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Autore: MelKaine    27/02/2008    18 recensioni
Il piccolo Harry Potter ha sei anni e non ha assolutamente idea di cosa significhi essere felice. Quando viene portato via dalla famiglia dei suoi zii la sua vita è destinata ad intrecciarsi con quella di Severus Snape, giovane maestro di Pozioni. Una storia sulla compassione e l'affetto, il cuore di tutto ciò che è amore.
Genere: Avventura, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Silente, Harry Potter, Minerva McGranitt, Severus Piton
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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The Heart of Everything 13
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E' eccezionale vedere come in ogni capitolo, ogni persona sia colpita da una cosa piuttosto che un’altra. Leggo sempre con molto piacere i vostri splendidi commenti e mi rammarico di essere in ritardo non con una, ma bensì con due risposte. Abbiate pazienza con me, risponderò a tutti molto presto. E abbiate pazienza anche con la mia storia, farei un torto al nostro Sev se la facessi procedere troppo velocemente. Mancherebbe di credibilità, no? Un grazie particolare a Amrlide per la sua mail e a bombottosa per il link al banner e alla fanlisting della mia fic che vi metto qui. Se avete tempo e voglia visitatelo. Banner: http://s2.supload.com/free/melkaine.jpg/view/ Fanlisting: http://tomkat.netsons.org/thoe/

Mel Kaine

 

 

 

 

                                                                    The Heart of Everything

 

 

 

13 – / Our farewell /
 




Quando il sole illuminò leggero i prati gelidi, Severus si alzò. Per molto tempo divenne una figura nera, silenziosa e dritta, che osservava dai vetri lo spettacolo invernale che Hogwarts offriva al di là del lago.

Da lassù sembrava sempre che qualunque gloria una persona stringesse fra le mani fosse ben poca cosa rispetto alla meravigliosa e potente natura. Era come essere avvolti da braccia di un verde profondo, un verde Slytherin che lo confortava, ma al tempo stesso lo spingeva a non abbassare la guardia. L’abbraccio infelice di un amante impazzito e sperso.

Perduto in fitti pensieri l’uomo mancò il primo suono, ma al secondo si volse.

Il piccolo Potter si stava svegliando.
Severus soffocò con violenza il forte istinto di avvicinarsi immediatamente e si dispose ad aspettare.


Il piccolo Harry sbatté le ciglia e si stropicciò un occhio.
Era moltissimo tempo che non dormiva così tanto. Oh sì, aveva dormito così tanto da non ricordare bene cosa fosse successo, da non ricordare bene nemmeno dove fosse. Si guardò attorno mettendosi a sedere. Il suo corpicino protestò vivamente, almeno quella non era una novità… Nella piena luce che lo avvolgeva Harry vide come una macchia. No, era un’ombra, un’immagine nera e alta, contro il vetro. Affascinato, e al tempo stesso intimorito, fissò quel punto e quando i suoi occhi ancora assonnati si abituarono un mormorio lasciò le sue labbra.

“Signore Sevreus?”


Snape non poté impedirselo.

Con un passo si fece più vicino.
“Ti sei svegliato, Potter?”

Il sorriso che prometteva di dipingersi sulla labbra del bimbo scomparve senza lasciare traccia ed il piccolo inclinò la testa, come a chiedere ‘Non più Harry?’

Severus non si rimproverò di aver voluto, nuovamente, tentare di mantenere le distanze.
Il futuro era ancora così incerto…

In quel momento le porte dell’infermeria si aprirono e Madam Pomfrey entrò.
La donna perse poco tempo nei preparativi.

Severus spiegò in poche, scelte parole cosa sarebbe successo e con solo uno sguardo rassegnato il bambino bevve la pozione che l’uomo-Sevreus gli aveva dato.

Subito Harry si addormentò.

Severus e Poppy presero a lavorare alacremente. Il braccio del bambino ben presto venne sistemato. L’osso venne ricollocato nel suo naturale alloggio e la donna aggiunse alla lista delle pozioni per il bambino una o due dosi di Skele-Gro.

Severus distillò infusi tutta la mattina, provvedendo nuove scorte.
I fumi conosciuti e quieti dei suoi calderoni erano balsamo per quel momento di profonda incertezza e occupare le mani e la mente era qualcosa che in quegli istanti quasi non aveva prezzo.

Su quelle stesse indolenti note scivolò via anche il pomeriggio.

Verso sera Madam Pomfrey lo richiamò in infermeria quando il piccolo Harry si destò in preda alla febbre.
Le condizioni del bambino, dopo la prigionia, l’operazione e quella che Snape non esitava a definire come la più strabiliante delle manifestazioni di magia spontanea mai documentata nel corso dei secoli, naturalmente non erano delle migliori e le infezioni occasionali erano soltanto un’eventualità ovvia.
Quando Severus arrivò il bambino tremava, stringendo al petto il mantello che non aveva mai lasciato in quelle ore. I suoi grandi occhi verdi erano lucidi e terrorizzati, vedevano senza vedere realmente e le piccole labbra erano come foglie battute dal vento, pronuncianti lettere che opportunamente sistemate assomigliavano al nome del giovane uomo. Senza esitare Severus gli somministrò della Pepperup ed un’altra dose di Sleeping Draught. Quella notte rimase con lui e nel buio nessuno, nemmeno egli stesso, poté osservare la cura con la quale la sua pallida, lunga mano riposava accanto a quella piccola del bimbo ancora coperta dal suo mantello.

Il mattino seguente Madam Pomfrey somministrò diverse altre pozioni al piccolo Potter e decise di tenerlo in una sorta di prolungato sonno di guarigione. Severus concordava. Il bambino non era abituato alle continue, pressanti attenzioni mediche. Il sapore delle pozioni non contribuiva certo a rendere l’esperienza piacevole e sopra ogni cosa Severus non desiderava vedere i suoi occhi.

Occhi verdi capaci di guidarlo verso pensieri mai realizzati prima, verso azioni così caratterialmente diverse da ciò che egli stesso si riteneva capace di impedirsi.

E tuttavia, ancora adesso, a distanza di cinque giorni dalla loro fuga, mentre sedeva al capezzale del figlio di Lily Potter non trovava una giustificazione piena, completa al suo incoerente comportamento.

La neve era giunta ad Hogwarts. E nel vento dolce della sera cadeva lieve, come polline translucido.
Le gambe elegantemente accavallate, il viso serio e pallido.
Snape si lasciò alle riflessioni che da tempo attendevano un suo esame.

Non aveva più la volontà di ignorarle. Molto tempo addietro aveva scoperto che nessun problema, dal più semplice al più inestricabile, scompariva se non vi veniva più prestata alcuna attenzione.

Sconsiderato.
Questo il suo comportamento.

L’inesplicabile necessità di rassicurare il bambino. Di rassicurare se stesso sulle condizioni del bambino. Di cercare aiuto per lui. E la sua inadulterata ira, la sua richiesta di spiegazioni, il dolore della furia con la quale aveva affrontato Albus. La Legilimens. Lily. La promessa di protezione.

Era come essere stato per ore intere qualcuno di diverso. Un uomo meno freddo, con un peso nel petto che batteva sangue e peccati.

Scosse la testa.

E la neve continuava a cadere attorno a loro.


In quei giorni il suo risentimento per Albus crebbe e, benché egli lo tenesse nascosto persino a se stesso, la sua fredda risolutezza a prendere i pasti nei suoi quartieri o la rabbiosa frustrazione con la quale sopportava anche la più lontana delle vicinanze era di per sé un chiaro segnale. Quando Dumbledore si presentò in infermeria per assicurarsi delle condizioni del giovane Potter, Snape si ritirò a grandi passi nelle sue stanze, senza uno sguardo, accompagnato dal gonfiarsi del suo mantello attorno al suo corpo rigido. Un fruscio violento come una frustata.

Quella sera un gufo della scuola gli recapitò un messaggio.
Il Preside richiedeva la sua presenza nel suo ufficio.

Severus chiuse gli occhi, le pallide, sottili labbra tirate.





“Per favore Severus, entra pure”.

Il cielo della sera non era limpido come lo era stato in quei giorni.

Il giovane uomo si sedette, lentamente.
I suoi occhi non si levarono ad incontrare quelli azzurri del vecchio mago mentre attendeva di conoscere il motivo di quell’incontro.

Il silenzio si allungò oltre quanto consentito dall’etichetta.
Severus si mosse leggermente sulla sedia.

“Tè, nel frattempo?” chiese Albus.

Snape scosse la testa.
La luna quasi sorse mentre ancora niente veniva detto.

La pazienza del giovane mago si fece sottile come un crine di unicorno.
Con la coda dell’occhio osservò Dumbledore.

L’anziano Preside riposava il mento sopra le mani giunte, come in serena attesa di qualcosa.
Severus lo vide prendere un altro sorso di delizioso tè che lui aveva rifiutato e si alzò di scatto.

“Se evidentemente non hai nulla da dirmi Albus ti pregherei di congedarmi, ho molto da fare nei miei quartieri”.

“Oh, temo tu abbia frainteso, ragazzo mio. Non siamo certo qui per qualcosa che io ho da dirti…”

“E allora chi di grazia dovrebbe parlare…”

“Ma tu, naturalmente”.

Severus sbuffò.
Tutto ciò aveva davvero del ridicolo…

“Trovo necessario ricordarti, Albus, che non ho richiesto io questo incontro. Se adesso puoi scusarmi…”

“Non hai davvero niente di cui parlarmi, mio caro ragazzo? Niente di cui, da qualche tempo, vorresti mettermi a parte?”

Gli occhi dell’uomo anziano si fecero penetranti.
E subito dopo si riempirono di una prima scheggia di malinconia.

“Non vedo di cosa…”

Dumbledore scosse la testa canuta.
E si alzò, portandosi alla finestra ed ammirando la neve attorno ad Hogwarts.

“Sai, mio caro, carissimo, ragazzo, posso vederlo nei tuoi occhi scostanti. Posso sentirlo nelle tue parole fredde e calcolate. Ricordo quando arrivasti da me, quando Hogwarts per te non era altro che un inferno che bruciava meno di quello in cui eri prima, quando ancora non potevi avere fiducia. Poi vidi la confidenza crescere nel tuo sguardo e col tempo riconobbi l’affidamento che mi avevi donato e me ne sentii orgoglioso come un padre – Albus si volse, completamente. – So che tu non mi hai perdonato. E forse non mi perdonerai affatto. E rimarresti comunque nel giusto. Mi rimane unicamente di sperare, ragazzo mio. Possa un giorno essermi perdonato il mio errore”.

Severus sentì una rabbia feroce trascinarlo via dai suoi desideri di sufficienza e noncuranza.

“Cinque anni, Albus! CINQUE ANNI! Non cinque ore. Non cinque giorni. Cinque. Anni” gridò e subito dopo tacque, sedendosi con le mani troppo disperatamente vicine al viso, come a volerlo nascondere.

Nel silenzio, un sussurro.

“Puoi dirmi perché, Albus?”


Dumbledore sedette alla sua scrivania. Un sorso di tè.
I suoi occhi non sorridevano più.

“Fui cieco e sordo, ragazzo mio. A quel tempo la protezione generosamente offerta dal sangue della sorella di Lily era tutto quello che serviva. Non ascoltai Minerva. Non ascoltai Hagrid. Desideravo proteggere quel bambino sfortunato. Eressi barriere. Castai incantesimi con il potere di quel sangue e fui felice di aver onorato il dono per il quale la dolce Lily si era sacrificata. La più grande delle protezioni, la più forte. Per anni fui convinto della mia decisione. Ovviamente avevo un membro dell’Ordine a vegliare nel Surrey e per cinque anni ho ricevuto rapporti favorevoli. Non avevo ragione di avere alcun pregiudizio su quella famiglia. Nessun pregiudizio che il bambino venisse… abusato”.

Severus alzò la testa, incapace di ignorare la sensazione di tradimento che sentiva gonfiarsi nel suo petto.
In cuor suo, in tutti quegli anni, da quando aveva messo la sua vita al servizio di Albus Dumbledore, Severus non lo aveva mai considerato capace di sbagliare.
E sentirsi imbrogliati, adesso, era come lasciarsi cospargere di sale una ferita.

“Non ho alcuna intenzione di biasimare altri. Né di sfuggire alla tua ira o a quella di Minerva o di altri. Voglio solo domandarti di lasciarmi… vedere”.

Snape socchiuse le labbra ed inspirò.
Gli occhi di Albus erano intensi e profondi.
Come chi ha vissuto tante, dolorose vite ed ancora non ha perso la capacità di soffrire.

L’uomo anziano trasse a sé un piccolo Pensatoio.

“Se è tua volontà assecondare questo mio desiderio, mostrami cosa ho fatto nella mia ottusità”.

E non vi fu bisogno di chiedere cosa andasse mostrato.
Severus si alzò, la bacchetta in mano.

E lieve, soave filo argentato dopo filo argentato divise con Albus l’orrore.

Adesso era la neve a cadere lenta, nella sera che diveniva notte.
Nel silenzio della scoperta e del dolore.

Quando Severus si volse nuovamente verso Dumbledore tutto era già finito.

E l’uomo anziano era sincero nella sua pena per la sorte del piccolo Harry.
Aveva lo stesso sguardo umido e sconfitto che aveva indossato negli occhi la notte in cui Lily era morta.

E con voce bassa, quasi emozionata, Severus lo sentì parlare.

“Non ho salvato suo padre né sua madre, non ho salvato lui da quella cicatrice e adesso… questo. Condannato a cinque anni di soprusi e sofferenza – Albus sorrise così tristemente… – E’ ragionevole che mi aspetti il suo odio nei prossimi anni, non è vero, ragazzo mio?”

Severus desiderò diventare quella neve che senza pensieri e senza dolore scendeva verso terra ed in silenzio moriva.
Straziato, annuì.


La quiete li sopraffece.



“La signora Figg verrà rimossa dall’Ordine. Spero che il giovane Harry si rimetta presto dalle sue ferite e dai suoi traumi. Desidererei molto avere quei suggerimenti su chi consideravi adatto alla cura del bambino, se ancora ne hai. Quando vorrai potrai ritenerti sollevato da un gravoso compito che non avrei mai dovuto aggiungere al tuo cuore, Severus”.


Un minuto dopo Snape si congedò.
La mano sulla porta.

Un sospiro lo trattenne.

“Ti ho deluso, ragazzo mio. Posso vederlo chiaramente. E non posso che dolermene profondamente”.

Severus strinse con forza il metallo sotto le sue dita, fino a che le sue nocche impallidirono.

“No, sono io a dolermene, Albus. Ancora una volta non ho esercitato abbastanza controllo sulla mia sciocca inclinazione ad aspettarmi qualcosa di più da chi ha potere. Confidavo sinceramente nel fatto che il Signore Oscuro avesse fatto un lavoro migliore nei miei riguardi”.

Albus sospirò nuovamente.

“Più andrai avanti nella vita, ragazzo mio, più capirai che nessuno è onnipotente, che nessuno possiede la conoscenza completa e che anche coloro che hanno la stima di molti possono inciampare e cadere. Un uomo potente ed un uomo saggio sono comunque uomini”.

Severus strinse le labbra. Due pallide strisce di pelle tesa e ruvida.
Si volse, l’ultima volta.

“Davvero, cosa speravi di ottenere dando una bambola rotta ad un burattinaio senza fili, Albus?”

E senza attendere una risposta se ne andò.





Quella notte, nei suoi quartieri, Severus non prese sonno.
Un bicchiere semivuoto di scotch accompagnò la sua mente nel fluire del silenzio. Il gelo pungeva la sua carne che il fuoco non riusciva a riscaldare.

Harry Potter era un bambino fragile e solo.
La sua piccola mente abusata era un campo di battaglia in cui il dolore e la paura non permettevano ad altro di crescere e germogliare.

Eppure, al tempo stesso, era l’unico mago di cui si avesse ricordo capace di smaterializzare due persone dall’altra parte del mondo alla paradossale età di sei anni.

Dunque estremamente potente.

Severus si era scoperto affascinato dal potere già da molto tempo.
E se a ciò non poteva imputare tutti gli errori della sua vita, sapeva bene che per gli altri doveva parlare di comune sfortuna.

Eppure qualcosa si agitava nella sua anima assieme all’inquietudine.
Bevve un altro sorso.

Il pensiero di un’intera creatura da plasmare.
Le potenzialità che potevano diventare un’arma al suo servizio.
Poteva crescere il bambino e seminare quel campo di battaglia con i semi delle sue idee e delle sue convinzioni.

Costruire il suo più potente e fidato alleato. Assicurare alla sua vita molti decenni in più prima che le trame di Voldemort e di Dumbledore lo conducessero ad una prematura fine.

Già il bambino aveva mostrato fiducia in lui. Ottenerne altra, ed incondizionata, non sarebbe stato affatto difficile.
Denutrito di affetto e di cure, abbandonato e solo.
Una parola gentile, una falsa carezza.

Sarebbe stato più che sufficiente.

Ma in tutto questo la sua parola sarebbe venuta meno, se non per prima la sua ritrovata anima.
Aveva giurato in quella prigione, aveva giurato dopo l’inferno di ricordi di cui era stato testimone.
Aveva promesso protezione.

E tutto quello non lo sarebbe stato.

Cosa doveva realmente fare con il bambino?

In un primo momento, durante la fuga, durante i turbolenti dialoghi con Albus, attraverso la repulsione delle scoperte aveva deciso di tenerlo con sé, di proteggerlo per sempre, ma era davvero pronto a fare questo? Ad avere sulla coscienza, nella mente, un simile, gravoso onere? La sua dedizione avrebbe onorato la sua parola, la sua promessa?

Scosse la testa e si portò una mano alla fronte.
Si bagnò le labbra di liquore.

Non era pronto per tutto quello.
Non era pronto per quel cammino di abnegazione che Lily aveva scelto per sé.
Non era pronto per quel destino di intrighi e potere che Albus spargeva con le sue mani.

Era soltanto un’anima errante che attendeva di finire il suo scopo e la sua vita.
E da solo voleva passare su questa terra.

Sì, la decisione era presa.







Da quella notte trascorsero sette anni.

Harry Potter, adesso, era un giovane ragazzo di appena tredici anni.
Snape lo osservava correre per i corridoi, assieme agli amici che si era trovato nella casa che un tempo era stata quella di suo padre e del suo padrino. Giorno dopo giorno Snape aveva fatto del vegliarlo nell’ombra lo scopo della sua vita, così come aveva promesso sette anni prima, quando aveva scoperto la verità. Tempi ancor più difficili erano quelli che stavano arrivando. Fonti indiscrete parlavano di un imminente ritorno del Signore Oscuro e ben presto, Severus lo sapeva, la guerra sarebbe giunta di nuovo. Per tutti loro, ma soprattutto per Harry. Oh, era ancora Harry nella sua mente. Era ancora il bimbo spaventato che un giorno di molto, moltissimo tempo fa aveva tenuto sulle ginocchia in un umida prigione. Era sempre stato il bambino al quale aveva regalato il suo mantello. Anche se adesso, probabilmente Potter non ricordava molto di quei giorni ormai passati.
Terminate le lezioni di quel giorno Severus si ritirò nei propri quartieri. Non era cambiato molto in quegli anni. Semplicemente la stanza del bambino era diventata di nuovo un ripostiglio da quando Remus Lupin aveva portato via il piccolo per crescerlo assieme a sua sorella e ad alcuni fidati membri dell’Ordine. E nonostante avesse impiegato del tempo a riempire quella stanza ad ogni sguardo, nel corso di tutti quei mesi appariva ancora, come sempre, vuota.

Stancamente sedette sulla sua poltrona verdeargento, consumata negli anni e ripensò a come tutto quello fosse successo, a come lui non avesse fatto niente per impedirlo. Una volta guarito dalle ferite del corpo il bambino, per sua concessione, gli era stato portato via. Lupin, Molly ed Arthur Weasley ne avevano chiesto l’allontanamento da Hogwarts, l’allontanamento da Severus. E lo avevano portato via con loro. E non conoscevano che sommariamente quella che era stata l’infanzia di Harry, non conoscevano che le parole ed i fatti narrati, come se poi il dolore e la crudeltà si potessero descrivere, come se si potessero spiegare a voce, sterilmente, senza la bruciante, reale sofferenza incisa nella pelle dell’anima. E nessuno tranne lui ed Albus avevano visto, nessuno conosceva fino in fondo la verità e neppure Albus nella sua lunga vita poteva vantare di comprendere fino in fondo. Soltanto chi aveva sentito, soltanto chi aveva provato.
Soltanto Severus poteva.
E giorno dopo giorno aveva visto sorrisi diventare pallide smorfie di dolore. Durante le lezioni occhi distanti e preoccupati. Gli stessi occhi spersi, che lo avevano guardato pieni di lacrime fino all’orlo quando Severus aveva letto nella sua mente quel lontano dì di dicembre.
Perché tutti loro non erano mai stati abbastanza per il bambino. Sempre trascinato da una casa all’altra, in cerca di un affetto che gli era arrivato nel corso degli anni frammentato ed indebolito, diviso con altri affetti, diviso nel ricordo e nella speranza, nel rimpianto, lontano dalla quiete e dalla stabilità di cui aveva bisogno, di cui solo Severus sapeva che aveva bisogno ed era troppo tardi ormai, dannatamente troppo tardi.
E di notte rivedeva il viso pieno di rimprovero di Lily che in ogni sogno, in ogni incubo ripeteva nel vuoto le stesse parole, le stesse disperate domande.
‘Perché Severus, perché non hai voluto averne parte? Perché lo hai abbandonato? Qui, dove nessuno riesce a dargli appoggio, dove nessuno è capace di comprendere, di sentire? Dove nessuno è abbastanza per il suo cuore, dove nessuno è una luce a guidare i suoi passi? Dove nessuno avrà mai la sua fiducia? Dove nessuno gli insegnerà la felicità?’
E si svegliava in quelle notti, dopo quei giorni angoscianti e nel silenzio delle sue stanze si prendeva la testa fra le mani e senza un suono gridava contro la falsità di quelle ipotetiche speranze. Gridava contro un’apparizione che si sbagliava, contro parole ingiuste e contro un dolore sordo che meritava per la sua codardia.
E avrebbe voluto strappare via Harry, portarlo con sé e rivederlo seduto accanto al fuoco nelle sue stanze, su quella poltrona verde e argento e crescerlo, ma non poteva. Non poteva. Niente era più come prima e mai lo sarebbe stato di nuovo. Il tempo era ancora più vile e crudele di un Oscuro Signore, nessuna supplica e nessuna minaccia ne invertiva lo scorrere e quello che era stato non poteva essere altro adesso. E la sua occasione con esso si era persa, per sempre.
E come senza respiro si alzò.
Per vegliare su Harry da lontano anche quel giorno, come tutti gli altri giorni, per guardare in silenzio i suoi momenti di sconforto, per vedere le sue paure e per donargli la sua vita quando la guerra sarebbe giunta.
Severus s’incamminò per i corridoi e davanti alla Great Hall lo vide.
Il viso nella sua anima quasi sorrise.
Harry Potter.

Il suo bambino-Potter.





Severus si destò, coprendosi il viso sudato con una mano tremante.
La pallida, grigia luce del mattino illuminava male l’infermeria.
Ed illuminava ancora peggio i suoi occhi quasi febbricitanti.

Il petto doleva al ricordo di quel sogno, così simile alla realtà della scelta che era chiamato a compiere, che stava effettivamente per prendere.

Era stato soltanto un sogno. Un lurido, disumano sogno. Il suo sguardo oscuro si posò sul piccolo Harry…

E adesso, di nuovo, qualsiasi previa certezza era infranta e ancora le visioni nella sua testa naufragavano nel dubbio ed i giorni erano passati, incolti e indecifrabili. Calando uno dopo l’altro ad ovest.

Ma l’ineluttabile domanda rimaneva, stagnando profonda nell’aria che respiravano.


Chi era Harry Potter per Severus Snape?


 

 




Continua…

 

 

 

Nota grammaticale: per mia decisione personale in questa fanfic tutti i nomi propri ed alcuni altri di vario genere sono mantenuti originali, quindi con i termini inglesi, non solo per rispetto alla signora Rowling che così li ha creati, ma anche perché non approvo la dilagante malattia del ‛traduzionismo-sempre-e-comunque’. Per correttezza nei confronti di chi è in disaccordo con me alla fine di ogni capitolo metterò i termini italiani corrispondenti. Grazie mille.
 

 

Note del capitolo: La Skele-Gro è una pozione che permette alle ossa di ricrescere.

 

   

 
   
 
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