The Seventh:
50 Shades of Grey(Raven)
- PART:
ORIGIN.
- 4 – Shades
of FlatMating.
Il privilegio di trovarsi dappertutto a casa propria appartiene solo ai
re, alle puttane e ai ladri.
[Honoré de Balzac]
Da quel poco che ho capito di Natasha
– lei non ama parlare del suo passato ed in genere preferisce definirsi un
‘punto e a capo’ – ha sempre vissuto nel più assoluto anonimato, preda e
predatrice a sua volta di numerose fazioni.
Per la gente civile, per le persone comuni, Natasha Romanoff era solo
un’ombra che sovente strisciava tra loro in occhiali scuri senza lasciare una
minima traccia del suo passaggio. Indossava sempre guanti per non lasciare impronte
digitali in pubblico e dopo aver bevuto da un qualsiasi contenitore passava la
fiamma dell’accendino sul bordo, per cancellare tracce di saliva.
Nessuna interazione con estranei, se non
strettamente necessaria o ordinata, nessun effetto personale, nessun documento
a suo nome.
Prima di entrare nello S.H.I.E.L.D.
non aveva neppure mai guardato un film al cinema, escludendo una volta in cui
si era confusa tra la folla di un multisala per eliminare in tutta discrezione
un obbiettivo durante la visione di Maid in Manhattan
- decisamente uno di quei film che non puoi reggere sino alla fine uccidere
qualcuno.
Il che la rende pressoché aliena a qualsiasi banale
faccenda quotidiana che rientra nella sfera della normalità.
Insomma, potrebbe uccidere una persona decapitandola
con lo sportello della lavatrice, peccato che non abbia la più pallida idea di
come si faccia il bucato.
“ADDISON! Quest’affare è completamente rotto! Perde
tintura rossa e mi ha rovinato tutto!”
“Sicura di aver tolto il cadavere all’interno?”
“Certo, per chi mi hai preso?” Aspetta, la mia era una battuta... “So riconoscere il sangue, e
questo non lo è.”
Ispeziono il mucchio di vestiti umidi striati di
rosa ed alzo una camicetta rossa: “Ed un capo che perde colore lo sai
riconoscere?”
“Oh, è pure difettosa? Con quello che l’ho pagata!”
La studio passandomela tra le dita: questa è seta,
andrebbe a malapena lavata a mano, che cavolo ci fa in lavatrice? “Nat… hai guardato l’etichetta?”
“Sì, costava 129 dollari, in saldo!”
“…non quella.” Sbatte le
palpebre cercando di dissimulare la perplessità. “L’etichetta cucita
all’interno, quella che hai tagliato, a quanto vedo.”
Alza le spalle: “È scomoda, ingombrante ed
esteticamente oscena, non capisco perché la mettano in tutti i vestiti. C’erano
dei disegnini sopra, li ho trovati inutili e l’ho tagliata.”
“Sono le indicazioni per il lavaggio.”
“Oh.”
“Non preoccuparti, ci penso io a scrivere un reclamo
alla casa produttrice: chiederò che sull’etichetta venga scritto ‘dallo alla tua coinquilina, lei sa come
lavarlo’.”
“Oppure ‘quando
puzza gettala, che hai i soldi per comprarne uno nuovo’.”
Decidere di condividere un appartamento con lei si è
rivelata sin da subito una scelta abbastanza azzeccata quanto piena di insidie.
Anche solo a livello organizzativo, io e Nat siamo dovute andare incontro ad una serie di antipatici
problemi logistici dati dal nostro lavoro.
Per esempio lo scoprire che la data di consegna del
tanto agognato MegaDivano ExtraRelax
coincideva con la data di partenza della sottoscritta per Puerto Quetzal,
contemporanea a quella di Nat per l’Ucraina.
“E se chiedessi a Fury di
farmi slittare la partenza di un giorno?” piagnucolo mentre cerca di chiudere
il borsone delle attrezzature.
“Sono certa che accetterà: in genere i terroristi
possono attendere di scaricare materiale radioattivo, se un divano deve essere
consegnato.”
“Se sapessero quanto è comodo!”
“Ma non lo sanno. Hai visto il mio caricabatterie?”
“Cellulare o Morsi di Vedova?”
“Cellulare.” Ringrazia quando glielo porgo e poi
suggerisce di cercare qualcuno che si faccia trovare da noi al momento della
consegna: “Perché non chiedi a McKenzie?”
“Oh sì, ottima idea di dargli indirizzo e chiavi di
casa: così al ritorno ce lo ritroviamo nudo nella vasca da bagno coperto solo
di petali di rose rosse. Piuttosto, chiedilo a Barton,
che muore dalla voglia di farti un favore!”
“Perché credi che si comporterebbe in modo diverso
da McKenzie?”
“Qual è il problema di ritrovarsi Clint nudo nella
vasca?”
Natasha apre la bocca per ribattere ma si rende subito
conto che nessun argomento può essere considerato valido; perciò sbatte le
palpebre, si gratta la testa, si massaggia una spalla e poi alla fine sospira
un: “Evitiamo di comprometterci, d’accordo? Chiedilo alla Hill e basta, che di
voci strane ne girano abbastanza su noi due.”
“D’accordo. Però Barton
nudo sarebbe un ottimo complemento d’arredo. Davvero. Da appoggiare sul divano,
tipo plaid, che ti saluta quando entri oppure sul tavolo come centrotavola che
ti passa il sale durante i pasti e…”
Le guance di Natasha sono
in fiamme: “Finiscila” sibila.
Stranamente – avrei dovuto insospettirmi – Maria
Hill non solo accetta di presenziare alla consegna al nostro posto, ma mostra
addirittura un qualcosa di angosciosamente simile all’entusiasmo.
Mentre la sottoscritta rischia le penne in un paio
di sparatorie in Guatemala e Natasha recupera dati e
spezza ossa in Ucraina, la Hill a casa nostra si fa consegnare il MegaDivano ExtraRelax, controlla
che non ci siano difetti ed una volta congedati i facchini decide che dato che
le dobbiamo un favore lei può permettersi di fare tutto quello che vuole in
nostra assenza: si prova tutto il nostro guardaroba, mi scorda la chitarra
tentando di intonare ‘Mrs
Robinson’, si scola la riserva di Vodka personale di Natasha,
le hackera il pc per chattare
con un certo MegaPenis22’’ combinando
un incontro al buio e dona gli avanzi del suo cheeseburger a Frankenstein Fish, prima di
addormentarsi seminuda e sbronza sull’ExtraRelax,
dove la troviamo al nostro rientro.
“Io te l’avevo detto che era meglio chiamare Barton” sospiro laconica mentre Nat
prova a svegliarla scuotendola piano, che è pur sempre una nostra superiore
“Almeno lo scenario sarebbe stato di gran lunga più interessante.”
L’apice viene comunque raggiunto con gli acquisti.
Natasha ha un
discreto disturbo della sfera affettiva, che esterna con lo shopping compulsivo
delle cose più disparate. È una cosa normalissima per chi ha subito stress
emotivi da apprendimento, trasferimento, modifica improvvisa dello stile di
vita, e sono certa di questo perché l’ho studiata a lungo per esporla in un
articolo che ho scritto per la mia laurea in psicologia.
A sua
insaputa, ovviamente.
Ad ogni modo, Natasha con
una carta di credito in mano può far più danni che con una Calibro 9.
Si limitasse a vestiti e scarpe, come tutte le donne
normali, la cosa mi darebbe tutt’altro che fastidio.
Ma come ho già detto, Nat
non è una donna normale. E ha scoperto le televendite.
Capelli legati con il – mio – mollettone verde, shorts rosa shocking ed inspiegabile
maglia dei NYC Jets, Natasha
divora lo schermo del televisore con gli occhi e con la bocca un barattolo di
gelato da mezzo chilo, senza degnarmi di uno sguardo quando entro.
La Vedova
Nera in modalità agghiacciante.
“Ciao, eh.”
“Ao.” Biascica allungando
la mano verso il telefono per comporre un numero.
Oh Oh. Ci risiamo. Fa che non sia un’altra stronzata tipo Inversion Table, che occupa
spazio e mi ha fatto vomitare i burritos della sera
prima.
Natasha è concentrata, se mi frappongo direttamente tra lei
e la sua preda rischio come minimo una costola. Meglio andare per gradi,
prenderla di lato e raggirare ostacolo, nervosismo e problema.
Lancio un’occhiata alla TV: uno Chef corpulento
spiega gli innumerevoli pregi – e l’assenza di difetti – di una rivoluzionaria
padella dal fondo in pietra.
“Oh, sembra interessante. Spero che all’altra nostra
padella non vengano complessi di inferiorità” Cinguetto allegra.
“Non abbiamo più un’altra padella. Oggi ho provato a farmi qualcosa, ma ero in ritardo,
così per ottimizzare i tempi di cottura l’ho infilata nel forno a microonde.”
“In che senso?”
“Nel senso che ho messo una bistecca nella padella e
la padella nel microonde.”
“Ma…” Tuffo la testa nella
cucina.
Telefono all’orecchio, Natasha
mi strilla a non fare tante storie “Che tanto il colore della cucina non ti è
mai piaciuto.”
“Sì, è proprio quella che ci vuole.” Natasha alza il primo pezzo del set –non si è lasciata
perdere l’occasione che dava, per soli 37 dollari in più, tutte e tre le
padelle di diversa ampiezza più una pratica pinza per girare gli alimenti in
cottura ed un trita cipolle a pressione – con un ghigno soddisfatto. “Potremo
cucinare senza condimenti, ed i nostri piatti saranno più sani e manterranno
tutte le proprietà organolettiche ed i sapori resteranno inalterati.”
Ormai la conosco, so che questo suo stadio di
estremo compiacimento dura in genere mezza giornata – il tempo che si renda
conto dell’inutilità dei suoi acquisti – e poi le ritorna l’adrenalina ad un
livello accettabile e si tranquillizza, quindi annuisco con un mezzo sorriso
incoraggiante e fingo interesse verso le spiegazioni che snocciola, imparate
pari pari dalle televendite.
Per la Hill – nostra ospite per un paio di giorni dopo
che metà degli alloggi della Base
Manhattan è sotto ‘manutenzione straordinaria’ a causa di una granata
sfuggita dal controllo di Barton – però no.
Guarda la scatola che il corriere ci ha portato
giusto cinque minuti prima, studia l’imballo di pluriball,
poi fissa Natasha e le chiede –per cortesia – di
confermarle che intende usare quelle padelle come arma. “L’effetto sorpresa
sarebbe garantito, chi potrebbe mai immaginare un attacco della Vedova Nera
armata di padelle?” scherza ignorando lo sguardo assassino della mia
coinquilina.
“Dovrebbe però cambiare nome, non credi? Che ne dici
di Vedova Cuoca?” rincaro la dose.
“Casalinga Nera? Andiamo, Nat,
cerca di capirci, quando mai avremmo pensato di vederti entusiasta dal
maneggiare pentolame?”
“E soprattutto, perché dovremmo essere entusiaste di
te in cucina, visto che l’hai appena carbonizzata?”
Natasha appoggia la padella sul tavolo accusandoci di
essere delle guastafeste: “Però è vero. Il fondo di questa padella è molto
spesso, come arma non sarebbe male.”
“Magari è anche antiproiettile.”
Ci scambiamo tutte e tre uno sguardo:
“Il poligono della base sarà libero a quest’ora?”
Natasha dorme circa 4 ore a notte. Ha attaccato un sacco da
boxe in camera e se proprio non riesce a resistere a letto si mette a tirare
qualche colpo.
Al sacco. Alle Tre circa di mattina.
La prima volta per poco non rischio l’infarto.
La seconda volta ho tentato di evocare le schiere
infernali al servizio di Amon – che quella notte
erano in sciopero.
La terza sono entrata in camera sua, canini
sguainati e fiamme tra le dita, pronta per la spiegazione del proverbio non svegliar il mezzo demone che dorme.
Son tornata guaendo al mio letto: è pur sempre la Vedova Nera.
La quarta volta decido di prenderla con la dolcezza
che non mi è propria, di essere
comprensiva e di sollecitarla ad esprimere verbalmente il suo disagio
interiore.
Una
gran palestra per la mia relazione futura con un semidio con giusto un accenno
di disturbo borderline.
Quindi, entrata per trovarmela sudata in canotta e
calzoncini – conosco gente che pagherebbe oro per vederla in quello stato – mi
siedo sul letto sfatto, incrocio le gambe e le faccio cenno di sedersi di
fianco a me.
“Non sono stanca” è la sua unica risposta secca.
“Ne sono sicura, a giudicare dal rumore dei tuoi
pugni.”
Raccatta un asciugamano appoggiato sul cassettone e
si terge il sudore dalla fronte: “Ti da così fastidio?”
“Sono le tre e mezza di notte. Cavoli, se mi da
fastidio. A me e al resto degli inquilini di tutto l’isolato. Probabilmente
qualcuno avrà già allertato la guardia nazionale.”
“Perdonami” replica ironica “Sono abituata a
fregarmene degli altri abitanti.”
“C’è un valido e logico motivo per cui tu stai
sfogando la tua rabbia contro un sacco da boxe reo di essere appeso nella tua
stanza?”
“Non sono necessarie motivazioni per utilizzare un
sacco secondo la sua natura. Che dovrei farci, usarlo come fioriera?”
“Sai, esistono certi programmi di bricolage che
apprezzerebbero l’idea” ironizzo. “Tuttavia, ho notato che quando ci siamo
salutate, ieri sera prima di andare a letto, eri tranquilla, stanca e con una
vaga smorfia sul viso che mi ha fatto quasi pensare ad un…
uhm, come lo chiamiamo noi esseri umani? Ah, sì, sorriso.”
“Cambio umore molto facilmente. Sarà quel
determinato periodo del mese.”
“E sempre di notte? Non è che fai degli incubi?”
Natasha si ferma definitivamente dal malmenare il sacco – è
una mia impressione o gli inquilini del piano di sopra hanno sospirato di
sollievo? – e mi rivolge un’occhiata in tralice che mi gela sin le budella: “E
anche se fosse? A te cosa dovrebbe mai interessare?”
Improvvisamente mi trovo a corto di argomenti:
ultimamente mi era parso che Natasha si stesse aprendo con me, che quella che era
iniziata come una convivenza necessaria per la salvaguardia del portafoglio si
stesse trasformando in un’amicizia confidenziale, sincera, a doppio senso di
marcia; ed invece ora quel suo sguardo furente e distaccato mi spiazza
completamente. “Beh, ecco… se tu avessi un problema
potrei cercare di aiutarti, non credi?”
Si slaccia i guantoni e li getta sul letto: “Sì, io
ho un problema, la mia coinquilina ficcanaso e rompicoglioni che cerca di
dispensare consigli non richiesti. Stattene al tuo posto, se ti è cara la
vita.”
“Hey, rompicoglioni a me?
E cosa dovrei dire, visto che sono stata svegliata nel cuore della notte dal
tuo pum pum pum nevroisterico?”
“Hai ragione.” Ecco, qui si mette male, posso
aspettarmi di tutto: “Tolgo il disturbo.”
È
la frazione di un istante: Natasha Romanoff gira sui talloni ed esce dalla stanza.
La
porta d’ingresso che sbatte sottolinea che ha lasciato l’appartamento.
Ma che si fotta, ‘sta cretina.
Una cerca anche di aiutarla, di mostrarsi amichevole
nei suoi confronti e guarda che succede.
‘Stattene
al tuo posto se ti è cara la vita’ , oh, non c’è problema, me ne starò tranquilla in
camera mia.
Fatti pure il tuo giro da sociopatica per Harlem.
In canotta e calzoncini a gennaio si godrà
tantissimo. Se non sbaglio era pure scalza.
Mi fermo alla finestra della camera e sbircio tra le
tende: il vicolo è silenzioso e deserto. Dal cielo fiocca copiosa la neve e si
deposita sul cemento e sui bidoni della spazzatura.
Oh beh,
Natasha sarà pure abituata a questo clima. E anche se
non lo è, che si fotta.
Dopo mezzo minuto meditativo seduta sul bordo del
letto, infilo giacca e scarpe di Natasha in una
borsa, mi vesto ed esco a cercarla.
La trovo mezz’ora dopo seduta su una panchina del
Fred Samuel Playground di Lenox Avenue, e se non
fosse per la mia vista dorata non sarei riuscita ad fendere il buio al di là
del cancello chiuso e a vederla.
Scavalco la recinzione cercando di fare meno rumore
possibile, la neve ad attutire i passi e a cristallizzare il piccolo parco
giochi. Natasha si ritrova la sua giacca sulle spalle
senza quasi rendersi conto del mio arrivo.
Gira la testa e mi fissa sorpresa, prima di alzarsi
il cappuccio sui capelli bagnati ed infilarsi le maniche.
Le porgo le scarpe, si infila anche quelle.
“Posso sedermi?” domando. Lei fa solo un piccolo
cenno affermativo con la testa, così spazzo via la neve che si è depositata
sulla panchina e mi siedo accanto a lei.
Restiamo in silenzio.
Fuori dal piccolo rettangolo verde passa qualche
macchina, un furgoncino della nettezza urbana ed un’ambulanza a sirene
spiegate. Un gatto attraversa il campo da basket velocemente, lasciando dietro
di sé le piccole orme. Il vento fa muovere i rami secchi degli alberi.
“Non sono incubi.” Dice improvvisamente Natasha, facendomi quasi trasalire. “Ma non saprei come
definirli. Non riesco a capire se sto sognando fatti realmente accaduti o
frutto della mia immaginazione, o di quella di altri. Non ricordo. Non riesco a
ricordare.”
“Amnesie?”
Scuote la testa: “Qui dentro” si batte la tempia
sinistra con l’indice “ci hanno giocato in tanti.” Si accomoda meglio sulla
panchina e prende un respiro profondo che rilascia nella notte fredda una
nuvoletta nebbiosa. “L’organizzazione che mi ha addestrato ci teneva ad avermi
sotto il suo più completo controllo. Da quando agisco per mio conto e non ho
più subito alcun tipo di trattamento
mentale, mi vengono in mente tante cose, e non capisco quali siano reali e
quali no. Credo di ricordare di essere stata una ballerina del Bolshoi – ma com’è possibile? Fanno allenamenti massacranti
sin da bambine, come avrei potuto essere contemporaneamente addestrata? - e il
balletto non so neppure se mi piaccia o no. Cerco di rimettere insieme le mie
memorie, ma è come un puzzle con tanti, piccolissimi pezzi mancanti o doppi. È
frustrante.”
“Capisco. Vuoi parlarmene?”
“No. Non voglio che tu sappia niente. Ho fatto cose
orribili, Addison, cose per cui nessun essere umano mi
assolverebbe, né desidero che ciò avvenga. Ma non voglio che tu mi guardi come
il mostro che ho dimostrato di essere. Resta nella tua beata ignoranza per
quanto riguarda il mio passato, e sappi solo che a te non farei mai del male.”
“Mai?”
Ecco, quello è un piccolo sorriso: “Mai. Non ho mai
avuto una persona come te vicina. Per mia fortuna, in certi casi.”
“Hey, stronzetta, guarda che mi
riprendo giacca e scarpe e me ne torno a casa!”
Un movimento veloce e mi ritrovo una manciata di
neve in faccia: “Prima me li devi prendere di dosso!”
Ribatto con un’altra pallonata, mentre Natasha si allontana veloce.
Non riesco a colpirla, lei ci riesce benissimo.
Neppure io ho mai avuto vicino una persona come lei.
Qualcuno la cui fiducia va conquistata giorno per
giorno, frammento dopo frammento, passo dopo passo.
Conoscersi poco per volta e conoscere le piccole
crepe quasi invisibili del nostro animo.
Non saperne la ragione, ma esserci per cercare di ripararle.
Tante piccole cose, gesti non plateali ma intimi e
personali.
Si fa presto a chiamare amica qualcuno con cui trovi
un’empatia immediata e travolgente. Ma è un fuoco che brucia e si consuma
presto.
Noi siamo la brace che cova sotto la cenere.
Duriamo a lungo.
Forse in eterno.
E con la comodità che mi è
propria aggiorno.
E’ un altro capitolo GreyWidow, qualcosa di inerente alla loro condizione di
coinquiline non esattamente normali.
Ci tengo davvero a ringraziarvi
per il seguito che state dando sia a questa raccolta e anche a questa saga.
Presto (molto presto, forse troppo) ci troveremo anche ad avere a che fare con
la parte ‘EVER AFTER’ ovvero quella relativa al ‘dopo’ degli avvenimenti di TS:W.
Grazie, Grazie, Grazie.
Solo due parole su Natasha: per costruire il suo personaggio ho preso spunto
dal fumetto a lei dedicato, visto che purtroppo nei film abbiamo visto molto
poco di lei, sino ad ora.
E’ un personaggio fortissimo
quanto tormentato dal suo passato e più volte dimostra un attaccamento alle
persone che la circondano quasi impensabile per la persona che è. (Algida,
fredda, schiva, riservata, vendicativa, pericolosa.) Ho voluto dare a Nat queste caratteristiche, che in fondo un pochino rivedo
anche nel film: non è emotiva, ma dimostra un sottilissimo strato di empatia
con talune persone.
A nome mio, di Addison, di Nat e di Loki che non è ancora comparso ma è qui che saluta agitando
la manina. Di Thor.
Grazie, Grazie Grazie!
EC
PS: come sempre, per ogni
curiosità, replica o solo per far due chiacchiere, il mio ask
è:
http://ask.fm/EvilCassyBuenacidos