Shelved
Il
mare è
bello.
Sembra una di quelle frasi squallide che sono
costretti a scrivere i bambini delle elementari a causa di maestre poco
fantasiose. Eppure non saprei come esprimermi meglio.
Il mare è bello. Avrei potuto dire che è
grande, blu, che profuma di buono, e invece no. Il mare è
bello, punto. Conobbi
una persona, una volta. Una persona che viveva in una città
sul mare. Nel
senso, non una città-palafitta. Una città che si
affaccia sul mare, una città
che senza quel mare sarebbe desolata, brutta, forse. Le persone che
hanno il
mare sotto casa sono
sempre belle. Belle
non fisicamente. Quel bello che riguarda ogni piccola parte, ogni
minima
sfumatura di carattere. Credo sia il mare a trasmettere loro questa
bellezza.
Quando
vado al mare non sono brava a fare amicizia. Sono troppo …
tranquilla. In
realtà credo solo di essere bella diversamente. La mia
bellezza è verde, come
le fronde di un albero, come la menta, come la primavera. La mia
bellezza è
come il vento. Il vento non piace al sole.
E la loro bellezza è come il sole. È calda,
brucia, è fuoco. È agitata, pericolosa,
è dolce. Come il mare che riposa sotto
casa loro. Nessun abitante della città sul mare ha mai
trovato la mia bellezza
“bella”. Tranne quella persona, sì,
quella di prima.
Quella persona mi ha trovato su uno scoglio a
crogiolarmi nel vento che mi annodava i capelli e che portava con
sé i miei
pensieri, mi ha preso in braccio e mi ha infilato a forza nel suo cuore.
Ma non ha fatto male. Non c’era sangue o
dolore. C’era … c’era pienezza. Era come
una parete bianca dipinta
all’improvviso di mille colori. Come la risata di un bambino.
Era bello.
In effetti il sole e il vento non stanno
tanto male insieme. O forse la nostra bellezza non era né
sole né vento. Forse
era diversa, nel suo essere già diversa e, in un certo
senso, ci univa.
L’uomo e la terra sono diversi. La terra è
solida, la terra non muta. Non deperisce. Non muore. L’uomo
sì. L’uomo è
fragile, e per questo ama la terra. Io ero fragile e per questo amavo
lui. Io ero
libera e per questo lui amava me. Era come abbracciarsi in una
tempesta, ogni
volta. Era come se il sole bruciasse di più e il vento
infuriasse più forte.
Era “amore non ti lascerò
mai andare”.
Poi è diventato “non
andare”.
E poi è diventato … cosa? Cosa è
diventato? È
diventato vento furioso, pioggia scrosciante. Foglie appassite e nuvole
fitte.
È diventato solo tempesta. Nessun abbraccio. Nessun calore.
Nessun sole. Sono
tornata sullo scoglio, e stavolta mi sono alzata. In piedi contro il
mare,
contro la tormenta, a cercare il sole. Ho cercato sotto i sassi, dentro
le
conchiglie e dietro le nuvole. Ma non c’era. Via? Era andato
via?
Mi sono seduta di nuovo e ho pensato. Ho
pensato che il sole non può andare via. Perché il
sole è il sole.
Forse semplicemente non lo vedevo. O lui non
vedeva me. Forse la bufera era troppo forte intorno a me. Forse dovevo
farmi
notare. Forse il mio scoglio era troppo basso. Ma valeva la pena
abbandonare il
mio scoglio per inseguire qualcosa che mi aveva abbandonato
perché non ero
abbastanza visibile?
Sarei potuta rimanere nel vento, distesa, a
sentirlo schiaffeggiarmi il viso, a tremare. Poi mi sarei abituata. Mi
sarei
abituata all’assenza del caldo, del sole e del suo abbraccio.
Ma la mia
bellezza ora non era più vento, non era più
verde. La mia bellezza era sabbia,
era arancione come le foglie cadute. Come le arance, ruvida e aspra. La
mia
bellezza scivolava sullo scoglio che l’aveva sempre
sostenuta. Non valeva la
pena abbandonarlo, ma era necessario. Era quello che volevo, non quello
che
faceva per me. La volontà è più
importante del benessere, della monotonia.
La volontà è il primo mattone per
costruire
la propria casa. E casa mia era lui.
Sono
salita su una montagna. È stata dura? Sì,
è stata dura. Mi mancava il mio
scoglio? Sì, mi mancava. Mi mancava ogni volta che mi
sanguinavano i piedi,
ogni volta che mi mancava il respiro, ogni volta che mi ferivo. Poi
però sono
arrivata in cima. Ero distrutta, a pezzi. Rimanevano brandelli di me,
granelli
piccoli proprio come quelli che formano la sabbia. Ma ho rivisto il
sole. Era
lì, nascosto, travestito. Non puoi camuffarti da nuvola, se
sei una stella.
L’ho spogliato. Ho preso le sue maschere e le ho distrutte,
le ho abbandonate
nel vento insieme alla vecchia me e alle sue insicurezze, alle sue
paure. E il
sole è tornato. Era stanco, consumato. Era malato. Forse
aveva solo bisogno di
cure. E ho lasciato perdere i miei graffi, ho ignorato il sangue che
scorreva
dietro di me per proteggere lui. E guariva. Ogni giorno bruciava di
più. E i
miei graffi si rimarginavano. E le foglie ricrescevano
sull’albero. In fondo
erano solo cadute, ma il tronco c’era. I rami
c’erano. Le radici c’erano.
Mancava solo il sole che riscaldasse il tutto. La vita non ci mette
molto a
rinascere. E la sabbia non ci mette molto a scaldarsi.
Sono andata al mare. Di solito mi siedo su
uno scoglio e osservo la vita. La vita degli altri, mai la mia.
Oggi ho deciso di stendermi sulla sabbia, a
crogiolarmi nel calore, nelle urla dei bambini e nelle risate dei
ragazzi,
nella melodia che suonano le onde, nel profumo di salsedine. Mi sono
stesa con
gli occhi chiusi e un braccio intorno ai fianchi. Mi sono stesa con due
occhi
nocciola puntati addosso e una bocca carnosa che mi sorride. Mi sono
stesa su
un telo di tanti colori con un respiro fisso sul collo. Dolce e
andante. Mi
sono stesa a vivere. A vivere sia con la tempesta che con la
siccità. A
vivere lottando per
ritrovare sempre il
sole. A vivere con colore. Con ogni colore. La mia in fondo,
è una bellezza
diversa. È trasparente come l’acqua, ma se
c’è il sole, il colore esplode.
Già, il mare è proprio bello.
"Lights will guide you home,
and I will try to fix you."