IX.
“Se
sono il più grande dei peccatori, sono anche quello che
soffre di
più”.
– Robert
Louis Stevenson –
Rumpelstiltskin sfiora il suo viso di
porcellana, chiedendosi intimamente come possa un essere umano tanto
delicato amare una tale bestia: Belle non vuole camminare dietro di
lui, come Milah, men che meno un passo avanti, come Cora,
bensì al
suo fianco. E forse è proprio per questo motivo che gli
stringe
forte la mano, come se non dovesse mai lasciarla, al fine di
ricordare all'amato che il suo posto è accanto a lui,
aggrovigliato
tra le sue dita.
«Che
c'è?», chiede
Belle, in tutta naturalezza.
«Ti devo le mie scuse», risponde
Rumpelstiltskin, distanziandola un po' da sé.
Belle poggia
l'indice sul labbro inferiore, incredula, al momento non ricorda a
cosa si stia riferendo: i loro litigi non sono poi così
saltuari,
talvolta capita che si moltiplichino nel corso della giornata.
«Rumple, tu...».
Ma Rumpelstiltskin la ferma sul vivo,
ricordando a se stesso le parole che avrebbe dovuto dire molto tempo
prima: «Ti chiedo scusa per averti cacciata via, non avrei
dovuto
farlo. Perché a causa mia hai passato tutto... quello,
per quanto voglia incolpare Regina».
Belle china il capo, di
quel passato vissuto all'interno della cella non è qualcosa
di cui
parla con grande entusiasmo, anzi, forse è meglio che
Rumpelstiltskin ne sappia il meno possibile.
«E anche quando ti
ho rimproverata, anche quando ti ho accusata di ingenuità o
di
essere una ragazzina sprovveduta. La verità è che
non volevo
ammettere con me stesso che... ero più forte
quando tu eri accanto a me», Rumpelstiltskin afferma quelle
parole
con un pizzico di vergogna, ma tale sensazione svanisce quando sulle
labbra di Belle si fa largo un sorriso carico di gratitudine.
«E
anche qui, a Storybrooke, quando ti ho celato il mio passato.
Egoisticamente, non volevo che tu vedessi ciò che ero stato
capace
di fare nei confronti del mio stesso figlio. Sono stato... codardo».
Rumpelstiltskin sente tutto il
peso di quella parola quando la pronuncia, suona come una dura
condanna: è stato un vigliacco nei confronti di suo figlio,
di
Milah, di Belle e soprattutto di se stesso. Tempo addietro aveva
pensato che il potere non conoscesse la vigliaccheria e aveva vissuto
nell'illusione che questo potesse riempire ogni falla della sua
miserabile vita, a costo di allontanare qualsiasi cosa le tenebre
oscurassero.
Belle spezza le distanze, nuovamente, poggia le
braccia sulle sue spalle e osserva i suoi occhi per qualche attimo:
«Tutti abbiamo avuto un passato, Rumple, ma non
può condizionare il
nostro futuro».
Belle sa sempre cosa dire, ogni volta che
Rumpelstiltskin ascolta le sue parole ha l'impressione che quelle
stesse affermazioni siano state scolpite su pietra per la prima
volta. Si sofferma per un momento, poi continua: «E il mio
futuro
sei tu».
Rumpelstiltskin si meraviglia di quell'ultima sentenza,
anche se non dovrebbe, e, dal momento che gli mancano le parole,
annuisce brevemente e risponde senza incertezza alcuna: «E tu
sei il
mio».
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Per
quanto ami Rumple, lui ha fatto delle cose nei confronti di Belle per
le quali spero che si scuserà in futuro. E, sinceramente,
spero che
abbiano una conversazione aperta come questa prima o poi,
perché
hanno davvero tante cose di cui parlare. La citazione iniziale
proviene da “Lo strano caso del Dr Jekyll e Mr
Hyde”, di
Stevenson.
La prossima flashfic sarà l'ultima, vi anticipo che
sarà ambientata nel mondo delle favole. Non so, mi sembrava
giusto terminare così la raccolta.
Ohibò, mi farò
risentire questi giorni. :3