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Autore: Rota    21/08/2013    0 recensioni
Un sospiro dopo l’altro,
Mulan sta tessendo davanti all’uscio.
Non si sente il rumore della spoletta,
solamente i sospiri della ragazza
Le chiedi: «Cosa pensi?».
Le chiedi: «Di cosa hai nostalgia?».
«Non penso a niente,
non ho nostalgia di nulla.
La notte scorsa ho visto le insegne,
il Khan sta arruolando una grande forza,
la lista dei soldati occupa una dozzina di rotoli,
e in ognuno è il nome di mio padre.
Non c’è un figlio adulto per lui,
Mulan non ha un fratello più grande.

[Seconda classificata al "Soul/Maka in AU contest" indetto da Mimi18 sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maka Albarn, Soul Eater Evans, Un po' tutti | Coppie: Black*Star/Tsubaki, Soul/Maka
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Capitolo sette

 

 

Per chi non l'ha mai vista prima, casa Albarn conserva i segni di un passato diverso, nella quantità esigua di oggetti casalinghi che esulino da quelli prettamente indispensabili e l'insegna così simile e familiare, appesa nella sala grande dove si accolgono gli ospiti, che il padrone di casa mostra sempre con un certo orgoglio.

Gli ricorda, ma sa bene di essere un ignorante e basta, ciò che ha sempre visto nella dimora di Lord Shinigami.

Si rende conto che è una cosa ovvia quando altri dettagli gli tornano alla mente: Spirit Albarn, in un passato che non è così lontano, ha investito una carica illustre nello stesso ambito del Lord – militare, nell'esercito al servizio del sommo Imperatore – e questo spiega l'educazione della figlia e mille altre piccole cose. Ciò che basta, insomma, perché molti quesiti vengano taciuti una volta per tutte.

Il padrone di casa non lo accoglie con un sorriso pronto, per quanto il dovere del buon ospite lo obblighi ad accoglierlo in casa e a offrirgli il poco che la dispensa può offrirgli. Raccoglie del pane, un poco di formaggio e qualche frutto, perché altro non vuole sul serio consegnargli.

-Non ricordo di averti chiamato, fabbro.

Spirit continua a guardare con un sospetto il lungo oggetto che Soul porta con sé, avvolto da un panno ruvido. Non riesce ad attribuire una precisa natura a quello e tutte le possibili opzioni che gli vengono in mente non aiutano a diventare ben disposto nei confronti del giovane, per niente.

-Come mai sei qui?

-Sono qui per sua figlia, signor Albarn.

Soul non può neanche sospettare quali sentimenti Spirit provi, in quel momento, nella miriade di paura che si tramutano in realtà nel giro di qualche istante che lo rendono un padre nervoso, isterico, a tratti assurdamente folle. Perché, nella concezione di possessione non solo dell'altrui vita ma persino dell'altrui destino che molti padri hanno, seppur in buona fede e senza sentimenti turpi, Spirit non può concepire che ci sia qualcuno, su quella terra, che voglia portare via sua figlia e farla sua, come lui la sente propria.

Ha una smorfia terribile, quando si sporge sul tavolo, guardandolo da vicino per studiarlo, esaminarlo come un pezzo di carne in putrefazione.

-Sei qui per la sua mano?

Soul, per riflesso, si allontana da lui, non senza un certo disgusto, e gli restituisce la sensazione di schifo che ha nell'espressione.

-Non dica sciocchezze! Niente del genere!

-Cosa vuoi da lei, allora?

-Consegnare ciò che mi ha commissionato, signor Albarn.

Il fabbro porta la mano all'oggetto nel sacco di paglia ed estrae un lungo manico lucido, fatto probabilmente di pietra pura. La lama dell'arma non è decorata, arrotondata perfettamente e con la punta rivolta verso il basso, come in uno spicchio di luna, e da una sensazione di compattezza e di resistenza allo stesso tempo, come il vento che con eleganza e senza necessità di troppa forza sferza con decisione sconfinati cambi di grano e li piega al proprio volere.

Soul poggia l'oggetto sul tavolo.

-Questo.

E l'uomo abbandona il suo sguardo rabbioso, ferino, per tornare al sospetto iniziare e un'incomprensione totale che lo rende quasi estraneo alla situazione che sta vivendo.

-Cosa dovrebbe essere, questa falce?

Un brivido lo coglie quando, all'improvviso, fa la sua comparsa Maka, appoggiata ancora allo stipite della porta d'ingresso alla stanza. È sicura, nel tono, come lo è anche Soul.

-La mia arma, padre.

Spirit si volta piano, perché ancora il pensiero non arriva a concepire la presenza di lei in quel posto, figurarsi accettare la rivelazione che ha appena detto.

-Maka...

-Il fabbro ha eseguito un mio ordine, padre. Quella falce è l'arma che userò in guerra.

-Quale guerra?

-Quella che combatterò assieme a te.

Spirit non è stupido, non come crede di dare a vedere e spera di mostrare, con il comportamento poco degno per una persona della sua età e tutte le cose sbagliate che fa, consapevolmente. Non ha bisogno di ulteriori domande, di ulteriori conferme, non di mostrarsi incredulo oltre quel limite né di spingere la figlia a dirgli cose che già sa, dentro il cuore e dentro l'animo.

Non vuole pensare che sia naturale, quasi, per quella che è Maka, aver pensato a una soluzione del genere, ma metterla in pratica è quell'eventualità pessima che nessuna brava donna, nessuna brava figlia avrebbe mai preso in considerazione.

Non sa neppure perché si arrabbia così tanto, Spirit. Rompe il silenzio creatosi con un urlo alto, terribile, più animalesco che mai, e con quella follia che rende ciechi i padri delle figlie disonorate, delle mogli stuprate e delle sorelle violentate estrae d'impulso l'arma che sempre porta alla cintola – un lungo coltello da caccia sempre utile in tante, troppe occasioni.

Lo punta verso l'unica persona in quella stanza cui accetterebbe la morte, Soul, e si avventa su di lui con un tale impeto da non essere fermato neanche dal tavolo che divide i due uomini. Il fabbro si sposta per istinto, pur rimanendo colpito di striscio al fianco, e porta con sé nella fuga l'arma che le sue mani hanno forgiato. Così che, quando Spirit si rialza da terra e gli rivolge nuovamente la punta del coltello contro, Maka impugna la propria falce e lo affronta, non senza qualche insicurezza.

È terribile per lei guardarlo in volto, è terribile per lui dover mantenere l'intento rabbioso che lo ha dapprima mosso – perché se cede viene sconfitto, subito, e Spirit non può permetterselo così in fretta.

Nella situazione di stallo, le braccia tremano assieme alle armi, i piedi quasi cedono, e c'è un principio di supplica nella decisione che dipinge di nuovo colore lo sguardo della figlia. Questo lui lo nota, e fa male come mille pugnalate.

Urla ancora e si avventa su di lei, con il coltello puntato. Maka fa due soli movimenti, portando non la lama contro di lui ma prima il manico e poi il bordo innocuo della falce contro il suo braccio, disarmandolo sfruttando nel movimento la forza del suo stesso impeto. Ma Spirit non si ferma quando si schiaccia da sé contro la parete del muro, ormai disarmato, e corre, inciampa lungo il corridoio per andare fuori, nel cortile davanti alla loro casa.

Non piove e la notte ingloba per sé ogni rumore molesto – l'ombra di una signora anziana viene proiettata, allungata, sulle mattonelle rade del sentiero che divide a metà l'erbaccia, ma poi ogni cosa si placa.

Spiri piange, senza alcuna esitazione.

-Questo non è ciò che avrebbe voluto tua madre.

Maka lo ha raggiunto senza avere la falce in mano e si costringe a cacciare la pietà, ogni sentimento di compassione, perché non sarebbe giusto nei confronti di nessuno dei due. Ha superato la prova che suo padre l'ha obbligata ad affrontare, e ancora col cuore dolorante non può che essere forte per tutt'e due, almeno una volta nella sua vita.

-È vero, non è quello che avrebbe voluto lei. Ma è quello che voglio io.

-Io non posso e tu non devi.

-Padre, è esattamente il contrario: tu devi e io posso.

Un passo, verso di lui – il tentativo mai portato a termine di una mano sulla sua spalla.

Non importa neanche Soul dentro casa, che aspetta paziente il loro ritorno – assistere a una scena del genere, così intima e loro, sarebbe stata davvero una colpa terribile.

-Padre, papà. Sono sempre Maka. Sono sempre tua figlia.

La giovane appoggia la fronte sulla sua schiena, e il peso di quella vita piena, grave, assoluta, si concentra tutto sul corpo e sullo spirito di lui. Non l'ha mai sentita così viva.

Lei lo accompagna nel suo pianto, alla fine.

-Permettimi di starti accanto sempre, anche nei tuoi ideali. Permettimi di starti accanto come fa una donna con un uomo e come una figlia con il proprio padre.

 

Maka fa una smorfia di fastidio e alza di poco il sedere, cercando in un movimento leggero una posizione più comoda sul proprio cavallo. Black*Star la vede e la prende in giro, lei che così chiaramente non ha mai montano su una sella ma solo a pelo, una di quelle maledette bestie. Lei gli risponde con una boccaccia e l'altro si allontana ancora ridendo, mentre il suo destriero muove la coda lunga e nera e sbuffa, confondendosi con altri animali della truppa in partenza.

Maka sospira, un poco affranta. È scomoda l'armatura che indossa, stretta peggio di una veste femminile di quelle pudiche, e pesa sulle gambe e sulle spalle. Probabilmente Spirit ha pensato bene, spinto da un'esaltazione strana dettata dal momento e dalla situazione, che una vecchia quanto gloriosa divisa d'altri tempi avrebbe investito di sfarzo e gloria la figlia.

Ma non era servito il suo strano elmo, le strane spalline e gli stivali alti, perché Lord Shinigami guardasse male i due Albarn, chiedendo apertamente cosa ci facesse una donna tra le file del suo esercito. Spirit aveva risposto per lei e per se stesso, a quel punto, pieno di nuovo orgoglio e di forza.

-Combatterà con noi, come solo lei è capace di fare!

Lord Shinigami li aveva guardati, prima lui e poi lei, poi aveva sentito ridere il figlio e si era voltato a guardare anche lui. Non era scherno, quello che stava esprimendo, ma divertimento per una situazione strana e imprevista – accettabile, dopo tutto, perché grande è l'onore e rispetto della famiglia Albarn. E anche al signore era bastato quello.

Spinge il cavallo in avanti, per tornare a suo padre. Ma dopo pochi metri vede i soldati aprirsi, stranamente, e qualcuno avanzare.

Una testa biancastra, lavata e quasi profumata, un viso lindo e il sorriso conosciuto di un uomo: Maka gli risponde e si avvicina a lui.

-Signor fabbro, ancora sulla mia strada.

Le sorride, guardandola con addosso il miglior completo dei due che possiede e che non indossava da mesi e mesi, dal fidanzamento di suo fratello maggiore.

-Non posso fare altrimenti, mia padrona. Lei è una donna speciale.

Vede Black*Star, immerso dalla folla, ed è solo il suo sguardo prima e il suo sorriso poi che lo ferma, obbligandolo a rispondere all'amico quantomeno con un gesto della mano. Un altro peso viene levato dal cuore – poi torna da lei.

-È l'unica che è riuscita a piegare la mia volontà.

Sorride con dolcezza, con un viso sgombro da ogni ciuffo molesto.

-Soul, io ancora non ti ho ringraziato come si deve per quello che hai fatto per me.

-Non è necessario, Maka. Tu hai fatto qualcosa di altrettanto importante.

Non è una frase ad effetto, così come la supponenza di una maggior magnificenza mostrata solo per vanità. Fa bene allo spirito, a entrambe le loro anime, sentirsi tanto affini.

Lui si avvicina ancora a lei, persino sentendo vigili e puntatigli contro gli occhi del signor Albarn, ma si limita a toccare la federa della sua imponente arma e ad assumere uno sguardo serio, per qualche istante,

-Io sarò qui, con te, ovunque tu andrai e ovunque tu sarai. Trattami bene, padrona, mi raccomando.

Il sorriso di lei quasi si fa ilare, in uno scoppio di risa fuori luogo, ma perché la mancanza di una risposta evidente riempie quasi di disagio quell'affermazione, tanto che a Soul basta guardarla negli occhi per capire di dover dire qualcosa in più.

-Un vero uomo non abbandonerebbe mai una donna in difficoltà.

Ride piano, ride anche lui – ma ci credono entrambi.

Ed è l'ultima cosa che Maka gli dice, quel giorno.

-Grazie, Soul...

 

*******

 

Piedi nudi contro un pavimento freddo lucido di pietra – l'Imperatore alza le braccia, come se dovesse cercare un qualcosa che gli è stato tolto senza ragione, o si dovesse arrampicare sul soffitto e lì appendersi, e guarda in alto con la vista sbiadita di una presenza labile, tra tutte quelle vesti colorate che gli appesantiscono completamente la vista e quell'oro sempre presente che uniforma ogni possibile orizzonte, entro il palazzo di cui è Signore.

È il rumore delle voci che ha ancora nelle orecchie a farlo vacillare, quando le dita sono l'unico sostegno per il passo e il movimento è già in atto, in avanti, e il busto piegato che dà un senso di precarietà poco elegante, la corona brillante del capo che quasi sfugge al controllo, tra capelli chiari legati stretti da un laccio e da un fermaglio ben saldo: la gentilezza di sua madre e del suo sorriso da serpe pesano come un'incudine su doveri e affetti, su una volontà poco esplicita che si conforma a voleri altrui.

Chrona non cade e lascia cadere la corona sul pavimento, che produce un suono freddo di rimbalzo, nell'eco che si irradia e rimbalza contro tutte le pareti della stanza; si sveglia dalla sonnolenza auto-indotta e si accorge di essere ancora lì, tra drappi rossi e preziosi e un odore di chiuso che comincia, pian piano, a farlo ammuffire.

Lo scettro dell'Imperatore, come i battenti della porta che lo isolano da tutto il resto, non è altro che un oggetto scintillante, fatto di poca anima e di solido materiale, come una pietra grezza e davvero poco, poco umana. Non ci sono finestre, nella sala, ma luci riflesse di fonti lontane che alterano ogni possibile natura e la storpiano, la modificano fino a farla diventare una carezza fredda e insensibile. Se non fosse che non ne ha mai compreso e considerato le fattezze specifiche, Chrona potrebbe persino dubitare che quella non sia affatto la realtà, ma un fantoccio che qualcuno gli ha propinato come abbellimento, come spauracchio di problemi veri e tematiche per cui darsi noia la notte.

Quello che però ruba il sonno dell'Imperatore è un alito venuto da lontano, nel tedio agonizzante che si allunga per ogni singola giornata della sua esistenza attraverso i passi silenziosi di sua madre e il sorriso lungo che raramente gli capita in viso, quando non è lui a guardarla.

Chrona guarda in avanti, anche in quel momento, immaginando invece che drappo rosso che gli fa da tappeto sottile di seta il paesaggio verdeggiante delle pianure del suo impero. Se c'è angoscia, come per ogni altra cosa, la ragione risiede soltanto lì, e sperare forse che gli venga suggerita una risposta all'inadeguatezza che si sente addosso, come persona, è poco divino ma molto umano.

Ha anche imparato a sentire la presenza materna, prima che questa si palesi di propria iniziativa – si riappropria di un poco di contegno e della corona in testa, prima di guardare il sorriso ferino di Medusa nascosto da un trucco di bianco e vesti magnifiche di potere, lucide come il pavimento che sente gelato.

-Mio splendido Imperatore, i tuoi generali ti aspettano per la guerra.










 

 

 

*Epilogo

 

 

Un sospiro dopo l’altro,

Mulan sta tessendo davanti all’uscio.

Non si sente il rumore della spoletta,

solamente i sospiri della ragazza

Le chiedi: «Cosa pensi?».

Le chiedi: «Di cosa hai nostalgia?».

«Non penso a niente,

non ho nostalgia di nulla.

La notte scorsa ho visto le insegne,

il Khan sta arruolando una grande forza,

la lista dei soldati occupa una dozzina di rotoli,

e in ognuno è il nome di mio padre.

Non c’è un figlio adulto per lui,

Mulan non ha un fratello più grande.

Andrò a comprare un cavallo e una sella

per combattere al posto di mio padre.»

Al mercato dell’est comprò un eccellente destriero,

al mercato dell’ovest comprò una sella completa,

al mercato del sud comprò le briglie,

al mercato del nord comprò una lunga frusta.

All’alba salutò i genitori,

all’imbrunire si accampò vicino al fiume Giallo.

Non ascoltava più la voce chiamante di suo padre e sua madre,

sentiva solo l’acqua fluente del fiume.

All’alba abbandonò il fiume Giallo,

al crepuscolo riposò sulle Montagne Nere.

Non ascoltava più la voce chiamante di suo padre e sua madre,

sentiva solo il fragore dei cavalieri nemici sulle Montagne Yan

Le truppe in guerra percorsero grandi distanze,

attraversarono passaggi di montagna come se stessero volando.

Le raffiche della tramontana portavano il segnale dell’ora fatto dalle sentinelle notturne,

alla luce della luna brillavano le armature.

Generali morirono in tante battaglie,

guerrieri coraggiosi fecero ritorno a casa dopo dieci anni.

Al loro ritorno furono ricevuti dal Figlio del Cielo

che sedeva nella sala degli splendori.

Si concessero dodici promozioni,

grandi ricompense si assegnarono a migliaia di uomini valorosi.

Il Khan chiese a Mulan cosa desiderasse.

«Non ho bisogno di un incarico di governo,

desidero una bestia per cavalcare leggermente

e tornare finalmente al mio villaggio.»

Quando i genitori udirono la figlia ritornare

uscirono ad accoglierla fuori delle mura del villaggio appoggiandosi fra di loro.

Quando la sorella maggiore la sentì avvicinarsi

si truccò di rosso e l’aspettò davanti alla porta.

Quando il fratello minore la sentì avvicinarsi

affilò il coltello per uccidere maiali e capre.

«Apro la porta della mia camera orientale,

siedo sul mio letto nella camera occidentale.

Mi tolgo l’armatura che portavo in battaglia

e mi metto i vestiti del tempo passato.»

Vicino alla finestra si accomodò i capelli,

davanti allo specchio si adornò con un impasto di fiori gialli.

Lei uscì fuori della porta e vide i suoi camerati

che rimasero tutti stupiti e perplessi:

«Dodici anni siamo stati insieme nell’esercito

e nessuno sapeva che Mulan fosse una ragazza.»

«Le zampe del coniglio maschio saltellano su e giù,

mentre il coniglio femmina ha occhi confusi e sconcertati.

Quando due conigli corrono lungo la terra,

come puoi capire se io sono maschio o femmina?»


 

   
 
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