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Autore: LaMicheCoria    21/08/2013    1 recensioni
Vuole tenersi quel rigagnolo d’America sulla lingua ancora per un po’, ingoiarlo con un singulto, permettergli di incrostare i bronchi a suo piacimento, lasciarlo aderire ai polmoni e quindi espellerlo da se stesso, dalla propria vita, dalla propria storia, a ricordarsi e a ricordare a chiunque di passaggio nella vastità temporale del mondo che nulla di Occidentale, nulla di capitalista ha mai intaccato la purezza grigio perla delle steppe sovietiche.

[Vagamente RusAme]
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Russia/Ivan Braginski
Note: Missing Moments, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cold War Pair [OTP]'
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Disclaimer: I personaggi di Hetalia: Axis Powers non mi appartengono
Ma sono di proprietà di Hidekaz Himaruya ©

 

 

 

 

 

There's so many different worlds
So many different suns
And we have just one world
But we live in different ones

{ Brothers In Arms – Dire Straits }

 

 

 

 

You Did Not Desert Me

.

.

 

C’è la stazione gonfia di fumo e due treni in partenza.
America tiene la birra in bocca, la fa rotolare entro le guance, gonfia le labbra e un po’ di schiuma biancastra gli esce all’angolo della bocca, come un principio di rabbia; Russia, seduto sulla seggiola sgangherata e sporca accanto a lui, alza appena gli occhi da bambino senza infanzia, quindi torna ad occuparsi pazientemente della sigaretta.
Il Durham gli crocchia tra i polpastrelli e la cartina marca Rizla scivola sui guanti sbeccati dalla polvere e rigati dal calcio del fucile: sembra impacciato mentre sistema  il tabacco nel fogliolino bianco, in realtà sta solo imprimendo nella memoria e nella pelle, nelle vene e nella carne, per sempre e in eterno quel sapore dolcemente amarognolo, del tutto diverso dalla miscela di tabacchi orientali, Maryland e Burley che fuma abitualmente.
Vuole tenersi quel rigagnolo d’America sulla lingua ancora per un po’, ingoiarlo con un singulto, permettergli di incrostare i bronchi a suo piacimento, lasciarlo aderire ai polmoni e quindi espellerlo da se stesso, dalla propria vita, dalla propria storia, a ricordarsi e a ricordare a chiunque di passaggio nella vastità temporale del mondo che nulla di Occidentale, nulla di capitalista ha mai intaccato la purezza grigio perla delle steppe sovietiche.
«Potresti smetterla con quel suono fastidioso, Amerika?» lo riprende Russia, con un sorriso finto e bonario  a sollevargli gli zigomi macchiati di cenere e sangue rappreso; l’altro schiaccia la bocca in un’espressione da ragazzetto offeso, fa un ultimo sciacquo di protesta e ingolla la birra con un deprecabile verso da animale.
«Volevo controllare che non sapesse più di pallottole» è la spiegazione; incrocia le braccia al petto sbrindellato e si accomoda rigido contro lo schienale ritorto della sedia, la testa piegata sulla spalla in un gesto molle d’indolente stanchezza.
C’è un gran via vai di gente e soldati e lacrime e becchini nella stazione di Berlino, un lezzo cancerogeno di guerra e perdita e vergogna e vittoria e gente che esulta e persone che piangono, un odore marcio, rancido che si gonfia nelle narici e spezza il fiato a metà. Nessuno fa caso a loro, le due Grandi Potenze schiacciate dietro il tavolinetto claudicante di un bar muffito, coi vetri opachi graffiati per tutta l’altezza da crepe arzigogolate e buchi di proiettili e schizzi marroncini, forse thé, forse caffè, forse biscotti sbriciolati –Forse fegato, forse interiore, forse cervella bruciacchiate.
«Torni a casa?» indaga Russia e culla la cartina e il tabacco, avanti e indietro e indietro e avanti, con movimenti ritmati, costanti, di chi prende tempo -Di chi prende coraggio.
«Yes. Alle mie valli e alle mie fattorie» America solleva il boccale vuoto e spruzzato di polvere, a reclamare un brindisi grottesco e non accolto «E tu? A bere Vodka con le babushkas
Russia fa saettare la lingua sul profilo del fogliolino, quindi lo arrotola, lo rigira, lo incolla con la saliva fino a dargli una forma vagamente tubolare; con indice e pollice livella gli ultimi bubboni di tabacco, quindi batte l’estremità della sigaretta sulle nocche e la osserva, dall’alto in basso; sorride, soddisfatto, arricciolando tutto contento il naso prominente.
«Tanto ci rivediamo, da
America crolla le spalle e prima che l’altro abbia anche solo chiesto, ha già una mano infilata nella tasca del giubbotto e un acciarino tra le dita; il grattare cric cric cric della pietra focaia, tchak!, la fiamme balzella, balugina, schioppetta e s’abbarbica al tabacco, in un amplesso d’arancio e fuoco, in un languido orgasmo di fumo.
«Ma non saremo più compagni d’armi, Nasone. Non dirmi che non l’hai capito»
Russia appende la sigaretta ai denti giallastri e sogghigna; aspira una boccata, la sigaretta brulica e ridacchia rossastra tra le dita nel mentre che l’allontana dalle labbra e soffia via un riccioletto biancastro, pallidiccio.
Il treno fischia, uggiola, s’allontana.
E la Russia avrà il vago retrogusto del Durham e la voce dell’America sarà un brusio di vecchi stornelli, come di nonnine avvolte nei fazzoletti sul ciglio della strada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Let me bid you farewell
Every man has to die.
But it's written in the starlight
And every line on your palm
We're fools to make war
On our brothers in arm.

{ Brothers In Arms – Dire Straits }

   
 
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