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Autore: Ely 91    21/08/2013    5 recensioni
[Isaac/Nuovo personaggio; Bromance: Scott/Isaac, Scott/Stiles]
Se fosse possibile riavere nel proprio branco Erica e Boyd?
È con questa speranza nel cuore che Derek, Peter, Isaac, Scott e Stiles si recano a Santa Monica, alla ricerca di un vecchio docente di storia che possa fornir loro delle informazioni, Jeff Jefferson.
Qui, tuttavia, le cose si complicano ulteriormente a causa di una serie di eventi inspiegabili che coinvolgono da vicino il nostro "pack". Riusciranno a ricomporre il proprio branco e a scoprire cosa davvero sta succedendo in città? Chi è il vero nemico che trama alle loro spalle?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Isaac Lahey, Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski , Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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1x02 – L’ACCHIAPPASOGNI





Un rumore lo svegliò all’improvviso.
Stiles si portò una mano sul viso, frastornato. Era nella sua stanza, l’aveva intuito dal poster di Star Wars appeso orgogliosamente sulla parete di fronte.
Cercò di fare mente locale. Dalla persiana abbassata non filtrava neanche un singolo raggio di sole. Intuì che fuori fosse ancora notte fonda.
Cosa poteva averlo svegliato?
Si alzò, leggermente intontito, per poi uscire dalla sua stanza e percorrere a piedi nudi il corridoio.
“Papà?” chiamò.
Socchiuse la porta della stanza dell’uomo. Vuota.
L’ansia fece capolino tra le sue emozioni, ma una parte di lui gli impose di restare calmo. Non poteva allarmarsi ogni volta che le persone che amava non si trovavano nel posto dove avrebbero dovuto essere. Le persone non sono come le sue miniature della Justice League, si disse, riposte sul ripiano più alto della sua libreria e spolverate periodicamente una volta a settimana; le persone si muovono, vanno incontro ai pericoli e si ammalano, come sua madre.
La luce del soggiorno lo costrinse a chiudere per qualche attimo gli occhi, abituati a quella momentanea oscurità.
Quando fu capace di mettere a fuoco lo spazio circostante senza provare alcun fastidio, individuò suo padre in piedi accanto il divano al centro della stanza, le mani tremanti e lo sguardo rivolto a terra, la cornice di una foto frantumata in diversi punti.  Ecco cosa l’aveva svegliato: il vetro della foto con una crepa nel mezzo, piccoli pezzi della modesta cornice sparsi tutt’attorno.
Riconobbe immediatamente la foto. Era quella che ritraeva i suoi genitori in ospedale il giorno della sua nascita, un piccolo fagottino addormentato fra le braccia della donna. La loro prima foto di famiglia, tutti e tre assieme.
“Papà? Cosa stai facendo?” chiese, avvicinandosi cautamente.
Sembrava che si fosse accorto di lui solo in quel momento; osservò il figlio con gli occhi spalancati, come se fosse stato in procinto di urlare.
“Non c’è futuro” disse l’uomo. “Non c’è futuro senza di lei. Non possiamo essere una famiglia così”
Stiles provò a fare qualche passo, incerto.
“Papà, non  dire sciocchezze. Lo siamo, noi siamo comunque una famiglia. La mamma sarebbe orgogliosa di come mi hai cresciuto, sarebbe orgogliosa di entrambi”
La voce di Stiles tremò diverse volte nel pronunciare quelle parole, tale era il nodo nella gola e lo sgomento provato.
Perché suo padre sembrava a pezzi? Aveva forse bevuto? Aveva avuto una giornata pesante al lavoro?
Aveva deciso che tutta quella storia di licantropi e druidi e kanima era un grande mostruosità che gli stava rovinando la vita e lo odiava?
Il pensiero che potesse odiarlo lo costrinse a ricacciare indietro le lacrime con forza.
“Non è vero!”urlò l’uomo “sarebbe schifata! Schifata da tutto! Dobbiamo tornare da lei, dobbiamo andare da lei!”
Stiles faticò a seguire con gli occhi i movimenti veloci del padre: lo sceriffo Stilinski si era chinato verso il divano e aveva afferrato qualcosa, qualcosa che non avrebbe dovuto essere lì, ma riposta con accuratezza nel federo.
La sua pistola di servizio.
Stiles si avvicinò cautamente ancora una volta.
“Papà?” stavolta il tono della voce tradiva una grande paura di fondo “papà, cosa vuoi fare?”
“Dobbiamo raggiungerla Stiles. Non c’è più tempo”
Non ebbe il tempo di fare un altro passo – e in quel momento invidiò l’agilità e i riflessi dei licantropi – che il primo colpo venne sparato, nella sua direzione.
Si portò una mano allo stomaco. Sangue, sangue ovunque.
Cadde dapprima sulle ginocchia, poi a terra, atterrito e stupito al contempo. Prima che chiudesse gli occhi, un’ultima immagine lo colpì, dolorosamente.
“Perdonami, Stiles”
Lo sceriffo Stilinski si portò l’arma alla tempia, chiudendo gli occhi.
Un colpo secco.
Ed infine il buio totale.

Stiles si mise a sedere respirando affannosamente, conscio di aver appena urlato, fuori controllo.
Scott e Isaac, addormentati nei sacchi a pelo a terra nella stanza, si alzarono di colpo, spaventati.
Stiles si rese conto solo in quel momento che la luce del giorno  aveva già inondato la stanza e che non si trovava nella sua camera di Beacon Hills, ma in quella che stava occupando abusivamente a Santa Monica.
Era stato un incubo, solo un terribile incubo.
Avvertì il tocco leggero della mano di Scott sulla sua spalla.
Dalla faccia preoccupata intuì che il suo volto doveva ancora essere deformato in una maschera di terrore e sgomento.
Inspirò profondamente.
Se non ci fosse stato Isaac, ora in piedi in un angolo e con lo sguardo posato su di loro, avrebbe quasi abbracciato il suo amico.
Poi probabilmente la loro virilità ne avrebbe risentito, si sarebbero staccati in pochi secondi e ne avrebbero riso, ma lui si sarebbe sentito decisamente meglio.
“Solo un brutto sogno” si limitò invece a dire, assottigliando le labbra per far posto ad un sorriso di circostanza che non emerse nemmeno sforzandosi. Era ancora troppo turbato, la mente ancora incastrata in quell’incubo. Ripensando alle similitudini tra ciò che aveva sognato e la tragedia di quel ragazzo armato nel liceo di Santa Monica, concluse che probabilmente la terribile esperienza del giorno prima doveva averlo turbato più profondamente di quanto avesse creduto.
Pensava di aver fatto l’abitudine a eventi macabri del genere, ma forse per certe cose, appurò, non si era mai preparati abbastanza.


Peter Hale parcheggiò l’auto di fronte una modesta abitazione con un solo piano, il tetto scosceso e vistosamente in uno stato di degrado e un giardino incolto.
“Che posto mal ridotto” appurò Derek, scendendo dal mezzo.
“Sembra la tua vecchia casa. Grazie a Dio hai avuto la brillante idea di trasferirti in un posto più vivibile” asserì Peter procedendo a grandi falcate verso la porta d’ingresso.
Derek roteò gli occhi e per un istante l’immagine della sua casa, prima dell’incendio, lo tormentò come uno spillo doloroso. Le pareti tinteggiate, le foto sulle mensole…il sorriso di sua madre…

“I miei occhi…sono diversi”
“Diversi, ma sempre bellissimi, come il resto”
Talia Hale, 2x08

 
Per un attimo, gli parve di sentire di nuovo sulla pelle la soffice carezza di Talia. Ma fu solo un istante: il tempo di un battito di ciglia e quella sensazione tornò ad essere solo un lontano ricordo.
Era di nuovo sul vialetto di casa Jefferson, e stavolta ad accarezzare il suo viso altro non era che la brezza calda di quella contea di Los Angeles.
Uno sguardo eloquente di Peter lo convinse ad affrettarsi ad entrare.
L’interno della casa del professor Jefferson non era messo meglio rispetto l’esterno. Le pareti erano annerite: sembrava che la casa non venisse tinteggiata da anni, alcuni mobili rovinati e poche decorazioni e abbellimenti in giro. Era evidente che, non solo mancasse un tocco femminile, ma ogni cosa sembrava rivelare quanto dovesse essere solo quell’uomo sulla cinquantina.
“È rimasto vedovo quando io ero ancora uno studente del liceo” gli sussurrò Peter, mentre Jeff sorrise,  invitandoli ad accomodarsi sul vecchio divano.
“Ieri ho avuto un’idea. Ma ho aspettato che facesse giorno per chiamarvi” spiegò l’uomo.
“Quale idea?” si apprestò a domandare Peter, incuriosito.
Jeff Jefferson era davvero una grande risorsa. Chissà quante altre cose avrebbe potuto imparare da lui. Si ripromise, prima di andare via, di dedicargli del tempo per apprendere nuove informazioni utili.
L’uomo tossì diverse volte, prima di riuscire a rispondere.
“Scusate, ma da ieri non mi sento molto bene. Devo essere influenzato” di nuovo un colpo di tosse “ i druidi più esperti, riescono a percepire la natura di altri esseri a loro affini”
Derek crucciò lo sguardo.
“Quindi potremmo chiedere ad un druido esperto di farci da GPS?” intervenne Peter, perplesso.
“Esatto. Loro sanno sempre quel che fanno. Ma la mia è solo un’idea, permettetemi di verificare più a fondo la cosa, ancora qualche giorno”
Peter annuì, mentre Derek congiunse le dita ad altezza del mento, pensieroso.
“C’è una cosa che non capisco” disse “perché non può essere un druido a compiere il rituale?”
“Sapete cosa fanno i druidi oscuri per ottenere ciò che vogliono?”
Derek avrebbe voluto ridere, ma ciò che ne uscì fu una smorfia. Certo che ne era a conoscenza, lui aveva amato una di loro, come uno sciocco, aveva di nuovo aperto il suo cuore alla persona sbagliata.
“Sacrifici” disse semplicemente.
“Esatto. Loro sono connessi agli elementi, alla quercia. Non hanno ad esempio il potere innato della banshee, creatura da sempre leggendaria. Devono far ricorso ad altri mezzi, a volte poco giusti”
“Chiaro” disse semplicemente il più giovane dei due Hale.
Ci fu  un lungo attimo di silenzio, prima che un colpo di tosse risuonasse di nuovo nell’aria.
“Il ragazzo di ieri, quello che ha sparato, era uno dei miei alunni migliori” disse improvvisamente l’uomo, una nota di pura sofferenza nella voce.
“E a quanto pare uno dei più squilibrati” aggiunse Peter.
Jeff scosse la testa.
“Vi giuro, io l’ho conosciuto davvero bene. Un ragazzo a modo, socievole, pieno di entusiasmo, con mille progetti futuri. Posso assicurarvi che non avrebbe mai compiuto un gesto simile”
“Professor Jefferson” lo sguardo limpido di Derek si perse in quello spento del docente “cosa sta cercando di dirci?”
“Io… non so, inizio ad avere dei sospetti. Il bambino scomparso, ora questo… ma ne parleremo domani. Ora scusatemi, deve essere un’influenza tremenda questa. Ho bisogno di riposare”
Non aspettò nemmeno che uscissero di casa. Prese a tossire ripetutamente e si chiuse nella sua stanza.
Anche da lì, i colpi di tosse, riecheggiavano ancora più forti.
 

Il suo sguardo dello stesso colore dell’oceano si soffermò su quella distesa all’apparenza infinita, catturando ogni piccolo particolare: le onde leggermente increspate, una barca  al largo, il gioco di luce sulla superficie creato dai riflessi dei raggi del sole.
Isaac appurò che Stiles aveva avuto ragione: quel posto era paradisiaco.
Scott e Stiles, al suo fianco, assorti nei loro pensieri, sembrava si stessero godendo la quiete del momento. La spiaggia a quell’ora del mattino  di quel venerdì primaverile – un venerdì all’apparenza come tanti altri -era piacevolmente tranquilla.
Pochi metri più avanti, Isaac riconobbe un viso familiare.
“Ehi, Stiles, quella ragazza in prendisole, seduta in riva all’oceano, non è la tipa a cui ieri sono caduti tutti i libri?”
Stiles assottigliò lo sguardo qualche secondo, per poi annuire.
“È proprio lei!” qualche istante di indecisione prima che scrollasse le spalle “vado a salutarla, venite?”
Isaac fece per annuire, ma Scott gli diede una pacca sul petto, attirando la sua attenzione. Stava guardando verso l’alto, dove i pochi gradini conducevano al marciapiede che costeggiava il lungo mare. Una ragazza stava passeggiando e parlando al telefono, mentre i castani capelli mossi le svolazzavano sul viso, spostati dalla piacevole brezza calda come un abbraccio.
“Quella ragazza…è Atena, vero?” disse Scott.
“Adena” lo corresse Isaac, per poi annuire “è proprio lei. Io vado a salutarla”
Isaac si allontanò a passo spedito, senza nemmeno pensarci due volte.
“Aspetta, vengo anche io, voglio capire cosa le è preso ieri!” affermò Scott, accelerando il passo per fiancheggiarlo.
Stiles roteò gli occhi.
“Grazie tante ragazzi, eh! Vado solo” esclamò, per poi borbottare poco convinto: “non ho bisogno di voi”.
Continuò a fiancheggiare l’oceano, avvicinandosi infine a Cassidy.
Si domandò come fosse possibile che una ragazza come lei, che viveva in una città balneare dal clima mite per tutto l’anno, potesse avere una pelle così lattea, su cui i capelli color rame risaltavano ancor di più, proprio come le rosate labbra carnose.
Il  giorno prima, preda della confusione, sembrava non aver notato tutti quei particolari.
“Ehi” disse, attirando la sua attenzione e accennando un timido saluto con la mano.
“Stiles!” esclamò lei, voltandosi e parandosi lo sguardo dal sole con la mano, guardando verso l’alto “cosa ci fai da queste parti?”
Stiles prese posto accanto a lei, restando colpito una seconda volta dalla sua voce melodiosa.
“Stavo facendo un giro con i miei amici, Scott e Isaac” spiegò.
“Oh, e dove sono adesso?”
“Hanno visto una loro conoscente e sono andati a salutarla” spiegò.
Cassidy increspò leggermente le labbra in un sorriso. Le sue gote assunsero un colorito più roseo.
“Ma tu hai preferito salutare me” appurò, lisciandosi il foulard bianco avvolto con premura intorno al collo.
Stiles si grattò la nuca, in imbarazzo. Non era bravo con quelle cose, non era come Jackson, ad esempio, capace di rispondere sempre con sicurezza alle avances di una bella ragazza.
Eppure Lydia lo aveva baciato. E forse un giorno lo avrebbe anche amato.
Quell’ultimo pensiero gli provocò uno sfarfallio all’altezza dello stomaco. Si ritrovò ad arrossire leggermente e Cassidy rise, non sapendo che i suoi pensieri fossero rivolti ad un’altra ragazza dai capelli biondo fragola.
“Volevo sapere come stavi” si decise a dirle “sai, ieri è stata una giornata pesante”
La ragazza fece un cenno d’assenso col capo, per poi poggiare il viso sulla ginocchia strette contro il petto. Rannicchiata in quella posizione, i piedi scalzi bagnati dalle onde che birichine parevano avvicinarsi sempre più, sembrava ancora più piccola, troppo fragile forse per sopportare sangue e colpi di pistola.
“Non è stato bello. Conoscevo quel ragazzo. Usciva con una mia amica l’inverno scorso, sembrava un tipo a posto” asserì, una nota di malinconia nella voce.
Stiles puntò lo sguardo verso la distesa d’acqua infinita del Pacifico.
Anche Matt sembrava un tipo a posto l’anno precedente. Non per lui, ma per tutti gli altri si.
Allo stesso modo lo zio di Derek, in ospedale, ridotto in un apparente stato vegetativo, era nella lista dei non sospettati. E pochi mesi prima anche Jennifer Blake, era per lui, per tutti loro, il ritratto dell’innocenza.
“Sai” si ritrovò a dirle “ a volte le persone non sono mai come ci aspettiamo che siano. All’inizio fa male, ma poi ti abitui alla consapevolezza che tutti, o quasi, cambiano”
Cassidy mordicchiò diverse volte il labbro inferiore.
“E tu, Stiles?” una breve pausa, “tu sei cambiato?”
“Si, credo di si”
“Migliorato o peggiorato?” domandò lei, accennando un sorrisino.
“Mi auguro la prima” rispose il ragazzo, increspando le sue labbra in un sorriso di risposta.
“Faresti meglio a toglierti le scarpe, ti si stanno bagnando” gli fece notare Cassidy.
Stiles annuì e se le tolse, sentendosi improvvisamente più libero.
A confronto con i difficili e recenti eventi che avevano investito la sua vita con la stessa forza di uno tsunami, quei giorni lì a Santa Monica parevano una sorta di vacanza per lui.
Non se ne era reso conto fino a quel momento, ma ne aveva avuto dannatamente bisogno.
“Non mi hai detto come stai tu” gli fece notare la rossa.
“Non me lo hai chiesto” ribatté prontamente.
“Lo sto facendo adesso”
Quell’implicita domanda lo colpì in maniera violenta. Già, come stava realmente Stiles Stilinski? Come si sentiva?
A pezzi, probabilmente. Stanco, sicuramente. Felice, in parte.
“Bene” disse, con un lungo sospiro.
Cassidy studiò per qualche attimo la sua espressione facendolo sentire vagamente a disagio.
“Dalla tua faccia e dalle tue occhiaie, si direbbe il contrario” azzardò l’altra. “A volte non è facile rispondere a questa domanda, lo so. Vorresti dire che ti senti in mille maniere diverse, ma il più delle volte la persona che hai davanti, sta solo rispettando dei convenevoli. Si aspetta che tu dica bene in modo da poter parlare di altro che possa interessarla davvero. Pochi ascoltano davvero delle risposte.
Stiles, io voglio ascoltare la tua vera risposta”
Il ragazzo corrugò la fronte, colpito.
“Perché?” le chiese semplicemente.
Cassidy fece spallucce.
“Mi viene naturale ascoltarti. Forse quei cinque minuti sotto la cattedra con la paura di morire hanno  favorito la nascita di una naturale simpatia” scherzò lei, accompagnando quelle parole ad una breve risata. Stava anche sdrammatizzando, Stiles lo capì da come la sua voce avesse tremato leggermente nel rievocare quegli attimi della giornata precedente.
“Bene, se proprio ci tieni, ho delle occhiaie tremende perché ho sognato mio padre questa notte, e non è stato affatto piacevole ciò che la mia mente mi ha lasciato vedere. Sembrerà sciocco, ma quest’incubo mi ha molto turbato” rivelò.
Improvvisamente, il macigno che sembrava attanagliarli il respiro da quella mattina, divenne leggero, più sopportabile. Dirlo ad alta voce era stato liberatorio.
Ne avrebbe parlato a Scott, ma Isaac era stato tutto il tempo con lui fin da quando si erano svegliati – ad eccezione della doccia, altrimenti si sarebbe preoccupato – e non voleva condividere quel peso con altri, anche se ora lo stava facendo con Cassidy.
Non sapeva esattamente perché, ma la naturalezza della ragazza aveva permesso al suo cuore di alleggerirsi almeno in parte.
“Cosa hai visto nel sogno?” chiese, sfiorando la sua spalla con le dita affusolate.
“Mio padre….nel nostro soggiorno. Aveva rotto la cornice con la prima foto di famiglia. Sembrava ubriaco, non so. Disperato lo era sicuro.
Sai…” il nodo alla gola tornò a farsi sentire e la sua voce si inclinò leggermente per una frazione di secondi “mia madre è morta e non è stato facile per noi due. Nel sogno sembrava che improvvisamente sentisse il peso di tutto, diceva che avremmo dovuto raggiungerla.
Allora ha preso la sua pistola, perché lui è uno sceriffo e ne ha una, e… mi ha sparato”
La stretta sulla spalla si fece più salda.
“Mi dispiace” disse la  ragazza, ma Stiles scosse la testa.
“Non è stato quello a farmi male. È stato il resto. Vedere come si portava l’arma alla tempia e premeva il grilletto. È stato terribile sentirsi inermi.
Io non voglio sentirmi inutile. Io voglio salvare in tempo le persone che amo”
“Salvarle da cosa?”
Stiles si rese conto di aver parlato troppo e fece un cenno con la testa.
“Sai, da tutto ciò che può ferirle”
Ci fu qualche minuto di silenzio, prima che Cassidy tornasse a proferir parola.
“Conosci la storia dell’acchiappasogni?”
Stiles scosse la testa e la ragazza tornò a parlare.
“In un villaggio cheyenne, prima che arrivasse l’uomo bianco, viveva una bambina di nome Nuvola Fresca.
Un giorno ella raccontò alla madre, Ultimo Sospiro Della Sera, che durante la notte un uccello nero arrivava per beccarla sul corpo fin quando la comparsa della madre, leggera con il vento, non lo scacciava.
La madre spiegò alla bambina che le cose che vedeva di notte altro non erano che sogni.
Nuvola Fresca però ne aveva timore e disse che avrebbe voluto vedere solo cose buone.
La madre sapeva che era ingiusto chiudere la porta alla paura della bambina e decise di costruire una rete tonda capace di pescare i sogni della bimba e la collocò sul suo letto. Le disse che quella rete tonda, sarebbe stata capace di pescare i sogni buoni e di tenere lontani i sogni cattivi”
“Quella rete tonda, era un acchiappasogni, vero?”
Cassidy annuì.
“Sei come Nuvola Fresca, Stiles. Dovrò regalarti un acchiappasogni”
“È solo una leggenda” appurò, scettico.
“Tutte le leggende hanno un fondo di verità”
A quello non fu capace di ribattere.
I licantropi erano una leggenda. Eppure avrebbe giurato di vivere con quattro di loro in quel momento.
 

Forse non se ne era nemmeno reso conto, pensò Scott, ma Isaac stava proseguendo a passo svelto, come se avesse avuto paura di perdere l’occasione di parlarle. Per un attimo ebbe la sensazione che si sarebbe messo volentieri a correre se non ci fosse stato anche lui.
Quando salirono i gradini più vicini e si ritrovarono di nuovo con i piedi sul cemento, Adena era lontana da loro giusto un centinaio di metri, ancora intenta a conversare al telefonino.
Indossava dei leggins e una t-shirt blu più grande di una taglia, che le ricadeva morbida sul fisico snello, come un abito.
“Non capisco come mai ti abbia chiesto una pausa, insomma, sembrava tutto a posto” stava dicendo, probabilmente a qualche amica sconsolata dall’altra parte del telefono.
Isaac le si avvicinò furtivamente da dietro.
Scott tentò invano di richiamarlo.
“Isaac! Ehi! Non credo sia una buona idea dopo ieri e…”
Si interruppe quando si rese conto che ormai era troppo tardi.
Osservò Isaac arrivarle furtivamente alle spalle per poi toccarla sulla spalla e Adena sobbalzare vistosamente, prima di dargli un calcio alla caviglia.
“Cretino! Cosa diavolo ti è preso? Ti sembra il modo di arrivare alle spalle delle persone che nemmeno conosci?” esclamò, non nascondendo affatto l’irritazione. Scott li osservò ancora qualche istante da lontano, indeciso sul da farsi. Forse era meglio evitare di avvicinarsi o avrebbe picchiato anche lui. Mingherlina com’era, sembrava non si facesse problemi a tirar colpi e lui non poteva nemmeno difendersi.
“Ma io ti conosco” appurò Isaac, con incantevole innocenza “conosco il tuo nome”
Adena lo osservò qualche attimo perplessa come se stesse decidendo se fosse solo naturalmente stupido o si stesse particolarmente impegnando nel trasmetterle quell’impressione.
“Adena? Adena cosa sta succedendo?” la chiamò la voce dall’altra parte del telefonino.
La ragazza se lo riportò all’orecchio.
“Scusami Sasha, è solo un ragazzo che ho conosciuto ieri, ti richiamo tra poco”
“Aspetta!” urlò Sasha, in una maniera talmente stridula che Scott, intento ad ascoltare a qualche metro di distanza, dovette tapparsi le orecchie “è almeno carino??”
Adena arrossì leggermente e guardò Isaac. Sapeva che la voce di Sasha aveva raggiunto nitidamente anche i suoi timpani. Isaac le rivolse un sorriso sghembo, provocatorio, curioso di conoscere la sua risposta.
“Dai Adena, sono carino?” la schernì, ricevendo in tutta risposta un’occhiata omicida.
“Sasha, è alto, con i capelli castano chiari e ricci e gli occhi azzurri. Se Eric dovesse mollarti, te lo presento volentieri” fu la sua risposta prima di chiudere con un tocco sul display la conversazione, lasciandosi poi scivolare il telefonino nella borsetta a tracolla.
Scott si decise ad avvicinarsi e la salutò con un cenno della mano, evitando accuratamente anche solo di sfiorarla questa volta.
“Ehi” le disse, non sapendo bene come rivolgersi a lei. Gli sembrava non poco suscettibile e lunatica.
Tuttavia, per la prima volta da quando l’avevano conosciuta, le labbra di Adena si schiusero in un sorriso sincero.
“Non mordo, tranquillo” gli disse, ritrovandosi a pensare che effettivamente erano loro due a poterla mordere. Nel momento in cui Isaac l’aveva sfiorata, aveva avuto la certezza che fosse anche lui un licantropo.
“Non capisco perché a te sorrida mentre io mi sia beccato un calcio” asserì Isaac, incrociando le braccia.
Scott fece spallucce.
“Perché magari io non ho tentato un agguato?” lo prese in giro, ridendo.
“Voi non siete studenti del mio liceo, non è vero?” domandò la ragazza, portando una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Sull’indice destro portava un anello con una rosa in argento. Scott si focalizzò su quel particolare qualche istante, prima di risponderle.
“In realtà veniamo da Beacon Hills” le disse.
“Beacon Hills? Siete qui in vacanza allora” asserì.
Isaac inclinò la testa a destra e sinistra per indicare una via di mezzo.
“Diciamo che si, potremmo considerarla tale. Siamo di passaggio insomma”
“E dove alloggiate?” chiese prontamente lei.
Udendo il battito del suo cuore, Scott notò che ne aveva saltato uno, per poi averne due fin troppo ravvicinati. Un’extrasistole. Quella domanda l’aveva in qualche modo agitata.
Isaac indicò la strada alle spalle di Adena.
“Su questa strada, una delle ultime case. Non siamo molto distanti” spiegò brevemente.
Scott la osservò qualche istante di sottecchi.
All’improvviso, sapeva di non potersi più fidare o comunque di dover stare in guardia.
Eppure poco prima quel sorriso di Adena sembrava sincero.
Gli tornò in mente il sorriso di Jennifer Blake. Anche il suo sembrava sincero. E solo in quel momento comprese che il fatto che le avesse paragonate, non prometteva nulla di buono.
Probabilmente anche lei era un fiore innocente pronto a nascondere un serpente velenoso.
Adena fece per congedarsi, ma una domanda di Isaac la bloccò.
“Perché non scendi in spiaggia con noi?”
Scott cercò di studiare ogni sua minima espressione del viso, ogni suo gesto, persino dove stesse dirigendo lo sguardo. In quel momento lo stava puntando dritto negli occhi di Isaac.
“Devo andare alla serra. Nel tempo libero curo le  piante di un giardino botanico del posto”
“Ho notato che nella vostra scuola il cortile è perfettamente curato” appurò Scott, rammentando le lamentele di Stiles.
Adena sorrise.
“Me ne occupo io insieme ad un altro gruppo di studenti” spiegò.
“Hai il pollice verde insomma” asserì Isaac, ma Adena scosse la testa.
“Credo sia qualcosa di più. Sapete, io…” si bloccò, rendendosi conto che stava per condividere un pensiero così intimo con due persone appena conosciute, ma qualcosa la convinse a continuare “…io sono una persona che vive con un’irrequietezza di fondo. In qualunque luogo io mi trovi, che sia la scuola, la mia casa, la spiaggia, un’altra città, ho sempre questa tremenda sensazione di non essere nel posto giusto. Eppure, quando curo i miei fiori, le mie piante, semplicemente entrando in contatto con loro, avverto la bellissima consapevolezza di essere nel posto giusto al momento giusto”
Ci fu un lungo attimo di silenzio e arrossì. Probabilmente stavano pensando che fosse una sciocca, nessuno avrebbe potuto capire quella sua connessione con la natura.
“Ok, io devo andare” disse, ma le parole di Isaac la bloccarono.
“È bello sentirsi a casa da qualche parte”
Adena notò che c’era un accenno di tristezza nel suo sguardo e per un attimo si intenerì a tal punto che avrebbe voluto abbracciarlo. Ma Isaac era ancora uno sconosciuto praticamente e lei si sarebbe sentita ancor più stramba.
Dunque si limitò a sfiorargli il braccio con le dita.
Stavolta la consapevolezza della sua natura non la investì come una fastidiosa scarica e ne fu piacevolmente sorpresa.  Per un attimo Isaac gli trasmise un senso di calore, proprio come le sue piante.
Ritirò la mano e  si voltò verso Scott. Sembrava diffidente, ma non ci badò più di tanto.
“Arrivederci, ragazzi” asserì, continuando per la sua strada e recuperando il telefonino dalla borsa.
Sasha stava ancora aspettando.
 

“I ragazzi non sono ancora tornati” appurò Peter, versandosi dello scotch. La coppia di sposini si trattava davvero bene.
“Sembri loro padre, se parli così” ribadì Derek, poggiandosi di spalle alla finestra del soggiorno.
“Non mi ci vedi bene nella parte del padre?” scherzò Peter, con un ghigno perennemente disegnato sul viso.
“No, sei inquietante. Ma sei inquietante anche da zio, se la cosa può consolarti”
“Sempre molto gentile” rispose l’uomo con una smorfia, per poi sorseggiare il suo scotch.
“Credi che il tuo amico Jefferson ci sarà davvero di aiuto in questa faccenda?” chiese Derek. La speranza lo stava divorando più dell’angoscia.
Si rese conto e scoprì suo malgrado, che forse tra i diversi mali, avrebbe potuto classificare anche la speranza. La rassegnazione porta all’accettazione, la rabbia ad una soddisfacente vendetta, ma la speranza solo ad una miriade di illusioni.
“Jefferson è un uomo in gamba e molto preparato. Io conoscevo solo la mia natura, lui mi ha aperto gli occhi sul resto del mondo soprannaturale che ruota intorno a noi licantropi.
Nel momento in cui aveva capito che fossi uno Hale, imparentato con Talia, non ebbe alcun dubbio sulla mia natura. Iniziai a fargli delle domande e lui ne faceva a me: io diventavo preparato sul soprannaturale, lui scopriva piccole cose sui licantropi che non avrebbe potuto trovare facendo ricerca da sé”
“Allora qualcuno ha imparato qualcosa da te” asserì Derek, una nota di sarcasmo nella voce.
“Santa Monica deve aver risvegliato il tuo humor, fai quasi più paura di quando sfoderi gli artigli”


“Adena, sei a casa!”
Sua madre, una donna sulla quarantina, dai lunghi capelli biondi raccolti in una coda di cavallo, l’accolse con un sorriso e le mani impiastricciate di farina.
“Sto provando una nuova ricetta. Tra una mezz’ora sarà tutto pronto” le spiegò, prima ancora che ricambiasse il saluto.
Adena le sorrise e proseguì oltre, raggiungendo il terrazzo e poggiandosi contro la ringhiera, ammirando qualche attimo il panorama di Santa Monica, le luci della sera sulla sfondo arancio del tramonto capaci di dare un tocco in più a quel posto già di suo incantevole.
Sua sorella era lontana per il college, suo padre si era trasferito a Denver e sua madre stava iniziando a frequentare un uomo più giovane. Un uomo più giovane che l’aveva messa con le spalle al muro, letteralmente. Un brivido la percorse per intero e scacciò dalla mente quel ricordo.
Il cielo era ormai bluastro  quando si decise a rientrare in casa e per la prima volta, con un piano ben definito nella testa.
La sua idea avrebbe trovato compimento, quella stessa notte.


 
 

Mercoledì è arrivato e con esso, anche il secondo "episodio" di Save the pack.
Prima di proseguire con qualche nota sul capitolo, ci sono delle cose che vorrei chiarire a voi lettori:
1 - Adena, per chi non lo sapesse, si pronuncia "Adina";
2 - La storia è stata scritta prima della messa in onda della 3x11, e plottata ancora prima. Quindi per ragioni di trama, proprio come in Teen Wolf, il branco di Alfa e Jennifer sono stati sconfitti, ma Scott è ancora un beta e Derek ancora un alfa.
Detto ciò, spero che questo continuo vi abbia coinvolto quanto il pilot. Tengo molto alla scena iniziale con Stiles e suo padre e spero che vi abbia commosso quanto me - mentre la scrivevo ero tutta un: "scusa Stiles, non volevo essere sadica con te come Jeff Davis"- . xD
Inoltre conosciamo meglio Cassidy e Adena; ci sono già tanti indizi su di loro, chissà che non ne abbiate colto già qualcuno.
Il capitolo è stato riletto molto velocemente - è mezzogiorno ed io devo ancora iniziare a studiare, OMG - quindi perdonatemi se dovesse essermi sfuggito qualche errore di sintassi. Oggi pomeriggio, risponderò con piacere alle recensioni <3 Colgo l'occasione per ringraziare chi ha speso e spenderà qualche minuto del suo tempo per leggere e/o farmi conoscere la propria opinione e chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
Grazie davvero.

Un bacione,
Ely 91


NEXT ON "SAVE THE PACK":

Derek strizzò gli occhi  nel sonno.
Una visione lo stava tormentando, qualcosa di forte, qualcosa che non riusciva più a sostenere.
Di nuovo si agitò nel letto emettendo qualche lamento, la fronte imperlata di sudore, il sottile lenzuolo scansato malamente con le gambe e gettato da un lato.
Il giovane Hale non poteva sapere che l’odore dello strozzalupo si stava diffondendo ormai nella sua stanza, rendendo i suoi sogni fin troppo vividi e trasformandoli in incubi.


   
 
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