appoggiare sul divano, tipo plaid, che ti saluta quando entri oppure sul tavolo come centrotavola che ti passa il sale durante i pasti e…

Le guance di Natasha sono in fiamme: “Finiscila” sibila.

 

Stranamente – avrei dovuto insospettirmi – Maria Hill non solo accetta di presenziare alla consegna al nostro posto, ma mostra addirittura un qualcosa di angosciosamente simile all’entusiasmo.

Mentre la sottoscritta rischia le penne in un paio di sparatorie in Guatemala e Natasha recupera dati e spezza ossa in Ucraina, la Hill a casa nostra si fa consegnare il MegaDivano ExtraRelax, controlla che non ci siano difetti ed una volta congedati i facchini decide che dato che le dobbiamo un favore lei può permettersi di fare tutto quello che vuole in nostra assenza: si prova tutto il nostro guardaroba, mi scorda la chitarra tentando di intonare Mrs Robinson’, si scola la riserva di Vodka personale di Natasha, le hackera il pc per chattare con un certo MegaPenis22’’ combinando un incontro al buio e dona gli avanzi del suo cheeseburger a Frankenstein Fish,  prima di addormentarsi seminuda e sbronza sull’ExtraRelax, dove la troviamo al nostro rientro.

“Io te l’avevo detto che era meglio chiamare Barton” sospiro laconica mentre Nat prova a svegliarla scuotendola piano, che è pur sempre una nostra superiore “Almeno lo scenario sarebbe stato di gran lunga più interessante.”

 

L’apice viene comunque raggiunto con gli acquisti.

Natasha ha un discreto disturbo della sfera affettiva, che esterna con lo shopping compulsivo delle cose più disparate. È una cosa normalissima per chi ha subito stress emotivi da apprendimento, trasferimento, modifica improvvisa dello stile di vita, e sono certa di questo perché l’ho studiata a lungo per esporla in un articolo che ho scritto per la mia laurea in psicologia.

A sua insaputa, ovviamente.

Ad ogni modo, Natasha con una carta di credito in mano può far più danni che con una Calibro 9.

Si limitasse a vestiti e scarpe, come tutte le donne normali, la cosa mi darebbe tutt’altro che fastidio.

Ma come ho già detto, Nat non è una donna normale. E ha scoperto le televendite.

 

Capelli legati con il – mio – mollettone verde, shorts rosa shocking ed inspiegabile maglia dei NYC Jets, Natasha divora lo schermo del televisore con gli occhi e con la bocca un barattolo di gelato da mezzo chilo, senza degnarmi di uno sguardo quando entro.

La Vedova Nera in modalità agghiacciante.

“Ciao, eh.”

Ao.” Biascica allungando la mano verso il telefono per comporre un numero.

Oh Oh. Ci risiamo. Fa che non sia un’altra stronzata tipo Inversion Table, che occupa spazio e mi ha fatto vomitare i burritos della sera prima.

Natasha è concentrata, se mi frappongo direttamente tra lei e la sua preda rischio come minimo una costola. Meglio andare per gradi, prenderla di lato e raggirare ostacolo, nervosismo e problema.

Lancio un’occhiata alla TV: uno Chef corpulento spiega gli innumerevoli pregi – e l’assenza di difetti – di una rivoluzionaria padella dal fondo in pietra.

“Oh, sembra interessante. Spero che all’altra nostra padella non vengano complessi di inferiorità” Cinguetto allegra.

“Non abbiamo più un’altra padella. Oggi ho provato a farmi qualcosa, ma ero in ritardo, così per ottimizzare i tempi di cottura l’ho infilata nel forno a microonde.”

“In che senso?”

“Nel senso che ho messo una bistecca nella padella e la padella nel microonde.”

Ma…” Tuffo la testa nella cucina.

Telefono all’orecchio, Natasha mi strilla a non fare tante storie “Che tanto il colore della cucina non ti è mai piaciuto.”

 

“Sì, è proprio quella che ci vuole.” Natasha alza il primo pezzo del set –non si è lasciata perdere l’occasione che dava, per soli 37 dollari in più, tutte e tre le padelle di diversa ampiezza più una pratica pinza per girare gli alimenti in cottura ed un trita cipolle a pressione – con un ghigno soddisfatto. “Potremo cucinare senza condimenti, ed i nostri piatti saranno più sani e manterranno tutte le proprietà organolettiche ed i sapori resteranno inalterati.”

Ormai la conosco, so che questo suo stadio di estremo compiacimento dura in genere mezza giornata – il tempo che si renda conto dell’inutilità dei suoi acquisti – e poi le ritorna l’adrenalina ad un livello accettabile e si tranquillizza, quindi annuisco con un mezzo sorriso incoraggiante e fingo interesse verso le spiegazioni che snocciola, imparate pari pari dalle televendite.

Per la Hill – nostra ospite per un paio di giorni dopo che metà degli alloggi della Base Manhattan è sotto ‘manutenzione straordinaria’ a causa di una granata sfuggita dal controllo di Barton – però no.

Guarda la scatola che il corriere ci ha portato giusto cinque minuti prima, studia l’imballo di pluriball, poi fissa Natasha e le chiede –per cortesia – di confermarle che intende usare quelle padelle come arma. “L’effetto sorpresa sarebbe garantito, chi potrebbe mai immaginare un attacco della Vedova Nera armata di padelle?” scherza ignorando lo sguardo assassino della mia coinquilina.

“Dovrebbe però cambiare nome, non credi? Che ne dici di Vedova Cuoca?” rincaro la dose.

“Casalinga Nera? Andiamo, Nat, cerca di capirci, quando mai avremmo pensato di vederti entusiasta dal maneggiare pentolame?”

“E soprattutto, perché dovremmo essere entusiaste di te in cucina, visto che l’hai appena carbonizzata?”

Natasha appoggia la padella sul tavolo accusandoci di essere delle guastafeste: “Però è vero. Il fondo di questa padella è molto spesso, come arma non sarebbe male.”

“Magari è anche antiproiettile.”

Ci scambiamo tutte e tre uno sguardo:

“Il poligono della base sarà libero a quest’ora?”

 

Natasha dorme circa 4 ore a notte. Ha attaccato un sacco da boxe in camera e se proprio non riesce a resistere a letto si mette a tirare qualche colpo.

Al sacco. Alle Tre circa di mattina.

La prima volta per poco non rischio l’infarto.

La seconda volta ho tentato di evocare le schiere infernali al servizio di Amon – che quella notte erano in sciopero.

La terza sono entrata in camera sua, canini sguainati e fiamme tra le dita, pronta per la spiegazione del proverbio non svegliar il mezzo demone che dorme. Son tornata guaendo al mio letto: è pur sempre la Vedova Nera.

La quarta volta decido di prenderla con la dolcezza che non mi è propria, di essere comprensiva e di sollecitarla ad esprimere verbalmente il suo disagio interiore.

Una gran palestra per la mia relazione futura con un semidio con giusto un accenno di disturbo borderline.

Quindi, entrata per trovarmela sudata in canotta e calzoncini – conosco gente che pagherebbe oro per vederla in quello stato – mi siedo sul letto sfatto, incrocio le gambe e le faccio cenno di sedersi di fianco a me.

“Non sono stanca” è la sua unica risposta secca.

“Ne sono sicura, a giudicare dal rumore dei tuoi pugni.”

Raccatta un asciugamano appoggiato sul cassettone e si terge il sudore dalla fronte: “Ti da così fastidio?”

“Sono le tre e mezza di notte. Cavoli, se mi da fastidio. A me e al resto degli inquilini di tutto l’isolato. Probabilmente qualcuno avrà già allertato la guardia nazionale.”

“Perdonami” replica ironica “Sono abituata a fregarmene degli altri abitanti.”

“C’è un valido e logico motivo per cui tu stai sfogando la tua rabbia contro un sacco da boxe reo di essere appeso nella tua stanza?”

“Non sono necessarie motivazioni per utilizzare un sacco secondo la sua natura. Che dovrei farci, usarlo come fioriera?”

“Sai, esistono certi programmi di bricolage che apprezzerebbero l’idea” ironizzo. “Tuttavia, ho notato che quando ci siamo salutate, ieri sera prima di andare a letto, eri tranquilla, stanca e con una vaga smorfia sul viso che mi ha fatto quasi pensare ad un… uhm, come lo chiamiamo noi esseri umani? Ah, sì, sorriso.

“Cambio umore molto facilmente. Sarà quel determinato periodo del mese.”

“E sempre di notte? Non è che fai degli incubi?”

Natasha si ferma definitivamente dal malmenare il sacco – è una mia impressione o gli inquilini del piano di sopra hanno sospirato di sollievo? – e mi rivolge un’occhiata in tralice che mi gela sin le budella: “E anche se fosse? A te cosa dovrebbe mai interessare?”

Improvvisamente mi trovo a corto di argomenti: ultimamente mi era parso che Natasha si stesse aprendo con me, che quella che era iniziata come una convivenza necessaria per la salvaguardia del portafoglio si stesse trasformando in un’amicizia confidenziale, sincera, a doppio senso di marcia; ed invece ora quel suo sguardo furente e distaccato mi spiazza completamente. “Beh, ecco… se tu avessi un problema potrei cercare di aiutarti, non credi?”

Si slaccia i guantoni e li getta sul letto: “Sì, io ho un problema, la mia coinquilina ficcanaso e rompicoglioni che cerca di dispensare consigli non richiesti. Stattene al tuo posto, se ti è cara la vita.”

Hey, rompicoglioni a me? E cosa dovrei dire, visto che sono stata svegliata nel cuore della notte dal tuo pum pum pum nevroisterico?”

“Hai ragione.” Ecco, qui si mette male, posso aspettarmi di tutto: “Tolgo il disturbo.”

È la frazione di un istante: Natasha Romanoff gira sui talloni ed esce dalla stanza.

La porta d’ingresso che sbatte sottolinea che ha lasciato l’appartamento.

 

Ma che si fotta, ‘sta cretina.

Una cerca anche di aiutarla, di mostrarsi amichevole nei suoi confronti e guarda che succede.

‘Stattene al tuo posto se ti è cara la vita’ , oh, non c’è problema, me ne starò tranquilla in camera mia.

Fatti pure il tuo giro da sociopatica per Harlem.

In canotta e calzoncini a gennaio si godrà tantissimo. Se non sbaglio era pure scalza.

Mi fermo alla finestra della camera e sbircio tra le tende: il vicolo è silenzioso e deserto. Dal cielo fiocca copiosa la neve e si deposita sul cemento e sui bidoni della spazzatura.

Oh beh, Natasha sarà pure abituata a questo clima. E anche se non lo è, che si fotta.

Dopo mezzo minuto meditativo seduta sul bordo del letto, infilo giacca e scarpe di Natasha in una borsa, mi vesto ed esco a cercarla.

 

La trovo mezz’ora dopo seduta su una panchina del Fred Samuel Playground di Lenox Avenue, e se non fosse per la mia vista dorata non sarei riuscita ad fendere il buio al di là del cancello chiuso e a vederla.

Scavalco la recinzione cercando di fare meno rumore possibile, la neve ad attutire i passi e a cristallizzare il piccolo parco giochi. Natasha si ritrova la sua giacca sulle spalle senza quasi rendersi conto del mio arrivo.

Gira la testa e mi fissa sorpresa, prima di alzarsi il cappuccio sui capelli bagnati ed infilarsi le maniche.

Le porgo le scarpe, si infila anche quelle.

“Posso sedermi?” domando. Lei fa solo un piccolo cenno affermativo con la testa, così spazzo via la neve che si è depositata sulla panchina e mi siedo accanto a lei.

Restiamo in silenzio.

Fuori dal piccolo rettangolo verde passa qualche macchina, un furgoncino della nettezza urbana ed un’ambulanza a sirene spiegate. Un gatto attraversa il campo da basket velocemente, lasciando dietro di sé le piccole orme. Il vento fa muovere i rami secchi degli alberi.

“Non sono incubi.” Dice improvvisamente Natasha, facendomi quasi trasalire. “Ma non saprei come definirli. Non riesco a capire se sto sognando fatti realmente accaduti o frutto della mia immaginazione, o di quella di altri. Non ricordo. Non riesco a ricordare.”

“Amnesie?”

Scuote la testa: “Qui dentro” si batte la tempia sinistra con l’indice “ci hanno giocato in tanti.” Si accomoda meglio sulla panchina e prende un respiro profondo che rilascia nella notte fredda una nuvoletta nebbiosa. “L’organizzazione che mi ha addestrato ci teneva ad avermi sotto il suo più completo controllo. Da quando agisco per mio conto e non ho più subito alcun tipo di trattamento mentale, mi vengono in mente tante cose, e non capisco quali siano reali e quali no. Credo di ricordare di essere stata una ballerina del Bolshoi – ma com’è possibile? Fanno allenamenti massacranti sin da bambine, come avrei potuto essere contemporaneamente addestrata? - e il balletto non so neppure se mi piaccia o no. Cerco di rimettere insieme le mie memorie, ma è come un puzzle con tanti, piccolissimi pezzi mancanti o doppi. È frustrante.”

“Capisco. Vuoi parlarmene?”

“No. Non voglio che tu sappia niente. Ho fatto cose orribili, Addison, cose per cui nessun essere umano mi assolverebbe, né desidero che ciò avvenga. Ma non voglio che tu mi guardi come il mostro che ho dimostrato di essere. Resta nella tua beata ignoranza per quanto riguarda il mio passato, e sappi solo che a te non farei mai del male.”

“Mai?”

Ecco, quello è un piccolo sorriso: “Mai. Non ho mai avuto una persona come te vicina. Per mia fortuna, in certi casi.”

Hey, stronzetta, guarda che mi riprendo giacca e scarpe e me ne torno a casa!”

Un movimento veloce e mi ritrovo una manciata di neve in faccia: “Prima me li devi prendere di dosso!”

Ribatto con un’altra pallonata, mentre Natasha si allontana veloce.

Non riesco a colpirla, lei ci riesce benissimo.

 

Neppure io ho mai avuto vicino una persona come lei.

Qualcuno la cui fiducia va conquistata giorno per giorno, frammento dopo frammento, passo dopo passo.

Conoscersi poco per volta e conoscere le piccole crepe quasi invisibili del nostro animo.

Non saperne la ragione, ma esserci per cercare di ripararle.

Tante piccole cose, gesti non plateali ma intimi e personali.

Si fa presto a chiamare amica qualcuno con cui trovi un’empatia immediata e travolgente. Ma è un fuoco che brucia e si consuma presto.

Noi siamo la brace che cova sotto la cenere.

Duriamo a lungo.

Forse in eterno.

 

 

 

E con la comodità che mi è propria aggiorno.

E’ un altro capitolo GreyWidow, qualcosa di inerente alla loro condizione di coinquiline non esattamente normali.

Ci tengo davvero a ringraziarvi per il seguito che state dando sia a questa raccolta e anche a questa saga. Presto (molto presto, forse troppo) ci troveremo anche ad avere a che fare con la parte ‘EVER AFTER’ ovvero quella relativa al ‘dopo’ degli avvenimenti di TS:W.

Grazie, Grazie, Grazie.

Solo due parole su Natasha: per costruire il suo personaggio ho preso spunto dal fumetto a lei dedicato, visto che purtroppo nei film abbiamo visto molto poco di lei, sino ad ora.

E’ un personaggio fortissimo quanto tormentato dal suo passato e più volte dimostra un attaccamento alle persone che la circondano quasi impensabile per la persona che è. (Algida, fredda, schiva, riservata, vendicativa, pericolosa.) Ho voluto dare a Nat queste caratteristiche, che in fondo un pochino rivedo anche nel film: non è emotiva, ma dimostra un sottilissimo strato di empatia con talune persone.

A nome mio, di Addison, di Nat e di Loki che non è ancora comparso ma è qui che saluta agitando la manina. Di Thor.

 

Grazie, Grazie Grazie!

EC

PS: come sempre, per ogni curiosità, replica o solo per far due chiacchiere, il mio ask è:

http://ask.fm/EvilCassyBuenacidos

   
 
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