Premessa:
Questa
è la prima parte di una fanfiction AU che avevo scritto per un contest,
rispettando gli obblighi del pacchetto capitatomi, e che era arrivata seconda.
Riporterò le note complete nell'ultima parte, che pubblicherò dopo averla
riguardata a dovere e allungata un altro poco. Eh, ancora non mi convince in
pieno ^^’
Ovviamente
i personaggi citati non mi appartengono e non ho scritto a scopo di lucro.
Buona
lettura! ^_^
***
Che
palle.
È
un’ora che aspetto che Kankuro si sbrighi, non capisco se sia ancora chiuso in
bagno a fare pipì e a dare di stomaco oppure se, nel tornare, abbia preso la
direzione della porta a vetri scorrevoli dell’autogrill in cui abbiamo
momentaneamente sostato.
Soffre
il mal d’auto, ma se si fosse offerto di guidare invece di lasciare il volante
nelle mie mani... beh, non saremmo di certo qui.
In
questa macchina stridente come una vecchia porta, in questo stupido, sgangherato
primo modello della Nissan inizia a mancare l’aria.
Voglio
scendere subito, anzi, devo scendere subito.
Se
potessi abbassare il finestrino forse cambierei idea, ma sfortunatamente le
chiavi si trovano nella tasca del pantalone della tuta di mio fratello, lento
peggio di una lumaca.
Ha
insistito per portarle con sé. Temeva che per dispetto lo avrei abbandonato?
Apro
la portiera, scendo, mi detergo il sudore della fronte con un fazzoletto
strausato per lo stesso motivo e sbatto la portiera con grazia elefantesca.
Con
questo sole che picchia forte in testa, mi pare di essere dentro a un forno, a
una sauna, alle terme. Non c’è un soffio di vento: sembra che sia stato
risucchiato da un aspirapolvere dispettoso come polvere inutile.
Questo
insopportabile caldo farebbe impazzire persino i monaci buddisti, oh!
Uno
sbuffo d’irritazione e via, a passo marziale raggiungo l’autogrill: se lui non è
al suo interno, dedurrò che si è addormentato sopra la tavoletta del water.
L’idea
mi fa ribrezzo, chissà se qui puliscono oppure no.
Scorgo
il suo profilo familiare e con sollievo mi dico che no, fortunatamente non devo
raggiungerlo al cesso e trascinarlo via, lontano da questo schifo di posto.
Poi
ritorno sui miei passi, sbatto le palpebre perplessa, vado avanti, stropiccio
gli occhi certa di avere davanti un’allucinazione dovuta al caldo asfissiante e
resto a bocca aperta.
Scaffali
vuoti.
Cassa
vuota.
In
questo posto non c’è nessuno e non c'è niente da acquistare.
Assolutamente
nulla.
Né
riviste, né ventagli. Non ci sono neppure caramelle, gomme da masticare,
pacchetti di patatine, bottiglie d’acqua, gelati, roba da mangiare.
C’è
però un tappeto carino, di un bel rosso fiammante.
Una
banale sedia al centro.
Una
misera lampadina che pende dal soffitto.
Molto
interessante, davvero.
Mio
fratello scoppia improvvisamente a ridere, così, di punto in bianco, senza un
apparente motivo preciso. Tra l’altro guarda verso un comune muro grigio. Cosa
c’è di divertente, a fissare un comune muro grigio? Ma è impazzito?
Un
cane bianco senza padrone, di media statura, aggira la cassa, si avvicina
scodinzolando a me, si allontana solo quando riceve una carezza per poi saltare
con un balzo elegante sulla sedia al centro, accucciandosi.
E
salutando. Dicendo proprio “ciao” con voce umana.
Se
fosse possibile, se sapessi come fare, a questo punto mi uscirebbero gli occhi
fuori dalle orbite.
Non
ci sarebbe niente di male, ma accidenti, siamo nella realtà, non in una fantasia
da quattro soldi dove gli animali parlano!
Mi
accosto a Kankuro, che continua a ridere imperterrito.
Vuole
affogare nella sua stessa saliva, per caso?
“Ehi!”
esclamo contrariata, mollandogli una pacca con la borsa che mi sono ricordata di
avere a tracolla. L’ho sfilata e gli ho assestato un colpo deciso.
“Si
può sapere che cavolo ti è preso?” domando, alzando il tono della voce per farmi
sentire.
“Sapere
che preso!” ripete l’animale, guadagnandosi un’altra occhiata stupita da parte
mia.
“Ahi!
Tem, mi hai fatto male. Comunque stanno accadendo cose strane qui dentro, meglio
andarcene prima di essere ulteriormente coinvolti…” replica, massaggiandosi la
nuca.
“Ma
non mi dire! Non l’avevo notato”, ironizzo, venendo subito dopo trascinata
fuori, mentre mi spiega cos’è successo prima del mio arrivo.
“Il
bagno sembra tutto fuorché un bagno, dicasi lo stesso per l’autogrill. Non è un
vero autogrill, credo. Ho cercato qualcuno che potesse darmi delle spiegazioni
in merito, ma non ho trovato nessuno. Inoltre c'era un fantasma, uno spettro
vero! E quel cane-”.
“Quel
cane è in realtà un pappagallo scoordinato, sì”, interrompo la concitata
spiegazione, alzando gli occhi al cielo. “È il caldo, Kankuro. Prendiamo la tua
stupenda macchinina simile a un treno rapido e fuggiamo verso il Monte Fuji. Sul
serio, non ne posso più! Non vedo l’ora che la bruci per sempre, allora ne
compreremo una qualsiasi con il climatizzatore!” esclamo.
“Sicura
che non vuoi sapere del fantasma e del cane? Era in bagno ti dico! E una volta
dentro l'autogrill, l'ho visto attraversare la parete e fermarsi levitando
accanto alla sedia!” prosegue come se non avessi aperto bocca, convinto di ciò
che dice.
“Ti
prego, non dire assurdità…” sospiro, stanca e accaldata.
“Oh
no!” sbotta di colpo, arrestandosi. A momenti gli finisco addosso,
fortunatamente ho i riflessi pronti.
“Cosa
c'è? Un'altra stranezza?” domando, sbirciando di lato, notando il posteggio
vuoto. Non faccio in tempo ad infierire con altra ironia, che il suono di un
clacson alle nostre spalle ci fa voltare contemporaneamente, e nello stesso
momento siamo costretti ad allontanarci per non essere investiti.
Rimango
senza parole.
Alla
guida della nostra Nissan sgangherata dal cofano fumante c'è... proprio una
figura evanescente. Tuttavia, la cosa che più mi stupisce non è tanto
l’apparizione in sé e nemmeno che il fantasma sia seduto compostamente senza le
mani sul volante, quanto la sua espressione.
Assolutamente
pacata, tranquilla, rassicurante. Non fa per niente paura.
“Io
te l'avevo detto, sorella!” esclama Kankuro, mentre ci scambiamo due sguardi
diversi: io esterrefatto, lui imbronciato.
Mai
più.
Non
mi fermerò mai più in un autogrill assurdo come questo, parola mia.
Mai
più cadere vittima di una simile assurdità.
Poi
avvertiamo un fracasso: non ho bisogno di guardare, per capire che l’auto si è
schiantata contro un albero e che non ripartirà tanto facilmente.
Sospiro
di nuovo.
E
rassegnandomi a fare l'autostop, seguita da un fratello che inizia a lamentarsi
per il danno subìto, mi avvio verso il guard rail.
Continua…